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Autore: Claire Penny    12/01/2017    3 recensioni
Sono passati tre anni dagli avvenimenti di “A tutto reality: All Star” e le strade degli ex-concorrenti si sono divise: c’è chi si è reinventato come cantante, attore o opinionista pur di continuare a far parte dello star system e chi invece ha preferito lasciarsi alle spalle l'esperienza il mondo dello spettacolo per dedicarsi ad altre carriere o progetti.
Di quest’ultima categoria fa parte anche Gwen, la quale, dopo un fallimentare periodo come studentessa universitaria, ha cercato di affermare la propria indipendenza lasciando la casa di famiglia e trovandosi un lavoro part-time. La ragazza però non è felice della sua vita e non sente di avere alcuna ambizione particolare, contrariamente ai suoi ex compagni di (dis)avventure.
Ogni problema però passa in secondo piano quando Chris fa la sua ricomparsa nelle vite di alcuni ex-concorrenti, invitandoli (o meglio, costringendoli liberamente) a prendere parte ad un’apparentemente innocente reunion del gruppo…
Ma ci si può davvero fidare delle parole di Chris McLean? E soprattutto, quante cose sono cambiate nel corso degli ultimi tre anni?
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale
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*N.d.A. Piccolo appunto: questa fanfiction non tiene conto di quanto avvenuto in seguito all'edizione di "A tutto reality: All star". Nella storia, tale stagione è considerata infatti quella conclusiva*



