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Autore: EsterElle    12/01/2017    0 recensioni
"Oltre il vetro si dipana uno scenario fantasma. Racconta sussurrando la più terribile storia di amore e odio di tutti i tempi; quella tra il Mondo e noi".
***
In questa storia il mondo è avvelenato; dal progresso, dalla superficialità, dalla superbia.
Non abbiate paura, entrate lo stesso.
Troverete Lorenzo ad aspettarvi, un diciassettenne dal brutto carattere, ferito fin nell'animo. Poco oltre, ecco venirvi incontro Maryna, una piccola luce tutta speranza, tutta fiducia, tutta amore. Entrate e camminate al loro fianco in mezzo alla natura selvaggia, tre le rovine di un mondo che non esiste più. Abbiate fiducia: inizierete a conoscere da capo quel mondo che, nonostante tutto, resta nostro.
Prima classificata al contest "E' una storia sai..." indetto da Najara87 sul forum di Efp
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Con i tuoi occhi



 
 




Capitolo 1
Su Lorenzo …
 

 


Oltre il vetro si dipana uno scenario fantasma. Racconta sussurrando la più terribile storia di amore e odio di tutti i tempi; quella tra il Mondo e noi.
La Natura è la moglie tradita: eccola lì, che pretende il suo amato, lo rivuole tutto per sé e desidera dominarlo una volta per tutte. Lo abbraccia, lo soffoca, lo divora senza pietà, lo ama e lo odia.
Noi, umanità così piccola, l’abbiamo tradita in nome del progresso, della velocità, della facilità, l’ho capito infine. L’abbiamo pugnalata alle spalle infinite volte, millennio dopo millennio, e meritiamo questa punizione. Lei, invece, è insieme gloriosa e crudele mentre si arrampica e aggroviglia sui muri delle case, cresce e distrugge le strade, domina dai tetti le piccole città fantasma cresciute per sua grazia e distrutte senza preavviso. Non esiste più un solo campo coltivato, ma sterpaglie e rovi e arbusti, non fringuelli ma corvi, non il sole ma le nubi. Pesa, il cielo lì fuori, plumbeo e secco, grigio e scuro tanto quanto la pelle dei morti, la freddezza delle loro labbra, l’assenza di parole e suono. Sono passati più di otto mesi dall’ultima volta che ho messo piede nel mondo che una volta era mio e che ora nemmeno riconosco. La Base è calda e luminosa, piena di persone sole, di sorrisi tristi, di bellezza artificiale … è l’unica salvezza per questa umanità e l’unico luogo in cui si può ancora coltivare il futuro. Ma che futuro? Non credo ne esista più uno.
Sparse in ogni angolo del mondo, le Basi ci hanno accolto subito dopo la Seconda Ondata, quando il pericolo dell’estinzione totale della specie umana non sembrava più solo fantascienza. Così spiega il nostro Istruttore, almeno, che parla a noi tutti radunati nell’anello più esterno della Basa Europea, mentre teniamo gli occhi puntati sulla natura selvaggia che ci attende lì fuori. Non è semplice ascoltare, le parole sono coperte dal rumore dei depuratori che filtrano l’aria esterna prima di spingerla sotto la cupola. Posso dirlo? Non me ne frega niente di quel che dice: la storia della nostra rovina la conosco a memoria.
 
 
“La Terra è stremata: sono trascorsi quasi trent’anni da quando il Gas ha iniziato a fuoriuscire dalle sue viscere. Prima lentamente, come molti di voi ricorderanno …”
 
 
 
Come dicevo, un racconto a prova di idiota.
Ho diciassette anni, sono nato respirando questo schifo. Quando sono arrivato alla Base, i miei polmoni, i miei tessuti, ogni particella del mio corpo era zuppa di Gas. Ho passato quaranta giorni in isolamento per disintossicarmi, insieme agli altri che erano stati avviati con me alla salvezza. Si capisce, è severamente vietato portarsi dietro il veleno quando si viene ammessi alla Base.
L’omino dalla faccia grigia, spenta quasi quanto il cielo, continua a parlare e le mie orecchie a ronzare, sintonizzate su altre emozioni.
 

