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Autore: Sacapuntas    12/01/2017    0 recensioni
Sin dal giorno in cui il suo sangue si è mescolato agli scoppiettanti carboni ardenti, Eric Coulter ha la reputazione di essere il ragazzo più spietato, rude, indifferente e gelido della suo nuova Fazione. La sua fama lo precede, ma la cosa non sembra disturbarlo minimamente, e si gode i suoi vantaggi da Capofazione in completa solitudine. Ma a volte basta solo una parola di troppo, un profumo particolare e due grandi occhi ambrati per stravolgere e riprogrammare la mente di qualcuno.
Sentitevi liberi di aprire, leggere e, se la storia vi appassiona, lasciare una recensione, mi renderebbe davvero felice!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7 - Il Giorno delle Visite





Il Pozzo brulica di iniziati e delle loro famiglie, ed un coro di risate e chiacchericcio indistinto si solleva dal fondo della Residenza. L'ampio spiazzo sotto di me è abbondantemente illuminato dalla luce del sole, che filtra attraverso il soffitto di vetro soprastante. Dev'essere una bellissima giornata primaverile, là fuori, nonostante stanotte stessi congelando.
La prima iniziata che noto, più che per la sua stazza che per altro, è Alice, la Pacifica, che sta gesticolando cercando di spiegare qualcosa ad un uomo di mezza età, vestito con una camicia di flanella arancione sbottonata -dubito che riuscirebbe a chiuderla, con quel fisico- e jeans da lavoro sporchi di terra. È molto alto, con gli stessi lineamenti della figlia, che sul suo viso piccolo lo fanno assomigliare ad un roditore. Sua madre è una donna sorprendentemente magra e bassa, porta una maglietta leggera che un tempo doveva essere di colore rosa, e ha gli scuri capelli corti arruffati come un groviglio di lana nero sulla testa. La donna stringe la mano ad una bambina sui dieci anni, uguale al padre, che si guarda intorno spaventata, scuotendo i capelli a caschetto come se fossero una trottola impazzita.
Faccio vagare lo sguardo da una parte all'altra del Pozzo, cercando di pescare qualche volto conosciuto. Jonathan è in un angolo, un po' più distante dagli altri iniziati, e sta parlando con i suoi genitori, due Intrepidi dall'aria vagamente familiare. Sua madre, una bella donna dai capelli castani -con qualche ciocca di viola- alta e snella come il figlio, allunga una mano verso la sua guancia, dove ancora si vedono i lividi che il combattimento contro Elizabeth gli ha procurato. L'iniziato allontana la carezza della madre con un gesto abbastanza brusco della mano, ma questo non fa altro che mettere in evidenza la fasciatura che gli stringe l'indice sinistro, e sul volto della madre vedo apparire delusione e preoccupazione, miste in un'espressione fredda e distaccata.

Non molto lontano individuo Samuel, che è appoggiato al muro di pietra con le braccia incrociate. Sta parlando con qualcuno che riconosco come suo fratello, un ragazzo più alto e più magro di lui, le spalle larghe come quelle del fratello minore, e dai capelli biondo scuro che formano una massa informe di riccioli. Ha la mascella squadrata e i lineamenti marcati, e anche da qua in alto posso vedere che Samuel è invidioso del suo bell'aspetto. Il fratello, invece, non sembra esserne al corrente, neanche dopo aver visto delle ragazze Intrepide -e non- che lo fissavano come se se lo volessero divorare con gli occhi. Dovrà avere una ventina d'anni, e immediatamente il colore nero dei suoi vestiti cattura la mia attenzione. Suo fratello è un Intrepido, mi dico, e cerco di sforzarmi di ricordare il suo volto in palestra o nel centro di controllo. Dovrebbe chiamarsi Stephan, Steven, Simon, un nome del genere. Devo averlo visto qualche volta in mensa, oppure durante una delle tante feste che gli Intrepidi organizzano. Se fosse stata una persona importante, sicuramente, me ne sarei ricordato. Molto probabilmente mi ha parlato soltanto qualche volta l'anno scorso.
Potrei sforzarmi ancora di più, se una piccola macchia nera non avesse catturato la mia attenzione e avesse bloccato i miei pensieri.
Elizabeth sta girando l'angolo di uno dei tunnel che conducono al Pozzo, indossa una canotta nera che mette in risalto la muscolatura delle braccia e dei jeans scuri, tenuti su da una cintura dello stesso colore. Ha i capelli sciolti e l'espressione guardinga, e mi sorprendo a pensare che è davvero una bella ragazza, anche con quello sguardo avveduto che ha come stampato in viso in ogni occasione. Anche se è così piccola di statura (non sembra essere diventata più alta, solo più forte), con una semplice falcata riesce a far impallidire tutte le ragazze presenti nel Pozzo che, quando la notano, sono sia intimidite dal suo sguardo tagliente, sia invidiose dell'attenzione che riesce ad attirare senza volerlo.

