Fumetti/Cartoni americani > TMNT / Tartarughe Ninja
Segui la storia  |       
Autore: Mellybonf    12/01/2017    0 recensioni
Questa è la mia prima FanFiction, spero vi piaccia. Parla di me, della mia vita, della mia famiglia e ovviamente delle nostre amate TMNT.
Tratto dal primo capitolo: "Ognuno di noi è diverso dall’altro, nell’aspetto e nel carattere. Ognuno di noi è unico ma non sempre ci si sente speciali, spesso ci si sente solo sbagliati.
La parola diverso ha il potere di farti credere di essere distinto e completamente imparagonabile a chi ti circonda. Credi di essere inadeguato nei confronti di qualsiasi cosa. [...]
Per un ancor più ristretto numero di persone particolarmente sensibili, anche la propria famiglia può apparire come una relazione troppo dolorosa da sopportare. Per quanto l’ amore per la famiglia sia grande, per quanto loro ricambino il tuo amore e cerchino di proteggerti, istintivamente chiudi ogni porta e ogni spiraglio del tuo guscio. Inconsciamente entri in uno stato di chiusura. [...]
L’Autismo è questo.
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Cap.7- Il primo allenamento.


Nei mesi estivi come Giugno, New York si trasforma. Una città cosmopolita, di cultura e di viva costante presenza popolare, diventa anche luogo di ritrovo per studenti e famiglie, si tocca l’apice del turismo, ci sono sempre più occasioni per feste, concerti e altri momenti all’aperto. Si condividono gli spazi con occhi che osservano, studiano e vivono la città con curiosa partecipazione, più di quanta un normale New Yorkese presterebbe. 
Uno dei periodi dell’anno più difficili, per coloro che fanno dell’anonimato il loro motto di vita.
La cosa snervante? Che per i buoni, le forze dell’ordine in generale, il maggior afflusso di gente equivaleva ad un alto tasso di pericolo: più persone, più possibilità di panico, di perdita di controllo, qualunque cosa poteva andare storto. La curiosità era fonte di guai.
I malintenzionati, invece, non si erano mai sentiti minacciati dagli sguardi dei curiosi; anzi, più gente significava meno possibilità di essere beccati sul fatto: limitavano i momenti più loschi delle loro attività nelle ore notturne, mentre in quelle diurne intensificavano le faccende socialmente riconosciute come normali. Passare inosservati era semplice, ma non per tutti si poteva considerare valida questa regola.
I profili dei palazzi illuminati dal caldo sole pomeridiano facevano da sfondo a due figure nere, che a balzi e volteggi si stavano dirigendo verso la palazzina fatiscente, il rifugio dei tre giovani connettori. I due agivano in modo furtivo e calcolato, nessuno doveva accorgersi di loro, dovevano rimanere in incognito il più possibile o il loro piano sarebbe andato in fumo.
Appostandosi dietro al parapetto murato della strutta di fronte all’appartamento, notarono la carica d’agitazione con cui i tre inquilini si stavano preparando per uscire.
Marco era il più inquieto: guardava un film saltellando impaziente e sistemando nervosamente la visiera del cappello da baseball; le scritte bianche che ne decoravano la superficie erano l’unico elemento di tonalità chiara, nell’abbigliamento comodo, pratico e completamente nero.
Luca si era infilato nel bagno con evidente premura, la tuta indossata era simile a quella del cugino: stessa felpa con cappuccio, stessi pantaloni cascanti, solo la t-shirt era differente, con inserti gialli su spalle e busto.
Anche Nadia indossava abiti sportivi neri, ad eccezione della fascia azzurra e della borsa a tracolla in pelle. Guardava l’orologio da polso con insistenza, invitando i due ragazzi a sbrigarsi.
Le ombre non staccavano gli occhi dai tre, studiandone ogni movimento con modi al limite dell’ossessione.
Li videro scendere dalla scala antincendio e dirigersi verso la palazzina di fronte; se avessero percorso in linea d’aria quella direzione, sarebbero arrivati a Central Park in un’ora.
I tre giovani diedero una veloce occhiata alla strada principale e rapidamente nascosero i lineamenti: Luca e Marco abbassarono le visiere dei loro cappelli. Tutti e tre alzarono i cappucci e le fasce che tenevano al collo furono portate fin sul naso. Così facendo, anche a quell’ora del pomeriggio era impossibile identificarli.
“Sei proprio sicura che basti guardare dei video, per ripetere le stesse mosse di parkour?” chiese Luca con una nota di apprensione guardando il percorso da fare, quell’altezza era impressionante.
“Tranquillo, ho fatto una prova. Se saltiamo con abbastanza slancio dal bidone della spazzatura fin alle finestre murate, non avremo problemi a superare questo palazzo. E poi, ieri sono riuscita a ripetere perfettamente le mosse di Michelangelo, dobbiamo solo avere fiducia nelle repliche.” Proferì allontanandosi per prendere la rincorsa.
“Ma sei una frana nello sport! Non arriverai nemmeno alla prima finestra!” la riprese Luca con sarcasmo. Marco aveva l’aria preoccupata, scuoteva la testa con nervosismo.
“Facciamo così, vado per prima e se non ve la sentiste, passeremo dalle fogne.” Cercò di tranquillizzarli.
Chiuse gli occhi e focalizzò la memoria sui video studiati poche ore prima; aveva veramente fatto un tentativo, ma non era andato bene: nel saltare da un piano all’altro della scala antincendio, aveva rischiato di cadere diverse volte. Ma non era il momento per farsi bloccare dalle paure.
Una volta ricordato il movimento acrobatico del ragazzo, aprì gli occhi illuminati d’azzurro acquamarina e si mise a correre più velocemente che poté. Con un balzo arrivò al cassonetto; saltando da uno stretto cornicione all’altro e dandosi slancio con le braccia, arrivò in cima.
“V-visto? C-ce la potete fare!” disse ad alta voce guardando sotto di se. Il tono teso e il fiatone non erano dovuti allo sforzo, ma allo stupore. Il cugino non aveva torto, le sue capacità atletiche ero pari a quelle di un bradipo zoppo; la replica aveva risposto meglio di quanto si aspettasse!
“Raf ha ragione, tu sei matta! Da quando siamo qui, sei più suonata del solito!” esclamo il dodicenne.
“Lo prendo come un complimento. Dai, provate voi!”
