F o U R
La
mia mente era affollata da dubbi e quesiti a cui non sapevo dare una risposta.
O
Gallen era un pessimo pilota, oppure aveva scelto lui di seguire la mia
andatura perché, mentre sfrecciavo a tutta velocità tra la boscaglia, una cosa mi
fu ben chiara: il suo hoverboard era cosmostellare!
Prima
di partire, Gallen l’aveva riequilibrato per il mio peso e aveva aggiustato gli
appoggi per i piedi, istruendomi in fretta su come maneggiarlo nel suo pieno
potenziale. Maggiore era la mia inclinazione rispetto al suo asse, maggiore era
la velocità con cui questo bolide viaggiava. E stavo letteralmente distruggendo
qualsiasi record pur di fare in fretta per salvare sia lui che gli animali.
Quando
arrivai in prossimità dei monti Ida dovetti fare uno sforzo per non esultare.
Avevo superato la parte più facile e ora avevo bisogno di tutta la mia
concentrazione per uscire indenne da quella più impegnativa. Spinsi
l’hoverboard ancora un po’, sorvolando i dintorni in cerca di un buon punto per
oltrepassare le creste acuminate. Se la memoria non m’ingannava, la base
Epsilon doveva trovarsi in un piccolo avvallamento a circa 2.800 m di altezza,
a metà strada dalla vetta. Una bella salita insomma, in cui tutto poteva
accadere.
A
poco a poco rallentai, facendo attenzione a non attirare troppo l’attenzione.
Sapevo che i Chrysaetos
erano in agguato. I loro nidi si trovavano sulle vette più alte e, nonostante
le nubi che li nascondevano alla visuale, possedevano sia un udito sia una
vista formidabili. Un passo falso e me li sarei trovati in picchiata verso di
me prima ancora di avere il tempo d’imprecare.
Incominciai
a risalire il crinale, cercando di non badare all’aria pungente che mi
pizzicava la pelle. Ero quasi arrivata a metà strada quando un luccichio alle
mie spalle mi fece sussultare. Mi voltai, improvvisamente accecata dalla luce
che mi colpì gli occhi e notai qualcosa di piccolo e scuro sfrecciare
nell’aria: un drone.
Quindi
quelli dell’Epsilon sapevano della mia presenza. E allora perché… mandai giù l’ennesima
imprecazione. Stupidi regolamenti! Non solo non indossavo, di nuovo, la divisa
del Gamma, ma possedevo l’equipaggiamento dato in dotazione alla base Beta e mi
stavo dirigendo come una matta verso di loro. Ovvio che mi ritenevano una
minaccia. Sperai solo che il drone non avesse delle armi incorporate.
Cercando
di non badarci, continuai a salire, nonostante quel coso continuasse a ronzare
nei paraggi. Alla fine mi arresi. Stavo sprecando minuti preziosi e tale
constatazione mi fece imbestialire, ma decisi comunque di fermarmi per cercare
in qualche modo di dialogare con i miei stalker. Mi voltai verso il drone e
agitai le braccia, provando a spiegare con i gesti delle mani che non ero
pericolosa. Poi lo avvertii.
Era
solo un lieve spostamento d’aria all’inizio, finché l’enorme creatura non
piombò contro il drone ghermendolo tra i suoi artigli. E non era sola.
Il
panico mi ghiacciò il sangue nelle vene. Se fossi sopravvissuta avrei preso a
botte quelli dell’Epsilon. Azionai il casco e partii alla massima velocità.
L’hoverboard gemette appena, ma non ci badai. Dovevo andarmene da lì, a costo
di surriscaldarlo.
Il
secondo Chrysaetos
piombò in picchiata verso di me. Lo evitai scartando di lato, ma sapevo che era
solo una manovra evasiva. Erano tra le creature più veloci del pianeta e se
volevo uscirne viva avrei dovuto giocare d’astuzia.
Digrignai
i denti, maledicendo qualsiasi cosa mi venisse in mente, e zigzagai tra i
pinnacoli acuminati nella speranza di distaccarmi dai miei inseguitori quel
tanto che bastava per escogitare un piano.
Man
mano che salivo, le nubi iniziarono a diventare un problema. La visiera del
casco di Gallen non era adatta a quell’altitudine ed era programmata per
registrare la presenza di creature viventi, non ammassi rocciosi dall’aspetto
terrificante. Con il cuore a mille, combattevo nel tentativo di evitare gli
attacchi dei rapaci dietro di me e le rocce acuminate sulla mia strada; non so
quale dei due modi mi sembrasse il peggiore per morire.