Erano le quattro e tredici minuti del pomeriggio.
Solamente le quattro e tredici minuti.
Mancavano ancora più di tre ore alla chiusura. Solo a pensarci, quel tempo mi pareva interminabile.
Evidentemente quel giorno era destinato a non finire mai.
Mi lasciai andare ad un lungo sospiro, proprio mentre la porta del camerino si apriva e la ragazzina sì e no quattordicenne che stavo aiutando ne usciva, con aria incerta.
Quella che avevo identificato come la sua amichetta del cuore, s’illuminò non appena la vide e cominciò a battere le mani come una demente.
-Oh, Shelby, sei assolutamente fantastica!- esclamò.
La ragazzina accennò ad un sorriso e, incoraggiata dal complimento dell’amica, si voltò verso lo specchio per osservare il suo nuovo look.
-Davvero?- chiese, alla ricerca dell’approvazione definitiva dell’altra ragazza.
-Certo! Sei assolutamente spettacolare! È esattamente il cambiamento che ti ci voleva! Vedrai, domani a scuola non ti riconoscerà nessuno, ci scommetto quello che vuoi-
Non so quanto possa essere considerato un complimento, in questo caso  pensai, cercando di non far trasparire la mia opinione dal mio sguardo, difetto che stavo disperatamente cercando di correggere con l’aiuto di Marilyn.
-Lei cosa ne pensa?- domandò Shelby, rivolta a me.
Io, che durante gli ultimi tre cambi d’abito avevo avuto la sola utilità di portare avanti e indietro vestiti da far provare alla cliente – per la maggior parte su richiesta della sua amica – venni colta alla sprovvista. Dal suo sguardo però, capii subito che la sua richiesta non era davvero quella di avere la mia sincera opinione. Desiderava più che altro la conferma definitiva a tutti i complimenti che le aveva elargito la sua socia.
In quel momento, dentro di me, si riaprì il solito scontro su due fronti: da una parte c’era il mio lato onesto, quello a cui per quasi ventidue anni avevo sempre dato voce, nonché quello che, in quel preciso istante, stava gridando quanto quella gonna tartan a pieghe facesse sembrare ancora più bassa la figura già di per sé minuta della ragazzina e che desiderava disperatamente farle notare quanto quel top nero scollato fosse inadatto per una piccoletta appena uscita dalle medie che probabilmente in camera teneva ancora i poster dei My Little Pony e giocava con le Barbie quando non la vedeva nessuno.
In contrapposizione però, c’era la parte di me che, su consiglio (leggi: ordine) di Marilyn, stavo cercando di far emergere – se non altro, per evitare problemi sul lavoro – quella che, per il bene degli affari, mi spingeva ad assecondare l’opinione di quell’amichetta prepotente che, a giudicare dall’atteggiamento con cui imponeva i suoi “consigli”, avrebbe presto spinto la ragazzina a fare qualcosa di più che imporle i suoi consigli sull’abbigliamento, qualcosa di cui in futuro si sarebbe certamente pentita.
-Quei vestiti ti…ti stanno benissimo- dissi infine, accompagnando il commento con un sorriso che mi costò un notevole sforzo, gesto che mirava a rendere le mie parole più convincenti e che invece, a giudicare dall’espressione delle due ragazzine, ottenne l’effetto opposto.
Fortunatamente però, non diedero troppo peso alla mia opinione e ricominciarono a discutere tra loro.
-Sono trentanove dollari e novanta- annunciò la voce di Marilyn dalla cassa, pochi minuti dopo, mentre ripiegavo i vestiti scartati dalle marmocchie.
Tirai un sospiro di sollievo. A quanto pareva, le ragazzine avevano deciso di acquistare quei capi nonostante la mia pessima performance da bugiarda.
Poco dopo sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla.
-Devi lavorarci un po’ su, ma stai migliorando- mi rassicurò la mia responsabile, nonché amica.
Mi sforzai di sorridere per farle capire che apprezzavo le sue parole, ma probabilmente anche il sorriso che rivolgevo al dentista quando andavo a farmi la pulizia dei denti sarebbe risultato più convincente. Se non altro, Marilyn finse di non farci caso e tornò al suo lavoro.
Quando finalmente arrivarono le sette e trenta avevo la sensazione di aver trascorso in quel negozio gli ultimi quarant’anni, anziché le ultime quattro ore. Sembrava che ogni giorno che trascorrevo lì fosse più lungo ed estenuante del precedente.
Dopo la chiusura salutai Marilyn e mi avviai verso la fermata della metro. Durante il viaggio, mentre l’anziana signora che mi sedeva di fronte dormiva sbavandosi beatamente sul cappotto, mi ritrovai a fare i conti con gli avvenimenti degli ultimi sei mesi della mia vita, ossia dal giorno in cui avevo comunicato alla mia famiglia che avevo lasciato la facoltà di Storia dell’Arte perché non ero più certa che fosse davvero la strada più adatta a me.