Marco si allontanò dal muro con Luca, movimenti incerti accompagnavano il loro passo.
Nadia li osservò tesa, li aveva spronati, ma aveva paura. Se si fossero fatti del male, non se lo sarebbe perdonato facilmente.
Il dodicenne fece un sospiro e prese la rincorsa con parecchia foga. Con un paio di potenti falcate arrivò al primo cornicione con estrema facilità e con maggior sicurezza, giunse senza problemi accanto alla cugina, ma lei osservava allarmata sotto di loro.
Marco si era bloccato a metà del percorso, appeso ad un cornicione con evidente difficoltà. “A-aiuto! Nadia, Luca, aiuto!” esclamò.
I due si precipitarono, ma prima che potessero avvicinarsi il necessario il diciannovenne perse la presa cadendo nel vuoto!
“MARCO!” urlarono all’unisono.
Anche le due ombre nascoste iniziarono a muoversi verso il giovane, ma non ce l’avrebbero mai fatta. Lo videro serrare gli occhi a pochi metri dal suolo, troppo spaventato per tentare una qualche reazione.
Si sarebbe sicuramente sfracellato.
Un  improvviso movimento a scatti percorse il corpo del diciannovenne, tutti i muscoli erano in tensione. Gli avevano già visto compiere quei gesti, ma questa volta un’onda biancastra lo percorse completamente, impedendo l’inevitabile impatto.
I quattro osservatori si bloccarono anche nel respirare osservando la scena.
Marco era sospeso a pochi centimetri dall’asfalto, aprì gli occhi illuminati di bianco e un sorriso da bambino si disegnò sulle sue labbra: stava volando!
Fluttuava entusiasta, facendo capriole in aria sempre più ravvicinate. Adorava la sensazione di libertà e leggerezza che stava provando, il cuore batteva in fondo alla gola per l’eccitazione. Si fermò all’altezza dei famigliari completamente sgomenti e diede a entrambi un cinque esclamando “Peter Pan, Peter Pan!” Poi, continuò la sua risalita, giungendo in cima al palazzo in un secondo.
“Diamine Marco, ci hai fatto prendere un colpo!” fece il ragazzino una volta raggiunto.
La giovane abbracciò talmente forte il fratello da non farlo respirare “Devo capire come funzionano questi poteri. Non voglio sentirmi così impotente quando sei in pericolo!” esclamò con una nota di rabbia.
Marco la fronte a quella di lei tentando di rassicurarla; stava bene, non doveva preoccuparsi.
Ripresero la corsa verso Central Park, rischiavano di arrivare tardi se non si davano una mossa.
Le due ombre scure li seguirono studiandone i movimenti. Fare certi salti senza un’adeguata preparazione era pericoloso, ma i tre ci stavano riuscendo senza farsi fermare dai fallimenti. Si erano feriti in diverse occasioni.
Nadia aveva rischiato di cadere almeno una dozzina di volte a causa dell’instabile capacità di assimilazione; perdeva l’equilibrio e la forza ogni cinque minuti. I due ragazzi se la stavano cavando meglio: nonostante le titubanze iniziali, Marco era più sicuro dopo la manifestazione di volo e Luca lo incoraggiava il più possibile, correndo come una scheggia avanti e indietro per recuperarlo ogni volta che si bloccava a rimuginare.
“Mi sono preoccupato per niente, sono davvero bravo!” esclamò facendo un’acrobazia e superando Nadia.
“Tieni un profilo basso scricciolo. Dobbiamo stare attenti a non farci scoprire, inoltre siamo solo all’inizio, l’allenamento sarà sicuramente più impegnativo.” Proferì arrancando.
“La smetti di stressarmi? Sei solo gelosa, sono più bravo di te!” la punzecchiò aumentando ulteriormente la velocità. Dopo l’ennesimo salto, atterrò agilmente sopra un tetto, ma si arrestò di botto: una piccola vibrazione e una stretta allo stomaco a lui nota, insieme all’immagine di due ombre scure impresse nelle iridi come un sogno, lo colsero alla sprovvista.
“Nadia…” sussurrò all’orecchio dalla cugina una volta raggiunta “Ti ricordi la mia sensazione di essere seguito nei mesi scorsi?”
“Certo, perché?” chiese la ragazza con il fiatone.
“Ce l’ho anche adesso!”
I due inseguitori piegarono gli occhi in un’espressione sospettosa, senza una motivazione valida i tre avevano cambiato improvvisamente direzione; li seguirono in modo più serrato.
Li videro sparire dietro ad una cisterna d’acqua, si avvicinarono in modo furtivo e una volta superato l’angolo del rimessaggio, scivolarono di soppiatto vicino alle sbarre in metallo. Non potevano essersi allontanati molto.
Il rumore di tre corpi in movimento, portò il più grosso dei due a fare un passo indietro. Vedendosi attaccare da una figura sottile e da una più piccola, le afferrò per i vestiti sollevandole da terra; data la mole leggera, non era un problema bloccarne i movimenti.
L’inseguitore più piccolo, vide un’ombra sinuosa e femminile scaraventarsi su di lui. Non ebbe il tempo di reagire data la posizione meno favorevole: le mani della ragazza si serrarono alle spalle e lo slancio li fece cadere.
“Ahio! Siamo noi ragazzi!” esclamò Michelangelo, massaggiandosi la parte lesa dietro la nuca ad occhi chiusi. Quando li aprì, il suo sguardo si incrociò con quello sorpreso della ragazza. Una piccola ciocca di capelli ramati, illuminata dal caldo sole pomeridiano, gli ciondolava davanti al naso; profumava di menta e limone, un odore che gli dava nostalgia, ma non sapeva perché. Ne percepiva il fiato corto, più precisamente il seno: si muoveva agitato premendosi al piastrone con irregolarità.
Si imbarazzò, aveva pensato al petto di Nadia, alla sua morbidezza. Non andava bene! Non aveva mai pensato a nulla del genere e aveva ancor meno intenzione di cominciare! Ma non riusciva proprio a sottrarsi, il tepore che emanava quel corpo, l’intimo contatto, il vuoto che sentiva alla bocca dello stomaco, tutte sensazioni che aveva sentito descrivere, ma che per lui erano sconosciute. E poi, quegli occhi nocciola avevano qualcosa di particolare: chiari, limpidi, senza segreti, come se potesse leggere i pensieri nascosti dietro di essi.
