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Autore: Relie Diadamat    08/01/2017    2 recensioni
[SPOILER 4x01]
Riuscire a non arrossire violentemente di fronte a Sherlock era una conquista, rimbeccarlo senza mordersi la lingua – sentendosi costantemente in difetto – una gloriosa vittoria. Cancellarlo dal suo cuore una storia che nessuno si sarebbe mai vantato di narrare.
Mai avrebbe immaginato che sarebbe stata proprio lei a spezzargli il cuore, come John le aveva chiesto di fare.

[Un'improbabile shot ambientata dopo la prima puntata della quarta stagione. Sherlolly con immancabili accenni Johnlock]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Nda: Buon salve!
Ammetto che ritorno in questo fandom un po' in punta di piedi: Sherlock è una delle mie serie tv preferite, ma l'unica che reputo perfetta ed intoccabile. Fiera sostenitrice della Johnlock ma anche dello Sherlolly, ecco che dopo aver visto la prima puntata della quarta stagione mi è scattata la scintilla e... dovevo scrivere questa cosa - anche se in realtà la mia concentrazione era desiderata su un grazioso (ma anche no) libro di Filosofia. 
Cos'altro dire? Spero di non aver scritto solo oscenità e che la storia sia... apprezzabile. Pareri sempre graditi, of course. Intanto vi lascio il link della mia pagina fb --> link
Buona, spero, lettura!
 
CHIUNQUE TRANNE TE
 


«John ha detto che se fossi venuto chiedendo di lui, offrendo aiuto…»
«Sì?»
«Ha detto che preferirebbe avere chiunque tranne te».
Chiunque.
Molly Hooper si era interrogata notte e giorno, per tanti anni, su come potesse essere la faccia di Sherlock Holmes dipinta dai sentimenti più puri, pregni di spontaneità.
Per molto tempo, il libro aperto era stata lei: si era umiliata dinanzi a tutto il mondo, rendendo leggibili le pagine più ridicole del suo cuore. Essere innamorata di un sociopatico iperattivo aveva i suoi difetti, dopotutto.
Eppure di bombe n’erano esplose, attacchi terroristici sventati e lutti fasulli cancellati; Molly Hooper era riuscita a tenere a bada alcune righe che prima erano scritte in grassetto, fatto spazio per qualche appunto a matita e chiuso un po’ più spesso il tomo dei suoi sentimenti.
Riuscire a non arrossire violentemente di fronte a Sherlock era una conquista, rimbeccarlo senza mordersi la lingua – sentendosi costantemente in difetto – una gloriosa vittoria. Cancellarlo dal suo cuore una storia che nessuno si sarebbe mai vantato di narrare.
Mai avrebbe immaginato che sarebbe stata proprio lei a spezzargli il cuore, come John le aveva chiesto di fare.
Nessuno dei due aveva più aperto bocca, l’unico rumore che si percepiva era quello di una Londra grigia e  indifferente che continuava a respirare ignorando le loro  ferite ancora sanguinanti, poi i piccoli suoni infantili fuoriusciti dalle labbra della piccola e ingenua Rosie, venuta al mondo da troppo poco per capire qualcosa di così grande.
Gli ho distrutto il cuore in mille pezzi, si convinse Molly Hooper, davanti alle pieghe che il volto dell’unico consulente investigativo al mondo avevano assunto. Ma la donna non si mosse, seppur cosciente di non volere far altro, di scusarsi per le parole dette, rassicurandolo che John avrebbe presto cambiato idea.
Fu Sherlock ad abbassare lo sguardo sui suoi guanti neri, dandole le spalle.
 
 
*


«Si è fatto tardi.» Molly guardò fuori dalla finestra, notando i grossi nuvoloni grigi che minacciavano il cielo freddo della metropoli. «La signora Hudson sarà qui a momenti».
John si fermò al centro della stanza, osservando la sua piccola Rosamund che dormiva con le manine strette in due minuscoli e graziosi pugni. Sembrava spaesato nella sua stessa casa, le mani portate sul viso in preda ad una disperazione che Molly sentiva di non comprendere pienamente. Si sente in colpa, pensò.
«Grazie, Molly», gli sentì dire, «ma non c’è bisogno che la signor Hudson venga qui. Io e Rosie ce la caveremo, per stanotte.» Tirò su col naso, senza guardarla.
Triste.
Era così che John diventava quando Sherlock non era al suo fianco.
Molly indossò il cappotto, infilandosi una sciarpa al collo. Adesso che era ferma sulla soglia della porta, John le sembrò addirittura invecchiato. «Dovresti parlargli, John».
Le rughe sul suo viso, il rumore delle scarpe sul pavimento in legno, persino le pieghe del suo maglione sembrarono ringhiarle contro come un leone ferito. «Non ho nulla da dirgli».
«John…»
«Molly, ti prego!»
«Non credo che Mary sarebbe stata d’accordo».
Gli occhi di Watson la ferirono senza colpirla, la zittirono senza parlare. C’era un’ombra ad oscurarli, un velo di collera e autocommiserazione che li rendeva gelidi e taglienti. «Molly Hooper, esci da casa mia, per favore.»
Un sussurro a denti stretti, una supplica quasi agonizzante.
Molly obbedì senza battere ciglio, senza rimproverarsi. Perché riuscire a non arrossire violentemente di fronte a Sherlock era stata una conquista, rimbeccarlo senza mordersi la lingua – sentendosi costantemente in difetto – era stata una gloriosa vittoria. Cancellarlo dal suo cuore era una storia che nessuno si sarebbe mai vantato di narrare, così come John non avrebbe mai smesso di necessitare dell’unico uomo in grado di salvarlo, restituendogli un vecchio favore.
 
