Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: ChiaraBJ    08/01/2017    4 recensioni
Il padre di Ben bussa alla porta di casa di Semir, è preoccupato perché non riesce a contattare il figlio. Entrambi si recano nell’appartamento del giovane poliziotto e lì fanno una agghiacciante scoperta . Ben è scomparso. Rapimento? E se fosse così, per mano di chi? In questa nuova FF Semir dovrà ancora una volta tentare di salvare la vita al suo socio, in una lotta contro il tempo e non solo.
Questa storia fa parte della serie ‘Legami speciali ed indissolubili’.
Consigliata, ma non indispensabile la lettura delle storie precedenti.
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legami speciali ed indissolubili'
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‘Quando si ricevono solo schiaffi, anche le carezze fanno sempre un po’ paura’

Mentre si accasciava al suolo, nella testa di Ben riecheggiarono nuovamente frammenti del suo passato.
“Dai collega adesso basta, facciamola finita” la voce era la sua.
Subito dopo l’urlo di una giovane ragazza che gridava un nome.
“SEMIR!!!”
Mi dispiace Ben” la voce era uguale a quella del poliziotto che lo aveva braccato per giorni.

“BEN!” Semir urlò con tutto il fiato che aveva vedendo il ragazzo crollare a terra a pochi passi da lui.
“Ben…o mio Dio Ben…” il piccolo ispettore rimase per qualche istante immobile sul posto.
Subito si avvicinò un poliziotto, lo stesso che minuti prima aveva sentito gli spari, con un calcio allontanò la pistola dal corpo di Ben.
“Ispettore Gerkhan sta bene?” chiese l’agente avendo riconosciuto il poliziotto dell’autostradale “Ho visto che quest’uomo la minacciava …” ma l’agente non riuscì a finire la frase.
L’ispettore come una furia si avventò su di lui scaraventandolo a terra.
“Hai sparato ad un collega…il mio collega!” gli ringhiò contro con le lacrime agli occhi, poi si inginocchiò accanto a Ben e prendendo il cellulare sollecitò i soccorsi.
“Ben, ehi amico…ho chiamato l’ambulanza, sarà qui a momenti…” gli disse sollevandogli la testa e appoggiandola sulle sue ginocchia, accarezzandogli le guance, la fronte.
“Almeno ora …non dovrò più scappare…spero solo che lassù ci sia qualcuno, qualcuno che abbia pietà di me…” disse con voce flebile e un impercettibile sorriso apparve sul volto del ragazzo.
“Ben resisti, dai non mi lasciare, non adesso che ti ho trovato…” ma Ben non lo sentì nemmeno. In quel momento si sentiva in pace, vedeva la sagoma di una donna con le braccia protese, come se stesse aspettando che il ragazzo si alzasse da terra per abbracciarla e andare via con lei.
Ben era estasiato, era bellissima con lunghi capelli neri, aveva i suoi stessi occhi, forse lui aveva anche il suo stesso sorriso.
“Mamma sei tu?”  chiese cercando di protendere a sua volta un braccio e quelle furono le sue ultime parole prima di chiudere gli occhi e accasciarsi tra le braccia di Semir.
“No…no…Ben apri gli occhi…ti prego resta con me” urlò l’amico sapendo cosa si dice delle persone che vedono i propri familiari morti mentre stanno per morire a loro volta.
Il poliziotto che aveva sparato a Ben assisteva alla scena esterrefatto , gli sembrava di aver salvato la vita a quel piccolo ispettore, invece piangeva il ragazzo a terra.
 
