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Autore: AlenGarou    15/01/2017    3 recensioni
“La conquista dello spazio.
La scoperta di nuovi pianeti abitabili.
I progetti di terra-formazione.
Gli omini verdi che esibiscono il saluto vulcaniano.
Tutte cazzate!”
Così esordisce Callisto “Cay” Myah nel suo diario personale.
Dopo più di tre mesi di permanenza su Kelper-552 AE, ribattezzato “Viridis”, sa di essere arrivata a un punto morto.
Ad abbatterla non è la mancanza d’interazioni sociali, dato che con lei c’è la sua famiglia con tanto di amici di lunga data al seguito, ma l’opprimente noia che l’assale al pensiero che ogni giorno sarà lo stesso. Svegliarsi, fare il check-up, scendere a fare colazione e passare il resto della giornata a raccogliere campioni.
Cay vorrebbe un po' di autonomia, una finestra di libertà in un mondo governato da rigide regole e protocolli, finché, per puro caso, un pomeriggio non verrà accontentata.
E non per il meglio.
Quante possibilità c’erano di finire sullo stesso pianeta in cui è in missione il proprio ex?
II classificata al contest "Scegli un'abitazione e crea la storia" indetto da M.Namie sul forum di EFP e vincitrice del premio "Miglior mix d’avventura e commedia".
Genere: Avventura, Science-fiction, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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F o U R

 

 

 

 

La mia mente era affollata da dubbi e quesiti a cui non sapevo dare una risposta.

O Gallen era un pessimo pilota, oppure aveva scelto lui di seguire la mia andatura perché, mentre sfrecciavo a tutta velocità tra la boscaglia, una cosa mi fu ben chiara: il suo hoverboard era cosmostellare!

Prima di partire, Gallen l’aveva riequilibrato per il mio peso e aveva aggiustato gli appoggi per i piedi, istruendomi in fretta su come maneggiarlo nel suo pieno potenziale. Maggiore era la mia inclinazione rispetto al suo asse, maggiore era la velocità con cui questo bolide viaggiava. E stavo letteralmente distruggendo qualsiasi record pur di fare in fretta per salvare sia lui che gli animali.

Quando arrivai in prossimità dei monti Ida dovetti fare uno sforzo per non esultare. Avevo superato la parte più facile e ora avevo bisogno di tutta la mia concentrazione per uscire indenne da quella più impegnativa. Spinsi l’hoverboard ancora un po’, sorvolando i dintorni in cerca di un buon punto per oltrepassare le creste acuminate. Se la memoria non m’ingannava, la base Epsilon doveva trovarsi in un piccolo avvallamento a circa 2.800 m di altezza, a metà strada dalla vetta. Una bella salita insomma, in cui tutto poteva accadere.

A poco a poco rallentai, facendo attenzione a non attirare troppo l’attenzione. Sapevo che i Chrysaetos erano in agguato. I loro nidi si trovavano sulle vette più alte e, nonostante le nubi che li nascondevano alla visuale, possedevano sia un udito sia una vista formidabili. Un passo falso e me li sarei trovati in picchiata verso di me prima ancora di avere il tempo d’imprecare.

Incominciai a risalire il crinale, cercando di non badare all’aria pungente che mi pizzicava la pelle. Ero quasi arrivata a metà strada quando un luccichio alle mie spalle mi fece sussultare. Mi voltai, improvvisamente accecata dalla luce che mi colpì gli occhi e notai qualcosa di piccolo e scuro sfrecciare nell’aria: un drone.

Quindi quelli dell’Epsilon sapevano della mia presenza. E allora perché… mandai giù l’ennesima imprecazione. Stupidi regolamenti! Non solo non indossavo, di nuovo, la divisa del Gamma, ma possedevo l’equipaggiamento dato in dotazione alla base Beta e mi stavo dirigendo come una matta verso di loro. Ovvio che mi ritenevano una minaccia. Sperai solo che il drone non avesse delle armi incorporate.

Cercando di non badarci, continuai a salire, nonostante quel coso continuasse a ronzare nei paraggi. Alla fine mi arresi. Stavo sprecando minuti preziosi e tale constatazione mi fece imbestialire, ma decisi comunque di fermarmi per cercare in qualche modo di dialogare con i miei stalker. Mi voltai verso il drone e agitai le braccia, provando a spiegare con i gesti delle mani che non ero pericolosa. Poi lo avvertii.

Era solo un lieve spostamento d’aria all’inizio, finché l’enorme creatura non piombò contro il drone ghermendolo tra i suoi artigli. E non era sola.

