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Autore: pinkherrie    14/01/2017    0 recensioni
Penny è una studente universitaria, persa nel suo mondo e nei suoi strani pensieri, dedita alla scrittura e all'amore che prova nel profondo del cuore. Nel corso del suo percorso di studi troverà colui che l'aiuterà a farsi strada nel folle mondo degli scrittori. Ma per Penny era stata davvero predetta la felicità?
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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"Vorrei insegnarti la scrittura, Marcus, non perché tu possa imparare a scrivere, ma affinché tu possa diventare uno scrittore.
Scrivere romanzi non è una cosa da niente: tutti sanno scrivere, ma non tutti sono scrittori."
"E come si fa a sapere di essere uno scrittore, Harry?"
"Nessuno sa di essere uno scrittore, Marcus. Glielo dicono gli altri."

-La verità sul caso Harry Quebert.



Non mi trascino più a scuola, ci vado e basta. Contenendo la mia felicità alle prime ore del mattino, quando gli occhi bruciano a causa delle ore di sonno che ancora mi mancano, e continuo a sbadigliare senza sosta. E tutti mi chiedono come faccio ad esser così felice al mattino, quando inizi a patire il freddo. Io non rispondo, nessuno doveva sapere che arrivavo davanti l'istituto in anticipo per poterlo vedere, poggiato al cancello, mentre fuma la sua sigaretta. Chiacchiera con gli amici, ragazzi più grandi, e l'osservo senza destare sospetti.
Sbadiglio, come fanno tutti. E parlo con le mie compagne di classe su come ho passato la serata precedente, su come ho sognato d'essere quel che non sarei mai stata. E loro m'ascoltano, lo fanno per pietà, perché non hanno nulla di più interessante d'ascoltare, se non la mia voce acuta. Parlo senza sosta finché non m'accorgo che bisogna entrare, che a momenti la campanella sarebbe suonata.

Ogni alunno era tenuto ad esser puntale quell'anno, altrimenti avrebbero affibbiato una nota disciplinare a chi non avesse rispettato quella dannata regola. Ed io ne avevo collezionate già due, a causa del traffico del mattino che t'impediva di percorrere quell'unica strada che portava all'istituto. E non potevo permettermi d'infrangere ancora la regola. E questa era la versione che avevo appena raccontato alla mia compagna di banco, che m'aveva vista varcare la soglia della nostra classe un minuto prima dell'atteso suono della campana.

Accomodata sulla sedia, dopo aver poggiato il materiale sul banco, Sally non ha fatto altro che parlare dei miei capelli, ostinandosi a tenere in piedi la sua stupida teoria.
Insinuava di sapere che c'avevo fatto qualcosa a questa chioma, e che l'avevo fatto per attirare l'attenzione d'un ragazzo, perché si vedeva che m'ero presa una bella sbandata! E aveva pure supposto fosse quel ragazzo che mi faceva la corte, quello più grande.
Ho urlato che non m'ero presa nessuna sbandata, che quello più grande non sapevo nemmeno chi era e che, perdio, doveva tacere.

Poi le lezioni sono iniziate, ore ininterrotte di lezioni noiose e di cui non avevo capito una parola. Avevo riempito le pagine del mio quaderno con il suo nome. Harry, Harry, HARRY, H-A-R-R-Y con la penna dall'inchiostro verde, verde come il colore dei suoi grandi occhi. Poi avevo iniziato a nascondere con il braccio il contenuto di quelle pagine, al riparo da occhi indiscreti. E avevo continuato a scrivere il suo nome finché non avevo iniziato ad accusare dolore alla mano, finché la lezione era arrivata al termine.

Un accalcarsi di studenti m'aveva pestato le scarpe nuove nel corridoio pieno zeppo di allievi, un branco di maleducati. E non c'era minuto in cui smettevo di pensare a lui, a chiedermi dove fosse e perché quella mattina non m'aveva guardato. Ma iniziavo a confidare di vederlo alla prossima lezione: matematica. Sì, m'avrebbe sicuramente guardata! Per poi chiedermi se avessi tagliato i capelli. Sì! Sì! L'avrebbe fatto.

Iniziata la lezione di matematica, quella lavagna sporca di gesso su cui erano state scritte formule su formule, somigliava ad un scarabocchio continuo, niente di ciò aveva senso. Sembrava solo essere una stupida equazione, di quelle che non possiedono una fine perché il procedimento è troppo lungo; come l'equazione della vita: indecifrabile.