Cerca Samuel con lo sguardo, ma appena Stephan -sono abbastanza sicuro che sia questo il suo nome- la nota, interrompe la sua conversazione con il fratello e la chiama a gran voce. Elizabeth è visibilmente sopresa, ma la sua espressione non muta, se non per un sincero sorriso che si sta allargando sulle sue labbra. Stephan le fa segno di raggiungerlo, e la ragazza si guarda di nuovo intorno prima di avvicinarsi all'Intrepido. Non appena è abbastanza vicina, il ventenne se la stringe al petto e la solleva, scuotendola con affetto come se fosse un pupazzo di pezza. Elizabeth è presa così alla sprovvista che lancia un flebile gridolino di sorpresa. Vedo Samuel fulminare il fratello con lo sguardo e stringersi ancora di più nelle spalle, come se volesse sparire all'istante.
Stephan la posa a terra e apre le braccia ad indicare l'intera figura della ragazza, come a dire "Ma guardati, come sei cresciuta!", e vedo Elizabeth rivolgergli un sorriso imbarazzato in risposta. Stephan le mette un braccio intorno alle spalle, avvicinandola a se, e ritorna a parlare col fratello; probabilmente quella dimostrazione d'affetto così esplicita non dev'essere un gran problema per l'Intrepido come lo è per la piccola ragazza. O per Samuel.
Mi rendo conto che sto aggrottando la fronte e che ho la mascella serrata, prima di rendermi conto di una sensazione che non avevo mai provato prima d'ora. È come se qualcuno stesse scavando con una pala nel mio stomaco. E mi rendo conto troppo tardi che sono geloso di Elizabeth.
Ecco, l'ho detto, ma non lo ripeterò ancora. E la cosa che mi fa arrabbiare di più è che lei lo sa, ma non sembra più preoccuparsi di me. Non da quella sera nel mio appartamento, almeno. L'ho innervosita così tanto che ora sembra che per lei non sia mai esistito.
Ieri, in mensa, ho notato che non mi rivolgeva neanche uno sguardo distratto come faceva i primi giorni, impegnata com'era in una conversazione con Quattro e due altri Eruditi. Ed io, al contrario, la fissavo più spesso di prima. Da una parte mi sentivo sollevato, perchè non mi stava più studiando come una macchina, ma d'altra parte non approvavo la sua scelta di ignorarmi completamente. Forse non è una scelta, mi dico, probabilmente non ti vuole parlare più e basta.
Scaccio via quel pensiero.

Vedo le altre ragazze, mi pare di riconoscere Vivienne che parla con la sua compagna: sono le uniche ragazze fra gli iniziati, oltre a Elizabeth e Alice. Sembrano infastidite dal fatto che Stephan stia dedicando tutte le sue attenzioni alla piccola Candida senza troppe forme, invece di badare a loro due, che sono alte e hanno gambe chilometriche che farebbero impazzire qualsiasi Intrepido. Vivienne porta i capelli neri e corti che le arrivano poco sopra le spalle, incorniciando il suo viso tondo che ora ospita un'espressione accigliata. Mi pare che la sua compagna si chiami Maureen, una ragazza dalla pelle color miele e dai capelli lunghi con le punte tinte di bianco. Entrambe hanno un tatuaggio su un braccio, ma da questa distanza non riesco a riconoscerne la forma. Sembra una specie di corvo, oppure un cane deforme.
Colgo un movimento con la coda dell'occhio, e vedo che Elizabeth si è divincolata con discrezione e destrezza dall'abbraccio di Stephan, sotto lo sguardo compiaciuto di Samuel -e il mio-. Lei si avvicina al Candido e gli mormora qualcosa sottovoce, dopodichè gli accarezza la spalla e fa per andarsene, confondendosi fra la folla brulicante che invade il Pozzo, ma Stephan la trattiene per un braccio e le scompiglia i capelli con una mano, facendole risalire una risata dallo stomaco. Le dice qualcosa, ma lei si è già diretta altrove.