Il panico mi ghiacciò il sangue nelle vene. Se fossi sopravvissuta avrei preso a botte quelli dell’Epsilon. Azionai il casco e partii alla massima velocità. L’hoverboard gemette appena, ma non ci badai. Dovevo andarmene da lì, a costo di surriscaldarlo.

Il secondo Chrysaetos piombò in picchiata verso di me. Lo evitai scartando di lato, ma sapevo che era solo una manovra evasiva. Erano tra le creature più veloci del pianeta e se volevo uscirne viva avrei dovuto giocare d’astuzia.

Digrignai i denti, maledicendo qualsiasi cosa mi venisse in mente, e zigzagai tra i pinnacoli acuminati nella speranza di distaccarmi dai miei inseguitori quel tanto che bastava per escogitare un piano.

Man mano che salivo, le nubi iniziarono a diventare un problema. La visiera del casco di Gallen non era adatta a quell’altitudine ed era programmata per registrare la presenza di creature viventi, non ammassi rocciosi dall’aspetto terrificante. Con il cuore a mille, combattevo nel tentativo di evitare gli attacchi dei rapaci dietro di me e le rocce acuminate sulla mia strada; non so quale dei due modi mi sembrasse il peggiore per morire.

Senza che me ne accorgessi, uno dei Chrysaetos spuntò dalla nebbia. Il suo colpo d’ala fu così forte che rimasi ancorata alla tavola solo grazie agli agganci. Per poco non finii contro la parete rocciosa, ma riuscii a individuare una possibile via di fuga. Tra due rocce c’era uno spiraglio abbastanza grande da farmi passare, ma che avrebbe potuto rallentare i Chrysaetos.

Aumentai la velocità, ben consapevole di fare una pazzia.

Gli artigli del Chrysaetos più vicino stavano per afferrarmi la giacca; l’attenzione dell’animale era del tutto focalizzata su di me ed era ciò che speravo. Un attimo prima di entrare nella fenditura, mi strinsi le braccia al petto. Passai per un pelo, mentre i bordi dell’hoverboard mandavano scintille a causa dell’attrito contro la roccia. L’urto mi destabilizzò un po’, ma come previsto due esemplari andarono a schiantarsi contro la formazione rocciosa, sibilando di frustrazione mentre cercavano di rimettersi all’inseguimento.

Il mio sorriso vittorioso si spense quando il casco rivelò la presenza di qualcosa… sopra di me.

Un altro Chrysaetos scese in picchiata e non so come riuscii a schivarlo appena in tempo. Tuttavia non potei fare molto a causa del risucchio d’aria e finì per traballare contro il lato della montagna.

Mordendomi il labbro, riacquistai l’equilibrio e spinsi al massimo l’hoverboard. Decisa a chiudere la partita una volta per tutte, fui io a virare e a scendere in picchiata. Salire non stava dando alcun miglioramento, quindi perché non provare la strada opposta?

Incominciai ad andare veloce, troppo veloce. La visiera lampeggiava come un’insegna pubblicitaria, l’hoverboard fischiava sotto pressione, ma io non accennai a rallentare, non con i Chrysaetos alle calcagna.

Quando uscii dall’ennesima formazione di condensa, mi ritrovai con uno spuntone di roccia a pochi metri dal viso e feci l’unica cosa possibile. Bruciai letteralmente i freni dell’hoverboard per rallentare abbastanza da scartare di lato.

Il colpo di frusta per quella manovra mi si propagò per tutto il corpo, ma ingoiai le mie imprecazioni quando con un frastuono uno dei Chrysaetos divenne uno spiedo. Il possente animale si dibatté ancora per qualche istante, circondato dai suoi simili che, alla vista di una preda più grossa e allentante, persero interesse per me. Un po’ mi dispiaceva, ma era pura e semplice selezione naturale.

Prima di essere presa nuovamente di mira, ritornai sui miei passi, l’hoverboard che tremava sotto i miei piedi. Non avevo la benché minima idea di quanto potesse costare, ma probabilmente sarei stata in debito con Gallen fino alla fine dei tempi.

La salita fu più lenta dell’inizio, dato che procedevo con estrema attenzione e parsimonia a causa del povero hoverboard ormai semidistrutto, ma alla fine riuscii a trovare la base Epsilon. E non l’avrei mai definita accogliente, non con tutte quelle antenne che la decoravano come un grande albero di natale e le turbine dei generatori che gemevano accanto allo spiazzo per l’atterraggio delle navette con i rifornimenti. Sul serio qualcuno viveva in un posto simile? Io avrei chiesto un aumento.

Eliminai il casco e mi avvicinai all’entrata, ma quando scesi dall’hoverboard crollai a terra. Scioccata, mi tolsi dalle labbra la ghiaia che mi si era appiccicata addosso a causa del sudore e mi voltai a osservare le mie gambe rattrappite. Semplicemente non mi reggevano più, dato che stavano tremando come foglie.