*


I suoi capelli si sarebbero gonfiati a causa della pioggia, le sue scarpe fradice inutilizzabili per due giorni.
Era davvero molto tardi quando prese il coraggio di bussare al 221b di Baker Street, e un po’ si sentiva stupida per quell’avventatezza, e la situazione non migliorò quando la signora Hudson le aprì la porta metà confusa e metà preoccupata. «Molly, mia cara, è successo qualcosa?»
«No, io… Sherlock è di sopra?»
«S-Sì», balbettò lasciandola passare. «Ma… è successo qualcosa a John?»
Molly cercò di regalarle un sorriso, tentando di calmarla e dicendole ch’era tutto a posto, precipitandosi in fretta sulle scale, temendo che col tempo i suoi buoni propositi le sarebbero risultati sempre più idioti.
Poteva ignorarlo all’infinito, ma il cuore nel suo petto sembrava come impazzito e una volta sull’uscio della porta che conosceva benissimo le mancò fiato. Prese un bel respiro.
Non sono qui per lui.
Un passo in avanti e avrebbe potuto fare il suo ingresso nel salotto in cui Sherlock amava pizzicare le corde del suo violino o suonare rivolto alla grande finestra che dava sulla strada.
Sono qui per loro.
«Entra».
Molly sussultò impercettibilmente nell’udire la voce di Sherlock, ma chiuse gli occhi imponendosi di non cascarci un’altra volta. Avanzò di un passo, aprendo la porta socchiusa, ritrovandosi con i capelli e il giubbotto zuppi d’acqua al cospetto delle spalle del detective più arguto del pianeta.
La patologa  non aveva udito nessuna melodia, mentre saliva le scale, eppure Sherlock sorreggeva il suo violino, impugnando l’arco nella mano libera.
«Hai esitato tre volte prima di bussare, per non contare il passo lento con cui hai proceduto fino all’appartamento, quindi non è nulla d’urgente e John vorrebbe chiunque tranne me.» analizzò velocemente Sherlock, per poi concedersi una pausa. «Hai camminato a piedi senza fare deviazioni, e questo me lo suggeriscono le impronte che hai lasciato entrando e il fatto che non hai con te un ombrello; hai esitato dinanzi alla porta e adesso prendi tempo aspettando che io finisca con le mie deduzioni. Sei in ansia, ma non è successo nulla di grave, quindi… mi chiedo quale sia il motivo della tua visita».
Aveva sempre creduto che un tipo come Sherlock avesse avuto in casa propria luci fredde, quelle che si utilizzano nei laboratori di chimica e negli obitori, invece a colorarle le scarpe da ginnastica e i pantaloni scuri c’era un giallo caldo. Molly aveva sempre adorato quel tipo di luce.
«Rosie ha bevuto tutto il latte che le ho dato e io e John le abbiamo cambiato il pannolino tre o quattro volte», accennò ad una lieve risata ripensandoci. «I bambini fanno molta pupù».
Sherlock aveva abbassato violino e arco, ma continuava a fissare oltre il vetro della grande finestra.
«John ha letto due volte lo stesso giornale. Ha bruciato due toast prima che gliene preparassi uno decente ed ho dovuto costringerlo a fargli fare una doccia calda mentre cullavo Rosie».
Gli occhi azzurri di Sherlock, in quel momento, si erano posati su di lei. A dire il vero, era bastato nominare John: sembrava quasi un riflesso involontario, come quello dei cani nell’esperimento di Pavlov.  Stavolta, sul volto diafano del detective Molly riusciva a leggere un’unica domanda: “Perché?”
Sapeva perfettamente che Sherlock non gliel’avrebbe mai chiesto di getto, apertamente, come una persona normale. I sociopatici iperattivi tendono a non farlo, ricordò a se stessa, così decise di parlare: «Non importa cosa ti dica adesso che è ferito, non importa quante volte te lo ripeterà: John Watson non ha bisogno di chiunque. Lui e Rosie hanno bisogno solo te, Sherlock».
Sherlock non sorrise, non si mosse ed il silenzio ritornò ad accomodarsi tra loro. Poi schioccò le labbra rumorosamente, dirigendosi verso la cucina. «Ti piacciono ancora quelle generose porzioni di patatine?»
Molly, presa in contropiede, aggrottò le sopracciglia del tutto smarrita. «I-Io…»
«È palese che tu non abbia ancora cenato», spiegò risoluto quello, tornando in salotto con un contenitore di carta stagnola colmo di patatine fritte tra le mani. «Ammetto che ti aspettavo con mezz’ora di ritardo». 
   
 
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