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Autore: Shadow writer    10/01/2017    2 recensioni
Dopo l'ultimo caso, che ha messo in discussione la sua carriera e la sua vita, il detective Harrison Graham credeva di aver finalmente trovato la pace insieme alla figlia, Emilia, e alla donna che ama, Tess. Ma un nuovo ed imprevisto caso lo trascina in un'indagine apparentemente inverosimile, in cui nulla è ciò che appare e nessuno appare per ciò che è. La ricerca lo costringe a collaborare con il suo acerrimo nemico, Gibson, ma soprattutto porta alla luce il fantasma del passato di una persona a lui molto, molto vicina, e a realizzare che forse, il detective non l'ha mai conosciuta veramente...
[AVVISO: "Smoke and Mirrors" è il seguito di "Blink of an eye", che potete trovare sul mio profilo]
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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8_ Knockin on Heaven's Door 
 



Non appena il poliziotto ebbe estratto la lama insanguinata, nel salotto era calato il silenzio.
«Quella non è mia!» esclamò Calvin «Non l'ho mai vista prima!»
Il poliziotto sbuffò: «Certo, ormai sono abituato a sentirlo dire da tutti. "Sono stato incastrato!", "Questa è una congiura!, "Lo giuro, quella non è coca!"»
«Ne parlerete in centrale, questa ora è una scena del crimine» si aggiunse la collega e afferrando Tess per le braccia, bloccate dietro la schiena per le manette, la spinse verso l'atrio.
Lei non poté far altro che assecondarla, concentrandosi piuttosto a elaborare le informazioni a proprio vantaggio.
Jason Shepard è stato ucciso e la lama si trovava nella tasca della giacca di Calvin.
Si fermarono davanti alla porta, mentre la poliziotta cercava un modo per continuare a tenerla saldamente ma contemporaneamente permettere ad entrambe di uscire.
La soluzione venne dall'esterno della casa, poiché qualcun altro aprì la porta.
Tess, davanti alla poliziotta, trasalì.
Di fronte a lei stava un volto ben conosciuto. 
La donna sentì il cuore in gola e le ginocchia cedere.
Harrison Graham era altrettanto confuso, ma dalla confusione passò allo stupore e poi all'ostilità.
Tess si sentì tremare e il tempo parve dilatarsi all'infinito, azzerando ogni suono e ogni persona intorno a loro.
C'erano solo loro due, che si guardavano negli occhi e lentamente realizzavano cosa stava succedendo e perché si trovavano l'uno di fronte all'altra.
«Detective Graham» la voce della poliziotta interruppe l'istante.
Harrison spostò gli occhi sull'altra donna, mentre lei aggiungeva: «Questa donna è stata vista mentre si introduceva nella casa insieme al compagno e nel salotto è stato trovato il cadavere del proprietario. L'altro uomo aveva con sé la probabile arma del delitto»
No! avrebbe voluto gridare Tess, Non è così, non è così semplice, c'è una spiegazione. C'è sempre una spiegazione.
Harrison annuì e avanzò per superarle, mentre la poliziotta la spingeva fuori dalla casa.
«Harrison!» gridò lei voltandosi e sfuggendo dalla presa della donna: «Aspetta!»
L'uomo si girò, incrociando il suo sguardo.
«Posso spiegarti! Te lo giuro, posso spiegarti, okay? Tutto questo ha un senso, so che ora ti sembra assurdo e che potresti giungere a conclusioni terrificanti, ma ha un senso, davvero. Per favore» lo supplicò, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.
L'espressione sul volto di Harrison mutò.
«Detective, conosce questa donna?» domandò la poliziotta.
Tess continuò a guardarlo, pregandolo con gli occhi. Poi capì, l'espressione dell'uomo. Era passato dall'ostilità alla delusione.
Lui scosse il capo: «Portatela via. Portate via entrambi»
 
 
Quando Sadie Hart vide la fidanzata del detective Graham entrare nella centrale in manette, dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di realizzare che non era un'allucinazione. 
Tess Graves indossava il suo solito cappotto elegante, la sciarpa intorno al collo, le perle alle orecchie, ma i suoi polsi erano ammanettati dietro la schiena.