«Santo Hawking» sbottai, mettendomi a sedere. Fortunatamente avevo deciso di scendere vicino alla scala, per cui mi aggrappai alla ringhiera e costrinsi il mio corpo a rimettersi in piedi. Non avevo tempo da perdere.

Salii faticosamente i pochi gradini che mi separavano dalla porta d’entrata e schiacciai con forza il citofono.

Nulla.

Bussai con forza, ma nessuno venne ad aprirmi.

«Ehi! So che siete là dentro!» sibilai, non curandomi della mia voce tremante. «Non ho tempo da perdere con il protocollo, per cui veniamo a noi. Un membro della squadra Beta è stato ferito da dei bracconieri che probabilmente in questo momento staranno levando le tende, per cui ho bisogno di ristabilire le comunicazioni e avvertire le basi nei dintorni!»

Feci alcuni respiri profondi, ma ancora una volta non ottenni risposta. Scossi il capo, cercando di scacciare il panico e risuonai.

«Avanti, non ho tempo da perdere, pezzi di…»

Udii dei borbottii all’intero della base. Non abbastanza forti da capire se mi stavano mandato in un’altra galassia o meno, ma abbastanza da accendere in me la speranza.

«So che siete lì! Se è per il drone mi dispiace, ma voi nerd delle comunicazioni siete davvero stupidi a far girare quei cosi con i Chrysaetos che vivono al piano superiore. Fatemi entrare, vi prego. Non ho cattive intenzioni. Se non ci sbrighiamo potrebbe essere troppo tardi!»

Iniziai a tempestare di pugni la porta, incurante del dolore sordo che si propagava nelle mie mani.

Stavo quasi per cedere quando una voce famigliare risuonò da dietro alla porta.

«Avanti Herman. La conosco. È una del Gamma, per l’amor del cielo. Falla entrare. Lo spettacolo di prima non ti è bastato?»

Rimasi senza parole. Indietreggiai appena quando il portellone si aprì e davanti a me comparve un ragazzo dagli scompigliati capelli biondi e gli occhi eterocromi evidenziati da un paio di occhiali.

«Jonathan» mormorai. Poi crollai. Mi gettai tra le sue braccia e incominciai a piangere.

 

 

 

Quando mi ripresi ero abbastanza in imbarazzo per la mia reazione, ma fui accolta con diverse pacche della schiena, una tisana calda e una pillola calmante. Jonathan non fece alcun commento per il mio slancio emotivo e per questo lo ringraziai mentalmente. Persino lui sembrava ancora sconvolto per quello che era successo e si teneva ben alla larga da me, come se avesse timore di un nuovo contatto fisico. Per quanto mi riguardava, non c’era alcun pericolo.

«Allora» chiesi, dopo aver preso un sorso dalla tazza che qualcuno mi aveva messo in mano. «Cosa ci fai qui?»

Jonathan era appoggiato sul tavolo della sala operativa o “sala dei codici”, come la chiamavano i cervelloni dell’Epsilon, ai quali lanciò un’occhiataccia. «Stavo cercando di spiegare a questi operai sottopagati quali pezzi di ricambio mi servono per riparare Betty. Nell’ultimo approvvigionamento avevano sbagliato ordine e mi sono ritrovato tra le mani un bel po’ di ferraglia inutile, per cui ho deciso di venire a frustarli di persona.»

«Oh» fu la mia unica risposta. «Beh, quella ferraglia non è stata poi tanto inutile.»

«Già, se non fosse per me saresti rimasta là fuori finché un Chrysaetos non ti avrebbe portata nel suo nido.»

«Grazie per averlo fatto presente, ma sì… Grazie.»

«Prego. Ora, ritornando al tuo bellissimo spettacolo di hoverboard, raccontaci cosa è successo.»

Presi un altro sorso di tisana e iniziai a esporre per filo e per segno ciò che era successo e le mie ipotesi. Mentre parlavo, i tecnici dell’Epsilon, tutti uomini dai 30 ai 50 anni, mi lanciarono parecchie occhiate stupefatte e basite.

«Pensi davvero che siano entrati nel sistema?» mi chiese uno di loro.

«A meno che non ci siano altri satelliti spia direi di sì» mormorai. «Avete avuto interferenze sospette in questo periodo?»

Uno dei più giovani si voltò a controllare sulla propria postazione. Per un momento, il rumore delle dita che tamburellavano sui tasti proiettati fu l’unico ad aleggiare nella stanza.

«I nostri sensori non hanno rivelato nulla. Solo interferenze dovute all’orbita.»

Mi morsi il labbro, ma Jonathan ebbe un’idea migliore.