“Molti di voi ricorderanno quanto sia stato facile – e sciocco – sottovalutare il problema. Qualche oncia di inquinamento in più non cambierà certo la nostra vita, ci siamo detti. Poi è arrivata la Prima Ondata.
Oh, se la ricordo! L’aria ardeva nei polmoni, scendeva come infuocata nelle nostre carni, gli occhi lacrimavano, le mani erano scosse da tremori. La percentuale di Gas nell’aria, per giorni e giorni, è stata insostenibile. I fortunati che sono riusciti a trovare un rifugio sufficientemente ermetico sono sopravvissuti. Più della metà della popolazione umana, invece, non ce l’ha fatta”.
 
 
Cinque giorni chiuso in cantina, ecco cosa ricordo della Prima Ondata.
Avevo otto anni ed Elena appena due. Mamma e papà non erano pronti, nessuno le era; abbiamo rischiato di morire di fame mentre ci rubavamo l’aria l’un l’altro.
 

“Il mondo non è più stato lo stesso da allora.
Le migliori menti del pianeta hanno lavorato instancabilmente; in ogni angolo del mondo il genio si è messo a servizio del bene comune per arginare il disastro. In quegli anni è iniziata la costruzione della Base in cui vi trovate oggi e delle sue sorelle gemelle, sparse in tutto il mondo. Ma sappiamo bene che il Gas è stato più veloce di noi, purtroppo. La Seconda Ondata è stata crudele, impietosa: tutti abbiamo perso qualcuno, ognuno di noi ha sfiorato la morte. Eppure, siamo qui.
Voi siete i sopravvissuti.
Dopo il disastro, con coraggio e fiducia avete sepolto i vostri cari e vi siete messi in viaggio per raggiungere i punti di raccolta. Avete abitato una tenda, mangiato cibo in scatola, lottato per la sopravvivenza mentre aspettavate il vostro turno, il momento in cui sarebbero venuti a prendervi per portarvi alla Base, per portarvi finalmente in salvo”
 