Senza
che me ne accorgessi, uno dei Chrysaetos spuntò dalla nebbia. Il suo colpo d’ala fu così forte
che rimasi ancorata alla tavola solo grazie agli agganci. Per poco non finii
contro la parete rocciosa, ma riuscii a individuare una possibile via di fuga.
Tra due rocce c’era uno spiraglio abbastanza grande da farmi passare, ma che
avrebbe potuto rallentare i Chrysaetos.
Aumentai
la velocità, ben consapevole di fare una pazzia.
Gli
artigli del Chrysaetos
più vicino stavano per afferrarmi la giacca; l’attenzione dell’animale era del
tutto focalizzata su di me ed era ciò che speravo. Un attimo prima di entrare
nella fenditura, mi strinsi le braccia al petto. Passai per un pelo, mentre i
bordi dell’hoverboard mandavano scintille a causa dell’attrito contro la
roccia. L’urto mi destabilizzò un po’, ma come previsto due esemplari andarono
a schiantarsi contro la formazione rocciosa, sibilando di frustrazione mentre
cercavano di rimettersi all’inseguimento.
Il
mio sorriso vittorioso si spense quando il casco rivelò la presenza di
qualcosa… sopra di me.
Un
altro Chrysaetos
scese in picchiata e non so come riuscii a schivarlo appena in tempo. Tuttavia
non potei fare molto a causa del risucchio d’aria e finì per traballare contro
il lato della montagna.
Mordendomi
il labbro, riacquistai l’equilibrio e spinsi al massimo l’hoverboard. Decisa a
chiudere la partita una volta per tutte, fui io a virare e a scendere in
picchiata. Salire non stava dando alcun miglioramento, quindi perché non
provare la strada opposta?
Incominciai
ad andare veloce, troppo veloce. La visiera lampeggiava come un’insegna
pubblicitaria, l’hoverboard fischiava sotto pressione, ma io non accennai a
rallentare, non con i Chrysaetos alle calcagna.
Quando
uscii dall’ennesima formazione di condensa, mi ritrovai con uno spuntone di
roccia a pochi metri dal viso e feci l’unica cosa possibile. Bruciai
letteralmente i freni dell’hoverboard per rallentare abbastanza da scartare di
lato.
Il
colpo di frusta per quella manovra mi si propagò per tutto il corpo, ma ingoiai
le mie imprecazioni quando con un frastuono uno dei Chrysaetos divenne uno spiedo. Il possente animale si dibatté
ancora per qualche istante, circondato dai suoi simili che, alla vista di una
preda più grossa e allentante, persero interesse per me. Un po’ mi dispiaceva,
ma era pura e semplice selezione naturale.
Prima
di essere presa nuovamente di mira, ritornai sui miei passi, l’hoverboard che
tremava sotto i miei piedi. Non avevo la benché minima idea di quanto potesse
costare, ma probabilmente sarei stata in debito con Gallen fino alla fine dei
tempi.
La
salita fu più lenta dell’inizio, dato che procedevo con estrema attenzione e
parsimonia a causa del povero hoverboard ormai semidistrutto, ma alla fine
riuscii a trovare la base Epsilon. E non l’avrei mai definita accogliente, non
con tutte quelle antenne che la decoravano come un grande albero di natale e le
turbine dei generatori che gemevano accanto allo spiazzo per l’atterraggio
delle navette con i rifornimenti. Sul serio qualcuno viveva in un posto simile?
Io avrei chiesto un aumento.
Eliminai
il casco e mi avvicinai all’entrata, ma quando scesi dall’hoverboard crollai a
terra. Scioccata, mi tolsi dalle labbra la ghiaia che mi si era appiccicata
addosso a causa del sudore e mi voltai a osservare le mie gambe rattrappite.
Semplicemente non mi reggevano più, dato che stavano tremando come foglie.
«Santo
Hawking» sbottai, mettendomi a sedere. Fortunatamente avevo deciso di scendere
vicino alla scala, per cui mi aggrappai alla ringhiera e costrinsi il mio corpo
a rimettersi in piedi. Non avevo tempo da perdere.
Salii
faticosamente i pochi gradini che mi separavano dalla porta d’entrata e
schiacciai con forza il citofono.
Nulla.
Bussai
con forza, ma nessuno venne ad aprirmi.
«Ehi!
So che siete là dentro!» sibilai, non curandomi della mia voce tremante. «Non
ho tempo da perdere con il protocollo, per cui veniamo a noi. Un membro della
squadra Beta è stato ferito da dei bracconieri che probabilmente in questo
momento staranno levando le tende, per cui ho bisogno di ristabilire le
comunicazioni e avvertire le basi nei dintorni!»