“La smetti di agitarti ragazzino?” La voce di Raf, fortunatamente, portò l’attenzione di entrambi verso di lui.
Luca continuava a muoversi con stizza, afferrato per la collottola della felpa e sollevato a mezzo metro da terra. “Raf, non te lo dirò due volte! Mettimi giù!” esclamò infastidito.
Marco guardava il rosso con rabbia, anche lui immobilizzato e impotente. “G-giù, giù!”
“Ma sentili, non siete riusciti a fare nulla e date ordini.” asserì liberandoli dalla presa. “Se fossimo stati il Nemico, non ve la sareste cavata così facilmente.”
“Ci avete spaventato! Perché diamine ci stavate seguendo?” domandò Nadia abbassando la fascia che le copriva il naso e rimettendosi in piedi; aveva le guance rosse, non si capiva se per lo sforzo fisico o l’imbarazzo, ma il tono era davvero contrariato.
“Pensavate di girare per New York senza scorta?” chiese Raf.
“Con i nostri fratelli e il Sensei, abbiamo pensato di darvi libertà d’azione. Volevamo vedere come ve la sareste cavata, per questo non vi abbiamo detto niente. Ci saremmo rivelati quando sareste entrati a Central Park.” Chiarì Mick rimettendosi in piedi con un colpo di reni e facendo un paio di passi lontano da Nadia. “Non volevamo spaventarvi, scusate.” Proferì con sorriso tirato per mascherare il disagio: certe sensazioni era meglio non provarle, si ripeteva nella sua testa. Soprattutto per lui, con la sua storia e i trascorsi dei fratelli a fargli da monito.
“Invece dovevate dircelo! Avremmo potuto perdere il controllo nel tentativo di difenderci …” continuò a ragazza risollevando la stoffa sul naso e spostandosi il ciuffo ribelle dietro la fascia.
“Come diavolo avete fatto a scoprirci? Da dei pivelli non ce lo aspettavamo.” Continuò il rosso.
“Ho capito che qualcuno ci stava seguendo, delle vibrazioni nel terreno mi mettono in allerta. Sai com’è…poteri da connettore!” Chiarì Luca.
“Confermo: Luca è davvero sveglio!” esclamò l’arancio. Raf guardò il ragazzino con sospettosa sorpresa, una capacità simile era incredibilmente utile e pericolosa allo stesso tempo.
Marco non staccava gli occhi dal corpulento ninja, ma non con lo sguardo che offriva al genio della famiglia Hamato, sembrava arrabbiato. Raffaello lo guardò in modo altrettanto truce, se aveva dei problemi con i suoi modi di fare, erano affari suoi.
Urgeva una strategia per distendere il diciannovenne e Raf, sembravano sul punto di discutere. “Marco, lo sai che mi hai stupito quando ti sei messo a volare? Sembravi un supereroe!” esclamò Mick avvicinandosi con un sorriso. Desiderava relazionarsi, con Don quel ragazzo si era aperto e sentiva una certa curiosità. Marco contraccambiò il sorriso aggiungendo “No supereroe, Peter Pan!”
“Peter Pan? Ah, il personaggio di quella favola!” esclamò l’arancio.
“Sisi!” confermò gioioso, avvicinandosi e dandogli il cinque per creare un contatto. La mano magra era la metà rispetto alla sua, le tre dita ricoprivano abbondantemente le cinque del giovane; così delicate e fragili, sembrava non le avesse mai usate.
Mick si sentì ancor più impacciato, il suo aspetto non era un problema, almeno quanto per lui non era una complicazione che Marco fosse autistico. Aveva ancora la convinzione che l’essere un mutante potesse rappresentare un ostacolo, ma si stava ricredendo: il giovane appariva più interessato a conoscerlo di quanto immaginasse e anche se Marco non sarebbe mai stato in grado di dirlo, pensava la stessa cosa di Mick.
……
Arrivarono a Central Park in poco tempo; con la presenza dei due ninja, i tre connettori riuscirono a imitare i movimenti rendendo più rapida l’assimilazione. Il tempo limite per l’apprendimento sembrava ridursi: più osservavano dal vivo, più ricordavano con intensità.
Si infilarono nell’apertura laterale del più antico depuratore d’acqua di New York, appena in tempo per non essere visti da una decina di giovani vestiti di nero. Quel gruppetto girovagava nella zona da un po’ e anche se i Ninja erano a conoscenza della loro, quasi costante, presenza nel parco, non ne sapevano il motivo.
Nel momento in cui i tre connettori erano entrati nel raggio di un kilometro dalla loro posizione, i dieci avevano cominciato a muoversi con agitazione, girovagando all’unisono per il parco. Sicuramente non era un caso, ma fortunatamente non si accorsero della direzione presa, come non si resero conto di loro i due ninja e i tre Amato.
“E bravi i nostri pivelli! Se vi comporterete allo stesso modo durante gli allenamenti, non avrete problemi, sempre che non perdiate il controllo!” proferì il rosso piacevolmente sorpreso; stavano scendendo dalle scale laterali che portavano alle fogne.
Pivelli, bionda, ragazzino, spilungone…ci chiamerai mai per nome?” chiese il dodicenne con un angolo della bocca sollevato. La voce squillante rimbombava nel cunicolo fognario buio.
“Dovresti saperlo Luca, Raf adora tenere le distanze.” proferì Mick appoggiando la mano su uno scanner mimetizzato da mattone incrostato di muffa. Il cerchio di luce si delineò intorno al portellone circolare nascosto, che si aprì di scatto sull’ambiente illuminato.
“Benvenuti in casa Hamato!” esclamò Michelangelo, non appena attraversarono la soglia.
Le tartarughe avevano avuto molte abitazioni negli anni, l’ultima era la più futuristica:  le tubature dell’impianto fognario e l’arredamento, davano all’ambiente un aspetto avveniristico, perfettamente calcolato in ogni dettaglio. La struttura circolare era parzialmente ricoperta dal lago artificiale, al cui centro spiccava la piattaforma con tutte le attrezzature tecnologiche di Donni; Nadia notò le pareti in cartongesso che la richiudevano, era una cosa inaspettata, impediva la visuale aperta a cui era abituata dalle puntate.
