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Autore: Mary CM 93    09/01/2017    2 recensioni
Un breve spaccato su un'età complessa ed indefinibile, ma che si vive appieno, per forza di cose.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un brindisi, ecco…su in alto i calici, creiamo rumore, di quel tintinnio di vetri che, felici, si scontrano gli uni contro gli altri. Intersechiamo le mani, sorridiamo mentre tentiamo di arrivare, con il braccio proteso, verso lo sconosciuto all’altro angolo del tavolo.
Si brinda, è scoccata la mezzanotte di quest’età. Quella che sembra una landa di terra immensa e desolata. Una distesa di futuro incalcolabile, formato da granelli di sabbia a milioni, così fini che scivolano fin troppo celeri tra le dita.
Un orizzonte che sembra un elegante disegno dipinto con pastelli rotti. Sfumato dalla mina delle matite colorate, che da bambini spargevamo dappertutto ed indistintamente con il polpastrello premuto, leggero, su di un foglio che era bianco.
Dove, i contorni delle immagini definite. Stiamo dentro i margini e poi sbordiamo, sempre, un po’ troppo, desiderosi di sapere a che punto finiremo. Su quale linea arriveremo, consapevoli e stupiti solo della curva sinuosa dalla quale siamo partiti.
Poi, dopo…non ora, ora è quell’età. La fine di una bella favola, l’ultimo cocktail, la sbronza di cui rimangono solo i postumi. Il bacio imprevedibile, mentre balliamo con la mente altrove, le casse che ci frastornano i timpani.
Ecco, è la fine del baccano, del tempo in cui si urla capricciosamente per le frivolezze della vita.
Invece, è l’inizio. E’ il silenzio che accompagna i pensieri infruttuosi, la carta straccia evidentemente stropicciata, gli obblighi pigri…la risata di incertezza, dell’amicizia un po’ consumata, dei fastidi imperiosi, della stanchezza improvvisa ed immotivata. Degli oneri imposti, che ci siamo dimenticati se ad esserceli addossati siamo stati noi o la fretta.
E’ la prospettiva, che improvvisamente non muta più, ma che sta dentro di noi, impassibile, spettatrice un po’ crudele di quello che faremo accadere.
Seduti, abbandonati casualmente, forse su di un balcone, affacciati dalla parte sbagliata, ad osservare una scena ingombrante o ad ammirare una stellata inafferrabile.
Sopra un tetto a festeggiare, sfiancati da un tempo affatto faticoso, inspiegabile. A bere e fumare come adulti, con l’intenzione dei ragazzi, ma intrisi di una frustrante novità.
Di quando non sappiamo, non spieghiamo, non crediamo, non ci hanno. Di fronte alla scossa del mondo che ci rende inermi, storditi da un temporale emotivo tutto razionale, sensato.
I nostri dubbi sono un caos organizzato e ponderato, i motivi futili, i progetti concreti sogni vani.
Troppo dissolubili per rimanerci aggrappati. Si sgretolano di notte, tra le preoccupazioni per le inezie ed il devasto poderoso di una domanda.
Che ricompaiono, ovattati, opachi, sformati durante il giorno, quando non è possibile annoiarsi, obliare, abbandonare la realtà.
Ad elemosinare nel quotidiano una fetta di noi, di quello che saremo, mentre camminiamo lenti dietro ai binari interrotti di un treno senza orario.
Ci siamo, eccoci, limiti impercettibili, sbarre di velluto morbidissimo che abbiamo scelto per sentirci prigionieri di questo stroncato presente.
E allora diteci, come si fugge dall’età, l’età per eccellenza, senza aspettative ma colma, strabordante di possibilità.
Se è fittizio questo incubo o durerà quel tanto che basta a fissarne saldamente le paure e a sconfinarne trionfanti.
Se, invece, saremo sopraffatti, qualcuno, vi prego, ricordi come era. Prima. Prima di questa età inconfessabile.
E adesso beviamo, fino a che i vetri non si saranno frantumati in terra.
Qualcuno, all’alba sarà l’ultimo ad andarsene, allora li pesterà con la suola delle scarpe infradiciate e loro scricchioleranno un pochino. Non molto, solo il rumore di un coccio rotto. 
  
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