Mi tornarono in mente le reazioni a quella notizia-bomba che avevo sganciato durante una normale sera, a cena: mia nonna si era mostrata sorpresa ma comprensiva, mio fratello indifferente – come per qualunque altra cosa mi riguardasse, del resto - , mentre invece, com’era prevedibile, mia madre non l’aveva presa affatto bene. In realtà non prendeva bene quasi niente di ciò che mi riguardava da quando, un pomeriggio di quando avevo tredici anni, ero uscita di casa vestita e pettinata come una normale preadolescente ed ero tornata poche ore dopo, vestita completamente di nero, con diverse ciocche di capelli tinte di blu petrolio e le labbra impiastricciate da un rossetto dall’improbabile colore scuro.
Quella sera, che sempre ricorderò come l’inizio dei miei drammi, mia madre aveva visto in me il fallimento della famiglia, convinzione che avevo rafforzato dopo averle comunicato che mi avevano scelta per partecipare ad un reality show.
E dire che inizialmente io non avevo alcuna ambizione a partecipare ad un programma del genere o a diventare famosa in qualunque altro modo.
Tutto sommato stavo bene nell’angolino buio del mio anonimato.
Era stata la mia amica Mietitrice a convincermi a partecipare ai casting insieme a lei, esasperandomi fino a quando non avevo accettato.
Nemmeno la mia inaspettata e improvvisa popolarità però avevano contribuito in qualche modo a farmi espiare le mie presunte colpe. Agli occhi di mia madre, avevo iniziato a redimermi solo quando, pochi giorni dopo essere stata eliminata da A Tutto Reality: All Star avevo annunciato la mia decisione di lasciare il mondo dello spettacolo per iscrivermi all’università.
In quella decisione, lei ci aveva visto la mia agognata iniziazione all’età adulta e alle responsabilità e, inizialmente, anch’io lo avevo creduto, o meglio, avevo cercato di convincermene. Purtroppo però, dopo solo una manciata di mesi, ero stata costretta ad ammettere che, tra tutte le cose avventate ed impulsive che avevo fatto fino a quel momento, ricominciare a studiare era stata la meno ponderata tra tutte e, ad appena un anno dalla mia iscrizione all’università di Toronto, mi ero ritirata.
Avevo tentato di spiegare a mia madre che mi ero resa conto di aver compiuto quella scelta, più che per ambizione personale, per cercare di dimenticare tutte le sfighe che mi avevano perseguitato negli ultimi anni, lei però ovviamente non aveva voluto sentire ragioni e io avevo preferito andarmene.
Alla fine, la cosa che più mi aveva sorpreso di tutta quella vicenda erano state le lacrime di quel pestifero di mio fratello Matt, quando lo avevo salutato prima di richiudermi definitivamente la porta di casa alle spalle. Non le lacrime di coccodrillo che sin da quando eravamo piccoli usava per farmi incolpare di qualunque cosa, ma lacrime sincere, di autentica tristezza.
Tutto ciò aveva reso ancora più difficile  raccattare tutta la mia robaccia, dire addio al piccolo appartamento in cui ero cresciuta per trasferirmi, assieme alle mie lucertole Angus e Vampira, in un appartamento ancora più piccolo. Ancora meno semplice però, era stato doversi abituare a dividere i propri spazi vitali con un’idiota come il mio coinquilino Johnny.
Quando quella sera rientrai a casa, quest’ultimo era beatamente spalmato sul divano che guardava la tv, con il telecomando in una mano e una barretta di cioccolato mezza mangiata nell’altra. Indossava una vecchia maglietta logora degli Iron Maiden (gruppo di cui probabilmente conosceva sì e no due canzoni) e un paio di pantaloni di una tuta che probabilmente non avevano mai conosciuto le gioie della lavatrice.
Lui non mi degnò del minimo saluto e io feci altrettanto. Un paio di settimane e una decina di tentati omicidi dopo il mio trasloco, era infatti stato chiaro che la presenza dell’altro era una reciproca seccatura, ragion per cui avevamo stabilito il tacito accordo di interagire solo se strettamente necessario. Avevo però accettato tali condizioni troppo presto, ossia prima di scoprire che una mandria di maiali avevano un senso dell’igiene e della pulizia più sviluppati del caro vecchio Johnny.
Come a confermare quel pensiero, quando entrai in cucina ci trovai la tavola ancora apparecchiata per la cena del mio stupido coinquilino, adornata dei suoi avanzi di cibo thai da asporto.
Emisi un lungo sospiro. La degna conclusione per una giornata schifosa come quella appena trascorsa.
Andare da Johnny a protestare affinché sparecchiasse e lavasse le sue stoviglie, avrebbe significato sentirsi ripetere per l’ennesima volta che non ero tenuta a preoccuparmi della sua roba e che più tardi avrebbe sistemato.
Peccato solo che per lui “più tardi” poteva significare “tra dieci minuti” come anche “nel 2057, forse” e, considerato che da diversi giorni in lavanderia campeggiava una montagna composta da tutti i suoi indumenti da lavare “più tardi”,  era abbastanza chiaro per quale delle due opzioni propendesse.