Feci
alcuni respiri profondi, ma ancora una volta non ottenni risposta. Scossi il
capo, cercando di scacciare il panico e risuonai.
«Avanti,
non ho tempo da perdere, pezzi di…»
Udii
dei borbottii all’intero della base. Non abbastanza forti da capire se mi
stavano mandato in un’altra galassia o meno, ma abbastanza da accendere in me
la speranza.
«So
che siete lì! Se è per il drone mi dispiace, ma voi nerd delle comunicazioni
siete davvero stupidi a far girare quei cosi con i Chrysaetos che vivono al piano superiore. Fatemi entrare, vi
prego. Non ho cattive intenzioni. Se non ci sbrighiamo potrebbe essere troppo
tardi!»
Iniziai
a tempestare di pugni la porta, incurante del dolore sordo che si propagava
nelle mie mani.
Stavo
quasi per cedere quando una voce famigliare risuonò da dietro alla porta.
«Avanti
Herman. La conosco. È una del Gamma, per l’amor del cielo. Falla entrare. Lo
spettacolo di prima non ti è bastato?»
Rimasi
senza parole. Indietreggiai appena quando il portellone si aprì e davanti a me
comparve un ragazzo dagli scompigliati capelli biondi e gli occhi eterocromi
evidenziati da un paio di occhiali.
«Jonathan»
mormorai. Poi crollai. Mi gettai tra le sue braccia e incominciai a piangere.
Quando
mi ripresi ero abbastanza in imbarazzo per la mia reazione, ma fui accolta con
diverse pacche della schiena, una tisana calda e una pillola calmante. Jonathan
non fece alcun commento per il mio slancio emotivo e per questo lo ringraziai
mentalmente. Persino lui sembrava ancora sconvolto per quello che era successo
e si teneva ben alla larga da me, come se avesse timore di un nuovo contatto
fisico. Per quanto mi riguardava, non c’era alcun pericolo.
«Allora»
chiesi, dopo aver preso un sorso dalla tazza che qualcuno mi aveva messo in
mano. «Cosa ci fai qui?»
Jonathan
era appoggiato sul tavolo della sala operativa o “sala dei codici”, come la
chiamavano i cervelloni dell’Epsilon, ai quali lanciò un’occhiataccia. «Stavo
cercando di spiegare a questi operai sottopagati quali pezzi di ricambio mi
servono per riparare Betty. Nell’ultimo approvvigionamento avevano sbagliato
ordine e mi sono ritrovato tra le mani un bel po’ di ferraglia inutile, per cui
ho deciso di venire a frustarli di persona.»
«Oh»
fu la mia unica risposta. «Beh, quella ferraglia non è stata poi tanto
inutile.»
«Già,
se non fosse per me saresti rimasta là fuori finché un Chrysaetos non ti avrebbe portata nel suo nido.»
«Grazie
per averlo fatto presente, ma sì… Grazie.»
«Prego.
Ora, ritornando al tuo bellissimo spettacolo di hoverboard, raccontaci cosa è
successo.»
Presi
un altro sorso di tisana e iniziai a esporre per filo e per segno ciò che era
successo e le mie ipotesi. Mentre parlavo, i tecnici dell’Epsilon, tutti uomini
dai 30 ai 50 anni, mi lanciarono parecchie occhiate stupefatte e basite.
«Pensi
davvero che siano entrati nel sistema?» mi chiese uno di loro.
«A
meno che non ci siano altri satelliti spia direi di sì» mormorai. «Avete avuto
interferenze sospette in questo periodo?»
Uno
dei più giovani si voltò a controllare sulla propria postazione. Per un
momento, il rumore delle dita che tamburellavano sui tasti proiettati fu
l’unico ad aleggiare nella stanza.
«I
nostri sensori non hanno rivelato nulla. Solo interferenze dovute all’orbita.»
Mi
morsi il labbro, ma Jonathan ebbe un’idea migliore.
«Togliti
di torno e fammi lavorare.»
«Ehi,
non sei autorizzato a…»
Jonathan
si voltò verso il caposquadra con uno sguardo così furioso da farlo ammutolire.
Scosse la testa e rubò la sedia al tecnico. «Non capisco perché lasciano certi
giocattoli a degli incompetenti.»
Mi
alzai dallo sgabello sul quale mi avevano adagiato e mi avvicinai a Jonathan,
conscia del fatto che tutti i presenti ci stessero fissando come se fossimo
affetti da qualche herpes alieno.
«Uhm,
Jonathan? Non credo che ti convenga inimicarteli, fallo per il bene di Betty.»
«Non
è colpa mia se non sanno fare il loro lavoro» sbottò. Digitò ancora per qualche
momento, dopodiché alcuni codici del sistema s’illuminarono di rosso.
