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Autore: Snow Rain    15/01/2017    3 recensioni
[William e Noora]
Lui ama lei e lei ama lui.
Sono la cura l'uno dell'altro.
Ma è difficile guarire quando continuano ad aprirsi nuove ferite.
[What if... Questa fanfiction non tiene conto degli avvenimenti riguardanti William e Noora della terza stagione, quindi la loro storia viene ripresa dalla 2x12 e loro non sono mai partiti per Londra, sebbene gli eventi legati agli altri personaggi rimangano invariati].
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2. Family Portrait [Pink]


10 Giugno 2016


È incredibile come il tempo sembri scorrere lento e sfrecciare veloce insieme quando si è felici. Sorridere è quasi una costante, affrontare le giornate è considerata una benedizione e tutti i problemi rimangono lontani dalla propria coscienza.

Ci sono pace e serenità, senza complicazioni.

Ma basta un solo istante perché il cielo crolli come un soffitto senza travi. Basta un evento insignificante per turbare la beatitudine del paradiso. Un attimo, e tutto diventa confuso, i tormenti tornano a pervadere la mente, e si comincia a fingere di stare bene davanti alle persone da cui si è circondati.

Eppure né Noora né William avrebbero potuto prendere in giro se stessi abbastanza a lungo da dimenticare i carichi pendenti sulle loro teste. Li ignoravano, ma erano proprio lì, come fantasmi, ad infestare le loro vite nel momento in cui queste erano più luminose che mai.

Quel giorno però, gli spettri avrebbero preteso nuovamente una parte della loro attenzione.

Per ogni minuto di felicità, bisogna pagare con una scheggia piantata nella propria anima.


* * *


William aveva chiesto a Noora di andare con lui al pub in cui si sarebbe visto con i ragazzi, ma non lo aveva detto a Chris, e sapeva che presto l'avrebbe pagata cara per questo.

Il suo migliore amico non era ancora riuscito ad entrare nell'ottica del fatto che adesso avesse una ragazza, e la sera prima si era presentato all'appartamento con una loro compagna di scuola senza avvisare, chiedendogli se potessero passare la notte lì, dal momento che entrambi avevano i genitori a casa. Succedeva spesso che Chris portasse le sue ragazze da William.

Quando ancora i due erano sulla porta e William stava spiegando a Chris che non era più il caso che facesse quelle improvvisate, Noora era comparsa dietro di lui e li aveva salutati perplessa. L'espressione di Chris si era inasprita, come se avesse mangiato un limone, e William aveva capito che finché non gli fosse passata quell'invidia infantile nei confronti della sua ragazza, sarebbe stato difficile passare del tempo con lui.

Perciò non gli aveva detto di aver deciso di portare Noora a quella serata. Voleva che lei conoscesse meglio i suoi amici, dal momento che si erano sempre incontrati alle feste, e una sera più o meno tranquilla a bere una birra gli sembrava la soluzione migliore. Se avessero voluto far funzionare quella relazione, avrebbero dovuto condividere ogni aspetto delle proprie vite, e gli amici per lui erano sempre stata la parte più importante.

Quando Noora uscì dal bagno, vestita e truccata in modo semplice come sempre, i capelli lisci ad incorniciarle il viso, lo trovò seduto sul divano ad aspettarla, con maglietta e pantaloni neri che creavano un contrasto delizioso con la sua pelle nivea. Inclinò leggermente il capo a destra e gli sorrise.

“Pronta”, annunciò.

Lui si alzò dal divano e le tese una mano, ricambiando il sorriso. “Andiamo”.


* * *


Scendendo dalla Porsche di William, improvvisamente Noora fu colta dall'agitazione. Non era da lei essere in ansia al pensiero di cosa pensassero altre persone sul suo conto, solitamente non le importava. Ma quei ragazzi erano quasi una famiglia per lui, ed era fondamentale che si creassero dei rapporti almeno civili.

Passandole un braccio intorno alle spalle, William le diede un bacio tra i capelli e la rassicurò.

“Li hai già visti: non mordono. Abbaiano soltanto”.

“Ah-ah. Il solito spiritoso”, replicò lei cercando di spingerlo via, ma con scarsi risultati, perché lui la strinse ancora di più.

Il locale in cui entrarono era il tipico pub di stampo irlandese. Bancone in legno scuro, segnato dal tempo e dagli avventori, tavoli ricavati da grossi barili e sgabelli alti. Gli amici di William, che lei riconobbe tutti come membri del Riot Club, erano disposti intorno a tre tavoli ed avevano già tutti un boccale tra le mani. Notò con piacere che c'erano anche altre due ragazze, una delle quali era Mari, seduta accanto ad una mora che Noora aveva visto qualche volta a scuola. Almeno non sarebbe stata un'imbucata ad una serata tra ragazzi.

Quando li videro entrare dalla massiccia porta del pub, iniziarono tutti a salutare William con urla e cori da stadio, tra cui Noora distinse un motivetto che faceva: “Magnusson del nostro cuor”, cantato a gran voce da un ragazzo che ricordava chiamarsi Alexander, e non poté fare a meno di ridere.