Seduta al mio piccolo banco, l'osservavo. Contemplava la lavagna ed ascoltava l'insegnante con notevole interesse. Sembrava capirci qualcosa, ma non m'aveva notata. Chissè per quale stupido motivo m'ero messa in testa che l'avrebbe fatto! L'ora di matematica era la sua ora, l'unico momento della giornata in cui andava fiero d'aver risolto uno dei tanti improponibili quesiti presenti nel testo. Ed era intelligente, sì! M'ero invaghita d'un tipo intelligente! Ed avevo nuovamente riempito il quaderno con il suo stupendo nome, H-A-R-R-Y avevo scritto sul foglio, con la mia grafia disordinata e la solita penna dall'inchiostro che mi ricordava il colore dei suoi occhi. Quanto mi sarebbe piaciuto passeggiare con lui, mano nella mano, s'un prato verde, ed osservare i suoi occhi sotto la luce del sole! Ah!

La mattinata s'era rivelata essere un disastro. Harry non m'aveva guardata, nemmeno una volta. E un ragazzo impacciato aveva sporcato la mia camicia nuova con il suo caffè bollente! Un oltraggio! Così m'ero rinchiusa nel bagno delle donne a chiedermi per quale motivo quella mattina era andato tutto storto! "Perdio!", non avevo fatto altro che urlare. Ciò riuscivo a dire, contenendo la mia ira.
E Sally era entrata nel bagno giusto in tempo per assistere ad uno dei miei innumerevoli urli, preoccupandosi in modo esagerato. Aveva lasciato cadere a terra il suo materiale, e aveva cercato di sfondare la porta della toilette.
"Vattene! Vattene!", non facevo altro che dirle. Ma non m'ascoltava, rimaneva lì a prefissarsi di non arrendersi, che sarei uscita da lì e le avrei raccontato tutto. Tutto!
Ma non potevo! Non potevo raccontarle che m'ero presa una sbandata per quel ragazzo. No, non avrei potuto.

Cercai di ricompormi nel migliore dei modi. Sudavo, ed accusavo dolore alla gola. I miei occhi bruciavano. Ma mi ricomposi. Uscii dal bagno e guardai Sally dritta negli occhi. Le chiesi di non farne parola con nessuno, di non parlare di nulla. Di non raccontare a nessuno che io, la dolce ed incantevole Penny, avevo avuto una crisi di nervi nei bagni dell'università. Oh, se i miei genitori l'avessero saputo! M'avrebbero rifilato uno dei loro sculaccioni dicendomi che non dovevo ridurmi in quello stato per una sciocchezza, che la vita è piena di problemi! Si sarebbero sicuramente dati man forte l'uno con l'altra, blaterando sul fatto che un buon americano non piange nei bagni dell'università per questioni così.. futili. Che nemmeno in guerra si piange, figuriamoci!

Così avevo indossato il mio golfino, recuperato le mie cose ed ero tornata in caffetteria. Avevo preso un tavolo a caso, dove non avevo nemmeno mangiato il mio pranzo. Giravo la forchetta nel cibo ancora e ancora! Non c'era traccia d'appetito. Puoi notai qualcuno sedersi difronte a me, non gli vidi il volto. Poggiò i suoi quaderni e il suo pranzo, senza proferir parola.
Quando finalmente alzai lo sguardo per rendermi conto di chi si fosse seduto al mio stesso tavolo, per giunta senza chiedermi il permesso, rimasi sorpresa da chi mi ritrovai davanti. Oh, mio Harry! Allora m'aveva notata!
"Era l'unico tavolo libero", aveva precisato poi. Parlando a bocca piena d'altronde, ma non m'era importato! Lui non rendeva da maleducati quel gesto orribile.
"Fa' niente", ho detto. "Mi chiamo Penny", ho sorriso perché non sapevo far altro in sua presenza. E mentre sedeva difronte a me, il mio cuore si riempiva d'amore!
"Lo sapevo, sì. Lo sanno tutti qui".
Io ho spalancato gli occhi, lo sapeva? No, frottole! Non poteva saperlo, altrimenti perchè mai quella era la prima volta che noi due parlavamo?