Semir scortò l’ambulanza che trasportava il suo migliore amico; lungo il tragitto telefonò al padre di Ben per rassicurarlo che finalmente era riuscito a ritrovare il figlio. Subito il vecchio imprenditore avrebbe voluto correre all’ospedale, ma Semir, considerata anche l’età gli consigliò di rimanere a casa. Ben sarebbe stato operato di lì a poco e date le circostanze il signor Jager avrebbe dovuto aspettare molto prima di poter vedere il figlio. Semir prima di concludere la conversazione gli promise che lo avrebbe aggiornato costantemente sulle sue condizioni.
Konrad quindi ringraziò l’ispettore, ripose il telefono poi diede sfogo a tutta la tensione accumulata in quei terribili giorni lasciandosi andare a un pianto disperato quanto liberatorio.
“Konrad…Ben?” Livyana comparve sulla soglia dello studio, accanto a lei c’era Helga.
“Ben…Gerkhan lo ha trovato…adesso è in sala operatoria…lo stanno operando…” Konrad Jager, singhiozzava mentre parlava.
Livyana si avvicinò al vecchio, e inaspettatamente, senza tanto pensarci, lo abbracciò. Entrambi avevano bisogno di farsi coraggio, di confortarsi.
“Vedrai si sistemerà tutto…Ben guarirà, non ci lascerà soli” cercò di consolarlo “Ci riesce sempre…lui è un guerriero, è forte”
“Lo so, piccola” rispose il vecchio accarezzandole la testa. 
Livyana vedendo Konrad piangere non  riuscì a trattenersi, abbracciandolo ancora più forte. Tutto questo avveniva sotto lo sguardo tenero e materno di Helga, ora anche lei in lacrime.
 
Alcune ore dopo, a notte fonda, Semir entrò silenzioso nella stanza d’ospedale dove era stato ricoverato Ben. 
Aveva chiesto al medico di turno di poterlo vedere solo un minuto, voleva sincerarsi che stesse tutto sommato bene, che fosse vivo.
La stanza era immersa nella penombra, le uniche fonti di luce erano una piccola lampada sul comodino accanto al letto e le varie spie dei monitor di sorveglianza che lanciavano i loro fastidiosi, ma confortanti segnali ripetitivi.
“Almeno sei vivo” sospirò Semir avvicinandosi al letto e sedendosi sulla poltroncina.
I medici gli avevano assicurato che tutto sommato Ben era da considerarsi non in pericolo di vita e che con il passare del tempo molto probabilmente avrebbe riacquistato la memoria, non sapendo però esattamente quando.
Alla vista dell’amico Semir fu quasi costretto a trattenere la nausea, quello che vide lo gettò nello sconforto più assoluto, avrebbe voluto stringergli la mano, accarezzarlo, ma aveva quasi paura che toccandolo potesse fargli del male visto in che condizioni erano le sue mani. Eppure non era la prima volta che Semir vedeva il suo socio in quello stato, ma questa volta gli pareva che la situazione fosse più critica del solito.
Il tatuaggio sul braccio sinistro gli confermava che era lui, se non fosse stato per quello forse avrebbe messo più tempo a capire che quello davanti a lui disteso sul letto era il suo migliore amico, il suo inseparabile collega da più di sei anni.
 
Ben aveva ancora ben visibili i segni di quello che gli avevano fatto in carcere; uno zigomo rotto, come pure un labbro, vistose abrasioni sulle nocche delle mani a confermare che il giovane poliziotto aveva disperatamente cercato di difendersi, enormi bende sul torace e una sul braccio, un numero che a Semir risultò impressionante di fili e tubicini che lo collegavano alle macchine, senza contare che era diventato magrissimo, quasi scheletrico e pallido come un cadavere.
Dormiva, ma il suo era un sonno agitato. Come se tutto questo non bastasse i medici avevano consigliato di immobilizzarlo con delle cinghie di sicurezza al letto. Appena si fosse svegliato, senza memoria come era lecito aspettarsi, avrebbe sicuramente tentato la fuga mettendo in pericolo la sua stessa vita, visto che ora si ritrovava anche un’altra ferita d’arma da fuoco al fianco destro. Ben non avrebbe potuto sapere che tutte le persone che avevano voluto la sua morte ora erano in carcere, senza ricordi aveva fatto capire in più di una occasione che non si fidava di nessuno e niente per il momento avrebbe potuto fargli cambiare idea. Semir sospirò profondamente, aveva sempre considerato Ben un ragazzo tutto d’un pezzo, forte, coraggioso, niente e nessuno avrebbe potuto ‘frenare’ quella vitalità e quell’allegria che irradiava eppure ora vederlo steso su quel letto inerme ferito nel corpo e nell’animo gli faceva male, ora lo vedeva fragile come fosse un fiore di cristallo.
“A meno che…” Semir decise che sarebbe tornato l’indomani, ma non sarebbe stato solo.