 
Mi sento minuscolo mentre osservo il trionfo di acciaio e vetro sopra la mia testa. Ogni punto di accesso è blindato, tutte le giunture chiuse ermeticamente: è come stare sotto un’enorme scodella rovesciata, incastrata nel terreno in modo che neanche il più piccolo flusso d’aria possa penetrarvi. Esattamente come un insetto sotto un bicchiere. Sono questi i pensieri che mi mandano a male: mi hanno salvato? O mi hanno imprigionato per sempre? Che diavolo sta succedendo alla mia vita?
Noi volontari siamo radunati in uno stretto recinto, proprio davanti al tunnel che ci porterà fuori; siamo pigiati all’inverosimile. Mi guardo intorno, perché sento il bisogno di sentirmi tra amici. C’è Tomàs, poco distante, un tipo a posto; io e lui abbiamo vissuto spalla a spalla durante la quarantena. Lì vicino ecco sua sorella Linda che snocciola un rosario, pallida in volto. Laggiù riconosco anche Lizzy Brown, una signora di mezz’età che stava con noi al D12; deve essere arrivata da poco.
Tutti aspettano, tutti hanno paura, ognuno a modo proprio. Non esiste conforto: vedere chi soffre le mie stesse pene non mi fa sentire meglio. Ho sempre freddo, le mani tremano e le budella sono così attorcigliate che respirare, persino, fa male. Ansia, paura, tristezza: ne ho diritto, vero? Questa è la fine del mondo, del mio mondo.
Solo il ragazzo accanto a me, uno alto e coi capelli a spazzola, riesce ad attirare di nuovo la mia attenzione: non riesce a stare fermo. Ora si è persino accorto che lo sto fissando.
“Oh, hai una sigaretta?” mi chiede torcendosi le mani.
Perfetto, ha perso ogni attrattiva.
“No idiota” non mi trattengo di aggiungere. “C’è già abbastanza merda lì fuori, eh?”
Va bene, va bene. Non dovrei prendermela con questi poveracci. Mi sono meritato il vaffanculo, va bene!
Ma possibile che la nostra razza non riesce mai ad imparare dai suoi sbagli? La mia famiglia non esiste più, la mia vita non esiste più, solo perché non siamo stati in grado di fermarci in tempo, solo perché abbiamo creduto di essere immortali, di essere Dei.
Oh sì, l’Istruttore dice belle parole … ci chiama sopravvissuti!
Sono solo balle, quelle che qui ci rifilano ogni giorno, quelle che mi perseguitano da due anni a questa parte, quelle che non ti lasciano nemmeno morire in pace.
Dicevano che vivere ai campi di raccolta sarebbe stato bello come essere in campeggio, dicevano: immaginate, gridavano alla televisione, immaginate la bellezza del restare immersi nella natura, disintossicarsi dalla vita frenetica, condividere e recuperare la nostra umanità! Immaginate questa nostra rinascita … dicevano.
La mia famiglia doveva restare al campo D12 per tre settimane e invece siamo rimasti bloccati lì per due anni e mezzo. Sono stati giorni di fango, di fame, di lacrime amare, giorni in cui ho conosciuto la bestia che tutti nascondo sotto strati di civiltà, sotto i bei vestiti e i bei sorrisi. La bestia che prende il sopravvento e che è pronta a sopprimere chiunque pur di sopravvivere.
Qualche volta sogno la nostra tenda, sogno l’oscurità, la paura, la fatica quotidiana: incubi che ancora mi perseguitano. È in questa merda che la mia famiglia è morta per sempre. Vengo scosso dai brividi perché sono così idiota da non essermi ancora abituato a questa devastante verità: sono rimasto solo, solo in un mondo in rovina. Mi sforzo di reprimere un grido, ma i tremori non fanno che aumentare. Stringo i pugni e il mondo si fa sfocato ai miei occhi, annebbiato da lacrime e spasmi.
Ok, pausa.
Pausa.
Andiamo, ripigliati, guardati intorno: sono tutti poveracci come te, tutti con dolori privati, immensi, che nessuno può comprendere davvero. Respira.
Respira a fondo.
I cattivi pensieri hanno la capacità di rimbambirmi completamente e quindi ci impiego un attimo ad accorgermi che il ragazzo alto e iperattivo mi fissa. Ma che gli frega di me?
“Che vuoi?” gli chiedo, scazzato.
“Non so se ce la faccio”
“Eh?”
Merda, non sono in vena di fare lo psicologo; se c’è una cosa che alla Base non manca sono gli strizzacervelli.
“Non so se ce la faccio ad arrivare in tempo. Me la sto facendo sotto e non ne posso più di stare ad ascoltare questo idiota; come fai ad essere così calmo?” spiega il ragazzo, facendo cenno all’Istruttore.
“Nella mia testa non sono calmo proprio per niente”.
Ritiro tutto; mi sta già più simpatico.
“Chi vai a prendere?” gli chiedo
Sì, chiacchierare va bene, mi rilassa.
“La mia ragazza. Si chiama Cathy, è alta e bruna, ha un quadrifoglio tatuato sulla spalla sinistra; se dovessi beccarla in giro dille che la sto cercando”.
“E tu sei … ?”
“Harry, Harry Boodman”
“Va bene amico, ma solo se mi giuri che molli quello schifo di tabacco per sempre” rilancio.
Sì, forse mi sto persino sforzando di essere simpatico. Certe volte mi stupisco da solo.
“Andata” dice lui, sorridendo. “Posso ricambiare il favore, lì fuori, se ti va”.
Questa è una pugnalata, dritta al cuore e fa male da morire. Hai fatto un grosso passo falso, amico. 
“No. Non credo ce ne sarà bisogno” mormoro.
Non c’è più nessuna allegria tra me e lo sconosciuto Harry, nulla che mi distolga dei demoni neri che mi perseguitano. È per loro che torno là fuori, per scacciarli una volta per sempre, per spingerli nelle viscere della terra, insieme ai corpi delle persone che più ho amato.
Harry torna a guardare l’Istruttore; che diavolo starà dicendo, ora?
 
 
“Per alcuni di voi l’attesa ai campi è stata lunga, è vero. Questa consapevolezza deve rendervi più forti; voi siete sempre stati destinati a questa Base e, infine, l’avete raggiunta.
I primi a trovare la Terra Promessa sono stati i bambini, i ragazzi, i giovani fino ai trent’anni: in loro sono deposte le speranze per un futuro migliore. Poi è venuta l’ora di accogliere le braccia forti e la solidità degli adulti, a metà del percorso della vita. Infine, la sconfinata saggezza degli anziani.
Ci siamo salvati, dobbiamo esserne fieri”
 