Elizabeth cerca qualcuno con lo sguardo dopo essersi allontanata, ed io seguo i suoi movimenti attenti, spostandomi su un lungo sentiero in rilievo scavato nella roccia che sovrasta il Pozzo. Non appena i suoi occhi si inchiodano su una figura maschile appoggiata al muro, scansa la gente senza perdere la sua espressione rattenuta e circospetta. Seguo la direzione che sta prendendo e vedo che sta puntando verso Quattro, che ora l'ha notata e si è staccato dalla parete. La rabbia mi avvampa le guance. Prima Stephan, ora il Rigido. Elizabeth gli afferra un braccio con aria ansiosa ma determinata, e gli sibila qualcosa che anche Quattro fa fatica a sentire. Lui la guarda con un'espressione quasi infastidita, ma dopo alza gli occhi al cielo e si dirige verso uno dei tanti tunnel, facendo cenno di seguirla. Penso che anche Samuel l'abbia notato, perchè ha lo sguardo duro volto nella loro direzione, ma lo distoglie subito per ritornare a concentrarsi su suo fratello, che continua a parlare ininterrotto. All'improvviso capisco di provare le stesse cose che sta provando Samuel adesso:  non voglio che Elizabeth passi troppo tempo con Quattro, specialmente dopo che ha deciso di non rivolgermi più la parola. Lui è fortunato, rifletto, almeno ha ancora la possibilità di parlarle.
Nonostante tutto, decido di non seguirli, perchè non voglio per quella Candida sia troppo esplicito cosa provo per lei. Forse perchè so che prima o poi lo scoprirà da sola,
forse perchè non lo so neanche io.

                                                                                                        ***

Do un ultimo, disperato, rabbioso, pugno al sacco da boxe, che oscilla sotto i colpi che sto tirando da oltre mezz'ora. Sono venuto qui perchè da una parte speravo di incontrarla, dall'altra perchè è da parecchio che non dormo la notte. Il non averla trovata qui mi ha quasi fatto venire voglia di andare nel suo dormitorio e svegliarla, portarla in un posto tranquillo e dirle che mi dispiace, che non avrei dovuto comportarmi così male con lei.
Ma poi mi ricordo che io sono Eric, sono lo spietato Capofazione che tutti evitano, e mi convinco che se avrà voglia di parlarmi, lo farà lei. Lo spero, almeno.
Ansimo e mi siedo per terra, afferrando l'asciugamano e passandomelo pigramente sul volto. Me lo tengo davanti agli occhi finchè il suo viso sorridente mentre parla con Samuel non scompare dalla mia mente. Vorrei poter stare così per sempre, con la stoffa che mi copre la vista, senza dover affrontare nulla. Ma sono già passati due giorni, e per Elizabeth non sono più neanche degno di uno sguardo. Non è un'esagerazione, ormai anche durante gli allenamenti si concentra più su se stessa che su quello che la circonda. Prima, si guardava in giro come se potesse essere assalita da un momento all'altro, ora, invece, tiene sempre gli occhi fissi sul sacco da boxe. Ha cominciato a chiudersi in se stessa, non parla più neanche con Samuel o Alice. In realtà continua a parlare con loro, ma non come prima. A dirla tutta, non sembra più Elizabeth senza quello sguardo curioso e pericolosamente vivace dei primi giorni, che ora è perennemente sostituito da uno duro, quasi angosciato.