Il giorno dopo Livyana entrò silenziosamente nella stanza di Ben. 
Semir, prima di chiederle se voleva andare a trovare il suo amico, aveva proposto l’idea ad Elise Kladden e dopo il parere positivo della psicologa ne aveva parlato anche con il medico che aveva in cura Ben.
Elise aveva quindi informato la ragazzina delle reali condizioni di Ben, che se si fosse svegliato lui sicuramente non l’ avrebbe riconosciuta, magari le avrebbe fatto un sacco di domande, in ogni caso se non se la sentiva di stare dentro da sola in quella stanza con Ben avrebbe potuto uscire quando ne avesse sentito il bisogno.

Livyana varcando la soglia della stanza, respirò a fondo, poi si avvicinò al letto prendendo delicatamente una mano di Ben tra le sue.
“Sempre con le mani fredde…e mai che qui dentro ti mettano un pigiama, una coperta…” la piccola aveva in se la stessa forza di sdrammatizzare che aveva Ben.
Il giovane si svegliò quasi immediatamente, dando un forte strattone alle cinghie che lo tenevano immobilizzato al letto, spalancando gli occhi come se invece di una carezza avesse ricevuto una coltellata in pieno petto.
“Tranquillo Ben non voglio farti del male” cercò di rassicurarlo la ragazzina parlandogli quasi sottovoce; e in quel medesimo istante a Livyana venne in mente una frase che una volta sentì pronunciare da Helga quando trovarono nel giardino di villa Jager un gattino impaurito:
Quando si ricevono solo schiaffi, anche le carezze fanno sempre un po’ paura”
Dopo l’iniziale spavento Ben guardò il visetto della ragazzina che aveva davanti.
Anche Livyana si era spaventata un po’ assistendo al brusco risveglio dell’amico, ma cercò di non darlo a vedere.
“Ciao Ben” gli disse; voleva sembrare tranquilla, confortarlo.
“Ciao” rispose lui con un filo di voce, la ragazzina lo aveva chiamato con lo stesso nome con cui lo aveva chiamato il piccolo poliziotto.
Poi vedendo che era immobilizzato al letto le chiese “Non hai paura di me?”
“Che stupida domanda perché dovrei?” rispose aggrottando la fronte.
“Beh potrei essere…insomma non so ancora bene chi sono” rispose triste il ragazzo.
“Ma io so benissimo chi sei tu e ti assicuro che questo basta e avanza” replicò decisa “Tu mi hai salvato la vita più di una volta, anche a costo di mettere fine alla tua. E sai che si dice vero? Se salvi la vita a qualcuno ne diventi responsabile”
“Suona bene come risposta…” sussurrò Ben cercando di abbozzare un sorriso, poi vedendo che armeggiava con le cinghie di sicurezza le disse “Ti prego…non farlo…io…se mi hanno immobilizzato…un motivo deve esserci. Non voglio metterti nei guai o peggio ancora farti del male…” supplicò il giovane, ma la piccola non fece caso a quello che le diceva Ben.
“Adesso ti slego, so che non mi farai del male, né scapperai…di me ti puoi fidare perché io mi sono sempre fidata di te…anche quando avevo paura che ci sparassero e tu mi dicesti di trattenere il fiato…ci siamo buttati giù da un dirupo e siamo finiti nel lago. E ti dirò di più quando zio Semir parla di te dice che sei il mio ‘angelo custode terreno’ ”
“Mi spiace, ma non me lo ricordo, vorrei tanto…” le disse mentre la guardava scioglierli le cinghie.
“Non fa niente, per adesso basta che lo sappia io e che tu ti renda conto cosa sei per me” replicò con quell’innocenza tipica dei bambini.
“Come ti chiami?” chiese il ragazzo “E quanti anni hai?”
“Mi chiamo Livyana, Livyana Karpov…” rispose prontamente “E il primo di Agosto ho compiuto tredici anni”
“Hai un bel nome…” replicò il giovane.
“Sì lo so e il cognome di un giocatore di scacchi russo” concluse stampandosi un enorme sorriso sul volto.
La ragazzina cercava di essere la solita Livyana, anche se sapeva benissimo che davanti a lei, purtroppo, non c’era il solito Ben.
“Senti, quello che io chiamo zio Semir…” continuò a parlare tornando seria.
“Quello che dice di essere il mio collega?” domandò Ben.
“Sì lui…ecco dice che…” Livyana si bloccò, troppo emozionata per continuare.
“Dice cosa?” la incoraggiò.
