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Autore: Made of Snow and Dreams    08/01/2017    0 recensioni
La vita del piccolo Dimitriy, un evaso schizofrenico di 10 anni, si intreccia con quella di Igor, uno psichiatra di 27 anni. Nella Russia più buia e inospitale, la casa di Igor sarà teatro di una spirale di delirio, follia e perversione.
Dal testo:
'Ed era alto, tanto alto.
Candidi fili d’erba a volteggiare nel vento. Spiragli di nubi tempestose a fotografare, placidi, paesaggi di nostalgia. Una sciarpa a proteggergli il viso, un caldo cappotto a riscaldargli il corpo come il rassicurante abbraccio di una madre.
Quando camminava – e il suo passo, così pesante, così concreto – lasciava le orme sulla neve.
Era alto, tanto alto, quel gigante. Solo a vederlo gli si riempivano gli occhi di lacrime, e senza che ne comprendesse il motivo. '
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
Capitoli:
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Scivolo di neve



Capitolo 1
‘Verde e grigio’
 
 
 
 
‘Non ti preoccupare. Se ingoi questa… ‘ proferisce con un caldo e rassicurante sorriso, mentre il suo pugno si schiude per mostrare una pillola azzurrina, ‘…i tuoi sintomi si allevieranno subito. Non avrai più la sensazione di essere costantemente osservata. ‘
La bambina seduta di fronte a lui è una graziosa bambolina di otto anni, biondissima e con occhietti vispi e vagamente minacciosi. Le sue pupille saettano dal viso del suo psichiatra al suo palmo, come se volesse constatare la veridicità delle sue affermazioni. Igor è abituato a quel genere di reazioni, e non si lascia intimidire dallo sguardo della sua piccola paziente. Mantiene le guance contratte fino a quando la tensione si scioglie in un sorso d’acqua e una pasticca a fluttuare nell’esofago.
‘Bene. Facile, no? Ora fatti una bella dormita e vedrai che starai meglio. Olga, accompagnala da sua madre! ‘
Olga è la sua ammiratrice numero uno. Così si è definita lei stessa pochi giorni dopo aver ottenuto il posto di segretaria del suo ufficio, dopo un attento colloquio. E’ una bella ragazza, Igor l’ha constatato sbirciandola mentre lavora sulle sue fotocopie: delle belle tette sode – o almeno è ciò che traspare dalle sue magliette attillate e rigorosamente bianche -, gambe lunghe e tornite. Un bel bocconcino, e lui ha abbastanza esperienza da intendersi di bellezza femminile.
Aida l’aveva saputo conquistare per tre mesi interi, con i suoi occhi da gatta e un corpo da modella; Tat’yana, uno spirito di bambina intrappolato nel corpo di una donna florida fasciato da vestiti variopinti e spiccanti nel grigiore che popola Astrakhan. La ricorda bene, Igor. Aveva tutte le carte in regola per essere una potenziale patner, ma il suo interesse si era dissipato – e non senza dispiacere – quando le sue paure di invecchiare aveva bussato alla loro porta. E poi c’erano state Ivanna, Vlada, Zlata, Anastasiya…
‘Subito. Vieni, Iryna. ‘
Brava, Olga. Toglimi davanti questa pazza paranoica, e regalami un po’ di pace.
La porta si socchiude e lo spostamento d’aria gli solleva una ciocca di capelli biondo cenere. Quando la sua mano sfiora il calorifero freddo, si ritrae con un brivido. Spento. Per l’ennesima volta. Quando ricorda bene di aver detto ad Olga di alzare la levetta d’accensione. Una cosa ti avevo chiesto di fare, Olga, una sola!
Sopprime l’impulso di schiaffeggiare la ragazza per quella dimenticanza. Lo denuncerebbe, o forse no. Uno spreco di energie. Ma lui il freddo non lo tollera.