Lascio cadere l'asciugamano sulle ginocchia, e quando lo scosto dagli occhi qualcosa cattura la mia attenzione. Un movimento inverosimilmente rapido, quasi impercettibile, del quale io riesco a scorgere soltanto la sagoma di qualcuno che schizza via per il corridoio parallelo alla palestra. E c'è solo un posto dove conduce quel tunnel: all'uscita d'emergenza, fuori dalla residenza degli Intrepidi.
Mi alzo di scatto e ignoro il dolore alla spalla che mi attraversa il corpo, mi fiondo fuori dalla palestra, ma il fuggitivo è già sparito, anche continuo a sentire i suoi passi in lontananza. Mi tolgo gli scarponi per non farmi sentire e mi lancio all'inseguimento di quella misteriosa figura, utilizzando il rumore delle scarpe di quel qualcuno sulla pietra del pavimento come punto di riferimeto. Nessuno scappa da qua, penso, non se ci sono io a supervisionare. Sento la maniglia antipanico dell'uscita d'emergenza che sbatte con il suo solito rumore assordante sul metallo della porta, e penso che chiunque stia cercando di fuggire abbia davvero una gran fretta. Svolto l'angolo che la porta non si è ancora chiusa del tutto, mi lancio con tutto il peso del corpo e la apro. La fredda aria notturna mi fa rabbrividire, ed il sudore sulle tempie dovuto all'allenamento di poco prima mi si congela sulla pelle.
In lontananza, vedo una piccola figura che corre via, agile come un gatto e decisa come un vero Intrepido. E so che solo una persona ha quel mix di qualità. "Elizabeth" mormoro, ed il suo nome mi si ghiaccia in gola quando sento lo sferragliare del treno che squarcia il silenzio della notte. Mi rimetto velocemente gli scarponi e la rincorro, il vento gelido che mi si incolla alla pelle come un velo invisibile. Mi sarei dovuto mettere qualcosa di più pesante, ma non è questo il momento di pensare a cose stupide come l'ipotetica polmonite che rischio di prendere. Ci separano una trentina di metri, ma io vedo comunque perfettamente i suoi capelli che fluttuano in aria e ondeggiano quando si muove velocemente, vedo la borsa che porta a tracolla e le colpisce il fianco quando corre. Ma dove diavolo sta andando?

Quando raggiunge la banchina del treno, la vedo fare uno scatto fulmineo per saltarci sopra e atterrare con tale leggiadrìa che mi chiedo chi gliel'abbia insegnato. Il treno è ancora lontano, ma posso sentire la terra tremare al suo passaggio. Faccio un ultimo sforzo disumano e atterro con molta meno delicatezza dietro di lei e, prima che se ne possa accorgere e quindi respingermi, la afferro con tutte e due le braccia per i fianchi e le blocco le braccia, impedendole qualsiasi movimento. Lei scalcia con decisione e cerca di liberarsi, ma dopo inutili tentativi si rilassa e sbuffa con un grugnito animalesco. Sarà anche agile e precisa, ma non può competere contro la forza bruta di chi si allena anche di notte. Allento la presa e lei si volta furiosa verso di me, i capelli arruffati e scompigliati dal vento.
"Sei impazzito?" ringhia con gli occhi spalancati, come se le avessi appena insultato tutta la sua stirpe, invece che impedirle di fare una bravata.
"Io!" rispondo con una risata che di divertente non ha nulla. Devo avere la sua stessa espressione esterrefatta. "Cos'hai intenzione di fare?"
"Cos'ho intenzione di fare io non sono fatti tuoi!" sbotta lei, dandomi una leggera spinta che non mi smuove neanche di un centimetro.
"E invece sì, cazzo, Elizabeth! Sono un Capofazione! Sei sotto la mia supervisione!" grido, cercando di sovrastare il rumore assordante del convoglio che ormai è a pochissimi metri da noi. Io sono fuori di me, ma lei non sembra darci troppo peso.

Elizabeth mi liquida con un gesto della mano e un verso infastidito, e si dà lo slancio. Afferra la maniglia ed entra in un vagone, sparendo nell'oscurità del treno prima che io la possa fermare. Quando mi rendo conto di quello che ha fatto, corro più veloce di quanto non credessi possibile e agguanto la maniglia, fredda e arrugginita, una terribile fitta di dolore mi attraversa il braccio sinistro. Con tutta la forza che mi è rimasta, mi getto di peso all'interno, cadendo sulle ginocchia. Ansimo, non sono abituato come Quattro a saltare sui treni, nè come gli altri iniziati, il mio lavoro si svolge per lo più all'interno della residenza. Mi alzo e vedo Elizabeth che si sta sedendo, con la schiena appoggiata ad una parete del vagone, la guardo ma lei non ricambia la mia occhiataccia, impegnata nella ricerca di qualcosa della sua borsa.
Mi fa male la spalla, lo sforzo per saltare ha sicuramente compromesso la velocità di guarigione della ferita. La Candida mi guarda preoccupata sentendo i miei rantoli di dolore che non riesco a nascondere, e mi invita a sedermi accanto a lei con un gesto della mano. All'inizio sono confuso, ma poi alzo gli occhi al cielo e faccio come mi ha detto. Mi lascio scivolare sul freddo pavimento strisciando la schiena contro parete, per limitare qualsiasi altro sforzo che mi provocherebbe ulteriori serie fitte dolorose. Mi passo una mano fra i capelli corti e la guardo, la luce della luna si riflette sul suo viso rendendolo ancora più pallido e mettendo in risalto le sue guance scavate. In questo chiarore, i suoi occhi sembrano argentati, più chiari che mai.
Elizabeth emette un verso soddisfatto e tira fuori dal borsone una palla informe di stoffa marrone. La srotola e me la porge.
"È una coperta." spiega, vedendo la mia espressione interrogativa e diffidente "Stai morendo di freddo, con quella canotta così leggera. Tieni, mettitela sulle spalle."