William scoppiò a ridere a sua volta e, tenendola per mano, si avvicinò a quel gruppo di scalmanati, iniziando a salutarli con strette di mano e pacche sulle spalle. Tutti tranne Chris rivolsero un saluto anche a Noora.

Né a lei né a William sfuggì questo dettaglio.

Noora salutò Mari, che le presentò anche l'altra ragazza, Liv.

“Ehi, vanno bene le cose adesso, a quanto pare”, le disse Mari con un sorriso, accennando a William che stava prendendo posto sullo sgabello accanto a Chris, proprio di fronte alle ragazze.

“Sì, non mi lamento”, le rispose, la gioia evidente nel suo tono. Poi raggiunse William e si sedette accanto a lui, Alexander alla propria destra.

Scoprì che le piaceva la compagnia degli amici di William. La divertivano, e in un certo senso loro la consideravano una sorta di eroina per essere riuscita ad incastrare in una relazione l'unico fra loro che in genere faceva in modo di non frequentare per più di due settimane la stessa ragazza. Le raccontarono diversi aneddoti interessanti, uno più compromettente dell'altro, mentre i boccali di birra continuavano a svuotarsi e ad essere riempiti nuovamente. William li lasciò fare, dal momento che non aveva scheletri nell'armadio in quell'ambito, ma dovette ricredersi quando Chris, che fino a quel momento era stato stranamente in silenzio, disseppellì un ricordo legato all'estate precedente che lui aveva completamente rimosso.

“Ricordi quella scommessa che abbiamo fatto con tuo fratello?”.

“Chris!”, lo ammonì William, irrigidendosi e stringendo la mano di Noora, ma lui continuò lo stesso.

“Che saremmo riusciti a scoparci tutte quelle della sua classe delle superiori entro la fine dell'estate? E cazzo se ci siamo riusciti”, concluse con soddisfazione.

Noora inorridì e si voltò di scatto a guardare William, con la speranza che smentisse quella storia assurda. Una cosa era usare il sesso come passatempo, ben altro renderlo una sorta di gioco d'azzardo.

Lui prese a fare dei movimenti circolari col pollice sul dorso della mano che le stringeva, per tranquillizzarla, e incenerì Chris con lo sguardo. Aggrottò la fronte e scosse il capo come a chiedergli che cosa gli fosse preso, e l'amico gli restituì uno sguardo innocente.

“Ah, Magnusson, sei sempre stato un pezzo di merda”, intervenne Alexander in tono drammatico, per stemperare la tensione palpabile. Tutti risero e la conversazione si spostò su argomenti meno spinosi, ma Noora rimase in silenzio, sulle sue. Smise di interagire anche con le ragazze e si chiuse in se stessa, la mano abbandonata mollemente in quella di William. Lui tentò un paio di volte di includerla nel discorso, ma lei si limitò ad annuire.

“Noi andiamo un attimo fuori, mi fumo una sigaretta”, annunciò allora William al resto del gruppo, facendo alzare Noora e trascinandola verso la porta.

Lei lo seguì senza protestare, ma quando furono all'aria aperta ritrasse la mano bruscamente e prese le distanze.

Senza scomporsi fece un lungo respiro, lo guardò negli occhi e gli chiese: “Perché l'hai fatto? È una cosa assurda quella che ho sentito là dentro. Scommesse sul sesso?”.

William scosse il capo e si guardò intorno, mentre cercava le parole giuste da dire.

“Noora, è come per la bottiglia, non c'è niente che possiamo farci adesso. Per la maggior parte della mia vita ho fatto lo stronzo con tutti tranne i miei amici. E adesso non lo sto più facendo con nessuno. Perché non riesci a fartelo bastare?”, chiese. Sapeva che Noora non avrebbe mai accettato le scelte che aveva fatto in passato, ma pensava che ormai fossero andati oltre la fase delle recriminazioni, che apprezzasse quanto si stesse impegnando per lei.

“Lo so, William... ma...”, non riuscì a terminare. Non sapeva che cosa dire, perché lui aveva ragione. William non era cambiato, nessuno cambia all'improvviso, però si stava sforzando per riuscire a controllarsi, e lei avrebbe dovuto stargli vicino e spronarlo a far uscire la sua parte migliore. Ma era difficile sapere che la persona che amava era stata capace di certe azioni e non esserne in qualche modo spaventata.

Lui si avvicinò con cautela e le mise le mani intorno alla vita. Ritrovandosi premuta contro di lui, Noora dovette alzare la testa per riuscire a guardarlo ancora negli occhi. Scrutarono a lungo l'uno lo sguardo dell'altra, tentando di trasmettersi tutto ciò che non potevano dire a parole e cercando le risposte di cui necessitavano per superare anche quel momento.

Ad un certo punto, il cellulare di William iniziò a squillare nella sua tasca, ma lui lo ignorò e strinse finalmente Noora in un abbraccio riparatore, a cui lei si arrese immediatamente.

Dopo diversi squilli andati a vuoto, il telefono smise di suonare, per poi riprendere con insistenza qualche istante più tardi.