Sono settimane che nevica ad Astrakhan, una delle città più povere della Grande Madre Russia. Igor osserva con indifferenza la lieve bufera che impervia la città, senza risparmiare le catapecchie in legno abitate dai vecchi rom che lui ha la sfortuna di incontrare ogni giorno. Si sente fortunato a trovarsi riparato nel suo studio medico, ma sente che niente del suo piccolo centro riesce ad appagarlo.
L’umidità che macchia il soffitto e sgretola l’intonaco delle pareti lo disgusta, l’atmosfera cupa dettata dall’assenza di sole lo rende malinconico e irascibile, i bambini con cui discorre lo intristiscono quotidianamente con i loro resoconti della giornata. Chi si sente minacciato, chi incolpa i genitori di volerlo ammazzare, chi si dispera perché non riesce a trattenere i suoi sbalzi d’umore, chi parla estasiato di un amico immaginario.
Alcuni non hanno perduto del tutto il contatto con la realtà. Altri sono ridotti a dei veri e propri fantasmi in carne ed ossa.
La voce professionale di Olga al suo fianco. ‘Dottor Medvedev, per ora i pazienti sono finiti. La sala d’attesa è vuota. ‘
E’ sollevato, anche se è collassato sulla sua sedia in pelle. E’ tutta sgualcita e piena di rattoppi, ma estremamente comoda, irresistibile. Lancia un’occhiata distratta alle unghie laccate della sua segretaria e sbuffa rassegnato. ‘Hai altri appuntamenti segnati, per oggi? ‘
‘Sì. Altri… Aspetti un attimo. ‘ Rumore di carta che viene rovistata. Igor chiude gli occhi, sperando che il risultato finale sia zero. ‘Altri tre. Sokolova, Zarkovskajna, Petrov. ‘
‘Sokolova… ah, ricordo. Le due schizofreniche di undici anni e il bipolare di sette. ‘
Olga gli lancia un’occhiata stranita, ma annuisce ugualmente. ‘Sì. Rispettivamente fissati per le quattro e trenta di questo pomeriggio, le sei e le sei e mezza. ‘
‘I genitori della Zarkovskajna hanno pagato? ‘ chiede.
Non che gli piaccia dimostrarsi così taccagno, ma i soldi gli servono. Deve mantenere lo studio e la sua casa, con tutto il suo gigantesco impianto di riscaldamento che quell’idiota dell’ingegnere gli ha costruito male.  Semmai deciderà di rivolgersi a un avvocato per fargli causa, dovrà pagare un salatissimo stipendio, come tutti gli avvocati pretendono.
‘No, ancora no. Desidera che scriva loro una lettera per minacciare una sospensione del trattamento? ‘
Ci pensa su. La Zarkovskajna, un caso critico già a undici anni. Genitori poveri, madre disoccupata, figlia pazza. Una sua piccola battaglia morale.
Se sospendo il trattamento perché non vengo pagato, la ragazzina rischia di finire male. E se decido di proseguire gratis…?
‘No, non mandare niente. Continuo lo stesso ad avvelenarla con il Luvotren. Non ha senso pagare un assassino, alla fine. ‘ conclude dopo alcuni secondi. Olga lo sta guardando soddisfatta e forse con ancor più meraviglia di prima. Percepisce i suoi occhi trapassarlo da parte a parte, una sensazione che non è sicuro di gradire. ‘Ah, ora basta. Devo staccare un po’, altrimenti ci finisco io al manicomio. ‘
L’orario è perfetto: le 14:13. Non sembra, visto che a causa della neve il cielo si oscurato, ma Igor ha imparato ad abituarsi al tempo che domina Astrakhan e alla conseguente depressione che la mancanza di sole gli infliggerà un giorno o l’altro. Ne è sicuro. ‘Vado a prendere un boccone. A dopo, Olga. ‘
Indossa il pesante e lungo cappotto nero, non curandosi di allacciare le stringhe e le piccole cinture. Alza il colletto appuntito per proteggersi il viso dal vento. Una lunga sciarpa color panna avvolta attorno al collo robusto completa il tutto, e, prima ancora che Olga possa cinguettare un: ‘Buon pranzo! ‘ come risposta, la porta è già stata chiusa.
 
