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Autore: Nirvana_04    13/01/2017    6 recensioni
FANTASY - STEAMPUNK
Il regno di Midra ha conosciuto i vantaggi portati dal progresso e dalle macchine, ma adesso è costretta a fare i conti con i fumi che sorvolano i suoi cieli; inoltre una minaccia giunge dal regno di Einath e dalla leggendaria Allana. La regina Elzeth è costretta a scendere a patti con chi, per anni, il suo esercito ha combattuto.
Il capitano Jude Hauk ama il suo villaero e adora la sua nave volante, la Marsadde. Ma ancor di più ama la libertà e l'ebbrezza di nuove sfide. Spinto dai suoi desideri personali, accetta di affrontare un nuovo viaggio affianco del generale Moris Lautner, l'uomo che per più di un decennio ha affrontato ai confini del cielo e del mare. Ognuno dei due tenterà di sfruttare l'altro, ma chi porterà a termine la sua missione?
Prima classificata al contest "Steampunk tendencies" indetto da Haykaleen sul forum di Efp
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cieli senza confini'
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Capitolo 3
Il Sesto Cielo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Moris Lautner si sorprese, a bocca aperta, ad ammirare il rosso dell’alba che tinteggiava le nuvole all’orizzonte. Quest’ultime non erano condensazioni di vapori, dalla forma lunga e dal colore grigiastro, ma batuffoli di finissimo cotone che sorridevano al nuovo sole.
Tanta bellezza, si ritrovò a pensare, perduta per sempre.
Il capitano Hauk se ne stava dritto al timone. Ogni tanto guardava il suo orologio e studiava i venti, che lassù nel cielo soffiavano sempre forti. La Joyfall non avrebbe mai potuto mantenere a lungo quell’andatura; forse anche per quello la Marsadde cominciava a mostrare segni di cedimento, e molti suoi pezzi andavano cambiati.
Il generale studiò il suo più grande nemico e, in silenzio nella sua coscienza, ammise a se stesso che quell’uomo era degno del suo rispetto. Infine indurì nuovamente la sua espressione, nascondendola dietro l’austerità e la lunga barba che incorniciava il suo viso quadrato, e si avvicinò all’altro.
“Dunque, questo è il Sesto Cielo?”
“L’ultimo, prima della fine conosciuta” affermò il capitano.
“Quanto tempo avremo prima che le silfidi ci avvistino?” domandò.
“Oh, ma loro c’hanno già avvistati” replicò il secondo della nave, Arci.
Moris lasciò trasparire la sua perplessità.
“Perché non attaccano allora?”
“Prima devono decidere chi di noi è il più pericoloso” se la rise, sotto tensione. “Aprite gli occhi, generale. A quanto pare, state ancora rollando con i letti nella stiva.”
Moris Lautner si voltò, ma non vide nulla. Arci, alle sue spalle, latrò una risata.
“Pazientate, generale” intervenne il capitano, un po’ sulle sue. “Capirete presto.”
La nave scivolò placidamente tra le onde nebulose e si lasciò trasportare, quasi senza peso, tra le alte correnti del cielo. Per ogni metro che percorreva all’interno del Sesto Cielo, l’aria diveniva sempre più fresca; si liberava di quello strano odore di olio e putrefazione che i loro nasi, ormai assuefatti, non avevano notato finché non ne avevano notato l’assenza.
L’orizzonte era limpido e nessuna creatura antica e leggendaria si fece avanti per minacciarli. Questo non fece che aumentare l’angoscia negli animi dei marinai.
“Non capisco” sussurrò uno della Joyfall.
“Il loro potere è più vicino alla fonte. Non ci sono costruzioni qui sopra, tranne la loro città: Allana. Vedrete” aggiunse ancora il pirata, alla fine.
L’albero di bompresso puntava verso la loro direzione e per tutta la mezza giornata gli occhi del generale non si staccarono da esso. I suoi uomini se ne stavano addossati sui barili o contro la ringhiera, evitando di ostacolare le mansioni dei pirati. La vedetta, abbarbicata sulle sartie d’arrampicamento dell’albero di mezzana, fischiettava per alleggerire la tensione, ma presto anche il suono delle sue labbra dischiuse si perse nell’immobilità del cielo.