Finito il suo pranzo, cui io avevo osservato incantata ogni suo minimo movimento, Harry m'invitò ad uscire in giardino prima della prossima lezione che, guarda caso, avevamo in comune. Avevamo lasciato la nostra roba in un armadietto, e siamo corsi fuori. Abbiamo parlato, ed ho scoperto che non si faceva altro che parlare di me nei corridoi! Penny qua, Penny là! Ero sulla bocca di tutti. Lui sosteneva che questa mia notorietà arrivasse nel momento giusto, che dando importanza alla mia persona davano importanza ai miei racconti, quelli che lui aveva letto nel giornalino dell'università. Li trovava carini. Oh, dolce Harry! Trovava carini i miei racconti!
Diceva che non peccavo d'originalità, e ch'era difficile trovare una donna così talentuosa in giro!
Scoprimmo anche d'essere stati vicini di casa da bambini, e che gli avevo fatto la corte un paio di volte. Che imbarazzo! C'aveva riso sù, definendo ciò come un'adorabile difetto dei bambini: troppo illusi di ciò ch'era realmente l'amore.
"Tu credi nell'amore, Harry?" gli ho chiesto, seduta sul prato ad osservare come il sole illuminava i suoi occhi color smeraldo. Ha riso.
"Se ci credo? Immagino di sì, Penny".

Quella fu la prima volta che io ed Harry parlammo. Parlammo di tutto ciò che ci passava per la testa, e saltammo le lezioni. Parlammo tutti i giorni, seduti sul prato verde, con il sole a scottarci la faccia. Io scrivevo testi per lui, scrivevo solo per lui! Li scrivevo a notte fonda, finito di studiare. Riempivo tutti i fogli presenti sulla scrivania della mia stanza, e glieli facevo leggere. Lui sorrideva sempre, dicendo che si sentiva onorato di poter leggere tutti quei racconti in anteprima. Ed io mi sentivo così innamorata! Lo stavo a guardare mentre passava da un rigo all'altro, e l'ascoltavo quando si permetteva di correggere qualche mio piccolo errore.
Altre volte aveva letto i miei testi ad alta voce, ed io arrossivo tremendamente, a causa della mia timidezza. Lo notava! Mi diceva che non c'era ragione per la quale dovevo esser timida, per cui dovevo arrossire. E tornava su quei maledetti fogli, che poi gli facevo pure tenere!
"Portali a casa, Harry! Sono per te, li ho scritti tutti per te!", e lui era felice.

Quando non avevo il piacere di vederlo durante le lezioni, continuavo a riempire pagine col suo nome. Intere pagine su cui si poteva leggere solamente Harry, Harry, HARRY, H-A-R-R-Y.
Un giorno Sally le notò, assolutamente colpita. Non aveva la più pallida idea di cosa stava accadendo fra me ed Harry, e mi aveva chiesto di stargli lontano, di non frequentarlo più. Ed io mi chiedevo come avrei fatto a stare lontana da Harry. Senza Harry, io ero persa. H-A-R-R-Y, avevo bisogno di lui!

Non ascoltai le parole di Sally, non ascoltai i suoi consigli. Mi rifiutai di obbedire a quelli che, col tempo, erano diventati ordini. Nemmeno i miei genitori potevano permettersi di ordinarmi di star lontana dall'amore della mia vita!
Così persi l'unica amica che avevo, e sembrava persino non importarmene! Mi bastava scrivere, riempire quei fogli di parole, di storie che non avevo mai raccontato. E poi li consegnavo ad Harry, che entusiasta, li custodiva con enorme gelosia.
Lo invitavo persino a casa, la sera, dopo cena. Si sedeva accanto a me, sulla scrivania, e rimaneva in silenzio a sfogliare la pagine del mio romanzo preferito, cercando di capire cos'aveva di così speciale da poter essere il mio libro preferito. Ed io scrivevo, non facevo altro che scrivere! Raccontavo un pezzo della nostra storia, di cui ancora non conoscevo il finale.

Ma un giorno, Harry non mise più piede dentro casa mia. Non frequentò più l'università. Sembrava aver rinunciato al stare con me! Sembrava aver rinunciato ad amarmi! Ma io non m'ero data per vinta, mi ripetevo che sarebbe tornato, che non m'avrebbe mica lasciata! L'aspettavo mentre sedevo alla mia scrivania, e raccontavo una nuova storia. Ma lui non arrivava. Gli spedivo i miei racconti, con la speranza che potesse leggerli, che potesse tornare da me. Ma non ricevevo nessuna risposta.
Il mio Harry aveva deciso di lasciar perdere. Il mio Harry dagli occhi color smeraldo, c'aveva rinunciato! H-A-R-R-Y, l'amore della mia vita.