La ragazzina fece appello a tutte le sue forze, facendo un profondo respiro poi continuò:
“Dice che a causa della tua memoria non ti ricordi niente e quindi non ti fidi di nessuno…”
“Non è stato un bel periodo, te lo assicuro” e al solo pensiero Ben sentì una fitta allo stomaco che per qualche istante gli fece quasi mancare il respiro. Di colpo gli occhi del ragazzo divennero lucidi.
Non aveva nessun ricordo della sua vita passata e le uniche cose che ricordava in quel momento era l’essersi svegliato in un carcere dove era stato ripetutamente picchiato, come se tutto questo non bastasse era precipitato dal parapetto di una diga finendo nel lago sottostante dopo che gli avevano sparato, tratto in salvo credendolo un criminale gli avevano sparato di nuovo.
Livyana come se avesse captato quel triste pensiero cercò di nuovo la sua mano stringendola delicatamente tra le sue. Ben quindi come confortato dal quel gesto proseguì il suo discorso.
“Forse potrei fidarmi di te, mi hai slegato, sei qui da sola, non hai paura…io al posto tuo ne avrei, a meno che tu non sia…”
Ma anche il ragazzo si bloccò.
Quanto avrebbe voluto che Livyana fosse…
Forse l’allegra risata e la voce che sentiva quando chiudeva gli occhi, nel sonno, era la sua.
La ragazzina era decisa ,sicura , si fidava e non aveva paura di lui, anche se lui non aveva la più pallida idea di chi fosse. Il ragazzo aveva un’impellente domanda da farle, ma allo stesso tempo aveva paura di porla.
E ancora una volta quel legame speciale che li univa venne prepotentemente a galla:
“Mi volevi chiedere se sei il mio papà?” anche lei aveva timore nel fare quella domanda, magari al ‘nuovo’ Ben non sarebbe piaciuto avere una ‘figlia’.
“Già” rispose in apnea il giovane.
“Beh non proprio, ma di fatto…sì”
Un piccolo sorriso comparve sul volto del giovane e di conseguenza anche su quello della ragazzina.
“Mi hai preso con te dopo la morte dei miei genitori” spiegò Livyana “Ed è per questo che devi fidarti di me, io al posto tuo lo farei e comincerei a fidarmi anche di Semir, lui ti ha cercato, ti ha trovato”
“Sai penso che quel piccolo ometto non mi avrebbe lasciato andare…neanche se gli avessi sparato…” sentenziò Ben.
“Certo tu per lui sei come un figlio. Zio Semir è quello che prenderebbe una pallottola per te…e tu per lui”
A quelle parole Ben rimase come di sale.
Ecco perché quella disperazione, quella determinazione nel cercarlo, nel non volerlo lasciare andare. E in cuor suo Ben sapeva che mai e poi mai avrebbe sparato a quel piccolo ometto, piuttosto sarebbe morto lui e la cosa non gli sembrò così strana…chissà cosa avevano fatto in passato insieme, che tipo di legame c’era tra loro.
“Senti facciamo così” continuò Livyana “Tu fidati di noi due intanto, e poi con me accanto sarai e ti sentirai al sicuro come lo sono sempre stata io con te.  Inoltre dove abiti tu c’è un posto magico…io lo chiamo il ‘tranquillometroquadrato’ quel posto fa miracoli, quindi vedi di rimetterti in forze che poi ce ne torniamo a casa nostra”
Ben non ebbe il coraggio di dire niente, tentò di abbozzare un sorriso, ma purtroppo non ci riuscì, in quel momento si sentiva moralmente e fisicamente a pezzi.
Livyana gli strinse delicatamente la mano.
“Adesso che ne dici di dormire un po’? Io resto a farti compagnia, nessuno qui ti farà del male, né fuori. Ora è tutto finito, lo ha detto anche zio Semir. E poi devi riposare domani verrà a trovarti tuo padre, tua sorella ed Helga”
“E mia madre?” chiese Ben prima di chiudere gli occhi.
“No…purtroppo non c’è più” rispose triste la ragazzina, ma Ben non sentì nemmeno la risposta, era di nuovo tra le braccia di Morfeo.
Livyana quindi si sistemò meglio la sedia lasciando per un attimo la mano di Ben.
“Livy non andare, ti prego resta con me” la voce impastata dal sonno.
La ragazzina ebbe un tuffo al cuore, Ben l’aveva chiamata con il suo diminutivo.
“Tranquillo non me ne vado, promesso…mi sistemo meglio” rispose, quindi avvicinò la sedia riprendendo il suo posto accanto al letto di colui che considerava alla stregua di un papà.