La bellezza di quel luogo sembrava cristallizzata in un unico attimo dilatato all’infinito, preda di uno sbalzo spazio-temporale che lo isolava dal resto del mondo. Il vento si era placato e la Marsadde volava adesso solo perché il capitano Hauk aveva dato l’ordine di ammainare le vele quadre e gonfiare i due palloni aerostatici.
Un punto scuro si stagliò all’improvviso dinanzi loro. Moris Lautner strinse convulsamente il corrimano di legno e aguzzò la vista: pareva un grosso masso galleggiante, sospeso nell’immensità dell’azzurro nitido del Sesto Cielo. Quando la distanza venne ancor di più diminuita, il generale riuscì a distinguere i corpi di alte donne che circondavano l’isola; erano solo puntini, ma luccichii dorati annunciavano che erano armate e pronte alla lotta.
Più si avvicinavano e più i dettagli dell’isolotto, sempre più grande e vasto, si definivano. Alla fine, egli sgranò gli occhi, incredulo: lunghe e grosse radici pendevano dalla terra, come se quel cumulo sospeso fosse stato sradicato con la forza dal suolo e innalzato nell’isolamento di quei luoghi immoti; le abitazioni erano fatte d’acqua, semplici e lineari. Intorno a esso, la pioggia, invece che cadere, rimaneva sospesa e molleggiava giocando tra le spire di un alito leggero che aizzava le chiome delle donne nell’aria.
A difesa di Allana, c’erano loro, le leggendarie silfidi, scampate al massacro dei secoli scorsi, austere nella loro selvaggia minaccia. I loro corpi avevano l’armonica sinuosità dei pesci, ma tutte erano diverse e uniche: tutte avevano due gambe palmate, ma solo alcune avevano così anche le mani; altre, invece, possedevano dita sottili, ma gli avambracci muniti di pinne seghettate, taglienti come lame. Erano adornate da corone di piume, incastrate tra i capelli, variopinti e lunghi come i loro corpi slanciati. Non avevano squame, ma pelle liscia, su cui forme e disegni colorati si rincorrevano su ogni centimetro di corpo. I loro vestiti erano le loro pelli stesse: alcune erano ricoperte da veli semitrasparenti, altre invece presentavano alla vita spesse membrane come i diavoli di mare; o ancora, avevano tessuti diafani, esili e fragili come le ali di farfalla, chiazzate da riflessi vermigli o verdognoli.
“Se le loro anime dannate, che vagano oltre i loro confini, sono riusciti a farci perdere il senno…” iniziò uno dei suoi uomini.
“Ricordate che sono fatte di carne. Possono essere uccise” vociò il capitano Hauk all’equipaggio.
Moris gli lanciò uno sguardo, ma in lui riuscì solamente a scorgere quel lampo di luce che aveva già intravisto nella Sala delle Cerimonie, a Midra, quando aveva accettato di partire per quella missione suicida.
Il pirata gli si avvicinò, passandogli un arpione. “Bucate le membrane: precipiteranno come moscerini senza ali.”
Moris annuì. “Non possiamo farcela. Sono troppe.”
“Guarda, generale!” ghignò di malvagità.
Egli puntò nuovamente lo sguardo sul cielo e vide ciò che finalmente Arci gli aveva annunciato quella mattina: pirati. Le navi e gli zeppelin delle compagnie di ventura, partite da Midra, erano finalmente giunte, convogliando verso Allana da ogni direzione; erano puntini neri che si ingigantivano e vociavano la loro ira contro quel punto sospeso nel vuoto. Sotto di loro c’era solo la tavola blu del mare, un mostro che si stava agitando in attesa di inghiottire nelle sue profondità le vittime di quello scontro clandestino.
“Peccato che la storia non ci ricorderà” disse infine il capitano Hauk. “Non saprà mai quale epica battaglia si è combattuta quassù. Se sopravvivrete, però, non dimenticate chi vi ha protetto le spalle, generale.”
L’attimo dopo, il capitano della Marsadde urlò un ultimo ordine, poi la nave volò dritta tra le fauci del mostro e fu guerra.
 