 Sopra la piattaforma c’erano le stanze dei quattro ninja posizionate in circolo e su ogni uscio era appeso qualcosa che caratterizzava il proprietario: dei Kanji giapponesi su quella di Leo, una maschera rossa squarciata su quella di Raf, una targa con stampato Do not disturb, genius at work su quella di Donni, delle fotografie e un murale del suo nome sull’anta di Mick.
Lungo il perimetro del piano terra, si intravedevano gli spazi riservati ad ognuno: la postazione tv assortita di ogni dvd e videogioco possibile dell’arancio, un angolo tranquillo con tutte le Katana esposte e gli attrezzi per affilarle del blu, la zona con il sacco e i pesi del rosso.
Sulla sinistra, i tre notarono una porta scorrevole in stile giapponese, la stanza del Maestro Splinter. Accanto ad essa, la cucina aperta e i pochi gradini che portavano al bagno. Sulla destra invece, notarono una bella porta in legno massiccio, faceva capolino in mezzo alle pareti in cemento ed era l’unica parte del rifugio che non conoscevano, probabilmente era stata costruita in seguito. *(1)
“Non mi sembra vero, sono davvero qui!” gridò Luca infilandosi nell’ambiente. Si era messo a girovagare per tutto il perimetro della vasca, facendo correre  lo sguardo su ogni oggetto che entrava nel suo campo visivo.
“Luca, non sei in casa tua! Si sono sentiti spiati abbastanza, smettila di curiosare!” lo riprese la ragazza, ma il dodicenne la ignorò facendo spallucce.
“Lascialo fare, ormai sapete tutto di noi.” Proferì Mick.
“Certo che hai dei toni da mammina apprensiva, come fanno Luca e Marco a sopportarti? Sei peggio di Leo!” proferì sarcasticamente Raf.  
“Essere paragonata a Leonardo non mi disturba affatto Raffaello. Se volevi infastidirmi, non ti è riuscito.” Disse lei.
“Saccente e superiore, una sua versione al femminile! Devo aver fatto qualcosa di grave nella mia vita precedente, se mi ritrovo ad avere a che fare anche con te!”
“Naaaaa, basta quello che fai in questa vita fratello, te lo posso assicurare!” lo punzecchiò Mick.
Luca si fiondò davanti al televisore dell’arancio e cominciò a sbirciare tra i videogiochi. Una presenza dagli occhi gialli e dal pelo aranciato, soffiò inarcando la schiena. “Klunk!” esclamò Luca vedendolo sul divano, probabilmente lo aveva svegliato da un pisolino.
Il ragazzino allungò una mano per fargli una carezza, ma il gatto si allontanò con stizza, per poi strusciarsi sulle gambe del padrone. “Che maleducato! Bisogna presentarsi alle persone nuove.” lo ammonì Mick prendendolo in braccio.
Marco guardava la palla di pelo ronzante di fusa con curiosità “Vuoi accarezzarlo?” gli chiese. “Nono!” si rifiutò il diciannovenne facendo un paio di passi indietro.
“Mio fratello non ama molto gli animali, ne ha paura.” Spiegò Nadia avvicinando una mano a Klunk per farsi annusare; il micio dopo quel gesto, strusciò la testolina sul dorso della ragazza con aria soddisfatta. “Lo sai Klunk? Adesso che ti vedo cresciuto, sei più bello di prima!” esclamò lei.
Afferrò con dolce fermezza la mano del fratello e anche se con difficoltà, riuscì ad avvicinarla un po’ al gatto; questi annusò e fece un miagolio. Marco si sottrasse subito dopo, adesso il gatto conosceva il suo odore e il giovane si era reso conto che non era aggressivo, ma era ancora troppo presto per fidarsi.
Mick osservò la scena con un sorriso; come aveva già visto, Nadia cercava sempre di portare il fratello a fare cose nuove, di aiutarlo a conoscere e a sperimentare, ed era un modo di fare che gli piaceva molto.
“Ben arrivati ragazzi!” li salutò Don uscendo dal laboratorio insieme a Leo. Marco incrociò lo sguardo del genio e fece un sorriso.
“Vedo che Mick e Raf si sono fatti scoprire…” proferì il leader con una nota d’ironia.
“Non è colpa loro, sono un figo assurdo adesso che ho questi poteri!” esclamò Luca rincorrendo Klunk sceso dalle braccia di Mick. “Come vedi, non è solo sveglio. Aggiungi modesto, alla lista degli aggettivi per mio cugino.” Proferì Nadia all’orecchio dell’arancio.
“Buon pomeriggio connettori. Prego, entrate nel Dojo, inizieremo subito con l’allenamento.” Asserì il Maestro Splinter.
Era sull’uscio della porta in legno che avevano notato appena entrati. I tre si avvicinarono e diedero uno sguardo all’ampia sala circolare in legno. L’ambiente era illuminato da alcune candele e dai lucernai posizionati sopra le loro teste, tutto sembrava studiato per mantenere alta la concentrazione senza affaticare i sensi. Anche l’ odore d’incenso e cera era ovattato in quel luogo, dando un senso di pace.
Nadia si tolse le scarpe per rispetto e imitata dalla sua famiglia, si introdussero nella stanza. Il Maestro guardò i suoi figli e socchiuse l’anta alle loro spalle.
“Mi spiegate perché il Sensei ha preferito occuparsi da solo del primo allenamento? Non ci ritiene all’altezza?” chiese Raffaello.
“Vuole capire le carenze dei ragazzi senza metterli sotto pressione. Non prenderla sul personale.” Rispose Leo.
“In fondo, siamo o non siamo i loro eroi? Sfido che si sentano a disagio!” proferì divertito Mick.
“Fratelli, vogliamo tornare alle cose importanti?” chiese Don alzando il rilevatore Utrom e indicando il laboratorio.
“Hai finito?” chiese Leo.
“Certo, che domande!”
Si introdussero nel laboratorio, le attrezzature e il computer erano in funzione da diverse ore; tutto era posizionato in circolo, adeso al pilastro di sostegno che occupava la zona centrale della stanza.
I quattro si sfilarono la parte superiore della tuta nera, mettendo in risalto i piastroni che delineavano la muscolatura ormai adulta. Il genio si concentrò ancora una volta sui chip che lo avevano tenuto impegnato per mesi.