«Togliti di torno e fammi lavorare.»

«Ehi, non sei autorizzato a…»

Jonathan si voltò verso il caposquadra con uno sguardo così furioso da farlo ammutolire. Scosse la testa e rubò la sedia al tecnico. «Non capisco perché lasciano certi giocattoli a degli incompetenti.»

Mi alzai dallo sgabello sul quale mi avevano adagiato e mi avvicinai a Jonathan, conscia del fatto che tutti i presenti ci stessero fissando come se fossimo affetti da qualche herpes alieno.

«Uhm, Jonathan? Non credo che ti convenga inimicarteli, fallo per il bene di Betty.»

«Non è colpa mia se non sanno fare il loro lavoro» sbottò. Digitò ancora per qualche momento, dopodiché alcuni codici del sistema s’illuminarono di rosso.

«Eccovi qui, piccoli parassiti.»

Come per magia, i tecnici dell’Epsilon furono immediatamente interessati al suo operato. Ci circondarono in un attimo, iniziando a bombardarlo di così tante domande che per un attimo ebbi un giramento di testa.

«Ok, gente. Concentriamoci. Avete già avvisato le basi Beta e Gamma?»

Due uomini accanto a Jonathan annuirono vivacemente, per poi tornare a osservare lo schermo.

«Bene. Jonathan, cosa puoi dirci?»

Lui non staccò gli occhi dal monitor, ma il sorriso che gli comparve sul viso non mi piacque per nulla.

«Oh, ci sanno fare. Non loro, ovvio, ma chi sta dietro a tutto questo. Qualcuno deve avergli detto come crackare il sistema con una serie di operazioni conosciute come Phantom. Ma…» si stiracchiò sulla sedia, scroccando le dita. «La fortuna oggi non è dalla loro.»

«Puoi risalire al loro sistema?» chiesi, la speranza che cresceva nel mio cuore.

«Ehi!» sbottò il caposquadra dietro di noi. Ci voltammo tutti a fissarlo.

«Per l’operazione che intendi svolgere serve l’approvazione del Congresso. Non puoi entrare in un satellite governativo come se niente fosse! Potrebbero espellerti dal progetto o peggio.»

Beh, era una buona osservazione. Per quanto tragica potesse essere la situazione, le conseguenze sarebbero state davvero gravi se qualcuno ai piani alti fosse venuto a conoscenza della piccola infrazione che stavamo per compiere. Il gelo scese nella piccola stanza, ma solo Jonathan rimase imperturbabile. I suoi occhi di colore diverso mi osservarono per un secondo prima di fare spallucce.

«E allora?»

Lo guardai con gli occhi sgranati, mentre si voltava e tornava a digitare codici a una velocità mostruosa.

«Come “allora”? Jonathan, perché… Un momento. L’hai già fatto, non è così?» chiesi sorpresa nel vedere con quanta famigliarità stava svolgendo un’operazione dietro l’altra.

Il sorriso che mi rivolse era sia amichevole che spaventoso. «Non tutti nascono con il pedigree pronto.»

Per poco non mi strozzai. «Ommiodio! Ecco perché sei così strano e traffichi sempre al computer! Sei un hacker!»

Jonathan aggrottò le sopracciglia biondo scuro, ma non staccò lo sguardo dallo schermo. «E dunque sarei strano?»

Sbuffai.

«Ok, ok. Sì, un tempo mi sono messo nei guai con molta gente cattiva che esigeva i miei servizi socialmente utili, per cui beh…  un’imboscata della polizia qui, qualche parolina in tribunale là e ho deciso di occuparmi di cose più interessanti con uno stipendio da fame. E poi tutti hanno il diritto di voltare pagina. E ora zitta che mi distrai. Non vorrai mica lasciare morire il tuo ragazzo in mezzo alla giungla.»

Feci per aprire bocca per dirgli che Gallen e io non stavamo insieme da un sacco di tempo, ma saggiamente la richiusi. L’idea che la vita di Gallen fosse nelle sue mani m’inquietava non poco. Anche i tecnici dell’Epsilon ammutolirono nell’udire che il ragazzo che sedeva tra loro in realtà era uscito dal lato peggiore dei cybernauti.

«Allora…» chiesi dopo qualche minuto. «Riuscirai a entrare nel satellite per intercettarli?»

«In realtà l’ho già fatto da all’incirca… 78 secondi. Con le giuste paroline dolci ti si apre qualsiasi porta e il prototipo del satellite che hanno scelto è abbastanza basilare. Niente in confronto a un satellite spia della NFRSS, quello sì che…» la sua risata si spense.