 

Al bar niente di nuovo. E’ sempre il solito e vecchio blocco di cemento circondato da cartacce e bottiglie in plastica, qualche foulard fracido di acqua e dei fazzoletti usati. Igor calpesta distrattamente le cicche di sigaretta abbandonate sul marciapiede senza guardare l’asfalto. Con il viso sprofondato nel tessuto morbido e profumato della sciarpa e il colletto rialzato, gli capita spesso di essere oggetto di stupore di qualche passante. Lo diverte captare quel lampo di ammirazione e timore dovuto alla sua imponente stazza, che per lui è stata motivo di vanto sin dalle elementari. Un’utile arma di difesa durante l’adolescenza. Lo sa bene lui. Con un gigante di 1 metro e 96 centimetri di altezza e una larghezza pari a un armadio a due ante, c’è poco da scherzare.

L’odore pungente della sua fetta di Medovik misto al gusto forte della vodka lo fanno rabbrividire. Una delle cose che mal tollera di quell’intimo bar è l’orologio ticchettante e la musica troppo forte per il suo udito, anche se le condizioni generali sono molto più allegre di prima. Il miele si infrange sul palato, lo ristora. Lo prepara dalla faticaccia che dovrà affrontare con la Sokolova. Una bambina ordinaria capace di ispirargli una sincera e cordiale antipatia. Lei e la sua chioma castana, lei e le sue guance rosa. Una bambolina pazza, e a lui le bambole non sono mai piaciute.
Gli appunti che aveva scritto la mattina dopo il giorno del loro primo appuntamento erano un misto di appunti sui suoi sintomi e frasi sconnesse sulle sensazioni che lui, lo psichiatra infantile per eccellenza, aveva intercettato mentre si sforzava di concentrarsi solo sulla voce della bambina.
 “La paziente presenta un peso rientrante nella norma per la sua età. Undici anni. Vestito blu a quadretti. Pupille dilatate. “ Aveva scritto febbrilmente sul suo fedele block- notes mentre cercava di non perdersi nemmeno una parola della piccola bambolina. “Voce leggermente stridula. Farebbero meglio a zittirla con qualche goccia di sonnifero blando. Una figura scura e senza tratti facciali è una presenza ricorrente nei suoi sogni. Che sia un segnale superficiale di una tragedia che va al di là della mera follia? Meglio andare a fondo. “ E poi si era fermato quando gli occhi vacui della bambina si erano ribaltati all’indietro, più simili a due biglie di vetro bloccate nelle orbite oculari. Un semplice caso di catatonia. Ma era buffa da ammirare: la testa rovesciata all’indietro era quella di un manichino infantile, pugnalato più volte da visioni che una bambinella della sua età non doveva rimirare. La bocca era aperta, la saliva colava sul colletto del vestitino di lana. Era stato costretto ad asciugarglielo con un fazzoletto di fortuna, perdendosi nella voragine che era la sua gola esposta. Tre minuti buoni. Un bel disastro.
‘… e ricordo che mi incolpava di tante cose. In certi giorni… ‘ Aveva ripreso a chiacchierare serafica. Non si era accorta di niente. E lui aveva annuito, sorridendole amaramente, e aveva continuato a scribacchiare sui suoi preziosi fogli. Li avrebbe studiati quella sera stessa, si era ripetuto, anche se qualche idea se l’era già preparata.