Sadie la seguì con lo sguardo mentre chiedeva di poter fare una telefonata, con aria angosciata. Glielo concessero e la donna compose velocemente il numero a memoria, prima di incollarsi la cornetta all'orecchio.
Sadie vide le sue labbra muoversi, ma era troppo lontana per sentire cosa stesse dicendo.
Quando la portarono via, dopo che ebbe terminato la chiamata, Sadie si riscosse e camminò velocemente fino ad uno degli uffici dei detective.
«Oh, eccoti» la salutò Gibson vedendola affacciarsi sulla stanza «C'è una novità. Un altro omicidio in contemporanea con un furto, ma questa vita sulla scena del crimine c'erano due persone. Le hanno portate qui»
«Lo so» replicò lei «Ne ho vista una. Sai chi era?»
L'uomo scrollò le spalle: «Dovrei?»
«Tess Graves» rispose Sadie guardandolo negli occhi.
«Quella Tess Graves?» replicò Gibson stupito.
«Esattamente»
L'uomo la superò velocemente, dirigendosi verso la stanza degli interrogatori. Sadie lo seguì a ruota, appena in tempo per vederlo entrare nella stanza al di là del vetro.
Tess era seduta al tavolo, con le mani ammanettate posate davanti a sé sul ripiano. Quando Gibson era entrato, aveva alzato il capo verso di lui e riconoscendolo, la sua espressione era cambiata, ma sarebbe stato impossibile definirla.
Un poliziotto entrò nella stanza, consegnando dei documenti al detective, poi tornò da dove era venuto.
Gibson guardò i documenti, la donna, poi si voltò ed uscì a sua volta dalla stanza.
«Cosa stai facendo?» domandò Sadie confusa.
Gibson contrasse nervosamente la mascella.
«Quella è la fidanzata di Graham» replicò.
La donna sollevò un sopracciglio: «Questo lo sapevo già»
«Cazzo, Sadie, quella ragazzina non può essere un'assassina!»
«Certo che no, idiota! Il tuo compito è quello di dimostrarlo infatti!» replicò lei puntandogli l'indice contro.
Gibson si accarezzò il mento, pensieroso, poi annuì a se stesso e ritornò nella stanza degli interrogatori, a passo nervoso.
Sadie riuscì a vedere che si sedeva di fronte a Tess, prima che qualcuno la chiamasse costringendola ad allontanarsi dalla stanza.
 
 
Dopo quasi tre ore di estenuanti interrogatori, Gibson si presentò alla scrivania di Sadie, sfinito.
«Tu non sai cosa sia il duro lavoro» sentenziò lei, senza staccare gli occhi dallo schermo del suo computer.
«Non sono venuto per cercare compianto, ma per aggiornarti»
Le dita della donna smisero di ticchettare sulla tastiera, segno che aveva rivolto la sua attenzione al detective.
«Li ho interrogati entrambi, Tess Graves e Calvin Ward e...» appoggiò i fogli che aveva con sé sulla scrivania della donna «le loro testimonianze combaciano. In modo troppo perfetto»
Sadie si voltò a guardarlo, perplessa.
«Cosa vuoi dire?»
«Non mi fraintendere, non credo che siano colpevoli, almeno non Tess, ma i loro alibi si completavano perfettamente l'un l'altro, come se fossero stati scritti da un giallista»
«Credi che abbiamo inventato?» domandò ancora la donna.
Lui lanciò un'occhiata alle carte, incerto: «Se lo hanno fatto, significa che consideravano la possibilità che sarebbero stati scoperti, cosa che mi sembra improbabile. Da quello che sostengono, entrambi, la loro intenzione era quella di fare visita al proprietario della casa, Jason Shepard, che hanno conosciuto insieme quando frequentavano le superiori. Hanno però trovato la porta aperta e l'uomo morto. È una storiella plausibile, se non fosse che Calvin Ward possedeva l'arma del delitto. A suo dire, è stata opera di un uomo che ha finto di scontrarsi con lui mentre si recava da Shepard, infilandogli l'arma nella tasca della giacca. Tess ha confermato la presenza dell'uomo e le descrizioni che hanno dato entrambi combaciano»
«Quindi qual è la tua idea?»
Gibson non rispose subito. Abbassò gli occhi, pensieroso, li rialzò, mantenendo un'espressione meditabonda, poi guardò Sadie.