Accorgendosi del silenzio improvviso, Jonathan si voltò con occhi sgranati verso di noi, osservandoci uno a uno. «Ok, forse questo non dovevo dirlo.»

«Mi sa…» sussurrai. Scossi le spalle, cercando di riprendermi un attimo, dopo di che estrassi dalla tasca dei pantaloni il fischietto di Gallen. L’osservai un attimo prima di stringerlo nel palmo della mano.

«Possiamo trasmettere?» chiesi a Jonathan.

«Ancora un secondo…» mormorò, alzando un dito per farmi segno di attendere. Digitò ancora un po' le dita e alla fine si diede il cinque da solo. «E siamo in onda! Qualcuno porti un microfono alla signorina per favore. Ma tu guarda, devo proprio insegnarvi tutto.»

Uno dei tecnici si alzò e venne a collegare al modem un microfono dall’aria piuttosto datata, senza perdere l’occasione di lanciare uno sguardo assassino a Jonathan. Dal canto suo, lui fece una piroetta sulla sedia prima di azionare il congegno con la grazia di un ballerino ubriaco e scansò malamente l’uomo, ignorando la sua imprecazione. Mi rivolse un largo sorriso. «Pronta a scatenare l’Inferno?»

Annuii, stringendomi al petto il fischietto. Feci un respiro profondo e, dopo qualche istante di silenzio in cui tutti gli occhi furono puntati su di me, iniziai a trasmettere il messaggio.

 

 

 

Una volta fatto tutto ciò per cui ero andata all’Epsilon, li ringraziai calorosamente e promisi di scrivere nel mio rapporto una lettera di referenze per il loro operato come pegno di scuse per il comportamento di Jonathan. Lui mi osservò come se fossi improvvisamente impazzita e protestò peggio di un bambino quando lo condussi a forza fuori dalla base. In qualche modo, riuscì comunque a minacciare quei poveri tecnici per gli approvvigionamenti da lui richiesti, anche se avevo come l’impressione che avrebbe potuto benissimo richiederli per conto suo.

«Molto bene, stellina» disse stizzito, sistemandosi la giacca dalle pieghe che gli avevo creato strattonandolo. «Qual è la nostra prossima mossa?»

Strabuzzai gli occhi. «La nostra? Non credo di essere stata chiara. Tu ritornerai al Gamma e farai finta di nulla, mentre io raggiungerò Gallen per assicurarmi che stia bene e…»

«Un momento. Mi tiri in mezzo all’azione e poi mi liquidi come se nulla fosse? Questo non è per nulla cortese, dato che è solo grazie a me se sei riuscita a portare a termine la tua piccola missione suicida.»

Dovetti voltarmi per assicurarmi di aver udito bene l’insofferenza nella sua voce, ma la smorfia sul suo volto parlava da sé. Recuperai l’hoverboard, cercando di rimanere impassibile. «Beh, non credo che tu sia un tipo che ama l’azione e, se tutto è andato come previsto, la situazione potrebbe essere esplosiva, per cui…»

«Un momento!» Per poco non mi fece inciampare per quell’urlo. «Non dirmi che vuoi andartene a bordo di quel rottame? Oh, stellina. Non farai neppure due metri.»

Abbassai lo sguardo sull’hoverboard di Gallen. Certo, non ero stata gentile nei suoi confronti, ma era ancora operativo e funzionante, il che mi bastava. «Perché, hai un altro piano?»

Jonathan sorrise come se stesse dialogando con una bambina e si diresse verso l’altro lato della base. Dopo qualche momento ritornò, trascinando una aerobike fiammante. Nel vero senso della parola. Ma le fiamme sull’intelaiatura non erano passate di moda tipo da secoli?

«Vuoi farmi credere che sei arrivato qui con quella?»

«Perché quel tono sorpreso? È un valido mezzo di trasporto e oltre tutto va molto più veloce di quella specie di skateboard senza ruote. D’altronde, quella cosa non potrebbe mai sostenere il nostro peso.»

A quel punto sbuffai sonoramente. «Jonathan, sul serio. Non serve che vieni con me.»

«Ma così mi perdo tutto il divertimento. Non credere di essere l’unica a soffrire di noia su questo pianeta» esclamò. Montò in sella e diede qualche colpo sul sellino per invitarmi a salire con lui.

«Aspetta! Anche tu hai letto il mio diario?» Per poco non gli tirai in testa l’hoverboard.

«Beh, avevo finito i fumetti e comunque i deliri ormonali di un’adolescente sono piuttosto noiosi e deprimenti. Allora, vogliamo andare? Il tuo fidanzato ti aspetta» diede ancora qualche colpetto.