“Come sapete, questi piccoli circuiti terranno sotto controllo il nostro organismo.” Proferì inserendo il primo nella siringa. “Li ho dotati di un sistema di rilevamento: se dovessimo perderci di vista o essere catturati, il rilevatore Utrom intercetterà facilmente il segnale, oltre alla capacità di controllare la presenza di elementi estranei.”
“Quindi, se il Nemico dovesse infettarci lo sapresti subito?” chiese Leonardo porgendogli il braccio destro.
“Esatto. Sono progettati per segnalare problemi fisici o psicologici, al primo cambio nei nostri parametri vitali si illumineranno avvertendoci del problema. Oggi ho contattato Mortu, mi ha dato altre informazioni e ho modificato ulteriormente i chip: il Nemico può rimanere dormiente nel corpo ospitante per mesi, ma emana delle onde molto simili a quelle dei ragazzi, con questi microcircuiti saremo sicuri di scoprirlo: se dovessimo imbatterci in lui o in qualcuno sotto il suo controllo, manderanno un impulso al rilevatore Utrom.” Concluse il genio sfilando l’ago dalla pelle verde del leader e sostituendo la siringa.
“Sei riuscito a capire come funzionano le frequenze?” chiese Raf porgendo anche lui il braccio.
“Le loro caratteristiche non sono rilevabili dalle mie attrezzature, ma credo di aver  intuito una cosa importante: se il connettore individua il motivo della perdita di controllo, riesce a gestire parte dei poteri e le frequenze corrispondenti.”
“Perché solo una parte?” chiese Mick con il viso contratto nel vedere Don dirigersi verso di lui, non amava molto le siringhe.
“Credo che dipenda da quanto un connettore si conosca: la perdita di controllo mette in evidenza le stereotipie di cui parlava Nadia. Solo individuando quei blocchi o capendo che ci sono, il soggetto riesce a controllarsi.” Il viola si stava sottoponendo alla stessa procedura. Adesso, tutti e quattro avevano una piccola macchia sul braccio destro, nello stesso punto in cui i connettori avevano i loro chip; Mortu aveva rivelato a Donni, che quella era la zona migliore per permettere al piccolo marchingegno di funzionare in modo ottimale.
“Vediamo come procede il primo allenamento e poi decideremo cosa fare, sia con la scoperta dei loro poteri, sia con le sincronizzazioni. Il Maestro avrà una sua opinione dopo stasera.” Asserì il Leader sistemandosi nuovamente la giacca kimono. Si stava domandando come si sarebbero potuti comportare. Tutti gli aspetti della situazione erano collegati e non c’erano basi sicure. Nonostante la meditazione insegni a concentrarsi sul presente, vedere quello che c’è e non quello che non si ha, per il leader era difficile farlo. Voleva chiarirsi le idee il prima possibile, ma la situazione richiedeva attesa, tempo; ancora una volta doveva avere pazienza, ma cominciava ad averne sempre di meno, nonostante fosse stato per anni quello con maggiore controllo.
“Una cosa però è certa…” riprese a parlare il genio sistemandosi le lenti. Appoggiato alla sedia con rotelle, si diede una spinta scivolando vicino all’enorme schermo del computer. Inserì il rilevatore Utrom in una porta di collegamento e sullo schermo apparvero le riprese della sera prima, studiate nei minimi dettagli: schemi delle funzioni vitali, algoritmi e calcoli, contornavano la figura di Luca.
“Vedete le implicazioni che le frequenze comportano nell’organismo di chi le emana?”
“No.” Risposero in coro i tre. “Solo tu riesci a capirci qualcosa in quel… marasma!” proferì Raf.
Don alzò gli occhi al cielo esasperato “Secondo il rilevatore, le frequenze sono come onde elettromagnetiche potenziate cento volte del normale. Vagando libere nell’organismo, hanno portato la temperatura corporea di Luca ad aumentare in modo vertiginoso e con la seconda dimostrazione di poteri ha subito una specie di sovraccarico, causandogli il mal di testa e quella piccola emorragia. Se la sincronizzazione funziona allo stesso modo, potremmo rischiare parecchio: potrebbero causarci dei danni o stimolare lo sviluppo di cellule cancerogene. Ma sono solo ipotesi, loro sono sprovvisti dei corpi originali e noi siamo dei mutanti; ci sono troppe variabili, ho bisogno di studiare il processo da vicino.”
“Fantastico, oltre alla scocciatura di dover permettere a tre sconosciuti di ficcare il naso nelle nostre teste, dovremo anche rischiare un cancro o chissà quale fregatura!” esclamò stizzito Raffaello.
“Che ne dite se propongo ai ragazzi una dimostrazione con me?” chiese Mick. “Prima o poi, dovremo fare un tentativo e sono curioso di provare.”
“Mi sorprendi fratello. Di solito sei un fifone, come mai tanto spavaldo?” fece Raf sogghignando.
“Semplice, non sono preoccupato…” rispose facendo spallucce.
“Nessuno ti costringe, se cambi idea lo farò io.” Asserì Leonardo.
“Non mi sento costretto, a me non fa alcuna differenza. Se non ci siamo beccati un cancro finora, non sarà questo a farlo e poi…ho la testa vuota, al massimo non succederà niente.” proferì ironicamente, chiudendo la cerniera della tuta.
……
Luca, Marco e Nadia, stavano cercando di ripetere per l’ennesima volta la sequenza dei kata mostrata dal Maestro. Erano gesti finalizzati alla difesa: parate con le braccia, schivate e calci raso terra per far perdere l’equilibrio all’avversario.
L’allenamento era iniziato con il fine di potenziare la struttura muscolare: flessioni, addominali e qualche esercizio di stretching; era evidente quanto Nadia e Marco fossero poco abituati a certi sforzi: avevano i visi rossi, affaticati e grondanti di sudore.
Successivamente si erano dedicati alla meditazione. In quel caso, era stato Luca ad avere degli evidenti problemi: non riusciva a mantenere la concentrazione, distraendosi e sbuffando dopo pochi minuti. Nadia se l’era cavata meglio e Marco secondo il Maestro, era quello che aveva mantenuto più a lungo il legame con se stesso.
Osservandolo, Nadia e Luca vedevano il solito Marco saltellante, ma Splinter aveva intuito qualcosa di diverso: i suoi gesti ripetitivi servivano ad analizzare la realtà in modo più profondo, tanto da distaccarsi da tutto. Quei blocchi erano dovuti alla poca relazione con l’esterno, ma erano dei vantaggi ai fini della meditazione, non carenze.