 
 
 
Parte della chiglia era saltata. Accanto a loro, il veliero di Johanne era colato a picco, tutte le vele forate dalle pinne aguzze delle silfidi. Kabart, invece, stava dando battaglia sul fronte nord settentrionale: i cannoni e i lanciaossidi avevano iniziato a bersagliare le radici della terra, cercando di appiccare il fuoco o di ossidare gli ingranaggi che la facevano galleggiare.
Ma non è il metallo a farla volare, pensò determinato Jude, è lo scrigno.
I suoi piccoli occhietti erano puntati verso il centro dell’isola, dove si poteva avvistare la colonna di luce che irradiava il cielo e perforava le nuvole sopra di loro: quelle maledette donne avevano aperto il cofanetto, pregustando le anime che avrebbero sottratto ai loro corpi.
Guardò Arci, che al suo fianco stava sbrogliando un’altra cima. Egli e il suo amico avevano preparato tutto da tempo, ormai: avvalendosi di sartie e cordame i pirati della Marsadde avrebbero messo in atto un vero spettacolo intorno alla loro nave, volteggiando tra funi e vele come acrobati, per spostarsi da un punto all’altro nel minor tempo possibile. In questo modo, l’unico vantaggio delle silfidi sarebbe stato annullato.
Un gabbiere, sopra di loro stava dando battaglia contro una di quelle creature proprio in quel momento: la donna, osteggiata dai suoi agili movimenti tra le cime, era in seria difficoltà; poco prima, una delle sue sorelle era stata abbattuta dai loro uomini, aizzando l’ira delle altre. La silfide soffiò irritata e il pirata, sicurò della sua posizione di vantaggio, si diede una spinta per affondare la sua lama; ma un’altra di quelle creature, sopra di lui, recise la cima e l’uomo precipitò nel vuoto, seguito dall’urlo di guerra della donna.
Jude ringhiò tra i denti, tremante di collera: le donne volavano grazie ai loro corpi, i suoi uomini avevano bisogno delle funi per non cadere; e, una volta messo a nudo il punto debole, il loro vantaggio era sprofondato negli abissi. Sul ponte, osservò, gli uomini del generale Morsi Lautner facevano melina intorno al loro comandante, tenendo a bada le donne e difendendo gli ingranaggi della loro nave. Non potevano andare avanti così per molto, però: un buco nelle vele, e anche loro sarebbero colati a picco come lo zeppelin di poco prima.
Il capitano Hauk lanciò uno sguardo verso l’imbarcazione volante del corsaro Kabart: l’uomo, indemoniato, se ne stava spavaldamente sul bordo, e dava la sua vita per abbattere una di quelle creature.
“Arci” chiamò con un grido impaziente. “Dobbiamo mettere fine al gioco, adesso.”
Il suo secondo annuì, carpendo le sue intenzioni. “Ci penso io.”
“Vedi di farti trovare al timone, Arci. Sai che non sopporto trovare Fedrik al comando, mi fa venire il mal d’aria.”
“Tranquillo, Hauk” rise follemente, “Se ci prova, gli mozzo le dita.”
Jude rise, evitando di obiettare sull’ultimo punto: non era il momento di pensare all’estetica della nave e all’eventuale puzza di sangue.
Il capitano Hauk corse giù per gli scalini scricchiolanti e raggiunse il suo più amato nemico. “Ehi, generale” lo stuzzicò con l’insolita indifferenza. “Che dici se ci andiamo a fare un giro per la città tu e io, eh?”
Moris Lautner lo guardò stralunato, ma qualcosa nella sua espressione doveva averlo convinto a non sottovalutare le sue parole. Seguito in silenzio, Jude s’incamminò sotto coperta, sul ponte di batteria. Lì, recuperò una cima, ne saggiò la resistenza e controllò che fosse ben ancorata al gancio.
Uno scossone e una manovra improvvisa minò al loro precario equilibrio.
“Dannazione!” mormorò lui. “Menomale che gli avevo raccomandato di non mandare Fedrik al timone…”
“Cosa stiamo facendo?” urlò il generale, gli occhi che saettavano verso la cambusa e poi verso il ponte superiore.
“Ve l’ho detto generale” rispose con lo stesso tono arcigno e un po’ divertito. “Andiamo a farci un giro turistico, e magari arraffiamo qualche souvenir. Non aveva creduto di viaggiare su un vascello pirata senza provare l’ebbrezza dei suoi abitanti, vero?”
E con queste parole, diede due colpi contro il fasciame interno della nave. Una sezione della chiglia cadde, facendo apparire un barcarizzo nascosto.
“All’arrembaggio!” urlò. E si lanciò fuori.
Jude lasciò la fune e ammortizzò la caduta rotolando. Si sorprese non poco nel vedere il generale buttarsi subito dopo di lui, un po’ cinereo in viso.
“Andiamo!” annuì soddisfatto.
Corsero tra l’erba alta e i licheni di Allana, verso la colonna di luce che sfidava il cielo. Jude aveva occhi solo per il suo obiettivo. La regina Elzeth aveva i suoi piani, e sperava di portarli a termine usando loro; ma i pirati non si fanno usare senza avere un tornaconto, e lui aveva giusto una questione in sospeso con quelle creature.
“Attento!” lo richiamò guardinga la voce del generale.
Le silfidi li avevano avvistati e li stavano puntando, i loro visi tramutati in maschere di orrore e furia nera.
“Dobbiamo prendere lo scrigno” gli urlò il capitano.
Moris sembrò combattere contro il suo impulso più profondo. Alla fine strinse i denti e, senza guardarlo in faccia, esclamò: “Andate, allora! Vi proteggo le spalle.”
Jude ammiccò, coperto dalla bandana, e poi rise sguaiatamente, preda dell’assurdità del momento. Infine volò come una freccia sui prati, verso il cofanetto brillante. Era a un passo dalla meta, poteva percepire l’anima di sua sorella incastrata in quella rete dorata, ma il corpo di una silfide dinanzi a lui gli sbarrò il cammino, afferrandolo per il bavero della camicia e protendendo la sua bocca verso la sua.
La bandana scivolò per terra e la silfide si ritrasse, dolorante: non c’erano labbra da cui aspirare la sua anima, solo il freddo metallo della sua mascella meccanica, denti di ferro e acciaio. Con un sorriso metallico, Jude smembrò il corpo della silfide e puntò le sue mani verso lo scrigno; lo sigillò e lo strinse finalmente a sé.
Alle sue spalle, l’urlo disumano delle altre creature si liberò nel Sesto Cielo mentre i vapori delle città limitrofe invadevano i loro territori, intossicando l’aria e cavalcando vero l’orizzonte; ogni barriera crollò e la terra sotto i loro piedi minacciò di sprofondare nuovamente verso il mare sottostante.
Il capitano Hauk guardò il generale liberarsi a fatica della sua rivale, il riverbero della sua anima trattenuta a stento tra i denti. Lo raggiunse e lo aiutò a rialzarsi.
“Siete apposto” tagliò corto. “Adesso, correte!”
I due uomini ripercorsero a folle velocità la distanza che li separava dalla Marsadde, mentre le radici della terra si incenerivano, e la vita e la magia abbandonavano quei luoghi. Un risucchio e Allana precipitò.
Con un salto, Moris Lautner afferrò un cima penzolante della nave, mentre la forza di Jude veniva meno e i suoi piedi, in fallo, lo fecero inciampare. Fu un attimo: l’arpione si agganciò al suo soprabito e lo tenne ancorato nel vuoto. Con strattoni potenti, gli uomini lo issarono a bordo.
La mano di Arci gli batté sulla spalla, esprimendo la sua soddisfazione nel ritrovarsi ancora vivo entrambi.
“Capitano” gli sorrise in modo malandrino. “Quali sono gli ordini?”
Jude incrociò il suo sguardo trionfante e strinse con vigore la sua mano tesa. “Torniamo a casa.”
 
