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Autore: SephireY    14/01/2017    0 recensioni
Il barman ti guarda.
In quel momento potrebbe essere Gesù Cristo o il tuo migliore amico, non fa differenza.
Ti chiede cosa vuoi di preciso, ti fai portare la cosa più forte che ha e inizi ad affogare.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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HANGOVER


Ci sono sere in cui ti senti solo, anche se sei in una stanza piena di gente.
Sere in cui ti senti vuoto, durante le quali l’unica cosa da fare è riempirsi d’alcool.
Sono quelle sere in cui i tuoi amici ti dicono: “Andiamo a farci una bevuta al bar.” perché ti vedono giù e pensano che stare tutti insieme a bere e fare cazzate possa tirarti su di morale.
All’inizio funziona.
Bevi, parli, ridi…
Un altro giro!
Giochi, racconti, ascolti…
Un altro giro grazie!
Ridi, ridi, continui a ridere perché l’alcool bevuto è tanto e iniziate a confondere le parole e ti sembra davvero assurdo che il tuo migliore amico possa strascicare le sillabe in quella maniera.
Qualcuno inizierà a cantare una canzone, c’è sempre qualcuno che canta una canzone, e tutti gli andranno dietro dondolandosi a tempo e appoggiandosi gli uni agli altri.
Qualche drink dopo ci sarà chi prenderà coraggio e andrà a parlare con la ragazza carina che sta al bancone, che magari non è davvero carina come sembra, ma per lui resta una diva, ci sarà chi non regge l’alcool e si sdraierà.
Un giro ancora.
Un altro giro.
Un altro grazie.
A molti la testa inizierà a girare, e la musica martellante di certo non li aiuterà.
Qualcuno è già andato a vomitare, qualcuno pomicia, chi ancora si regge in piedi forse azzarderà un ballo o andrà a farsi una camminata per prendere una boccata d’aria.
Non c’è un guidatore designato, ma per ora nemmeno serve, non c’è niente che un bottiglione d’acqua e un bel termos pieno di caffè non possano risolvere.
Ti sposti dai tavoli al bancone, sei rimasto da solo, non puoi chiedere un altro giro.
Con l’aria più sobria che riesci a tirar fuori biascichi un: “Un altro drink grazie”.
Il barman ti guarda.
In quel momento potrebbe essere Gesù Cristo o il tuo migliore amico, non fa differenza.
Ti chiede cosa vuoi di preciso, ti fai portare la cosa più forte che ha e inizi ad affogare.
Ci sono cose che solo da ubriachi si possono fare, perché la mente vaga libera a briglie sciolte e non ti importa più quanto tu possa risultare patetico, butti via l’orgoglio e la dignità e scopri cose di te che normalmente non avresti il coraggio di confidarti.
Il drink che stai bevendo è così forte che ti fa  lacrimare gli occhi e bruciare la gola, ne prendi un altro sorso e inizi ad abituarti al sapore, alla fine del bicchiere non lo senti più o te lo si già dimenticato.
Richiami il barman.
Un altro per favore.
Lui ti guarda con un misto di compassione e di rammarico e ti versa un altro drink.
È tardi la musica inizia a calmarsi e a diminuire di volume, le persone sembrano essere sempre di meno.
Al bancone ormai siete rimasti solo tu e il barman.
Ti si avvicina e ti riempie il bicchiere senza che tu gli dica nulla, lo ringrazi con lo sguardo appannato e lo vuoti in un sorso.
Te lo riempie di nuovo e ti chiede di te: “Cosa ti è successo?”.
Te lo hanno chiesto tante e tante volte, e tu hai sempre risposto che non avevi niente, che stavi bene, che magari eri solo un po’ stanco.
Ma il barman ti guarda con aria paterna, ti fa sentire importante, lui vuole davvero sapere la tua storia.
Tu non pensi nemmeno a che scusa inventare, ti scordi di saper mentire e inizi a raccontare.
E confessi tutto, come un penitente al suo confessore, senza capire nemmeno come hai collegato gli eventi gli uni agli altri.
Continui a parlare dimenticandoti di vuotare il bicchiere, agitandolo preso dal gesticolare o prendendone qualche sorso di tanto in tanto.
E parli e parli e parli scoprendo le cose mentre le racconti… continuerai a parlare ingoiando le lacrime che non ti eri accorto di stare versando, interrotto solo dai tuoi stessi singhiozzi.
E il barman sarà sempre lì ad ascoltarti.
Sa che non vuoterai quell’ultimo bicchiere, è tutta la sera che aspetta di farti parlare.
E non importa se non lo conosci, anche tu sai di averne bisogno e ti liberi di tutto, anche dei segreti più loschi, intimi e imbarazzanti che hai.
Espelli il dispiacere come il vomito, che tra l’altro sembra non essere poi così lontano.
Quando hai finito di sfogarti i tuoi amici si sono già ripresi, è la chiusura.
Non sai come, perché, né chi ti ci ha portato ma ti ritrovi in un bagno in preda ai conati a vomitare anche l’anima.
Ti rendi conto di non aver salutato il barman e ti chiedi come ti è venuto in mente di bere così tanto.
Poi un vuoto, qualche flash confuso sul ritorno a casa e di nuovo il vuoto.
Ti svegli a pancia in giù sul tuo letto col cervello che martella e la gola in fiamme, giurando e spergiurando che non berrai mai più così tanto.
Non ti ricordi quasi niente della sera prima, solo qualche flash annebbiato e qualche sprazzo di musica e colore.
Ti alzi e vai verso il bagno, l’emicrania ti fa barcollare e sei quasi certo di sentire puzza di vomito.
Sbuffi.
Ti spogli rischiando quasi di perdere l’equilibrio e ti infili di corsa sotto la doccia.
L’acqua ti scorre addosso calda, fredda, calda… cambi l’intensità del calore a intermittenza nel tentativo di svegliarti.
Quando esci ti senti meglio, ti asciughi come puoi e ti trascini al rallentatore verso la cucina dove ancora in asciugamano ti prepari una dose doppia di caffè e un bicchiere d’acqua con un’aspirina.
Il silenzio che ti avvolge è confortante. La testa ti fa così male che non riesci a pensare.
Ti fanno male tutte le ossa come se pulsassero dall’interno e ti accorgi di avere anche qualche livido.
Ti chiedi quante volte hai sbattuto contro le pareti, devi chiamare assolutamente il tuo migliore amico per chiedergli cosa cavolo è successo.
Eppure nonostante tutto ti senti leggero, assolutamente felice, pazzescamente libero.
Pensi che per stare così la sera prima dovevi essere davvero fuori controllo.
Sorridi.
Alla fine non è stato niente.
Niente… davvero.
Solo una sbornia come tante.
Solo un’altra sbornia.
 
  
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