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Autore: Dark Lady 88    13/01/2017    1 recensioni
Dal testo: “Qualcuno sarà certamente morto durante il cammino, ma altri sono giunti a destinazione. E per questo non sono tornati: una volta raggiunta l’Oasi, solo un pazzo desidererebbe lasciarla”.
Solo leggende, avevano ribattuto tutti: se nessuno è mai tornato indietro, chi lo sa cosa può esserci al di là del deserto? Chi lo sa cosa esiste oltre l’orizzonte conosciuto? Potrebbe esserci perfino il nulla, la fine del mondo, o l’inizio di un inferno senza fine dal quale è impossibile uscire. Se nessuno è mai tornato a casa per narrare di questa incredibile Oasi delle Meraviglie, come fai a sapere che esiste? Invenzioni, fantasie, sogni. Ecco cosa sosteneva la gente. (...)
Aveva tentato di farsi bastare il piccolo mondo nel quale era nato. Lui sognava di giungere là, dove nessun uomo era mai stato prima: le leggende sull’Oasi delle Meraviglie ed i racconti sui terribili pericoli del Grande Deserto, erano l’unica cosa che gli accendeva il sangue nelle vene. Si era comportato da bravo figlio, osservando le regole degli dei, finché un giorno, essendo abbastanza grande, aveva deciso che era giunta l’ora di cercare la sua strada.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole era tramontato, la luce arancione aveva lasciato il posto all’azzurro della sera ed infine al buio. L’uomo aveva acceso un fuoco, mangiato quel poco che gli restava delle provviste con le quali si era incamminato, ed aperto la mappa per fare il punto della situazione. La tigre era rimasta in silenzio, poco lontana da lui, ad osservarlo attraverso le fiamme.
“A domani”, aveva sussurrato più a se stesso che a lei prima di ritirarsi nella tenda.
Il giorno dopo la tigre era ancora lì, nella stessa posizione nella quale l’aveva lasciata, vigile. Poteva sembrare che non si fosse mossa affatto, ma come scoprì una volta uscito dalla tenda, la bestia vegliava davvero su di lui. Trovò ai suoi piedi la carcassa di un piccolo animale: carne fresca che gli avrebbe salvato la vita. La tigre aveva cacciato per lui, durante la notte.
Forse era davvero quello il suo destino: gli dei desideravano che trovasse l’oasi. La gente del suo popolo si era sbagliata, e le lacrime di sua madre erano state vane.
Camminarono così per altri giorni: la tigre lo precedeva di una decina di passi, di tanto in tanto confondendosi tra le dune del deserto, ma riaffiorando dalla sabbia prima che l’uomo si abbandonasse al panico di averla persa. L’animale non si avvicinò mai al suo compagno umano, se non in un’occasione: stremato, l’uomo non stava più attento a dove metteva i piedi; la tigre si lanciò in un balzo, e lui fece appena in tempo a scansarsi, terrorizzato. Poi si accorse che la bestia aveva appoggiato la zampa possente su un serpente che si contorceva furioso: una vipera gialla che si era mimetizzata nella sabbia. La tigre spezzò il collo del serpente tra le fauci, scrollando la testa con un colpo secco. Aspettò quindi che l’uomo si rimettesse in piedi per proseguire il viaggio: ancora una volta lo aveva salvato.
 
Non sapeva quanto tempo era passato: fatto sta che l’uomo e la tigre erano ormai compagni inseparabili, tanto che lui non avrebbe potuto immaginare di proseguire il suo cammino da solo. Controllava ancora la mappa, per scrupolo. Scrutava il cielo ogni notte, studiando le stelle per orientarsi e cominciava a riconoscere i segni giusti: oltrepassato il Grande Teschio Rosso – un’enorme roccia arenaria dall’inquietante forma di teschio umano – mancava poco alla meta. Era quasi giunto nelle terre mai esplorate dall’uomo, e quindi la mappa poteva portarlo solo fino ad un certo punto. Dopodiché, sarebbe stato totalmente in balia di se stesso, e della tigre. Ormai l’uomo si fidava ciecamente dell’animale, convinto che fosse una guida inviatogli dagli dei.
Giunsero quindi al confine del mondo conosciuto, e la sabbia lasciò il posto ad un terriccio arido, di colore rosso. Soffiava un vento caldo, sollevando la polvere che gli offuscava la vista. La tigre era una sagoma scura nell’orizzonte di fuoco. Passarono altri giorni, e l’uomo non aveva più né cibo né acqua con cui rifocillarsi. La tigre continuava a cacciare durante la notte, portando al compagno delle piccole prede, che lui puliva e spezzava in due, in modo che anche lei potesse nutrirsi. Ma ormai i suoi piedi non lo reggevano più; costretto ad appoggiarsi all’animale, i due compagni avanzavano in quell’inferno senza fine.