«Eccovi
qui, piccoli parassiti.»
Come
per magia, i tecnici dell’Epsilon furono immediatamente interessati al suo
operato. Ci circondarono in un attimo, iniziando a bombardarlo di così tante
domande che per un attimo ebbi un giramento di testa.
«Ok,
gente. Concentriamoci. Avete già avvisato le basi Beta e Gamma?»
Due
uomini accanto a Jonathan annuirono vivacemente, per poi tornare a osservare lo
schermo.
«Bene.
Jonathan, cosa puoi dirci?»
Lui
non staccò gli occhi dal monitor, ma il sorriso che gli comparve sul viso non
mi piacque per nulla.
«Oh,
ci sanno fare. Non loro, ovvio, ma chi sta dietro a tutto questo. Qualcuno deve
avergli detto come crackare il sistema con una serie di operazioni conosciute
come Phantom. Ma…» si stiracchiò sulla sedia, scroccando le dita. «La fortuna
oggi non è dalla loro.»
«Puoi
risalire al loro sistema?» chiesi, la speranza che cresceva nel mio cuore.
«Ehi!»
sbottò il caposquadra dietro di noi. Ci voltammo tutti a fissarlo.
«Per
l’operazione che intendi svolgere serve l’approvazione del Congresso. Non puoi
entrare in un satellite governativo come se niente fosse! Potrebbero espellerti
dal progetto o peggio.»
Beh,
era una buona osservazione. Per quanto tragica potesse essere la situazione, le
conseguenze sarebbero state davvero gravi se qualcuno ai piani alti fosse
venuto a conoscenza della piccola infrazione che stavamo per compiere. Il gelo
scese nella piccola stanza, ma solo Jonathan rimase imperturbabile. I suoi
occhi di colore diverso mi osservarono per un secondo prima di fare spallucce.
«E
allora?»
Lo
guardai con gli occhi sgranati, mentre si voltava e tornava a digitare codici a
una velocità mostruosa.
«Come
“allora”? Jonathan, perché… Un momento. L’hai già fatto, non è così?» chiesi
sorpresa nel vedere con quanta famigliarità stava svolgendo un’operazione
dietro l’altra.
Il
sorriso che mi rivolse era sia amichevole che spaventoso. «Non tutti nascono
con il pedigree pronto.»
Per
poco non mi strozzai. «Ommiodio! Ecco perché sei così strano e traffichi sempre
al computer! Sei un hacker!»
Jonathan
aggrottò le sopracciglia biondo scuro, ma non staccò lo sguardo dallo schermo.
«E dunque sarei strano?»
Sbuffai.
«Ok,
ok. Sì, un tempo mi sono messo nei guai con molta gente cattiva che esigeva i
miei servizi socialmente utili, per cui beh…
un’imboscata della polizia qui, qualche parolina in tribunale là e ho
deciso di occuparmi di cose più interessanti con uno stipendio da fame. E poi
tutti hanno il diritto di voltare pagina. E ora zitta che mi distrai. Non
vorrai mica lasciare morire il tuo ragazzo in mezzo alla giungla.»
Feci
per aprire bocca per dirgli che Gallen e io non stavamo insieme da un sacco di
tempo, ma saggiamente la richiusi. L’idea che la vita di Gallen fosse nelle sue
mani m’inquietava non poco. Anche i tecnici dell’Epsilon ammutolirono
nell’udire che il ragazzo che sedeva tra loro in realtà era uscito dal lato
peggiore dei cybernauti.
«Allora…»
chiesi dopo qualche minuto. «Riuscirai a entrare nel satellite per
intercettarli?»
«In
realtà l’ho già fatto da all’incirca… 78 secondi. Con le giuste paroline dolci
ti si apre qualsiasi porta e il prototipo del satellite che hanno scelto è
abbastanza basilare. Niente in confronto a un satellite spia della NFRSS,
quello sì che…» la sua risata si spense.
Accorgendosi
del silenzio improvviso, Jonathan si voltò con occhi sgranati verso di noi,
osservandoci uno a uno. «Ok, forse questo non dovevo dirlo.»
«Mi
sa…» sussurrai. Scossi le spalle, cercando di riprendermi un attimo, dopo di
che estrassi dalla tasca dei pantaloni il fischietto di Gallen. L’osservai un
attimo prima di stringerlo nel palmo della mano.
«Possiamo
trasmettere?» chiesi a Jonathan.
«Ancora
un secondo…» mormorò, alzando un dito per farmi segno di attendere. Digitò
ancora un po' le dita e alla fine si diede il cinque da solo. «E siamo in onda!