Accetto volentieri la coperta, ma la guardo di sottecchi quando si volta per cercare qualcos'altro nella borsa. Un sorriso appena accennato le si è formato sulle labbra, e ora gli angoli della sua bocca sono curvati all'insù. Mi lascio avvolgere dalla coperta di lana, godendomi il tepore che mi circonda la pelle. Sospiro, e lascio cadere la testa all'indietro, poggiandola sulla parete. Mi chiedo se lei non abbia freddo, ma poi la guardo e vedo che è tutto un fagotto di vestiti pesanti, quindi lascio perdere.
"Cosa ti è venuto in mente, Candida?" cerco di mantenere un tono freddo quanto l'aria che respiro.
"Vedrai." risponde laconica. Si volta verso di me, lo sguardo rilassato, senza quella sfumatura di rabbia che ogni tanto le accende gli occhi quando mi parla "Vuoi una mela?"
Sebbene stia morendo di fame, rifiuto l'offerta, ed il mio stomaco si lamenta appena lei dà un morso al frutto che ha in mano. Ho così tante domande da farle che mi scoppia la testa -soprattutto perchè ho l'amara impressione che risponderebbe solo alla metà di queste-, ma la mia mente si blocca quando, voltandomi verso di lei, vedo le sue labbra scivolare sulla croccante buccia della mela, inumidendosi. Sento immediatamente la gola secca e distolgo immediatamente lo sguardo, cercando di pensare a tutto tranne che alle sue labbra. Mi riviene in mente il suo evitarmi in mensa, o la sua assenza in palestra durante le ore notturne, o ancora il suo cambiamento radicale in questa settimana. E allora riprendo il controllo di me.
"Non mi parli per giorni e poi te ne esci con questo." commento con una punta di rabbia, indicando con il mento il vagone in cui ci troviamo.
"Per la cronaca, tu non facevi parte del mio questo." risponde lei, lanciando il torsolo di mela fuori dal vagone, tirandolo verso il portellone spalancato. Lo so, ormai non faccio più parte del tuo nulla.

Non sapendo come rispondere, sospiro e rimango in silenzio a fissare il paesaggio desolato della periferia che ci sta sfrecciando davanti. File e file di edifici diroccati sfilano accanto al convoglio, mentre ci avviciniamo sempre di più alla Recinzione. Mi alzo, perchè mi sembra che Elizabeth sia più distante del solito, e mi avvicino al portellone aperto con la coperta sulle spalle. Mi mantengo con il braccio sano sul bordo e cerco di scorgere segni di vita in quel luogo abbandonato. Il treno rallenta, il che mi dà la possibilità di vedere con più chiarezza nella penombra della periferia. In una casa dalla forma squadrata, attraverso una finestra priva di vetri, intravedo un bagliore arancione e, attorno ad esso, cinque figure accovacciate. Gli Esclusi. Sbuffo disgustato, non mi è mai piaciuto il loro comportamento da parassiti, ricevono cibo e vestiti anche non facendo nulla di utile per la società. E quegli Abneganti... Loro non fanno altro che aumentare il pericolo di una rivolta da parte di questi barboni. Un esercito di Rigidi e Incapaci, penso, che accoppiata perfetta.
Sento un tocco delicato sulla spalla, che scende per tutto il braccio sinistro. Pensando che sia la coperta che sta per scivolare sul pavimento, la afferro con un rapido gesto della mano, e mi sorprendo quando mi trovo a stringere le dita sottili della Candida. Mi ritiro immediatamente, senza guardarla, non voglio vedere la sua espressione in questo momento. Non mi ha parlato per giorni, non voglio che pensi che possa sistemare tutto con una carezza. E allora perchè l'hai seguita?
Non lo so.
Lo sai.
Non è vero.