Due settimane dopo verso il tardo pomeriggio Ben venne dimesso dall’ospedale, ma quello che uscì dal nosocomio non era il solito Ben.
Il ragazzo era ancora molto diffidente specie nei confronti di coloro che per mestiere lavoravano in polizia. Tutti i colleghi del distretto durante la degenza erano andati spesso a trovarlo e sebbene vestissero sempre in borghese quando si presentavano nella sua stanza Ben si metteva sempre sulla difensiva.
In quelle occasioni non era mai solo, a fargli compagnia c’era sempre Livyana o Semir gli unici che già dal primo giorno dopo il suo risveglio all’ospedale erano riusciti a conquistare la sua fiducia.
Tra i vari amici e colleghi che andarono a fargli visita anche Dieter, colui che assieme a Semir conosceva Ben da quando mise piede al distretto. L’alto agente, dopo la breve visita uscì dalla stanza deluso, con la sensazione di essere per il ragazzo un perfetto estraneo, ma consapevole che quell’orribile esperienza aveva lasciato nell’animo di Ben dei pesantissimi e dolorosissimi strascichi.
“Vedrai Bonrath” lo consolò Semir accompagnandolo fuori dalla stanza “E’ solo questione di tempo…lo ha detto anche il dottore. E’ successa la stessa cosa anche col padre, con la sorella, con Helga”
“Lo so, ma vederlo così…aveva paura di me. Pensare che se non fosse per lui, per te…sarei morto” e con il dorso della mano si asciugò una lacrima che minacciava di rigargli il volto.
Al rientro nella stanza Ben si era scusato con Semir per come reagiva ogni volta che qualcuno che non era lui o Livyana andava a fargli visita.
“Per certi versi ho paura della mia stessa ombra, mi dispiace. Tutti vi state preoccupando …ma è più forte di me…non riesco a controllarmi, anche se mi impongo di restare calmo, di respirare piano e profondamente come dicono i dottori…”
Semir si era quindi avvicinato a Ben cercando di confortarlo, i sensi di colpa lo stavano nuovamente torturando.
“E’ normale Ben, quello che ti è successo, non puoi pretendere da te stesso che tutto possa passare da un giorno all’altro, i colleghi, i tuoi amici lo capiscono”