Fu proprio quando cominciava a perdere le speranze, che la tigre si fermò. L’uomo sollevò piano la testa ed il suo cuore ebbe un sussulto: la terra davanti a lui non era più arida, ma viva. Terriccio marrone, cosparso da erba leggera, umidità nell’aria. L’acqua era vicina. Si vergognò dei suoi pensieri: erano giorni che aveva cominciato a pentirsi di essere partito, di non essersi accontentato di quella vita semplice ma felice, di quella donna che lo amava, di quella promessa di una vecchiaia serena.
La tigre lo lasciò scivolare a terra e ricominciò ad avanzare con passo lento.
Aspettami, avrebbe voluto gridarle l’uomo, ma dalla gola non uscì che un verso strozzato. Sollevò una mano per intimarle di aspettare, ma la tigre lo ignorò.
“E’ tempo che ti rialzi e concluda il tuo cammino, uomo”, sembrava dirle il fiero animale.
Ma l’uomo non riusciva ad alzarsi. Prese a strisciare, nel tentativo disperato di mantenere il passo della tigre. Lei però aveva preso a correre, sempre più veloce. Gattonando come un bambino, l’uomo la seguiva, finché la vegetazione, che si faceva sempre più fitta, non la inghiottì.
Allora l’uomo si aggrappò ai rami e ai tronchi delle palme, riuscendo a malapena a reggersi in piedi. Esausto, seguì passo passo il percorso della tigre ed infine raggiunse la sua meta.
Sentì lo scrosciare dell’acqua: seguì quel rumore, finché giunse alla cascata. Qui, nella luce che si rifletteva intensa, si stagliava una figura, che inizialmente gli sembrò la sagoma della sua compagna tigre. Poi, mano a mano che si avvicinava, riconobbe una donna. Lei uscì dall’acqua e gli sorrise: gli occhi illuminati dal sole sembravano gialli, come quelli dell’animale che lo aveva accompagnato fin lì… poi la donna si fermò all’ombra di una palma e le iridi divennero scure.
“Te l’avevo detto che non ti avrei aspettato”, gli disse.
Lui annuì, sentendosi improvvisamente uno sciocco. Le gambe cedettero, e la donna – la donna che lo aveva amato da sempre – lo sostenne, accompagnandolo alla cascata. L’uomo si immerse nelle acque fresche e rigeneranti. Bevve avidamente, sentendo finalmente il suo corpo che si scrollava di dosso tutta la stanchezza e la calura di quei giorni infernali.
Lei gli teneva ancora le mani: era come se non le avesse mai lasciate, per tutto quel tempo. Quando lui riemerse, insieme si guardarono attorno.
La bellezza di quel luogo era indescrivibile: da lì sembrava nascere ogni forma di vita conosciuta e sconosciuta, lì tutto cominciava e tutto finiva.
Mano nella mano, l’uomo e la donna uscirono dalla sorgente, guardandosi intorno. Nei giorni seguenti incontrarono altra gente: viaggiatori che, come loro, si erano incamminati alla ricerca dell’Oasi delle Meraviglie. Tutti vivevano in pace, come se si conoscessero e si amassero da una vita; gli animali scorrazzavano liberi e senza paura, perché gli uomini non sentivano la fame e non avevano bisogno di cacciarli.
L’uomo e la donna esplorarono l’oasi in lungo ed in largo, chiedendo alla gente: “Fin dove si estende questo posto paradiso?”, “Fin dove arriva lo sguardo ed oltre”, rispondevano tutti.
Finché non incontrarono il vecchio dalla lunga barba bianca. Aveva la pelle color cuoio, gli occhi chiari circondati da una ragnatela di piccole rughe. Teneva i piedi a mollo nella sorgente, che sembrava infinita.
“Fin dove si estende questo posto paradiso?”, chiese ancora una volta l’uomo.
Stava cominciando a crederci davvero, che l’Oasi non avesse fine. Che quella felicità sarebbe durata per sempre.
“Ci sarà sempre un nuovo confine da valicare, una nuova terra da scoprire, altri orizzonti da esplorare”, rispose il vecchio “per chi li cercherà”.
Alzò una mano ed indicò un punto in lontananza, dove il sole sorgeva come un occhio arancione all’orizzonte.
  
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