‘Sono 213 rubli in totale. ‘
Annuisce al cassiere distrattamente, lascia sulla ciotola variopinta cinquanta rubli in più. Si dirige verso l’esterno senza rispondere ai richiami dell’uomo. Non gli interessa. E poi dovrebbe aver capito da tempo che Igor Medvedev è un tipo superstizioso. Compiere delle buone azioni per ingraziarsi il destino, è trascritto in tutte le riviste astrali. Non ci crede fino in fondo, ma è disposto ad appigliarsi al volere del fantomatico volere delle stelle pur di sopravvivere alla giornata.
La neve soffia crudele su di lui, il gigante. Non trema. Ignora la sciarpa che si gonfia alle sue spalle, trascinata dal vento. Continuare a camminare, osservare con attenzione il percorso da intraprendere. Solo che ha voglia di una piccola deviazione, lui che è stato ucciso dalla monotonia. Nessuno spreco di tempo; non ci vuole niente ad attraversare 200 metri, lui che ha i muscoli allenati.
E’ solo un piccolo bivio, un’insignificante deviazione. Tutto scolpito nella neve, tutto sommerso da quel biancore che lo fa sentire terribilmente solo, ogni dannata volta che i suoi stivali sprofondano nel ghiaccio triturato. Attorno a lui si snoda un sentiero costellato di alberi spogli e arbusti imperlati di brina. Un piccolo anfratto di paradiso personale. L’arredamento è il forte della natura, lo ha sempre sostenuto.
E’ il posto giusto per chi ama la solitudine. E’ il posto giusto per vuole suicidarsi. Basterebbe un’altra breve nevicata per nascondere le tracce di un cadavere. Là il tempo è morto.
Igor Medvedev sorride stancamente quando inciampa su quello che, a prima vista, gli sembra un masso o un mattone abbandonato. Si china, e non immagina lontanamente ciò che trova. Strabuzza gli occhi e se ne pente, quando una zaffata di vento gelido lo costringe a ritirarsi da dietro la sciarpa. Ma il cartello macchiettato di sangue è tra le sue mani. Che le sue fantasie, in realtà, siano più vere di quanto egli stesso sperasse?
‘Detskaya Ploshchadka… e no, questa non è decisamente vernice. E neppure colorante. ‘ sussurra, e nuvole di condensa si disperdono nel cielo. Uno strano posto per un omicidio. Un parco giochi con altalene rotte e scivoli arrugginiti. Chiodi a sporgere dal terreno. Casette in legno con il tetto sfondato. Troppo freddo da sopportare: neppure le catene in acciaio hanno retto le basse temperature.
Un bambino. Per un attimo Igor è troppo sorpreso dalla presenza e non proferisce parola. Il bambino lo fissa negli occhi e lui fa altrettanto. Dieci secondi è il tempo necessario per studiare le guance paffute e arrossate dal freddo, gli occhietti grigi e vivaci, la bocca serrata e ridotta a una sottile linea di carne. Imbozzolato in un pesante giubbotto blu con cappuccio in pelliccia, da cui sporge un ciuffetto di capelli scuri. Come non sia morto assiderato è un mistero.
‘Vattene via. ‘ squilla, e anche la sua vocetta cupa e acuta è un enigma. Non ha il tempo di sbattere le palpebre per accertarsi che le labbra violacee si siano mosse, che il bambino lo fissa minacciosamente da dietro la recinsione che li separa. E’ seduto sull’unica altalena sana, immobile. Lo guarda e basta. Le iridi grigie sfavillano in mezzo alla distesa di neve, furiose.
Ma cosa…
Le sue dita si sbloccano, si aprono con uno scatto. Il cartello insanguinato cade per terra silenziosamente. Senza una parola, Igor obbedisce all’ordine. Procede come un automa. Gli occhi trapassano la sua schiena, senza lasciarlo per un secondo. Promette di tornare il giorno dopo.
Quel posto è troppo strano per poterci sostare solo una manciata di minuti. Merita uno studio più approfondito, un’analisi tecnica, concisa ed esauriente.
Vero, Igor?
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
Immaginate questo simpatico e allegro posticino ricoperto di neve, e leggermente più piccolo, riservato. Con una delle due altalene riversa per terra. Fa un pochino impressione, almeno per me.
E qui vi presento Igor. Molto simile a Russia di Hetalia - se qui c’è qualche fan accanito, come me, lo sclero è assicurato – ma al tempo stesso parecchio differente. Lo adoro. Spero di riuscire a rendere la sua psicologia al meglio. E’ parte di me, ormai.
 
Made of Snow and Dreams.

 
  
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