"Stiamo per saltare." dice lei, stringendosi la borsa al petto "Tu non dovresti fare sforzi, per non gravare sulla spalla. Ma dal momento che sei qui, non hai altra scelta."
"Dimmi solo quando saltare." rispondo io gelido, a volte la sua preoccupazione eccessiva mi infastidisce.
"Salta quando salto io." si limita a spiegare, facendo spallucce. Mi guarda e sorride, ma io non ricambio.
Elizabeth si sistema la borsa sul fianco e fa qualche passo indietro. Appena gli edifici spariscono lasciando spazio ad un'immensa distesa di erba, lei si dà lo slancio e salta, rotolando agilmente sul terreno. Mi affretto a seguirla e, quando atterro, faccio in modo di cadere sul fianco destro invece che sulla spalla ferita.
Mi stringo nella coperta, qui fuori si gela. Cerco Elizabeth con lo sguardo e per un momento vedo soltanto fili d'erba e un grande albero in lontananza, e poi la vedo a qualche metro di distanza che si sta spazzolando i jeans scuri con le mani, immersa nell'oscurità.
La raggiungo e la guardo con le sopracciglia alzate, come per chiedere spiegazioni. Lei alza lo sguardo e le sue iridi sembrano ancora più chiare, quasi azzurre, anche se so che in realtà sono di un particolare castano dorato. Si sistema i capelli, spostandoli da un lato ed io, con grande sorpresa, noto una cosa che non avrei mai pensato di vederle addosso. Da sotto il colletto alzato, una striscia di inchiostro nero appuntita all'estremità fa capolino, arrivandole poco più sotto l'orecchio. Lei segue il mio sguardo e con un rapido movimento della mano sposta di nuovo la folta chioma di capelli -che con questa luce sembrano quasi più neri della notte stessa- e il tatuaggio sparisce sotto di essa. Si dirige verso il grande albero che avevo visto pochi secondi prima, facendosi spazio fra i fili d'erba che le arrivano alle ginocchia.
"Mi avevi detto che non ti piacevano i tatuaggi." osservo, aggrottando la fronte. Lei non si volta per rispondere ed io mi sbrigo ad affiancarla.
"Ed è così." si limita a rispondere, la sua espressione è neutra, come se le costasse fatica darmi una spiegazione.
"Ma ne hai uno proprio sul collo." le faccio notare con accondiscendenza.
"Non so di cosa tu stia parlando, Eric." mormora tranquilla. Sospiro incredulo e rinuncio a discutere con lei, perchè troverebbe comunque una maniera per sviare il discorso.

Distolgo lo sguardo da lei e alzo gli occhi al cielo, non per esasperazione, ma per ammirare le innumerevoli stelle che brillano silenziose come gli occhi di Elizabeth. L'aria notturna mi congela i polmoni e quando respiro mi sembra di inalare ghiaccio puro. Tutt'intorno a noi si estende una radura erbosa, e l'unica luce che brilla da lontano è quella del Quartier Generale degli Eruditi. La Legge dice che oltre mezzanotte tutti i generatori devono essere spenti per risparmiare energia, ma è da un po' di tempo che la mia ex-Fazione sembra non essere neanche a conoscenza di questa regola secolare. Non mi importa, mi impongo di pensare, ora sono un Intrepido.
Improvvisamente, la curiosità sboccia dentro di me come il baccello di un fiore.
"Posso almeno chiederti perchè hai abbandonato i Candidi per entrare fra gli Intrepidi?" sospiro, continuando a guardare davanti a me. Lei non risponde, e per un secondo temo che non abbia sentito la domanda. O che non voglia rispondere.
"Non ero adatta a quella Fazione." risponde dopo alcuni secondi di esitazione, la sua voce è profonda, ma sembra che stia tremando. Dubito che il freddo c'entri qualcosa, stavolta.
"Tu dici? Io penso che tu ti comporti anche troppo da Candida." rido senza convinzione. Non era una battuta, questa, ma una vera e propria frecciatina.
"Mi dispiace sconvolgere il tuo piccolo mondo limitato dalla tua scarsa arguzia." ribatte lei, lo sguardo gelido ma controllato "Ma anch'io so mentire. E lo faccio spesso, a dir la verità."
Per quanto mi sforzi, gli insulti velati di Elizabeth saranno sempre e comunque più taglienti dei miei. O di quelli di chiunque altro osi sfidarla. Sbuffo contrariato, consapevole che il sarcasmo è il suo campo, non il mio.
"Me ne sono andata perchè non condividevo i loro ideali. Tutti sostengono che la disonestà renda il male possibile e che la verità ci renda inestricabili. Non condivido, non appieno, almeno. A volte bisogna mentire, per la nostra sicurezza o per quella di chi ci sta intorno."
"Ad esempio?" domando fingendo disinteresse, in realtà sentire queste parole provenire proprio da una Candida non fa altro che alimentare la mia curiosità.