Qualcuno porti un microfono alla signorina per favore. Ma tu guarda, devo
proprio insegnarvi tutto.»
Uno
dei tecnici si alzò e venne a collegare al modem un microfono dall’aria
piuttosto datata, senza perdere l’occasione di lanciare uno sguardo assassino a
Jonathan. Dal canto suo, lui fece una piroetta sulla sedia prima di azionare il
congegno con la grazia di un ballerino ubriaco e scansò malamente l’uomo,
ignorando la sua imprecazione. Mi rivolse un largo sorriso. «Pronta a scatenare
l’Inferno?»
Annuii,
stringendomi al petto il fischietto. Feci un respiro profondo e, dopo qualche
istante di silenzio in cui tutti gli occhi furono puntati su di me, iniziai a
trasmettere il messaggio.
Una
volta fatto tutto ciò per cui ero andata all’Epsilon, li ringraziai
calorosamente e promisi di scrivere nel mio rapporto una lettera di referenze
per il loro operato come pegno di scuse per il comportamento di Jonathan. Lui
mi osservò come se fossi improvvisamente impazzita e protestò peggio di un
bambino quando lo condussi a forza fuori dalla base. In qualche modo, riuscì
comunque a minacciare quei poveri tecnici per gli approvvigionamenti da lui
richiesti, anche se avevo come l’impressione che avrebbe potuto benissimo
richiederli per conto suo.
«Molto
bene, stellina» disse stizzito, sistemandosi la giacca dalle pieghe che gli
avevo creato strattonandolo. «Qual è la nostra prossima mossa?»
Strabuzzai
gli occhi. «La nostra? Non credo di essere stata chiara. Tu ritornerai al Gamma
e farai finta di nulla, mentre io raggiungerò Gallen per assicurarmi che stia
bene e…»
«Un
momento. Mi tiri in mezzo all’azione e poi mi liquidi come se nulla fosse?
Questo non è per nulla cortese, dato che è solo grazie a me se sei riuscita a
portare a termine la tua piccola missione suicida.»
Dovetti
voltarmi per assicurarmi di aver udito bene l’insofferenza nella sua voce, ma
la smorfia sul suo volto parlava da sé. Recuperai l’hoverboard, cercando di
rimanere impassibile. «Beh, non credo che tu sia un tipo che ama l’azione e, se
tutto è andato come previsto, la situazione potrebbe essere esplosiva, per
cui…»
«Un
momento!» Per poco non mi fece inciampare per quell’urlo. «Non dirmi che vuoi
andartene a bordo di quel rottame? Oh, stellina. Non farai neppure due metri.»
Abbassai
lo sguardo sull’hoverboard di Gallen. Certo, non ero stata gentile nei suoi
confronti, ma era ancora operativo e funzionante, il che mi bastava. «Perché,
hai un altro piano?»
Jonathan
sorrise come se stesse dialogando con una bambina e si diresse verso l’altro
lato della base. Dopo qualche momento ritornò, trascinando una aerobike
fiammante. Nel vero senso della parola. Ma le fiamme sull’intelaiatura non
erano passate di moda tipo da secoli?
«Vuoi
farmi credere che sei arrivato qui con quella?»
«Perché
quel tono sorpreso? È un valido mezzo di trasporto e oltre tutto va molto più
veloce di quella specie di skateboard senza ruote. D’altronde, quella cosa non
potrebbe mai sostenere il nostro peso.»
A
quel punto sbuffai sonoramente. «Jonathan, sul serio. Non serve che vieni con
me.»
«Ma
così mi perdo tutto il divertimento. Non credere di essere l’unica a soffrire
di noia su questo pianeta» esclamò. Montò in sella e diede qualche colpo sul
sellino per invitarmi a salire con lui.
«Aspetta!
Anche tu hai letto il mio diario?» Per poco non gli tirai in testa
l’hoverboard.
«Beh,
avevo finito i fumetti e comunque i deliri ormonali di un’adolescente sono
piuttosto noiosi e deprimenti. Allora, vogliamo andare? Il tuo fidanzato ti
aspetta» diede ancora qualche colpetto.
Inghiottii
l’ira bruciante che mi risaliva nelle vene, ma non vedendo altre possibilità
fattibili mi avvicinai a malincuore. Assicurai l’hoverboard di Gallen sul
portapacchi e mi sedetti dietro a quell’hacker che presto o tardi si sarebbe
ritrovato senza sopracciglia.
Quando
Jonathan mi costrinse a mettere le braccia attorno alla sua vita stretta per
reggermi, non riuscii a trattenere un gemito sorpreso. Lui in risposta mi diede
un buffetto sulle mani.
«Tranquilla,
sono stato accusato di molti crimini, ma la pedofilia non rientra tra quelli.»