Mio malgrado, queste situazioni contemplavano solo due possibili soluzioni, nessuna delle quali andava esattamente a mio favore: lasciare Johnny a sguazzare nel proprio lerciume e sguazzarci anch’io di conseguenza, o sotterrare il mio orgoglio e la mia dignità e pulire al posto suo, almeno nelle stanze che usavamo entrambi, come la lavanderia, il salotto e la cucina, senza nemmeno ricevere una parola o un cenno di ringraziamento.
Mentre buttavo nella spazzatura i noodles avanzati però, mi accorsi che, parzialmente occultata tra i rifiuti, c’era la mia ultima scatola di barrette Snikers. Quelle che curiosamente avevano la stessa forma dello snack che avevo visto di sfuggita nelle mani di Johnny. Quelle che avevo accuratamente nascosto nella mia camera proprio per tenerle lontane dalle grinfie del mio perennemente affamato coinquilino. Per la precisione, nel cassetto della biancheria.
A quel punto, tutta la rabbia accumulata e repressa negli ultimi tempi prese il sopravvento. Mi precipitai in salotto, strappai il telecomando dalle mani del mio stupido coinquilino, spensi la tv, dopodiché lanciai l’apparecchio alle mie spalle, che sentii cadere in un punto imprecisato della stanza. Infine, afferrai Johnny per la maglia e lo tirai su, costringendolo a mettersi seduto.
Accadde tutto talmente in fretta che, forse per la prima volta, riuscii addirittura a vedere la sua faccia solitamente inespressiva, contorcersi in una smorfia stupita e confusa.
-Sono sempre passata sopra al fatto che tu sia una sudicia ameba che non mi porta minimamente rispetto- iniziai, parlando a pochi centimetri dalla sua faccia. –Ma questa volta hai davvero superato ogni limite!
L’espressione sulla patetica faccia di quel porco meglio conosciuto con il nome di Jonathan Martin, non mutò minimamente, anzi, riuscì addirittura a cacciarmi una delle sue risposte misogine e tremendamente irritanti senza fare una piega.
-Ma che problemi hai? Ti è venuto il ciclo?-
Parole che gettarono una ricca quantità di benzina sul fuoco della mia ira.
-Sei entrato in camera mia e hai frugato tra la mia roba!- gridai.
Per un momento, un fugace momento, i suoi occhi vennero attraversati da un pensiero che colsi subito, anche se lui cercò subito di occultare quell’attimo di incertezza con la sua solita espressione strafottente. Un pensiero che probabilmente era uguale o simile a “oh, merda!”.
Tanto mi bastava per essere certa dei miei sospetti.
-Gwen, datti una calmata! Non trovavo più la mia t-shirt di Star Wars e credevo che per sbaglio l’avessi messa tra la tua roba…-
-E io dovrei credere a questa stronzata?!- continuai a gridagli in faccia, scuotendolo per un lembo di quella lurida maglietta che indossava da almeno tre giorni. –E poi non solo sei entrato in camera mia senza permesso, hai frugato nella mia roba, ma ti sei anche premesso di rubare!-
-Era l’ultima barretta, te la ricompro! Tante storie solo per un pezzo di cioccolata…e piantala di scuotermi!- esclamò, liberandosi dalla mia presa.
-Sei proprio un idiota- sibilai.
Dopo avergli lanciato un’ultima occhiataccia uscii dalla stanza e mi diressi in bagno per lavarmi le mani. Certo, dopo aver toccato quel verme, nemmeno disinfettarmele con la soda caustica mi avrebbe fatto sentire abbastanza pulita, ma dovetti accontentarmi.
Mentre mi asciugavo, mi guardai allo specchio, ricordando amaramente il periodo in cui le mie ciocche colorate, il rossetto scuro e il corsetto nero mi caratterizzavano più dei miei stessi connotati. Erano trascorsi tre anni da quando ero tornata a casa con la ferma decisione di liberarmi il prima possibile dei meriti grazie al quale la maggior parte della popolazione mondiale mi conosceva come “la gotica”, “l’asociale”, “l’introversa” o, il mio preferito, “la nuova Heather”. Non che avessi completamente fallito, in realtà. Non avevo infatti più molto in comune con la Gwen di A tutto reality, almeno dal punto di vista estetico. A parte questo dettaglio però, a ventuno anni compiuti ero costretta ad ammettere di essere rimasta pressoché la stessa sfigata che ero a sedici.
Quel flusso di pensieri ottimisti venne interrotto all’improvviso dal mio cellulare, che iniziò a vibrare da sopra il mobiletto dove l’avevo appoggiato, per avvisarmi dell’arrivo di un messaggio.
Ironia della sorte, la mittente del messaggio era una delle poche persone con cui mi ero tenuta in contatto anche dopo la fine dell’ultima edizione del programma, nonché una delle poche persone sane di mente che avevo avuto modo di conoscere nel manicomio quale era il mondo che ruotava intorno a quello stupido reality: Zoey.
 