Raggiungiamo il grande albero dalla folta chioma erbosa, guardo in alto ammirando la bellezza di questa pianta centeraria. Elizabeth mi prende la mano e mi trascina giù insieme a lei con accortezza, appoggiandosi con la schiena al tronco della quercia. Abbasso subito lo sguardo sulle nostre mani, la mia, robusta e dalle nocche scorticate, e la sua, piccola e pallida come lei. Ritira la mano come se avesse appena compiuto un gesto normale, a me, invece, ha provocato una scarica di non so cosa che ha fatto il giro di tutto il mio corpo in pochi secondi.
"Ad esempio, se qualcuno domani mi chiedesse dove sono stata questa notte, non risponderei mai che ero da sola con Eric lo Spietato, lontana dalla Residenza." risponde lei sorridendo divertita, lo sguardo alto verso il cielo notturno costellato da milioni di puntini luminosi.
"Almeno non oserebbero dirti nulla." noto, e mi sorprendo ad usare un tono amichevole. Lei ride, e scuote la testa, abbassando gli occhi su di me.
"Non direbbero nulla a te, forse. Probabilmente mi accuserebbero di andare a letto con il Capofazione soltanto per assicurarmi un buon posto in classifica." la naturalezza con cui lo dice mi spiazza e la mia mente genera automaticamente il pensiero di Elizabeth nel mio appartamento, con meno vestiti dell'ultima volta. Mi schiarisco la voce e mi sforzo di non lasciar trapelare neanche una punta di imbarazzo. O di desiderio.
"Sarebbe una mossa intelligente però. Subdola, chiaro, ma non priva di senso." farfuglio staccando un filo d'erba dal terriccio.
"Se mai venissi a letto con te, non sarebbe certo per una stupida classifica." dice infine lei, la voce più decisa di quanto non mi sarei aspettato per una frase del genere. "Lo farei perchè mi piaci."

Alzo la testa di scatto, incredulo e confuso. La guardo spaesato, ma dalla sua espressione capisco che il mio sguardo dev'essere neutro, forse appena appena perplesso. Lascio cadere il filo d'erba e appoggio i gomiti sulle ginocchia, scoprendo parte delle braccia che congelano all'aria fredda. Sento la pelle d'oca, e quando i suoi occhi incontrano i miei, il brivido si fa più intenso. Mi ha appena confessato che le piaccio, o era soltanto uno dei suoi esempi da Candida? È così difficile capirlo, soprattutto perchè la sua espressione non tradisce nessuna emozione, solo un sorriso abbozzato che le curva l'angolo delle labbra in una smorfia divertita. Non mi ha degnato di uno sguardo per giorni, ed ora ha detto che le piaccio, e che andrebbe a letto con me? No, non può essere. Non è da lei. O forse sì? Non posso dire di conoscerla bene, dopotutto.
"Come hai detto?" chiedo perplesso, e qualcosa dentro di me comincia a scaldarsi. Se mi togliessi la coperta di dosso in questo momento, dubito che sentirei freddo.
"Hai sentito bene, Eric." comincia lei, appoggiando il mento sulla mia spalla, la sua smorfia divertita si trasforma in un sorriso. Quando sorride, i suoi occhi si assottigliano e sembrano brillare anche più di prima. "Ho detto che mi piaci."
Poggia una mano sul mio braccio e dal suo tocco delicato si irradia una sensazione di calore che fa sparire la pelle d'oca. Fa sparire tutto, in realtà, la radura intorno a noi, gli edifici in lontananza, le luci del Quartier Generale degli Eruditi, l'albero stesso. C'è solo lei. C'è solo Elizabeth, che si solleva sulle ginocchia e appoggia le labbra sulle mie, prendendomi la testa fra le mani piccole ma decise. All'inizio sono così confuso che tutto quello che riesco a fare è poggiare di istinto una mano sulla sua spalla, come per allontanarla. Ma quando la mia bocca si schiude automaticamente sotto la sensibile pressione del suo bacio, mi rilasso e la prendo per i fianchi, spostandola su di me. Raddrizzo la schiena e la tiro verso di me, ricambio il suo bacio e assaporo ancora il fantasma del dolce sapore della mela. Ci baciamo in silenzio, sotto il cielo notturno che ora è segnato dalle prime luci fioche dell'alba, e quando ci stacchiamo non posso fare a meno di guardarla senza parole. Perchè mi rendo conto solo ora che non è semplicemente una bella ragazza, ma una ragazza stupenda?