«Ehi!
Che cosa vorresti insinua…»
«Si
parte!» E diede gas alla aerobike. Inutile dire che lo strinsi ancora di più per
il terrore di essere sbalzata via dal sellino. Ecco perché preferivo viaggiare
in hoverboard. Tuttavia, quando lo vidi puntare verso il dirupo invece che
sulla strada, non ebbi pronta un’imprecazione abbastanza forte per quel
momento.
«Aspetta
che…»
La
frase fu tagliata a metà dal mio urlo, mentre ci lanciavamo in caduta libera.
Un attimo prima di schiantarci, Jonathan azionò qualcosa sul manubrio e innestò
i propulsori situati sui fianchi del veicolo. Partimmo a una velocità
impressionante, lanciandoci alle spalle l’Epsilon e i monti Ida. E il mio
stomaco.
Atterrammo
vicino alla base dei contrabbandieri. Persino a distanza avevamo potuto
osservare il risultato del nostro operato e ciò non prometteva nulla di buono.
Non con tutti quei predatori nei paraggi.
Non
so come, ma riuscii a scendere da quella trappola infernale e a gattonare verso
un albero. Appoggiai entrambe le mani alla corteccia per sostenermi e feci
diversi respiri per calmarmi. Mi sentivo malissimo, come se avessi ingoiato a
forza delle molle che mi stavano saltellando allegramente nella pancia.
Sentii
Jonathan sbuffare contrariato alle mie spalle. «Ti sparano addosso, viaggi da
sola verso i monti Ida, sfuggi a un agguato degli Chrysaetos
e dopo tutto questo vieni a lamentarti della mia guida?»
«Sta zitto»
gemetti, cercando di riprendere il controllo di me.
Mi posai una mano
sulla fronte sudata e mi rimisi in piedi. Feci per aprire bocca quando gli
spari ricominciarono. «Direi di muoverci» sentenziai.
«Sai, una persona
intelligente non andrebbe incontro a uno scontro armato sprovvista di armi» mi
fece notare Jonathan, appoggiato sul fianco della sua aerobike intento a
pulirsi le unghie.
«Beh, non ho mica
intenzione di combattere. Voglio solo assicurarmi che Gallen stia bene. So che
quell’idiota è ritornato a spiare i nostri nemici, per cui dovrebbe essere nei
dintorni.»
«Che bello»
sbuffò Jonathan. Si mise una mano dietro la schiena ed estrasse una pistola a
impulsi.
«Ma…» sgranai gli
occhi. Avevo scoperto più cose di lui nell’arco di poche ore che nell’arco di
mesi.
«Prima regola
della sopravvivenza: assicurati sempre di avere un’arma con te» esclamò lui,
sventolandomela davanti agli occhi.
La schiaffeggiai
via dal mio viso. «Seconda regola: assicurati di saperla usare. E questo non mi
sembra il caso!»
«Ma certo che la
so usare» sentenziò, puntandomela contro con il dito sul grilletto.
«Aspetta, che
cosa intendi fare?» Oddio, quel pazzo stava per uccidermi!
Quando vidi che
aumentava la pressione, chiusi gli occhi per preparami al colpo, ma tutto ciò
che ricevetti fu della semplice acqua in faccia. Jonathan scoppiò a ridere.
«Dovevi vedere la
tua espressione. Peccato che non sia riuscito a farti una foto.»
Gli tirai un
pugno nello stomaco, facendolo crollare a terra.
«Una pistola ad
acqua! Sul serio? Jonathan, sei un gran figlio di…»
«L’importante è
dare l’impressione di essere pericolosi» mugugnò lui, tenendosi la pancia.
«Quegli idioti non saprebbero riconoscere una pistola vera nemmeno dopo una
visita oculistica… E, per Hack, Stellina. Dovevi proprio colpirmi così forte?»
«Certo, perché
sei un’idiota. Resta qui. Torno subito.»
Ignorando le sue
imprecazioni iniziai a correre nella boscaglia. Il rumore degli spari si fece
più forte, al punto che per un attimo temetti per il numero delle possibili
vittime. Quando sbucai fuori dalla foresta, tuttavia, lo spettacolo che ebbi
d’innanzi riuscii a tranquillizzarmi.
La cavalleria era
arrivata come previsto e i contrabbandieri erano in netto svantaggio. Non con
gli animali che correvano da tutte le parti, attaccandoli e disarmandoli a
colpi di becco e artigli. Mai far arrabbiare Madre Natura.