“Hai ricevuto la mail???” chiedeva.
 
“Non ho ancora letto la posta, che succede?” risposi.
 
“Controlla. Poi fammi sapere” fu il suo ultimo messaggio.
 
Dimenticando temporaneamente la mia deprimente esistenza, corsi in camera e accesi il computer, curiosa di sapere a cosa si riferisse Zoey.
A prima vista, nella mia posta elettronica sembrava tutto normale. Qualche mail di spam, una di conferma per alcune cose che avevo comprato on-line e…una mail dalla produzione di A tutto reality.
Quando me ne accorsi, potrei giurare di aver sentito il mio cuore saltare qualche battito.
Non era possibile.
Avevo definitivamente chiuso con quel capitolo della mia vita, in ogni senso.
il contratto era scaduto, non c’erano altre clausole che mi vincolassero a quel dannato programma, ne ero certa, altrimenti Courtney me l’avrebbe…
Oh, già, tendo a dimenticare che non devo più dare credito a qualunque cosa abbia detto Courtney, dal momento che  è brava solo a fingere di esserti amica per poi pugnalarti alle spalle quando non le sei più utile. Pensai.
Decisi di confinare per il momento ricordi e pensieri sulla sua ex-amica nello stesso angolo in cui conservavo i miei monologhi su quanto facesse schifo la vita, per riconcentrarmi sulla mail.
Cautamente, ci cliccai sopra.
E fu una pessima decisione.
 
Da: ChrisSuperSuperFicoMcLean@gmail.com
A: Gwen_in_Black@hotmail.com
 
Oggetto: Reunion ;)
 
“Carissima Gwen,
Sono trascorsi ormai tre anni da “A tutto reality: All Stars!”, l’ultima edizione del programma a cui hai partecipato. Per commemorare i bei momenti trascorsi insieme agli altri concorrenti e al sottoscritto (soprattutto al sottoscritto), sono onorato di invitarti a prendere parte a allo speciale del programma che stiamo organizzando: “A tutto reality! The reunion”.
Questa iniziativa non ha nulla a che vedere con la competizione, il milione di dollari in palio, eccetera. Si tratta infatti solo di un’innocente vacanza di due settimane tutto incluso in un resort di lusso in Polinesia, durante il quale alcuni ex-concorrenti avranno l’opportunità di ritrovarsi, divertirsi e magari chiarire eventuali questioni lasciate in sospeso.
A chiedere a gran voce tale reunion sono stati migliaia di fan da tutto il mondo. Non vorrai certo deluderli, vero, Gwen?
Attendo con ansia la tua conferma di partecipazione.
 
Sinceramente tuo,
 
Chris McLean”.
 
Non riuscii nemmeno a finire di leggere la lettera, né a concedermi qualche istante per elaborare quanto avevo appena appreso. Cliccai sull’icona “rispondi” e cominciai a digitare freneticamente sulla tastiera del portatile.
 