"Sai, avevi ragione, non sei una Candida, sei un'Intrepida a tutti gli effetti." mormoro, lei appoggia la testa sulla mia spalla sana, le mani abbandonate sul mio petto.
"Tu dici?" chiede, seguendo con i polpastrelli le linee del tessuto della coperta.
"Hai avuto il coraggio di avvicinarti a Eric lo Spietato, un'impresa molto ardita." dico aggrottando la fronte, ma gli angoli della mia bocca si curvano in un sorriso "Non hai paura che ti spezzi un osso, o qualcosa del genere?"
"Terrorizzata!" finge un tono supplichevole e mi bacia di nuovo, poi mormora: "Odio doverlo dire, ma dobbiamo tornare alla Residenza."
Alzo lo sguardo, il sole sorgerà tra poco più di un'ora. Lei solleva la testa, ha un'espressione quasi assonnata, non penso che abbia dormito molto. È bellissima.
"Non mi hai ancora detto cosa volevi fare qua. Voglio dire, i tuoi piani saranno sicuramente cambiati visto che ti ho seguita." le accarezzo la guancia e le sfioro il labbro inferiore con il pollice.
"Vuoi sapere la verità? Non ero diretta qua. Volevo andare dai miei genitori e chiedere loro perchè non si sono presentati, oggi. Non è consentito, lo so, ma non potevo farne a meno." guarda in basso, la fronte aggrottata le conferisce un'espressione pensierosa "Ripensandoci, era una pessima idea. Sappi che ho gradito parecchio questo cambio di programma." sorride, ed io ricambio sollevando appena gli angoli della bocca. Stava andando dai suoi genitori. Certo che non è consentito. Io, sicuramente, non avrei approvato.
"La Fazione prima del sangue, Elizabeth" bisbiglio, ma non voglio che pensi che la stia rimproverando, quindi appoggio le labbra sulla sua fronte.
"La Fazione prima del sangue." sussurra lei, nei suoi occhi si accende una luce triste, forse malinconica.

Ci alziamo, e imparo che ad Elizabeth non piace tenersi per mano. Ed è un'ottima cosa, perchè neanche a me fa impazzire l'idea di tenerla mentre camminiamo verso la banchina del treno. Il cielo si è tinto di un azzurro pallido e da lontano posso vedere uno spicchio di sole che fa capolino dalla recinzione. Quando il convoglio rallenta e noi saltiamo dentro uno dei vagoni, l'iniziata -è davvero strano realizzare che lo è ancora- si siede con la schiena poggiata alla parete. Io invece, rimango sulla soglia del portellone e mi sporgo in avanti, aggrappandomi saldamente alle maniglie con le braccia. Il vento freddo mi colpisce il petto, facendomi rabbrividire. Il convoglio prende velocità mentre la periferia sfreccia sotto i miei piedi e noi ci avviciniamo alla città. Potrei abituarmici, a questa sensazione di libertà, di invincibilità. Non mi importa neanche più degli Esclusi che frugano nell'ammasso di rifiuti, o degli Abneganti che escono dalle loro case tutte uguali per recarsi al lavoro -dedicato ai meno fortunati, ovviamente-, non mi importa neanche degli Eruditi che hanno tenuto i generatori accesi tutta la notte, andando contro la Legge. Non mi importa neanche che domani comincerà il secondo modulo di addestramento, quello mentale. Perchè so che Elizabeth non ha paura di nulla, non più. E neanch'io, non più. 
   
 
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