Inghiottii l’ira bruciante che mi risaliva nelle vene, ma non vedendo altre possibilità fattibili mi avvicinai a malincuore. Assicurai l’hoverboard di Gallen sul portapacchi e mi sedetti dietro a quell’hacker che presto o tardi si sarebbe ritrovato senza sopracciglia.

Quando Jonathan mi costrinse a mettere le braccia attorno alla sua vita stretta per reggermi, non riuscii a trattenere un gemito sorpreso. Lui in risposta mi diede un buffetto sulle mani.

«Tranquilla, sono stato accusato di molti crimini, ma la pedofilia non rientra tra quelli.»

«Ehi! Che cosa vorresti insinua…»

«Si parte!» E diede gas alla aerobike. Inutile dire che lo strinsi ancora di più per il terrore di essere sbalzata via dal sellino. Ecco perché preferivo viaggiare in hoverboard. Tuttavia, quando lo vidi puntare verso il dirupo invece che sulla strada, non ebbi pronta un’imprecazione abbastanza forte per quel momento.

«Aspetta che…»

La frase fu tagliata a metà dal mio urlo, mentre ci lanciavamo in caduta libera. Un attimo prima di schiantarci, Jonathan azionò qualcosa sul manubrio e innestò i propulsori situati sui fianchi del veicolo. Partimmo a una velocità impressionante, lanciandoci alle spalle l’Epsilon e i monti Ida. E il mio stomaco.

 

 

 

Atterrammo vicino alla base dei contrabbandieri. Persino a distanza avevamo potuto osservare il risultato del nostro operato e ciò non prometteva nulla di buono. Non con tutti quei predatori nei paraggi.

Non so come, ma riuscii a scendere da quella trappola infernale e a gattonare verso un albero. Appoggiai entrambe le mani alla corteccia per sostenermi e feci diversi respiri per calmarmi. Mi sentivo malissimo, come se avessi ingoiato a forza delle molle che mi stavano saltellando allegramente nella pancia.

Sentii Jonathan sbuffare contrariato alle mie spalle. «Ti sparano addosso, viaggi da sola verso i monti Ida, sfuggi a un agguato degli Chrysaetos e dopo tutto questo vieni a lamentarti della mia guida?»

«Sta zitto» gemetti, cercando di riprendere il controllo di me.

Mi posai una mano sulla fronte sudata e mi rimisi in piedi. Feci per aprire bocca quando gli spari ricominciarono. «Direi di muoverci» sentenziai.

«Sai, una persona intelligente non andrebbe incontro a uno scontro armato sprovvista di armi» mi fece notare Jonathan, appoggiato sul fianco della sua aerobike intento a pulirsi le unghie.

«Beh, non ho mica intenzione di combattere. Voglio solo assicurarmi che Gallen stia bene. So che quell’idiota è ritornato a spiare i nostri nemici, per cui dovrebbe essere nei dintorni.»

«Che bello» sbuffò Jonathan. Si mise una mano dietro la schiena ed estrasse una pistola a impulsi.

«Ma…» sgranai gli occhi. Avevo scoperto più cose di lui nell’arco di poche ore che nell’arco di mesi.

«Prima regola della sopravvivenza: assicurati sempre di avere un’arma con te» esclamò lui, sventolandomela davanti agli occhi.

La schiaffeggiai via dal mio viso. «Seconda regola: assicurati di saperla usare. E questo non mi sembra il caso!»

«Ma certo che la so usare» sentenziò, puntandomela contro con il dito sul grilletto.

«Aspetta, che cosa intendi fare?» Oddio, quel pazzo stava per uccidermi!

Quando vidi che aumentava la pressione, chiusi gli occhi per preparami al colpo, ma tutto ciò che ricevetti fu della semplice acqua in faccia. Jonathan scoppiò a ridere.

«Dovevi vedere la tua espressione. Peccato che non sia riuscito a farti una foto.»

Gli tirai un pugno nello stomaco, facendolo crollare a terra.

«Una pistola ad acqua! Sul serio? Jonathan, sei un gran figlio di…»

«L’importante è dare l’impressione di essere pericolosi» mugugnò lui, tenendosi la pancia. «Quegli idioti non saprebbero riconoscere una pistola vera nemmeno dopo una visita oculistica… E, per Hack, Stellina. Dovevi proprio colpirmi così forte?»

«Certo, perché sei un’idiota. Resta qui. Torno subito.»

Ignorando le sue imprecazioni iniziai a correre nella boscaglia. Il rumore degli spari si fece più forte, al punto che per un attimo temetti per il numero delle possibili vittime. Quando sbucai fuori dalla foresta, tuttavia, lo spettacolo che ebbi d’innanzi riuscii a tranquillizzarmi.