 
 
 
La nave aveva gettato una cima d’ancoraggio verso Crowsand e aveva teso una passerella per permettere ai marinai di toccare una parvenza di terra.
Moris Lautner si sorprese a tirare un sospiro di sollievo: sicuramente, la vita per i cieli non faceva per lui.
Era rimasto sorpreso quando la Marsadde aveva incrociato il viallero sopra i cieli di Sexastapor. Le nebbie si erano diradate e ciò che le teneva coese in quel punto era sparito insieme ad Allana, trascinando le anime delle Sibilanti alla deriva per i cieli senza confini.
Il generale aveva così scoperto che per tutto il tempo il capitano Hauk aveva dato istruzioni alla sua gente di seguirlo dalle retrovie, accodandosi alla missione come se fossero andati a fare una passeggiata. Quando aveva chiesto spiegazioni, l’altro si era limitato a sorridere furbamente e a fargli strada tra le catapecchie sospese nel vuoto.
Moris Lautner seguì l’uomo in una casa, all’estremità sud-est del villaero, allacciata alle altre costruzioni solo da un piccolo ponte malridotto di corde e tavole di legno bucherellate. L’interno della casa rispecchiava l’aspetto della facciata: l’unica stanza dell’abitacolo era piena di roba rotta o arrugginita, accatastata nel lavello della cucina o addossata sopra al tavolo senza una gamba. In un angolo era addossato un letto a castello, mentre affianco dell’unica finestra della casa, ci stava una sedia a dondolo, mossa meccanicamente da un ingranaggio di molle a fisarmonica e soffioni di aria compressa.
Seduta tra cuscini con l’imbottitura che sbucava da buchi e toppe mal cucite, c’era una giovane donna dai capelli di un biondo spento, un po’ smunti e privi di vita; il volto cereo sembrava essere attraversato dalla luce e la vita pareva averla abbandonata da tempo, se non fosse stato per il petto che continuava ad alzarsi e abbassarsi.
Il capitano Hauk le si avvicinò e aprì lo scrigno sgraffignato. Una luce sfavillò come una lucciola, e con un risucchiò tornò nel corpo della giovane. La coperta sulle sue gambe scivolò per terra e la giovane guardò il fratello.
“Ci hai messo un po’ troppo, Jude. Stasera cucini tu.”
Moris Lautner rimase a bocca aperta mentre il capitano Hauk si scioglieva nell’abbraccio della sorella.
Uscì dal piccolo ambiente e si guardò attorno, un po’ spaesato. Molte delle sue convinzioni erano crollate come castelli di sabbia e il suo amore lontano – il mare e Midra– pareva perdere forza ogni istante di più.
I suoi occhi si posarono sullo scrigno abbandonato sul pavimento marcio e poi volarono sulla nave malconcia ancorata poco più in là.
Beh, pensò sconsolato con un’alzata di spalle, questo è quello che accade a frequentare i pirati.
 