“Eccoci arrivati a casa” disse un’allegra Livyana entrando nel lussuoso appartamento di Ben.
Con i due anche l’amico Semir, che per ogni evenienza aveva deciso di trascorrere la notte con loro.
Ben entrò dopo la ragazzina fermandosi in mezzo al grande salone. Semir entrato per ultimo si mise a osservare Ben, si guardava attorno, come se quell’appartamento invece di essere casa sua fosse di qualcun altro.
“Quante chitarre ci sono sopra a quel mobile” si stupì Ben.
“Già e come le sai suonare bene” confermò la ragazzina.
Ben si avvicinò toccandone una, ritirando velocemente la mano, la sensazione che ebbe fu come se avesse preso la scossa.
Livyana notò subito la cosa che invece sfuggì a Semir, ma la ragazzina sapeva cosa rappresentava quel preciso strumento per Ben.
Tra tutte le chitarre che c’erano in quella stanza lui era stato attratto da quella all’apparenza più insignificante. Non era di qualche famosa marca, né tantomeno aveva una cassa armonica speciale, nessun autografo o dedica, anzi in alcuni punti era addirittura scheggiata. Era però la chitarra con cui aveva imparato a suonare, la prima a possedere ed era un regalo di sua madre.
“Io andrei a distendermi, sono stanco” disse laconico il giovane.
Livyana e Semir si guardarono, poi assecondarono Ben accompagnandolo nella sua camera da letto. Il ragazzo era ancora molto provato.
Il resto della serata passò tranquilla con Semir che di tanto in tanto andava a guardare come stava il suo amico che appena si era disteso sul letto si era subito addormentato.
I due per cena ordinarono una pizza, mangiando in silenzio, ed entrambi ne avanzarono metà. Ben era a casa, questo era vero, ma quello che dormiva nella camera da letto non era ancora il Ben che avevano conosciuto e questo in parte aveva tolto loro l’appetito.
La ragazzina dopocena decise di andare a letto, la stanchezza cominciava a farsi sentire, le settimane trascorse dentro e fuori all’ospedale l’avevano decisamente stancata.
La mattina era andata a scuola, aveva studiato qualche ora a casa della famiglia Gerkhan, dopo di che era andata a trovare Ben. Lì gli aveva raccontato tanti episodi della sua vita, dopo che lo aveva conosciuto e Ben più di una volta si era commosso.
“Mi sembra incredibile di aver fatto tutte queste cose” le aveva detto un giorno.
“Sì tu per me sei il migliore dei super eroi”

“Chiudo le imposte…fra un po’ andrò a letto pure io” disse Semir accompagnando con lo sguardo la ragazzina che dopo essere uscita dalla stanza di Ben  si avviava verso la sua cameretta.
“Sì, ma per favore lascia aperta quella davanti alla porta finestra che dà sulla grande terrazza”
“Perché?” chiese curioso Semir.
“Perché Ben me la lascia sempre aperta…davanti c’è il ‘tranquillometroquadrato’”
“Il che?”
“Notte zio ci vediamo domani” e con questa risposta troncò ogni discorso, ora era davvero stanca e andare a letto le sembrava la cosa più sensata da fare.
Verso mezzanotte anche Semir andò a letto.
 