 
Un mormorio si diffonde nel nostro gruppo.
Andiamo, con che coraggio questo stronzo blatera la propaganda del Programma? Guardandoci in faccia, poi, sorridendo, anche! Se mi vien da ridere credo che sia per isterismo.
Non hanno salvato tutti.
Non. Hanno. Salvato. Tutti.
La mia storia è un buon esempio di quanto il sistema ideato dai governi mondiali per assicurare la salvezza della specie sia stato disumano e crudele … una trappola, una vera merda.
È andata che un bel giorno, ai tempi del D12, io e mia sorella Elena siamo stati convocati alla tenda-ospedale. Di solito era sempre chiusa, sempre vuota, ma quel pomeriggio c’era un medico e tutti i ragazzi del nostro blocco ordinatamente in fila davanti all’ingresso. Ci hanno visitato uno a uno e una donna, tajer grigio e mascherina sul viso, prendeva appunti su una cartellina. Accanto al mio nome, l’ho visto, ha tracciato una spunta e nel giro di una settimana sono partito alla volta della Base insieme agli altri ragazzi idonei. Al D12 ho lasciato tutto, tutto: i miei genitori, per esempio, che dovevano ancora attendere il loro turno. Ho lasciato indietro Elena, la mia sorellina, che non aveva superato quella maledetta visita. Colpa del Gas, ovvio; sapevo già che lei non stava bene e credevo che proprio per questo avrebbe avuto un posto in prima fila per la Base. Ero persino geloso, invidioso di lei! La mia famiglia confidava nella compassione, nella pietà di questi burocrati, e ha sbagliato.
Non l’hanno salvata, non ci hanno salvati.
Al campo, esposti al Gas com’eravamo da anni, le persone si ammalavano come mosche; ma - e qui sta il dramma - la Base è vietata agli infermi. La malattia iniziava sempre allo stesso modo, con qualche colpo di tosse, una febbricola leggera, sonnolenza: i medici potevano ancora intervenire, almeno quei pochi che erano disposti a sporcarsi le mani. Al sopraggiungere delle macchie, però, la malattia degenerava in fretta e portava alla morte in poche settimane. Il giorno in cui me ne sono andato, Elena era bollente di febbre, tra le braccia di mia madre.
Quindi, sono partito da solo. Sono rimasto solo per otto mesi; sono stati loro a dividere centinaia di famiglie come la mia, a condannarle per sempre. Loro hanno ucciso mia sorella e mia madre. Sono mani sporche di sangue, le loro.
 
 
“Voi tutti sapete che i nostri scienziati hanno colto i segnali che preannunciano una Terza Ondata e sapete bene che nessun umano potrà uscirne indenne: eppure siete pronti a tornare lì fuori.
Voi siete la nostra forza, il motivo per cui esseri come noi non soccomberanno mai alla natura. Partite volontari, ritornate ai campi di raccolta, con la speranza di ritrovare coloro che, al momento opportuno, non sono risultati idonei per essere ammessi alla Base.
Trovateli. Fate in fretta. Le nostre porte sono aperte.
Portate alla Base i vostri cari ma non fate del vostro compito una missione di salvataggio: ad ognuno sarà concesso di portare con sé solo le persone dichiarate in uscita. Noi ci impegniamo a prenderci cura di loro e faremo in modo che il male che li affligge non si diffonda: ora che abbiamo assicurato un futuro all’umanità, possiamo permetterci il lusso di essere caritatevoli.
La salvezza non verrà preclusa a nessuno: noi siamo gli artefici della nostra salvezza”.
 