Finii il mio percorso universitario, laureandomi in lettere. Non smisi d'amare Harry, non rinunciai al nostro amore. Non smisi d'aspettarlo. Non smisi di scrivere, in onore del nostro amore, a cui non smettevo di credere, perché il mio cuore batteva per Harry, cinque lettere, un nome, H-A-R-R-Y.

Un giorno, camminando per strada alla ricerca di un negozio per poter fare shopping, la gente mi fermò. Iniziarono persino a sedersi al mio tavolo quando bevevo il caffè al bar. Mi chiedevano se avessi davvero scritto quella raccolta, sì, quella ch'era stata pubblicato da poco! Ed io rispondevo che non ne sapevo nulla, che probabilmente avevano sbagliato persona. E m'allontanavo, alla ricerca di Harry. Lo cercai per mesi interi, sotto la pioggia e sotto il sole cocente. Controllavo personalmente la corrispondenza, sperando di trovare una sua lettera, scritta di suo pugno e che odorava di lui.
Finché non arrivò. Urlai quando me ne accorsi, Harry non s'era dimenticato del nostro amore!
Con mia sorpresa, m'aveva inviato un libro. Quello di cui tutti parlavano quando si sedevano al mio tavolo! Lo lessi tutto d'un fiato, con il cuore che, mano a mano, batteva d'amore. Harry, il mio Harry, HARRY, H-A-R-R-Y, aveva raccolto tutti i miei testi e li aveva riuniti in un unico libro! Non s'era preso il merito di quelle parole, sul libro non compariva il suo nome. Penny Styles si leggeva sotto il titolo. Penny Styles!
E sulla pagina finale, quella bianca, che non serve mai a nulla, un messaggio attendeva d'essere letto.
"Mia Penny, amore mio, tesoro mio. Hai per caso smesso d'aspettarmi? M'hai dimenticato?
Oh, Penny! Quanto mi rammarico d'averti lasciata così, senza una parola! Senza una spiegazione! Senza averti detto che ti amo!
Vediamoci in quel posto, dove per la prima volta abbiamo parlato. Dove leggevo i tuoi racconti. Vediamoci e amiamoci per il resto della vita!
Tuo,
Harry".
Oh, Harry m'amava! Harry non aveva rinunciato al nostro amore! Oh, mio Harry! Baciai quel messaggio, baciai la sua grafia. Il mio cuore sembrava esplodere a causa di tutto quell'amore!

Lo incontrai il giorno stesso, su quel prato verde e baciato dal sole. Non parlammo, non servivano più le parole. Ci baciammo e basta. Harry, Harry, HARRY, H-A-R-R-Y era tornato! E ci amavamo, nient'altro importava! Solo H-A-R-R-Y.

Avevo iniziato a scrivere di nuovo, meglio di prima. Col punto fisso che dovevo pubblicare un vero libro, fare dei miei sogni una certezza, una costante che non sarei stata in grado di modificare.
Harry sedeva accanto a me, giorno e notte. Non tentava di leggere ciò che stavo scrivendo, diceva che voleva attendere e gustarsi il piacere di leggere quelle parole, quelle belle parole, s'un libro. Diceva che gli sarebbe piaciuta la sensazione della carta fra le mani, girare le pagine ed inalarne il loro odore.

Tentava di non disturbarmi, nemmeno quando s'alzava dalla sedia per rifornirmi di cibo. Si preoccupava che n'avessi sempre, che non mi mancasse mai nulla. E quando il telefono suonava, nemmeno rispondeva, per non disturbarmi. Per non influire negativamente nella bellezza che stavo creando. Perché Harry, il mio dolce Harry, il mio tesoro, H-A-R-R-Y, l'aveva sempre saputo c'avrei fatto strada.