«C'è qualcosa di vero nelle loro parole, ma non tutto. Se stanno mentendo, significa che vogliono proteggersi»
«E perché dovrebbero aver bisogno di protezione?» domandò la donna, perplessa. La situazione si stava facendo troppo intrecciata per poter ragionare lucidamente.
«Non lo so, ma sembrano entrambi intenzionati a non cedere. Sono due persone curiose. Giovani, all'apparenza ingenui, ma appena si sfiora un certo tasto, si mettono sulla difensiva e diventano impenetrabili. Quello che ci serve è un varco e solo Graham potrebbe capirci qualcosa»
Sadie guardò l'uomo stupita dalle sue parole: «Lo hai detto davvero?»
«Cosa?» chiese lui sollevando le sopracciglia.
«Hai bisogno di Harrison» rispose la donna con un sorrisino.
Lui alzò gli occhi al cielo e ritornò a guardare i fogli che aveva tra le mani. Lesse gli appunti per qualche istante, prima di alzare nuovamente lo sguardo sulla donna.
«C'è un solo modo per trovare il varco» le disse e lei lo guardò, incuriosita.
«Fare leva sul lato emotivo della donna: abbiamo bisogno di Graham»
 
 
 
Tess fissava il bicchiere di caffè, assorta.
Percepiva il chiacchiericcio intorno a sé, dopo le ore trascorse nel silenzio della sala degli interrogatori.
Prese il bicchiere e sorseggiò la bevanda, sperando che le restituisse la lucidità che stava lentamente perdendo.
Con la coda dell'occhio, scorse Calvin avvicinarsi accompagnato da un poliziotto. Questo gli permise di prendere un caffè e di sedersi accanto alla donna, poi si allontanò di qualche passo, per lasciare loro qualche minuto di privacy.
Tess lanciò un'occhiata all'uomo in uniforme. Fino a quando non avrebbero trovato prove per incriminare entrambi, non potevano far loro nulla, in teoria.
«Non abbiamo molto tempo per parlare» esordì Calvin cercando il suo sguardo.
Lei annuì.
«Hai seguito lo schema, giusto?» domandò lui e la donna fece ancora un cenno di assenso.
«È incredibile come mi ricordi tutti i codici nonostante il tempo» commentò poi. Calvin accennò un sorriso, annuendo. 
Era da quando si conoscevano che avevano stabilito dei codici per poter comunicare più velocemente in caso di necessità e infatti era bastato loro il tempo di uno sguardo per decidere cosa raccontare alla polizia. 
Jason Shepard era un loro vecchio conoscente e volevano solo incontrarlo, ma hanno trovato il suo cadavere.
Semplice.
E la polizia non poteva contraddirli in alcun modo.
«Chi ti ha interrogata?» domandò Calvin, guardando la donna che beveva il proprio caffè.
«Gibson» rispose lei, riappoggiando il bicchiere sul tavolo «Quello con i capelli rasati e il naso schiacciato»
«Anche io» replicò l'altro «Ma credevo che Harrison si occupasse del caso»
Il caffè andò di traverso alla donna e cominciò a tossicchiare nervosamente.
«È così» disse poi, asciugandosi le lacrime agli occhi «Probabilmente ha cercato di stare il più lontano possibile dalla centrale per tutto il pomeriggio»
«Credi voglia evitarti?» domandò Calvin, sondandola con lo sguardo. Le sue iridi azzurro-verde sembravano due specchi, due superfici d'acqua.
Tess strinse le labbra tanto da farle impallidire.
«Tu non hai visto la sua faccia, quando si è trovato davanti a me» la donna si strinse le braccia intorno al petto, nel tentativo di rintanarsi in se stessa: «Harrison non si fida mai di nessuno. Si è fidato di me e io l'ho tradito. Non posso fargliene una colpa»
«Tu stai facendo la cosa giusta, Tess» le disse Calvin, allungandosi per stringerle con fare confortante un braccio «È lui che non può capirlo»
«Tempo scaduto» annunciò il poliziotto, interrompendo la conversazione. «Ti vogliono nella sala interrogatori» aggiunse rivolto a Tess e la consegnò ad un collega che la condusse da dove era venuta.
Senza protestare, la donna rientrò nella stanza spoglia e si sedette al tavolo, sulla scarna sedia che le avevano concesso.