Li aveva guidati con molta pazienza, nonostante le varie difficoltà di Nadia, la diffidenza di Marco, l’eccessiva intraprendenza di Luca; le differenze di apprendimento, i punti forti e le carenze erano palpabili, ma la cosa che più aveva colpito Splinter era la caparbietà. Erano probabilmente alla cinquantesima ripetizione, cominciavano ad essere stanchi, ma stavano memorizzando con sempre più velocità senza rallentare.
“Va bene connettori, passiamo all’ultima fase dell’allenamento.” Asserì colpendo il pavimento con il bastone. I tre ripresero fiato nel momento di pausa, mentre il saggio topo sistemava alcuni tubi di bamboo nella sala.
“Questa parte dell’allenamento è importante. Quali sono le doti fondamentali per essere un buon ninja?” chiese una volta terminato il percorso.
“Ce ne sono tante: la furtività, muoversi nell’ombra senza essere visti; la conoscenza del proprio corpo, delle armi e del terreno di scontro; la pianificazione, senza un buon piano e un’adeguata preparazione non si hanno possibilità; la combattività, senza capacità d’attacco si finisce esclusivamente col subire; l’agilità e l’imprevedibilità, per uscire dalle situazioni più scomode.” Disse Nadia.
“Molto bene, ma ne manca ancora una, forse la più importante.”
“L’equilibrio!” esclamò Luca. “Se un guerriero non ha equilibro, le altre doti diventano punti deboli.”
“Esatto. Ognuno di noi necessita di equilibrio, interiore e fisico. Per mettervi alla prova, farete questo percorso. Nadia, tu sarai la prima, memorizza i miei movimenti…”
Il Maestro saettò sul primo dei tubi, alto all’incirca un metro e mezzo. Con un paio di evoluzioni, saltò sul secondo con una mano mettendosi in verticale. Con un movimento fluido del gomito per darsi slancio, arrivò sul terzo alto più di due metri. Nonostante l’età, la padronanza e l’agilità dimostrata aveva dell’incredibile, vedere dal vivo certe evoluzioni non era paragonabile alle immagini televisive. Con un ulteriore evoluzione arrivò a terra, rivolgendo uno sguardo compiaciuto ai tre. Per tutto il percorso avevano osservato con gli occhi illuminati, memorizzando tutto.
Al Maestro non sfuggì l’espressione tesa di Nadia. “Auguri!” disse Luca con ironia alle spalle di lei. “Sempre simpatico!” ribatté. Prese la ricorsa e saltò sul primo dei tubi vacillando vistosamente. Tentò di saltare sul secondo, ma rovinò a terra di faccia “Ahio!”
“Pffffhahahahaha!” dall’esterno del portone, arrivò una risata “Ssst!!!” sussurrarono altre tre voci.
Il Maestro si diresse verso l’uscio con furtività e l’aprì di botto. “Ohoooo!” “Ahio!” “Ahi!” “Attenzione!” Mick, Raf, Don e Leo, accucciati dietro all’uscio socchiuso, caddero a terra uno sopra l’altro.
“Ragazzi miei, vi avevo chiesto un po’ di riservatezza!” li rimproverò Splinter “La vostra curiosità rischia di compromettere l’allenamento!”
I quattro si scambiarono uno sguardo, la curiosità aveva preso il sopravvento. Don e Leo erano quelli più in imbarazzo, ma Mick e Raf stavano guardando la ragazza ancora a terra divertiti.
“Vi è piaciuto lo spettacolo? Nadia ha del potenziale come clown!” esclamò Luca. Marco stava aiutando la sorella a rialzarsi. “Ehi!” esclamò imbarazzata. “Ci devo ancora prendere la mano!”
“Seee, con le tue capacità forse tra dieci anni, guarda come si fa!” il ragazzino riposizionò i tubi, si allontanò e prese la rincorsa. Saltò verso il primo e atterrò senza problemi; non fece le stesse evoluzioni del Maestro, ma riuscì a portare a termine il percorso. Saltò giù con rapidità e guardò il gruppo con il suo sorrisetto strafottente. “Hai capito come si fa, imbranata?”
“Sei un ragazzo spavaldo Luca, per tutto l’allenamento mi hai dato questa impressione, ma con l’arrivo dei miei figli la cosa si è resa ancora più evidente. Ricorda: essere dei ninja significa anche saper valutare attentamente la situazione, senza lanciarsi influenzare da chi ci circonda.” proferì il Maestro massaggiandosi la barba.
“Emuli Raf anche nel buttarsi in ogni cosa senza pensare! I difetti di mio fratello puoi anche ignorarli.” proferì divertito Leo.
“E chi ha detto che si tratta di difetti? A star fermo posso solo subire, agendo sono padrone di me stesso.” Rispose Luca allontanandosi.
“Non gli farai cambiare idea…” proferì Nadia a Leo “Se assomiglia a Raf anche nella cocciutaggine, non ci provo nemmeno.” Rispose.
“Marco, che ne dici di provare?” chiese il Maestro, invitando il ragazzo ad avvicinarsi. L’espressione del giovane era tesa, ma si lasciò condurre vicino al percorso e osservò per qualche minuto il lungo bastone con aria concentrata e dubbiosa. Sembrava bloccato, indeciso se provare o rifiutarsi, le due opzioni sembravano martellargli il cervello: apriva e serrava gli occhi chiudendosi il petto in una morsa.
“Maestro…” proferì a mezza voce Don avvicinandosi al padre “Non crede che sia troppo presto? Se dovesse fallire, potrebbe chiudersi…”
“Apprezzo la tua premura figliolo, ma se gli facessimo fare cose diverse rispetto ai suoi familiari, lo faremmo sentire un’incapace. Voglio che si renda conto che può fare le stesse cose, a modo suo e non come ci aspettiamo, ma ci può riuscire.”
Come se il diciannovenne lo avesse sentito, gli occhi blu divennero di un bianco luminoso. Nadia si irrigidì e fece un passo nella sua direzione, temeva che il fratello si facesse del male, come Luca la sera prima.
Leo la bloccò appoggiandole una mano sulla spalla “Non ti preoccupare, sa quello che sta facendo e non gli importa delle conseguenze. Vuole mettersi alla prova.” Lo sguardo di Marco era convinto e deciso; per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, il leader vide un ragazzo padrone di se.