La cavalleria era arrivata come previsto e i contrabbandieri erano in netto svantaggio. Non con gli animali che correvano da tutte le parti, attaccandoli e disarmandoli a colpi di becco e artigli. Mai far arrabbiare Madre Natura.

Tra i cespugli, alcune squadre operative del Beta si stavano dando da fare, attente a non colpire la fauna del luogo. Alcuni di loro stavano già armeggiando con le gabbie nel tentativo di liberare i prigionieri e tra di loro vidi Hako, che assestò uno dei sui colpi mortali sul plesso solare di un contrabbandiere.

«Hako!» urlai, raggiungendola.

«Oh, santo Hubble» sospirò lei, abbracciandomi. «Eravamo così preoccupati. Stai bene?»

«No che non sta bene!» sbottò mia madre alle nostre spalle. Sgranai gli occhi, notando che c’era persino mio padre e che entrambi erano intenti ad aiutare Hygeia a far riprendere gli esemplari sedati in modo da liberarli. «Signorinella. Non credere di passarla liscia questa volta. Tu e Gallen siete in un mare di guai!»

«Oddio, è vero! Avete visto Gallen?»

Hako mi accarezzò i capelli arruffati. «Tranquilla, Hygeia l’ha rimesso in sesto e si è unito alla sua squadra.»

Sospirai di sollievo e fu un errore. Eravamo in piena zona di guerra e qualsiasi distrazione poteva risultare fatale, compresa quella.

Dal nulla sbucò uno dei contrabbandieri. Era sporco di terra e ricoperto di tagli, ma non si fece scrupoli a puntarci contro il fucile, abbaiando qualcosa d’incomprensibile. Osservai la scena come anestetizzata, mentre mia madre mi tirò dietro di lei per farmi da scudo. Una mossa falsa e…

Qualcuno si schiarì la voce dietro l’uomo.

Il contrabbandiere sussultò sorpreso, girandosi giusto in tempo per vedere il pugno di Jonathan centrare in pieno la sua faccia. Crollò a terra come una cometa.

Rimanemmo tutti ammutoliti, mentre il nostro tecnico scuoteva la mano con un’espressione sofferente.

«Ecco perché preferisco le pistole ad acqua» gemette.

«Sei davvero incredibile, Jonny» sbottò Hako, scuotendo la testa. Poi schioccò le dita. «Basta perdere tempo, vieni a darci una mano.»

«Ma se non sto facendo altro da tutto il giorno?» si lamentò lui, raggiungendoci.

Scossi la testa e mi allontanai dagli altri, cercando di vedere Gallen in mezzo alla mischia. La battaglia era quasi arrivata al termine; la maggior parte dei contrabbandieri era stata neutralizzata e presa in custodia, ma un paio di loro stavano arretrando verso la vegetazione. Se avessero raggiunto gli alberi sarebbe stato difficile riacciuffarli. Proprio in quel momento, uno dei soldati uscì dai ranghi e partì all’inseguimento degli uomini, mentre Hector e Cain cercavano di fermarlo.

Quell’incosciente…

«Gallen!» urlai.

Lui non mi sentì o non badò a me, ma si preparò ad affrontare gli ultimi avversari. Piombò addosso a quello più vicino con la grazia di un puma e lo neutralizzò con mosse mirate. Purtroppo per lui, non aveva tenuto conto di quello al suo fianco.

Mi mancò il fiato quando l’altro uomo gli puntò la bocca del fucile alla testa.

Gallen sollevò appena lo sguardo, impassibile, dopodiché sorrise al suo aguzzino.

Un ruggito risuonò nella radura, facendo tremare il terreno. Dalla vegetazione comparve un Astreo particolarmente incazzato che osservò la scena ringhiando come una creatura infernale. In bocca teneva ciò che rimaneva del contrabbandiere che era quasi riuscito a svignarsela. Sputò il suo spuntino e squadrò l’uomo che stava minacciando Gallen, prima di affondare i denti nella sua testa e scaraventarlo contro gli alberi.

Era finita.

Senza pensare ad altro corsi verso Gallen, che mi prese tra le sue braccia con un gemito. Cademmo entrambi a terra sotto lo sguardo annoiato di Astreo, il quale ci ignorò per andare a vedere come stava la sua compagna. Dietro di lui trotterellavano Borea e Zephyrus, entrambi impegnati a masticare qualcosa. Meglio non indagare.

«Sei un idiota!» sibilai, dandogli un pugno sul petto.

«Potrei dirti la stessa cosa» mormorò lui con un caldo sorriso mentre mi accarezzava i capelli. «Avresti dovuto rimanere all’Epsilon fino alla fine di questa storia.»

«Vuoi scherzare? Voi soldatini pretendete di tenere tutto il divertimento per voi.»