Pochi secondi dopo essersi seduta, vide la porta aprirsi e Gibson comparire al di là della soglia.
Ma prima che l'uomo potesse entrare, un'altra figura lo anticipò, piazzandosi con furore davanti alla donna.
Tess trasalì quando riconobbe gli occhi fiammeggianti di Harrison fissi nei suoi. Le iridi erano di un pericoloso verde elettrico e sembravano sprizzare minacce.
«Dove diavolo è mia figlia?» sputò lui, rabbioso.
La donna sentì gli occhi riempirsi di lacrime, alla vista dell'uomo che avrebbe dovuto proteggerla e aiutarla, mentre la guardava come se fosse feccia.
Harrison sbatté un pungo sul tavolo, facendola sussultare.
«Ti ho chiesto dove è mia figlia! Dove diavolo l'hai portata?» sbottò furiosamente.
Alle sue spalle sopraggiunse Gibson.
«Ehi, ragazzino, che ne dici di calmarti?» posò una mano sulla sua spalla, ma Harrison si allontanò di scatto.
«Sono andato a prendere mia figlia a scuola e mi hanno detto che una fottuttissima donna dagli occhi grigi l'aveva portata via!»
ringhiò «Giuro su Dio che se è successo qualcosa ad Emi, io...»
«Emi sta bene» lo interruppe Tess con voce salda. Aveva deciso che doveva ricacciare indietro le lacrime e impedire a quello che provava per l'uomo di offuscare tutto il resto.
All'udire quelle parole, Harrison si era voltato verso di lei, aspettando che aggiungesse altro.
«È più al sicuro di quanto probabilmente sarebbe stata all'asilo» guardò il detective, che però non sembrava aver diminuito minimamente l'ostilità nei suoi confronti. Ma Tess se lo aspettava.
«Quando hanno trovato la lama nella giacca di Calvin, ho pensato che qualcuno stesse cercando di incastrarci. Significa che sapeva che saremmo andati da Jason Shepard, significa che sapeva chi fossimo»
La donna guardò intensamente Harrison negli occhi: «Ero certa che tu te la saresti cavata, ma temevo per Emi. Così quando mi hanno arrestata, ho utilizzato la chiamata che mi spettava per chiedere a Nell di portare Emi dai suoi nonni. Non sapevo che altro fare e mi è sembrata l'alternativa più sicura»
Lo sguardo di Harrison vacillò, come se improvvisamente si fosse ricordato che non era più solo il detective garante della legge, ma anche il compagno della donna che gli stava davanti agli occhi.
Tess avrebbe voluto lanciarsi in avanti e perdersi nel suo abbraccio, ma sapeva che sarebbe stata miseramente rifiutata.
Il detective guardò lei, poi Gibson, che era rimasto al suo fianco per tutto il tempo, infine uscì dalla sala.
Incrociò Sadie, ma la ignorò e tirò dritto fino al parcheggio. Salì a bordo della sua Oldsmobile e cominciò a guidare, per strade che stavano cominciando a perdersi nel buio della notte incombente.
Quando giunse in vista della casa dei uomini genitori, parcheggiò velocemente e scattò verso l'abitazione. Spalancò la porta d'ingresso, non chiusa a chiave, e sentì delle voci provenire dal salotto, così si diresse a passi rapidi in quella direzione.
Quando irruppe nella stanza, Cassidy, seduta sul divano, balzò in piedi, allarmata.
«Oh, sei tu» sospirò sollevata «Come hai fatto ad entrare?»
«La porta» replicò lui «era aperta»
Il suo sguardo fu catturato da un movimento alla sua destra, si voltò di scatto, ma si sentì il nodo che aveva in gola quando riconobbe Emi.
«Tesoro!» sospirò sollevandola e stringendola tra le braccia.
Affondò il capo tra i capelli profumati della bimba e lei gli circondò il collo con le braccia: «Papi! Cosa ci fai qui?»
«Sono venuto per vedere come stai» rispose lui e, al di là dei capelli chiari di Emi, scorse il volto corrucciato di Cassidy.
Rimise la bimba a terra e guardandola negli occhi le disse: «Perché non vai a giocare, mentre io parlo con la nonna?»
Lei annuì e corse via trotterellando.