Da: Gwen_in_Black@hotmail.com
 
A: ChrisSuperSuperFicoMcLean@gmail.com
 
Oggetto: R: Reunion ;)
 
Caro Chris,
No.
Non.
Nien.
Net.
没有.
Assolutamente NO.
“No” al quadrato, “no” al cubo, “no” all’ennesima potenza.
ENNE-O.
 
Sinceramente,
 
Gwen”
 
Un attimo prima di inviare quella furiosa risposta scritta di getto però, fui colpita da uno dei miei rari impeti di buonsenso che mi convinse a rileggere la mail di Chris per intero, prima di assecondare qualunque decisione avventata. Col senno di poi, non oso pensare a cosa sarebbe successo se non avessi dato ascolto al mio lato più saggio. La lettera infatti, comprendeva un post scriptum.
 
“P.S. Ovviamente la domanda era retorica, non hai altra scelta se non quella di partecipare. È tutto scritto nel tuo contratto, nero su bianco…beh, non proprio “nero su bianco”, è scritto con il succo di limone a fondo pagina 23 ma, in ogni caso, c’è scritto.
Spero di avere presto tue notizie, in caso contrario, lasceremo che siano i nostri avvocati a convincerti. Buona giornata :)”.
 
***
 
-Dovrei partire di punto in bianco, andarmene in un altro continente, per di più in un’isola, con il caldo e il sole, con persone con cui non ho, né voglio avere alcun genere di contatto! E, nel caso non te lo ricordassi, ci tengo a farti sapere quanto io detesti essere obbligata a fare qualcosa, quanto non sopporti il caldo, come la mia pelle si scotti alla minima esposizione al sole e, soprattutto, quanto io odi quelle persone!- mi sfogai.
Dall’altro capo del telefono, sentii Zoey sospirare. Non le avevo quasi dato il tempo di parlare, da quando aveva commesso l’errore di rispondere alla mia telefonata, dieci minuti prima.
-Lo ricordo benissimo, invece- rispose, in tono rassegnato. –Ma non sei l’unica a sentirti così. Credi forse che io faccia i salti di gioia al pensiero di lasciare il mio lavoro per rivedere Mal…Mike…insomma, lui?-
-Ci sarà anche Mal?- chiesi. –La mia mail non diceva nulla riguardo gli altri partecipanti-.
-Nemmeno la mia, ma è ovvio che lui ci sarà. I produttori cercheranno senz’altro di rendere interessante lo show sfruttando i vecchi rancori e le questioni in sospeso tra noi, anche la mail lo lasciava intendere. So che non ti farà piacere saperlo, ma sono abbastanza certa che ci saranno anche Duncan e Courtney- mi avvertì, ben sapendo quale effetto avessero su di me quei due nomi, specie se pronunciati insieme.
Questa volta, fu il mio turno per sospirare. –Ne ero certa. Stando a quanto dicono i tabloid di mezzo mondo, sembra che la loro storia vada a gonfie vele e che non riescano a stare per più di tredici secondi senza scambiarsi abbracci, bacini, coccoline e altre robe diabetiche. Che romanticoni- dissi, acida.
-Cerchiamo di vedere il lato positivo: potremo passare un po’ di tempo insieme e ci potremo dare man forte a vicenda- cercò di rincuorarmi lei.
Grazie a quel goffo ma dolce tentativo di rassicurarmi, cercai di mettere da parte un po’ della rabbia che in quel momento mi pervadeva e provare ad assecondare il precario ottimismo di Zoey.
-Non sarà una competizione, non dovremmo preoccuparci di eventuali tradimenti o alleanze, almeno per questa volta-
-Non so, ho come la sensazione che invece ce ne dovremmo preoccupare- disse lei. -Del resto dietro a tutto questo c’è ancora Chris, no? Da quando ci si può fidare di quello che promette?-
   
 
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