Erano le tre di notte quando Livyana si alzò, aveva bisogno del ‘tranquillometroquadrato’.
Silenziosa si mise una coperta sulle spalle, le ciabatte e si avviò verso la porta finestra che dava sulla grande terrazza. Lì si sarebbe seduta per un po’ sopra il grande tappeto persiano appoggiando la schiena allo schienale del divano, ammirando le luci della città e l’imponete sagoma del duomo di Colonia.
Strascicando un po’ i piedi sì avvicinò al divano, lo superò, stava per sedersi sul tappeto quando fece un’incredibile scoperta: seduto nello stesso modo in cui si sarebbe seduta lei c’era Ben.
“Ciao” disse il ragazzo vedendola arrivare.
“Sempre il solito…boxer , canotta e naturalmente  scalzo…capisco che ti piace fare…insomma sai che intendo…” scherzò ragazzina “Ma ti faccio notare che lì fuori c’è la neve” e scrollando la testa si sedette accanto a Ben mettendogli parte della coperta sulle spalle.
“Sì la neve rende il paesaggio magico…e comunque so anche che saresti arrivata…”
“Davvero?” chiese stupefatta.
“Sai mi sono ricordato di una cosa, quando ti portai a casa…due o tre notti dopo…”
“Ben…tu ricordi???” la ragazzina restò a bocca aperta.
“Aspetta, lasciami finire…” poi continuò “Una notte ti trovai qui, avevo paura che fossi scappata…”
“Sì l’ho fatto più di una volta in passato” ammise la ragazzina.
“Sì me lo ricordo…o almeno mi pare, e so per certo che Semir ti avrebbe sculacciata volentieri” sogghignò Ben.
“Ehi, ma come ti permetti, tu devi difendermi…sono scappata…per te” il tono della piccola era allegro, spensierato.
“Beh, ma quando è troppo è troppo e Semir comincia ad essere vecchio”
“Se zio Semir ti sente ti spella vivo…” sghignazzò la ragazzina e a Ben venne il magone nell’udire l’inconfondibile, stupenda e allegra risata di Livyana.
Ben non ebbe il coraggio di dirglielo, magari l’avrebbe informata un giorno, ma non in quel momento, troppo dolore.
Quell’allegra risata lo aveva aiutato a restare in vita.
“Comunque” continuò il ragazzo tornado serio “Mi dicevi che davanti a questo stupendo paesaggio trovavi la pace e la serenità…addirittura ti sembrava di vedere i tuoi genitori e di parlare con loro…così mi sono alzato e sono venuto qui. Mi sono ricordato di una signora, aveva lunghi capelli neri, gli occhi castani…e uno strano ciondolo al collo…”
“La tua mamma” suppose Livyana.
“Sicuramente” replicò Ben.
 
Nessuno fece caso a Semir che sulla soglia della camera degli ospiti, non lontano da loro, ma nascosto dal divano stava ascoltando la conversazione.
Il suo amico stava ricordando qualcosa, forse tutto sarebbe tornato come prima e ancora una volta Semir si rese conto che Livyana era il pezzo mancante nella vita di Ben, tra loro c’era un rapporto speciale, il suo punto di riferimento…avrebbe quasi voluto esserne geloso, ma alla fine ciò che gli importava veramente era che il suo ragazzo si stava riprendendo. Quando poi lo sentì ridere, Semir non c’è la fece più, rientrò nella sua stanza e pianse, ma il suo non era un pianto triste o disperato come lo era stato nei giorni scorsi, finalmente quello era un pianto liberatorio, di gioia. Ora ne era certo tutto sarebbe tornato come prima.
Bastava solo avere pazienza.
 
Angolino musicale: direi che tutto sommato i nostri protagonisti stanno abbastanza bene, spero che il capitolo vi sia piaciuto, è uscito così…di getto. Sono consapevole che di azione e di Cobra 11 forse ha poco o niente, ma a volte Grimilde viene sopraffatta da Smielilde.
Ci risentiamo al prossimo e ultimo capito.
Buon rientro.
CBJ.
Evanescence - Bring Me To Life (Riportami In Vita)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=3YxaaGgTQYM
Come fai a vedere dentro i miei occhi come se fossero porte aperte? arrivando nelle profondità del mio corpo, dove sto diventando ghiacciato. Senza un'anima il mio spirito sta dormendo in qualche luogo freddo fino a che non la ritroverai e la riporterai a casa. Svegliami. Svegliami dentro. Non riesco a svegliarmi. Salvami. Chiama il mio nome e salvami dalle tenebre. Svegliami. Ordina al mio sangue di scorrere. Non riesco a svegliarmi. Prima che io venga distrutto. Salvami. Salvami dal nulla che sto diventando. Ora che so cosa mi manca non puoi lasciarmi. Respira in me e rendimi vero Riportami in vita. Ho vissuto nella menzogna, non c'era niente dentro…Riportami in vita…
  
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