Una volta rimasti soli, Harrison seguì Cassidy, che si era spostata in cucina e si sedettero insieme al tavolo.
Per qualche istante non parlò nessuno. L'uomo tamburellava con le dita sul legno e lei lo guardava, in silenzio.
«Sai qualcosa di ciò che è successo?» domandò poi lui, spostando gli occhi verso la madre.
«La sorella di Tess ha portato Emi qui perché lei glielo ha chiesto. Non so altro» rispose Cassidy, anche se il suo sguardo arguto lasciava presagire che la donna avesse intuito cosa stava accadendo.
«Tess è stata arrestata» replicò Harrison senza troppi giri di parole. Le raccontò il più concisamente possibile quanto era avvenuto, aggiungendo che la scientifica aveva confermato che il sangue trovato sulla lama apparteneva alla vittima, incastrando in modo inequivocabile Calvin Ward.
Nessuno parlò per qualche istante, Harrison teneva gli occhi bassi e Cassidy scrutava il figlio cercando di capire anche ciò che non le era stato detto.
«Hai già parlato con Tess?» gli domandò poi.
Lui alzò lo sguardo, incrociando il suo, e scosse il capo.
«Non so cosa fare. Dicono che per amore si è disposti ad uccidere, o a difendere un'omicida, ma non io. Io non posso farlo. Vorrei poter rispondere solo per me stesso e agire egoisticamente secondo ciò che provo, ma ho giurato di proteggere questa comunità. Io sono la legge. E la legge punisce chi la trasgredisce. Anche se ama il trasgressore. Questo fottutissimo distintivo mi permette di essere ciò che sono e mi impedisce di essere ciò che vorrei»
Harrison tacque per un istante, lanciando alla madre uno sguardo carico di bisogno: «Non ho la minima idea di cosa dovrei fare. Cosa devo decidere? Quale persona sono di più? Il detective rispettoso o l'innamorato incosciente? Per quello che ne so, lei potrebbe essere veramente l'assassina!»
«È questo che credi?» domandò la donna, rivolgendogli uno sguardo penetrante, come se volesse sondargli l'anima.
«No, forse sì, non lo so! Se lo fosse? Cosa dovrei fare? Cazzo. Cazzo!» l'uomo balzò in piedi, si mosse nervosamente per la stanza, prima di fermarsi accanto alla finestra. Appoggiò il capo al muro, stringendo le braccia intorno al petto.
Sussultò leggermente, quando sentì la mano di sua madre appoggiarsi sulla sua spalla.
«Devi solo guardarla negli occhi, senza parlare. Troverai una luce che ti dirà cosa fare»
Lui sorrise flebilmente: «Dimenticavo quanto sei romantica»
La voce della donna lo raggiunse come un caldo soffio vitale: «Semplicemente guardo la vita da un punto di vista diverso dal tuo. E a volte non è un male»
 
 
Harrison entrò nella centrale, accompagnato da un silenzio assoluto. Vedeva le altre persone che entravano ed uscivano dal suo campo visivo, ma qualsiasi cosa, qualsiasi rumore facessero, lui non li sentiva.
Gli pareva di camminare a rallentatore, senza suoni, circondato da fantasmi.
Entrò in una stanza e vide al di là della vetrata una donna seduta al tavolo, con la testa incassata nelle spalle, il capo chino, come senza speranza. Harrison aprì la porta della sala interrogatori, ignorò Gibson, che lo aveva raggiunto non appena lo aveva visto entrare.
Tess aveva alzato lo sguardo. I suoi occhi erano gonfi e arrossati.
Harrison la fissò negli occhi e nonostante vide le labbra della donna tremare, lei non parlò, ma lo guardò, in silenzio, con la vista appannata dalle lacrime.
Le sue iridi erano grigie, come il fumo dietro cui si nasconde un prestigiatore per non rivelare i propri trucchi. Come il cielo quando è carico di nuvole, ma ancora la pioggia non vuole scendere. Come l'oceano quando non riesce a stare fermo. Come un freddo metallo che riflette tutto ciò che incontra. Come la roccia di un fiume levigata dai secoli di flussi e correnti.
Harrison la guardò attraverso quelle iridi e, senza sorridere, senza cambiare espressione, le disse: «Andiamo a casa, Tessie»
   
 
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