Tra i cespugli,
alcune squadre operative del Beta si stavano dando da fare, attente a non
colpire la fauna del luogo. Alcuni di loro stavano già armeggiando con le gabbie
nel tentativo di liberare i prigionieri e tra di loro vidi Hako, che assestò
uno dei sui colpi mortali sul plesso solare di un contrabbandiere.
«Hako!» urlai,
raggiungendola.
«Oh, santo Hubble»
sospirò lei, abbracciandomi. «Eravamo così preoccupati. Stai bene?»
«No che non sta
bene!» sbottò mia madre alle nostre spalle. Sgranai gli occhi, notando che
c’era persino mio padre e che entrambi erano intenti ad aiutare Hygeia a far
riprendere gli esemplari sedati in modo da liberarli. «Signorinella. Non
credere di passarla liscia questa volta. Tu e Gallen siete in un mare di guai!»
«Oddio, è vero!
Avete visto Gallen?»
Hako mi accarezzò
i capelli arruffati. «Tranquilla, Hygeia l’ha rimesso in sesto e si è unito
alla sua squadra.»
Sospirai di
sollievo e fu un errore. Eravamo in piena zona di guerra e qualsiasi
distrazione poteva risultare fatale, compresa quella.
Dal nulla sbucò
uno dei contrabbandieri. Era sporco di terra e ricoperto di tagli, ma non si
fece scrupoli a puntarci contro il fucile, abbaiando qualcosa
d’incomprensibile. Osservai la scena come anestetizzata, mentre mia madre mi
tirò dietro di lei per farmi da scudo. Una mossa falsa e…
Qualcuno si
schiarì la voce dietro l’uomo.
Il contrabbandiere
sussultò sorpreso, girandosi giusto in tempo per vedere il pugno di Jonathan
centrare in pieno la sua faccia. Crollò a terra come una cometa.
Rimanemmo tutti
ammutoliti, mentre il nostro tecnico scuoteva la mano con un’espressione
sofferente.
«Ecco perché
preferisco le pistole ad acqua» gemette.
«Sei davvero
incredibile, Jonny» sbottò Hako, scuotendo la testa. Poi schioccò le dita.
«Basta perdere tempo, vieni a darci una mano.»
«Ma se non sto
facendo altro da tutto il giorno?» si lamentò lui, raggiungendoci.
Scossi la testa e
mi allontanai dagli altri, cercando di vedere Gallen in mezzo alla mischia. La
battaglia era quasi arrivata al termine; la maggior parte dei contrabbandieri
era stata neutralizzata e presa in custodia, ma un paio di loro stavano
arretrando verso la vegetazione. Se avessero raggiunto gli alberi sarebbe stato
difficile riacciuffarli. Proprio in quel momento, uno dei soldati uscì dai
ranghi e partì all’inseguimento degli uomini, mentre Hector e Cain cercavano di
fermarlo.
Quell’incosciente…
«Gallen!» urlai.
Lui non mi sentì
o non badò a me, ma si preparò ad affrontare gli ultimi avversari. Piombò
addosso a quello più vicino con la grazia di un puma e lo neutralizzò con mosse
mirate. Purtroppo per lui, non aveva tenuto conto di quello al suo fianco.
Mi mancò il fiato
quando l’altro uomo gli puntò la bocca del fucile alla testa.
Gallen sollevò
appena lo sguardo, impassibile, dopodiché sorrise al suo aguzzino.
Un ruggito
risuonò nella radura, facendo tremare il terreno. Dalla vegetazione comparve un
Astreo particolarmente incazzato che osservò la scena ringhiando come una
creatura infernale. In bocca teneva ciò che rimaneva del contrabbandiere che
era quasi riuscito a svignarsela. Sputò il suo spuntino e squadrò l’uomo che
stava minacciando Gallen, prima di affondare i denti nella sua testa e
scaraventarlo contro gli alberi.
Era finita.
Senza pensare ad
altro corsi verso Gallen, che mi prese tra le sue braccia con un gemito.
Cademmo entrambi a terra sotto lo sguardo annoiato di Astreo, il quale ci
ignorò per andare a vedere come stava la sua compagna. Dietro di lui
trotterellavano Borea e Zephyrus, entrambi impegnati a masticare qualcosa.
Meglio non indagare.
«Sei un idiota!»
sibilai, dandogli un pugno sul petto.
«Potrei dirti la
stessa cosa» mormorò lui con un caldo sorriso mentre mi accarezzava i capelli.
«Avresti dovuto rimanere all’Epsilon fino alla fine di questa storia.»
«Vuoi scherzare?
Voi soldatini pretendete di tenere tutto il divertimento per voi.»