A volte lo vedevo, ch'era seccato. Vedevo persino l'espressione triste sul suo volto, quando il sole splendeva alto in cielo, e lui rimaneva seduto accanto a me, nel buio della nostra piccola stanza.
"Quanto ci vorrà ancora, Penny?", mi chiese un giorno. Gli occhi fissi sulle pagine di quel libro che non aveva mai continuato, rimanendo fermo alla solita pagina.
"Non molto! Non molto!", ed ero tornata con lo sguardo fisso sulle mie stesse parole, sulla penna che ancora rimaneva incollata sul foglio.
Lui aveva sbuffato, seccato e stanco.
"Se vuoi uscire, esci. Perdio, non sei obbligato a star qui, con me", ma non l'aveva fatto! Era rimasto lì ad ascoltare una melodia risuonare lenta fra le mura dell'appartamento, forse proveniente dalla casa dei vicini.

Quando pubblicai il libro, i ringraziamenti dovuto ad Harry -quel ragazzo con gli occhi color smeraldo che m'aveva rubato il cuore- sembrarono essere i peggiori che avessi mai scritto nella mia intera vita.
"Ringrazio Harry. L'unico uomo della mia vita, Harry. L'unico mio amore, HARRY. Semplicemente H-A-R-R-Y".
Ma nella testa, nella mia piccola testolina, sembravano funzionare. Sembravano essere le parole migliori che avessi mai accostato.

Sistemando la nostra stanza, scoprii che Harry mai aveva letto quel libro perché, quella pagina a cui sempre rimaneva fermo, gli ricordava la nostra storia. Una storia così semplice, carica di felicità e priva di tristezza. Tristezza che lui era sicuro di non aver mai provato quando stava con me, seduto su quel prato. E se solo avesse saputo! Se solo ne fosse stato al corrente, che quel giorno la piccola Penny era rinchiusa nei bagni dell'università ad imprecare perché lui, il ragazzo dei suoi sogni, non l'aveva notata. Ma non glielo dissi, non glielo raccontai perché immobilizzata da quella ch'era sempre stata la mia vergogna.

La stessa sera, in seguito alla scoperta della pagina la quale l'aveva rapito per tutto quel tempo, mia madre ci invitò a cena. C'eravamo agghindati nel migliore dei modi, sembrando persino ridicoli per quanto apparivamo eleganti! E mia madre, almeno, l'aveva apprezzato.
Per tutta la sera aveva blaterato su quando ci saremo sposati, che doveva dirlo a tutte le sue amiche perché oh, il ragazzo più bello dell'intera contea aveva scelto la sua piccola Penny! Era un gossip che non poteva permettersi di tenersi per sé. No! No!
E mio padre le dava man forte, come sempre aveva fatto. Le diceva che mi vedeva quando ancora andavo all'università, che in tutti i modi cercavo di farmi notare! Che me l'aveva pure detto!
"Tesoro, stai facendo la corte a qualche ragazzo? Guarda che lo vedo come vuoi farti notare! Ti tagli i capelli, hai cambiato vestiti, ti comporti in modo strano.. sì! Stai sicuramente facendo la corte a qualcuno!".
Ma Harry, oh, Harry aveva riso a tutte le loro chiacchiere. Aveva risposto persino alle loro domande nel modo più cortese e garbato che conoscesse. Aveva pure rifiutato gli alcolici, scusandosi con i miei genitori dicendo loro ch'era astemio. Per poi confidarmi che una piccola bugia bianca non avrebbe affatto cambiato il modo in cui i miei genitori lo guardavano adorati, pieni zeppi d'amore per il futuro genero.
Ma lo vedevo, come si sentiva a disagio. Come non avrebbe voluto ascoltare, come gli sarebbe piaciuto scappare. Vedevo quando storceva il naso quando gli chiedevano se aveva ambizioni nella vita, la vedevo la tristezza. Ma Harry, il mio Harry, H-A-R-R-Y sarebbe certo diventato docente universitario come aveva sempre sognato. H-A-R-R-Y non sapeva non sarebbe mai successo, perchè H-A-R-R-Y morì quella stessa sera. Travolto da un taxi. Quanto piansi quando i dottori mi dissero che non c'era modo di riportarlo in vita, che ormai era andato. Quanto indelicatamente me lo dissero, poi! Pensando potessi reggere una simile batosta! Ma loro non sapevano, non potevano sapere che l'avevo perso per la seconda volta, e questa volta H-A-R-R-Y non sarebbe mai tornato.



Scrivere un libro è come amare qualcuno: può diventare molto doloroso.
-La verità sul caso Harry Quebert.










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