Il diciannovenne si sollevò in aria e appoggiò le palme dei piedi sulla cima del primo tubo. La figura esile era perfettamente in equilibrio, il bamboo non oscillava minimamente. Osservando di fronte a se, piegò le ginocchia e si diede lo slancio iniziale, fece un paio di capriole e atterrò in una perfetta verticale sul secondo trampolo. Spostò una mano e rimase perfettamente in equilibrio su quella che ne sosteneva il peso. Mantenendo la concentrazione, piegò il gomito e si diede lo slancio per atterrare sul terzo. Si accucciò su di esso per prendere fiato e osservò i presenti con un sorriso, sembrava dicesse -Avete visto? Ci sono riuscito!-  con un balzo, ritornò a terra.
“Wow!” esclamarono Mick e Luca in coro. Tutti i presenti era sgomenti, solo il Maestro e Leonardo erano sereni, come se non avessero mai avuto dubbi sulla riuscita.
Luca si voltò verso la cugina entusiasta, pensando lo fosse anche lei, ma la trovò con un’espressione completamente differente: aveva una mano sulla bocca, il viso sorpreso e gli occhi rossi. Si stava trattenendo dal piangere, per anni aveva visto il fratello rifiutarsi di fare qualsiasi cosa, era una gioia troppo forte vedergli compiere quel gesto; ma non voleva nemmeno farsi vedere in difficoltà, quindi rimaneva immobile, trattenendosi perfino dal respirare.
Cercando di non essere visto, il dodicenne le strinse una mano per supportarla.
“Come siamo teneri, ragazzino.” Proferì sarcasticamente Raf, mentre Nadia e il resto della famiglia Hamato si dirigeva verso Marco. Il diciannovenne non aveva riportato conseguenze dalla seconda manifestazione di poteri e Don voleva capire il perché.
“Non prendermi per il culo Raf! Sono un tipo permaloso e non ti conviene farmi incazzare!” rispose infastidito Luca.
“Rilassati, non ci tengo a vedere casa nostra distrutta.” disse alzando le mani in segno di resa e sfoderando il suo solito ghigno.
Si erano ritrovati entrambi a parlare sottovoce, come se quella conversazione dovesse essere impercettibile agli altri.  
“Mi hai sorpreso. Vi conosco poco, ma non mi sembra da te essere così premuroso. E tua cugina mi sembra indipendente, non credo abbia bisogno di…certi atteggiamenti.” Era in difficoltà, non sapeva come definire il gesto di Luca.  
“È proprio questo il punto. Nadia non dice mai se ha un problema, si tiene tutto dentro pur di non dare fastidio. Non posso fare molto, ma quando capisco che ha bisogno di qualcosa, il mio poco è meglio di niente.”
“Hai davvero dodici anni?” chiese il rosso.
“Ma che domanda è? Certo!”
“Da come parli non sembra, sei maturo per la tua età.”
“A stare con Marco cresci alla svelta. Anzi, cambi alla svelta!” esclamò il più piccolo. Il rosso alzò un angolo della bocca, quel ragazzino aveva dei modi sorprendenti: maturi e ingenui allo stesso tempo.
“L’allenamento di oggi è concluso.” Asserì Splinter portando il silenzio tra i presenti. “Per non sforzarvi troppo, propongo di fare gli allenamenti a giorni alterni, affidandovi ai miei figli per colmare le vostre carenze: Leonardo vi insegnerà la disciplina e la meditazione, Donatello la tattica e la pianificazione, Raffaello la combattività e la forza, mentre Michelangelo la rapidità e l’imprevedibilità. Ognuno di voi ha delle carenze specifiche: Nadia, fai fatica ad attaccare, sei prevedibile e perdi la concentrazione quando più ne hai bisogno; Luca, come ti ho detto sei troppo avventato, non sai cosa sia la pianificazione e nella meditazione sei più distratto di tua cugina; Marco, la tua forza fisica non è sufficiente e manchi di disciplina a livello autonomo, se non ti viene detto cosa fare ti blocchi. Ognuno dei miei figli può esservi d’aiuto.”
Le tartarughe e i tre lo ascoltarono attenti, nessuno aveva da ridire e l’idea di allenarsi su aspetti differenti era sensata. “Tra un allenamento e l’altro, credo dovreste concentrarvi sulla scoperta dei vostri poteri e sulle sincronizzazioni.” Concluse il Maestro.
“A proposito di questo…” s’inserì Mick. Spiegò quello che lui e i fratelli si erano detti nel laboratorio, dei chip, delle informazioni mancanti e della sua intenzione di sottoporsi per primo alla sincronizzazione, permettendo a Don di osservarne gli effetti.
“Mi sembra perfetto!” esclamò Luca. “Un momento…” ne bloccò l’entusiasmo Nadia “Non sappiamo che tipo di conseguenze a livello emotivo si possano presentare. Noi tre non abbiamo avuto problemi perché già uniti dalla relazione familiare, ma con voi potrebbe essere diverso. Si creano dei legami sottili e indelebili durante la sincronizzazione, me lo ha spiegato Mortu stamattina. Dovremmo capire meglio come funziona, prima di coinvolgervi…”
“Non abbiamo alternative. Capire razionalmente quello che stiamo facendo è fondamentale.” Asserì Don.
Nadia lo guardò seria “Non è sempre necessario Donatello, la razionalità, capire e avere le idee più chiare su quel che è stato fatto viene alla fine. Prepararsi è utile, ma come sai non si può prevedere tutto.” Si voltò verso il più giovane dei fratelli “Sei proprio sicuro di volerlo fare Michelangelo?”
“Hai per caso paura?” chiese l’interpellato con un sorrisetto divertito. “Sai, parlare di legami sottili e indelebili, può essere preoccupante! Non oso immaginare in che guaio potremmo finire!” Proferì con ironia; la stava punzecchiando di proposito, non ci vedeva niente di pericoloso nel creare un qualche tipo di rapporto tra di loro, anzi, dovevano facilitarli per la riuscita della missione. Nelle parole di Nadia vedeva solo delle assurde preoccupazioni senza fondamento.
La giovane lo squadrò infastidita “Io non ho paura, sono solo prudente…”
“Considerando i sogni che hai fatto di recente, non sarebbe strano avere paura di entrare in contatto con loro…” cominciò ad insistere anche Luca. I quattro fecero un’espressione dubbiosa, a cosa si riferiva?