Mi voltai per
fulminare Jonathan e mi accorsi che non fui la sola. Gli altri ci avevano
raggiunti e circondati, osservandoci con sguardi carichi di rimprovero, ma allo
stesso tempo sollevati che nessuno dei due si fosse fatto male. Almeno, non
seriamente. Malon e mio padre ci aiutarono ad alzarci, per poi accompagnarci
verso le navette del Beta sottobraccio, come se potessimo crollare da un
momento all’altro.
«Allora, avrai
una bella storia da raccontare a cena» sentenziò lui, ignorando lo sguardo di
mia madre.
«Già e
probabilmente farà impallidire Launi» ridacchiò Hako alle nostre spalle.
«Perché
raccontarlo quando posso farvelo vedere? L’inseguimento con i Chrysaetos è
stato fantastico!»
Nell’udire quella
frase, tutti ci voltammo verso Jonathan che armeggiava con il suo datapad.
Sollevò la testa, sorpreso per la nostra reazione.
«Che c’è? Che ho
detto di male?»
Gallen era
sbiancato come un lenzuolo, così come mia madre, che si voltò verso Malon.
«Signor Stryker, spero
che lei abbia una punizione adeguata per suo figlio, dato che ha quasi ucciso
la mia!»
«Vorrei
ricordarle, signora Myah, che mio figlio si è beccato un proiettile per
proteggerla…»
«Ma era solo un
graffio! Mandarla da sola sui monti Ida con i Chrysaetos alle calcagna… È da
sconsiderati!»
Sospirai,
ignorando le urla dei genitori alle nostre spalle. Rallentai e intrecciai le
mie dita a quelle di Gallen.
«Che dici, saremo
in punizione fino alla fine dei tempi?»
Lui mi sorrise.
«Se non fosse così, rimarrei davvero stupito.» Lasciò cadere il discorso e mi
osservò angosciato. «Cay, mi dispiace. Se avessi saputo che…»
«Oh, non
preoccuparti. In realtà è colpa dei droni di quelli dell’Epsilon e poi… ho
praticamente distrutto il tuo hoverboard. Scusa.»
Gallen sogghignò
e mi mise un braccio attorno alle spalle, chinandosi verso di me per posarmi un
bacio sulla testa. «Immaginavo, CayCay. Non sono i guai a cercarti. Sei tu che
gli corri in contro a tutta velocità.»
«Ehi!» rimbeccai
offesa. Stavo per rispondergli a tono, quando qualcosa nella radura mi colpì.
Astreo ci stava
osservando; al suo fianco, Eos leccava amorevolmente i loro cuccioli, che la
stavano assillando in cerca di attenzioni. Non so perché, ma quella visione mi
fece sorridere.
Io e il Lycaon
mantenemmo il contatto visivo per qualche istante, poi lui inclinò il capo con
fare referenziale. Prima ancora che potessi assimilare quella scena, Astreo
ritornò al sicuro tra le fronde e con lui tutta la sua famiglia. Era giusto
così, pensai, mentre montavamo nelle navette e ritornavamo alle rispettive
basi.
Sopirai quando
adocchiai il complesso del Gamma in lontananza. Dopo mesi di rinnego, ora
potevo osservare la sua struttura, i suoi ambienti e persino il ponte di
collegamento, con occhi diversi.
Finalmente mi
sentivo a casa.
F i N E…
Eccoci qui alla “conclusione” di ViRIDIS. O meglio, alla
conclusione della prima parte muhahaha
Sì, purtroppo il mio cervello non riesce mai a pensare in piccolo e
ogni volta che sviluppo una storia me ne vengono in mente altre tre. Comunque,
ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui. Non so ancora quanto ci vorrà
per ultimare la nuova avventura di Cay e compagnia bella, ma cercherò di fare
del mio meglio ^^
Spero che questa storia vi sia piaciuta fino alla fine. So che
probabilmente non vedevate l’ora di uno scontro epico, ma per via della
lunghezza ho dovuto trattenermi… o sul serio sforavo i capitoli. Per cui chiedo
perdono se le vostre aspettative verranno in qualche modo deluse dalla rapidità
degli eventi ç_ç
Un ringraziamento speciale va a Sagas, insieme alle mie
congratulazioni per il contest, e a Aleksis per le recensioni. E ovviamente a tutti
quelli che hanno aggiunto ViRIDIS nelle loro liste.
Inutile dire che questa prima parte è dedicata a Marina Merisi, che
mi ha appoggiata nei miei scleri, facendo sclerare anche me con le ship 😝
A proposito, si accettano scommesse clandestine ahahah
Comunque, vi auguro una buona domenica e beh… alla prossima XD
P.S. ViRIDIS verrà prossimamente aggiunta anche su Wattpad, per cui
tenete gli occhi aperti 😉