 
“Se potessi lo metterei a tacere a suon di cazzotti” mormora Harry, il mio vicino.
Sono felice che la pensi come me sull’Istruttore.
Che possa morire, questo idiota, ammasso di sterco di vacca, vigliacco bugiardo, voce del sistema.
Lui è uno di loro, uno del Programma; lo pagano per ripetere queste balle almeno una decina di volte al giorno.
Anche al campo la pubblicità era martellante. “Non lasceremo indietro nessuno” gridavano i poster tra le tende. “La Base è stata concepita per accogliere tutti, giovani e vecchi, ricchi e poveri. Tutti abbiamo bisogno d’aiuto” diceva una scritta rosa shocking su sfondo giallo, proprio dietro la nostra abitazione.
Ma non è andata così.
La selezione medica è stata inflessibile; il più piccolo colpo di tosse era percepito come sintono di infermità e quindi come condanna.
“Torneremo a prenderli” ci rassicuravano. “Torneremo!”
Ma chi è pronto a correre il rischio di tornare fuori?
Ad oggi anche il più decrepito vecchiaccio in buona salute è stato accolto qui; gli è stata data una bella casa al Secondo Anello, ha sperimentato la gioia di ricongiungersi ai suoi e di salvarsi.
Ed Elena? Mia madre? Chi ha avuto a cuore il loro destino?
Nessuna squadra ufficiale è stata mai organizzata per salvare chi ancora aspetta ai campi di raccolta perché ci vuole troppo fegato a tornare lì, ora che la Terza Ondata sembra così vicina. I volontari siamo un caso a parte; tutti qui hanno qualcuno che amano, laggiù.
Io sono l’eccezione che conferma la regola, invece; io non ho speranze. Le ho perse tutte quattro mesi fa e da allora convivo con la consapevolezza che loro non possono essere sopravvissute. Non ho prove materiali, ovvio, né qualcuno è venuto da me con la faccia da funerale e il cappello in mano a comunicarmi la triste notizia. Non è servito: la verità l’ho letta direttamente negli occhi di mio padre.
Avevamo stabilito tutto. Sarebbe stata mamma a sacrificarsi al fianco di Elena e così papà è partito alla volta della Base quando è arrivato il suo momento. Veniva da me, per non lasciarmi solo.
Il giorno in cui hanno imbarcato la seconda fascia ero incollato alla vetrata del ballatoio principale, insieme a decine di altri ragazzi; guardavamo di sotto, gli occhi puntati sulla fila troppo corta di uomini e donne sfiniti che mettevano piede per la prima volta nell’anello più esterno della Base. Li stavano portando ai quartieri destinati alla quarantena e non potevano entrare in contatto diretto con nessuno di noi. Ero felice; ho seguito mio padre con gli occhi, passo dopo passo. La memoria non può rendere giustizia a quel calore, quell’emozione, quelle lacrime; non saprei dire da dove venissero ma mi scaldarono il cuore, bisbigliando “lui è qui per te”, lavando via ogni sofferenza.
Ad ogni famiglia ricongiunta quelli del Programma concedono una casa nel Secondo Anello della Base, con un giardino piccolo e il tetto rosso di tegole; io non vedevo l’ora di lasciare la Dimora dei Ragazzi e per quaranta giorni non ho fatto che sognare il momento in cui avrei trovato rifugio tra le braccia salde di mio padre. L’ennesima illusione; la verità è stata più che terribile.
Finito il periodo di quarantena mi hanno accompagnato da lui, guidandomi verso una bella casa bianca a cui non avevo mai fatto caso prima, con giardini pieni di rose, panchine e sonagli di conchiglie mossi dal vento artificiale. È un mondo incantato, quello che hanno ricostruito qui sotto.
Mio padre non viveva lì da solo però, e questo era strano; lui occupava semplicemente una stanza. Era seduto sul letto e fissava il vuoto, mormorando parole incomprensibili, gli occhi cerchiati, le labbra secche, il volto scavato dal dolore. Non mi ha nemmeno riconosciuto.
Allora, semplicemente, ho capito; solo il dolore più grande avrebbe potuto ridurlo in quello stato.
Quando sono tornato al mio alloggio, la camerata era vuota. È  stato in quel momento che ho iniziato a fare i conti con il vero dolore e con l’odio.
 
 
 
 
 
 
 



Note
Benvenuti, lettori!!
A voi che siete giunti fin quaggiù, va tutta la mia riconoscenza.
Avete appena fatto conoscenza con il primo capitolo di questa nuova idea, questa storia un po' distopica un po' altro che è nata nella mia testa parecchi mesi fa. Ringrazio qui, in pubblico, Najara 87 che sul forum di Efp ha creato il contest da cui questo racconto è nato: "E' una storia sai ...". Compito di noi partecipanti era di ispirarci ad una famosa canzone Disney per scrivere storie diverse dall'originale ma fedeli ai sentimenti e alle emozioni delle melodie. Alla base di questa storia si nasconde, quindi, "Il mondo è mio" di Aladin ... spero risulterà chiara, in futuro, la maniera in cui ho manipolato questo bellossima testo!  In ogni caso nelle note del terzo capitolo (l'ultimo!) fornirò tutte le spiegazioni del caso nelle note :)
Spero che la lettura sia stata piacevole e spero ancor di più di sentirvi e vedervi al prossimo capitolo!
Saluti,
Ester











 
  
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