“Non ti ci mettere anche tu per piacere. E poi i sogni non c’entrano nulla.” negò ulteriormente lei.
“Non so a cosa vi riferite, ma è evidente che hai paura Nadia. Non ti facevo tanto fifona!” esclamò Mick, Nadia lo guardò decisamente alterata.
“Come vuoi Michelangelo, dato che sono l’unica a non aver ancora manifestato nessun potere e voglio rendermi utile, farai la sincronizzazione con me! Non siamo certi delle conseguenze e non ho intenzione di mettere nei guai Luca o Marco.” asserì afferrandogli uno dei polsi.
Mick si stava già pentendo delle sue parole: un brivido gli percorse la schiena e iniziò a deglutire con nervosismo, mentre veniva trascinato dalla ragazza lontano dal gruppo.
Don afferrò il rilevatore e si preparò, osservato attentamente da tutti i presenti; soprattutto da Marco, appoggiato alla sua spalla con il mento per vedere meglio.
I due si portarono al centro del Dojo, uno di fronte all’altra. Lei allungò la mano destra e fece scorrere le dita sulla superficie della tuta che ricopriva il piastrone. Mick si irrigidì vistosamente, quel tocco era tiepido, delicato, piacevole, anche troppo.  
Una volta trovato il battito, la giovane posizionò il palmo sul cuore e lo guardò negli occhi. “Tra Luca, Marco e me non è necessario del contatto fisico, ma per facilitare il fluire delle frequenze tra noi due sarà necessario: nella zona dello sterno c’è il quarto chakra, quello legato all’empatia.*(2) Marco l’ha indicato ieri sera, quando ha sentito quello che stava provando Donatello; deduco che dobbiamo permettere alle onde che ci caratterizzano di sincronizzarsi con questo punto. Fai come me.” Spiegò Nadia.
“C-cosa dovrei fare?” chiese dubbioso, si era perso a metà del discorso.
“Devi appoggiare la mano sul mio cuore.” chiarì brevemente indicando il punto in mezzo ai seni, leggermente verso sinistra.
Mick sgranò gli occhi “Lì? Devo appoggiare la mano…lì?” Con tutti i contatti fisici possibili, quello era ciò che Mick si augurava meno.
Hai per caso paura?” chiese ironicamente, ripetendo la frase che lui aveva usato per prenderla in giro. Senza dargli il tempo di ribattere, Nadia afferrò la mano e con delicatezza se la portò sullo sterno. L’arancio tentò di scacciare la sensazione piacevole, ma era difficile farlo se non poteva allontanarsi. E poi c’erano gli altri ad osservare, non voleva far intendere che era in difficoltà.
“Se vogliamo che funzioni in entrambi i sensi, devi concentrarti su qualcosa che vuoi conoscere di me, vedrai che le frequenze faranno il resto. Sei abituato alla meditazione e non è molto diverso: è come entrare in trance, devi affidarti al tuo istinto. Guardami negli occhi e tenta di trovare la risposta alla tua domanda dietro alle mie iridi.” Mick non proferì parola, si limitò a fare un segno affermativo con la testa.
Seguendo le istruzioni, si perse nelle tonalità cangianti degli occhi, il marrone era il colore predominante, distingueva delle striature verdi lungo i bordi esterni e piccole linee blu e grigie vicino alla pupilla. Fissandone il nero profondo, si sentì percorrere da una vibrazione, fresca e scrosciante come una cascata che scivola in tutte le pieghe del corpo.
Gli occhi di Nadia presero il colore dell’acqua marina e anche quelli di Mick si illuminarono, prendendo i toni aranciati del tramonto. Gli spettatori si irrigidirono vedendo emanare dal mutante quel particolare colore dagli occhi.
Le due figure si sollevarono di qualche centimetro dal suolo, avvolti completamente da una luce bianca, innaturale, tiepida e accogliente, come quella provata sulla navicella Utrom.
La luminosità si intensificò, segno che la sincronizzazione era iniziata.

 
Zona dell’autore:

Buon 2017 a tutti!
Per cominciare l'anno come si deve, sono tornata con un nuovo capitolo, spero che vi sia piaciuto.
Forse sono troppo lenta nelle descrizioni e nel portare avanti la trama, ma mi piace soffermarmi a spiegare il più possibile. Se divento noiosa e rallento il ritmo, fatemelo sapere. Non riesco a capire se faccio bene o male.

*(1) per la rappresentazione del rifugio, mi sono ispirata alla tana della serie Back to the siwer, essendo l’ultima. Ho immaginato l’ambiente nel modo che ho descritto, perché durante le puntate animate si lascia molto spazio all’immaginazione.
L’esigenza di chiudere il laboratorio di Don è solo un ulteriore elemento che fa capire la chiusura a cui il genio si è sottoposto nei mesi precedenti.
Ho immaginato che le porte che si intravedono sopra alla piattaforma di Don, fossero le camere dei quattro. Dato che con il tempo ognuno cerca di rendere personale il proprio spazio, ho dato questa interpretazione dei quattro usci. Più avanti ci saranno dei chiarimenti su ogni oggetto o scritta.
La scelta di avere uno spazio in cui allenarsi mi sembrava indicata e dato che nella serie animata non si è mai fatto cenno ad essa, l’ho inserita io.
Spero di non essere stata scontata nel descrivere o immaginare il rifugio e che vi siano piaciute le mie idee.

*(2) il riferimento ai chakra è nato da un’esigenza, dovevo dare un luogo fisico in cui risiedono parti della nostra personalità e riferirmi alla meditazione mi sembrava d’obbligo. Il quarto chakra si chiama Anahata, Centro del Cuore. È quello collegato all’amore e all’empatia, l’integratore degli opposti nella psiche, equilibra le sensazioni esterne ed interne. È un argomento molto ampio e combattuto quello dei chakra, non sono certa di spiegarlo come si deve o di sfruttarlo nel modo giusto, ma spero di dare un’idea della vastità dell’argomento.

Ringrazio ancora chi mi sta leggendo, se ci sono dei punti non chiari fatemelo sapere.
Alla prossima!

Mellybonf.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > TMNT / Tartarughe Ninja / Vai alla pagina dell'autore: Mellybonf