 
 
 
“Capitano!” esplose la voce di Arci, facendo irruzione nella stanza. “Quel maledetto figlio della feccia di Midra. Ladro e traditore!”
“Riprendi fiato, Arci” rise Jude, svuotando il bicchiere e sorridendo a sua sorella. Disse: “Non è cambiato molto il nostro amico, vero?”
“Affatto. Sempre il solito” lo rimbrottò con voce divertita lei.
“Hauk?!” si esasperò. “Quella cozza di scoglio…”
“Modera i toni, amico. Ci sono fanciulle tra noi…”
“… si è fregato la tua nave!”
“Cosa?!”
Jude Hauk sfrecciò fuori dalla porta e corse verso il ponte, ma era inutile: la sua amata Marsadde era sparita. Colpito da un pensiero improvviso, tornò sui suoi passi e scartabellò con gli occhi l’intera stanza.
Anche lo scrigno non c’era più!
“Ora posso inveire, capitano?” lo apostrofò il suo secondo.
Il capitano Hauk spalancò la bocca, poi la richiuse; infine sollevò il capo e rise senza controllo.
Sotto lo sguardo allibito dell’amico e della sorella, esclamo: “Facciamo muovere questo coso, Arci.” Sbatté il piede sul pavimento per indicare Crowsand. “Abbiamo parecchi cieli da esplorare e una nuova nave da costruire. Ma ricordate bene: torneremo. Non ho potuto salutare il generale come si deve, e” aggiunse con un luccichio minaccioso negli occhi “l’ultima parola spetta sempre ai pirati!”
 
 
 
 
Lo scrigno irradiava il cielo di Midra, una stella bluastra sopra la Torre di Guardia. I fumi dai camini delle fabbriche annerivano il cielo tra i bassifondi, ma squarci di un tumido blu slavato si aprivano sopra il porto e il castello; le nubi si allontanavano in un cerchio intorno alla città, scacciati dalla forza del cofanetto.
Moris Lautner guardava la sua amata patria dal parapetto della Marsadde, il viso indurito in un’espressione di amarezza: la salvezza del suo popolo era costata la distruzione di un altro. E in tutto questo, il generale aveva combattuto affianco di pirati, rubato la loro nave e saccheggiato il loro bottino. Eppure a sconvolgerlo era il senso di vuoto che si era creato nel suo petto.
Per più di un decennio, il capitano Hauk era stato il nemico giurato della corona, un bandito che aveva leso la regia maestà di Midra e minato ai valori del regno. Ma il generale aveva imparato a conoscere l’uomo, l’amico e il fratello, nonché il servitore di quella parte del popolo che non aveva voce e che pagava il prezzo del progresso.
Moris Lautner sbatté il pugno sulla ringhiera, l’oscurità dei cavi metallici che producevano un suono acuto e sinistro contro il legno. La sua regina lo attendeva nella Sala delle Cerimonie per investirlo del più alto dei riconoscimenti, ma lui era già in tremendo ritardo.
Vizi da pirata! Pensò con un mesto sorriso.
“Generale” si annunciò un suo sottoposto. “Quali sono gli ordini?”
Moris si grattò la barba e poi si voltò verso l’uomo. Sospirò, e poi disse semplicemente: “Innalzate le vele e catturate il vento. Abbiamo un pirata a cui dare la caccia, e la marina di Midra non si accontenta di avere in consegna la sua nave!”
La Marsadde salpò dal porto con il sole alle spalle e l’oceano dinanzi a sé, e il generale strinse forte una cima della sartia d’arrampicamento, con lo sguardo già puntato all’orizzonte e la mente pronta a nuove sfide.



N.B.

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