Mi voltai per fulminare Jonathan e mi accorsi che non fui la sola. Gli altri ci avevano raggiunti e circondati, osservandoci con sguardi carichi di rimprovero, ma allo stesso tempo sollevati che nessuno dei due si fosse fatto male. Almeno, non seriamente. Malon e mio padre ci aiutarono ad alzarci, per poi accompagnarci verso le navette del Beta sottobraccio, come se potessimo crollare da un momento all’altro.

«Allora, avrai una bella storia da raccontare a cena» sentenziò lui, ignorando lo sguardo di mia madre.

«Già e probabilmente farà impallidire Launi» ridacchiò Hako alle nostre spalle.

«Perché raccontarlo quando posso farvelo vedere? L’inseguimento con i Chrysaetos è stato fantastico!»

Nell’udire quella frase, tutti ci voltammo verso Jonathan che armeggiava con il suo datapad. Sollevò la testa, sorpreso per la nostra reazione.

«Che c’è? Che ho detto di male?»

Gallen era sbiancato come un lenzuolo, così come mia madre, che si voltò verso Malon.

«Signor Stryker, spero che lei abbia una punizione adeguata per suo figlio, dato che ha quasi ucciso la mia!»

«Vorrei ricordarle, signora Myah, che mio figlio si è beccato un proiettile per proteggerla…»

«Ma era solo un graffio! Mandarla da sola sui monti Ida con i Chrysaetos alle calcagna… È da sconsiderati!»

Sospirai, ignorando le urla dei genitori alle nostre spalle. Rallentai e intrecciai le mie dita a quelle di Gallen.

«Che dici, saremo in punizione fino alla fine dei tempi?»

Lui mi sorrise. «Se non fosse così, rimarrei davvero stupito.» Lasciò cadere il discorso e mi osservò angosciato. «Cay, mi dispiace. Se avessi saputo che…»

«Oh, non preoccuparti. In realtà è colpa dei droni di quelli dell’Epsilon e poi… ho praticamente distrutto il tuo hoverboard. Scusa.»

Gallen sogghignò e mi mise un braccio attorno alle spalle, chinandosi verso di me per posarmi un bacio sulla testa. «Immaginavo, CayCay. Non sono i guai a cercarti. Sei tu che gli corri in contro a tutta velocità.»

«Ehi!» rimbeccai offesa. Stavo per rispondergli a tono, quando qualcosa nella radura mi colpì.

Astreo ci stava osservando; al suo fianco, Eos leccava amorevolmente i loro cuccioli, che la stavano assillando in cerca di attenzioni. Non so perché, ma quella visione mi fece sorridere.

Io e il Lycaon mantenemmo il contatto visivo per qualche istante, poi lui inclinò il capo con fare referenziale. Prima ancora che potessi assimilare quella scena, Astreo ritornò al sicuro tra le fronde e con lui tutta la sua famiglia. Era giusto così, pensai, mentre montavamo nelle navette e ritornavamo alle rispettive basi.

Sopirai quando adocchiai il complesso del Gamma in lontananza. Dopo mesi di rinnego, ora potevo osservare la sua struttura, i suoi ambienti e persino il ponte di collegamento, con occhi diversi.

Finalmente mi sentivo a casa.

 

 

 

 

 

 

F i N E

 

 

 

Eccoci qui alla “conclusione” di ViRIDIS. O meglio, alla conclusione della prima parte muhahaha

Sì, purtroppo il mio cervello non riesce mai a pensare in piccolo e ogni volta che sviluppo una storia me ne vengono in mente altre tre. Comunque, ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui. Non so ancora quanto ci vorrà per ultimare la nuova avventura di Cay e compagnia bella, ma cercherò di fare del mio meglio ^^

Spero che questa storia vi sia piaciuta fino alla fine. So che probabilmente non vedevate l’ora di uno scontro epico, ma per via della lunghezza ho dovuto trattenermi… o sul serio sforavo i capitoli. Per cui chiedo perdono se le vostre aspettative verranno in qualche modo deluse dalla rapidità degli eventi ç_ç

Un ringraziamento speciale va a Sagas, insieme alle mie congratulazioni per il contest, e a Aleksis per le recensioni. E ovviamente a tutti quelli che hanno aggiunto ViRIDIS nelle loro liste.

Inutile dire che questa prima parte è dedicata a Marina Merisi, che mi ha appoggiata nei miei scleri, facendo sclerare anche me con le ship 😝

A proposito, si accettano scommesse clandestine ahahah

Comunque, vi auguro una buona domenica e beh… alla prossima XD

P.S. ViRIDIS verrà prossimamente aggiunta anche su Wattpad, per cui tenete gli occhi aperti 😉

  
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