“Dovresti rispondere”, disse Noora contro il suo orecchio.

Lui si scostò per estrarre l'iPhone dalla tasca e controllare chi fosse a quell'ora. Quando vide il mittente della telefonata la sua espressione si fece scura, come se all'improvviso qualcuno avesse spento un interruttore.

“È mio padre”, le spiegò, prima di allontanarsi da lei per rispondere.

“Pronto?”.

“Ciao, William”. La voce di Havard Magnusson riusciva stillare contrarietà anche pronunciando un semplice saluto.

“Ciao, papà”, gli fece eco il figlio, immaginando il motivo della telefonata. La stava aspettando dal giorno della dichiarazione fatta alla polizia. Non sapendo bene come muoversi in quella situazione, aveva chiamato lo studio legale a cui si rivolgeva suo padre ad Oslo, ed era consapevole che lo avrebbero avvisato, dal momento che quella mansione sarebbe stata addebitata sul suo conto.

“Non mi piace quello che mi hanno detto oggi, ragazzo mio”. Havard non si preoccupò minimamente di informarsi su come stesse suo figlio. Nessuna traccia di affetto nel suo tono, nemmeno il minimo accenno di sentimento.

Noora notò la tensione nelle spalle di William e si accostò a lui, prendendogli la mano libera e intrecciando le dita alle sue. Si voltò verso di lei e le rivolse un breve sorriso che non raggiunse gli occhi.

“Che cosa ti hanno detto oggi?”, chiese, dopo un attimo di esitazione. Adesso la rabbia cominciava a farsi strada dentro di lui, come ogni volta che si trovava a fronteggiare la totale assenza di interesse dei suoi genitori.

“Mi ha chiamato l'avvocato di Oslo per dirmi che hai chiesto di essere difeso da lei ad un'udienza per una rissa. A quanto pare hai pensato bene di spaccare una bottiglia in testa ad un ragazzo mentre qualcuno ti riprendeva”.

“Sì, è vero. Quindi?”, chiese William, tentando di mostrarsi indifferente al disprezzo che trasudavano le parole del padre.

“Non mi serve un figlio che va in giro a farsi accusare di lesioni. Se qualcuno qua venisse a saperlo, diventerei lo zimbello della società, e sai che sono ad un passo dal diventare presidente. Qualunque tipo di pubblicità negativa potrebbe costarmi quel posto”. Ed ecco che tutto si riduceva sempre al suo lavoro.

“Che cosa c'entra quello che faccio io ad Oslo con il tuo lavoro a Londra?”.

Vedendo che William stava iniziando a perdere la calma, Noora gli accarezzò una guancia, facendolo abbassare per appoggiare la fronte contro la sua.

“Non tentare di usare la tua logica da quattro soldi con me, William. Sai che cosa voglio dire. Stai superando il limite in questo periodo, a partire da quella tua idea mai andata in porto di trasferirti qua. Non mi hai neanche voluto dire che cosa sia successo, ma immagino nulla di buono”. Havard fu quasi derisorio nel fare quell'insinuazione, come se fosse ovvio che da suo figlio non potesse aspettarsi niente di positivo. Come se fosse ovvio che non sarebbe mai stato in grado di combinare niente che fosse degno di nota nella sua vita.

“Non è un tuo problema”, ribatté William lapidario.

“Lo è, visto che sono io a mandarti tutti i soldi che spendi. Ora che sei diplomato, dovresti iniziare a pensare a quello che devi fare della tua vita”.

“Va bene, non dobbiamo parlarne adesso. Volevi altro?”, tentò di tagliare corto.

“L'avvocato ha detto che ti arriverà una comunicazione a casa, ma che le hanno già fatto sapere che l'udienza si terrà il trenta giugno. Stai attento, William, sto perdendo la pazienza con te. Ti comporti sempre più come tuo fratello”. Di tutte le parole che avrebbe potuto usare, suo padre scelse quelle che sapeva avrebbero fatto breccia nella mente del figlio. Essere paragonato a Nikolai era l'incubo a cui William tentava di sfuggire da anni.

“Buonanotte, papà”, tagliò corto, e chiuse la telefonata senza dargli la possibilità di rispondere.

Sospirò di sollievo e lasciò che per qualche minuto Noora spazzasse via il suo nervosismo con le sue carezze. Immerse il viso nell'incavo del suo collo e inspirò il suo profumo, pensando che a fine serata l'avrebbe portata a casa e avrebbero fatto l'amore, e tutto sarebbe ricominciato a girare per il verso giusto.

Si scostò e la baciò in maniera profonda, lasciandola andare soltanto quando ebbero entrambi bisogno di prendere aria.

“Torniamo dentro?”, gli chiese lei, con un sorriso di incoraggiamento.

William annuì e insieme tornarono dai suoi amici.


* * *


10 Gennaio 2007


Era il suo decimo compleanno, ma alle otto di sera ancora nessuno in casa gli aveva fatto gli auguri.

Sua madre se ne andava in giro con un bicchiere sempre pieno di vino rosso in mano, suo padre non era rientrato dal lavoro e Nikolai era ancora chiuso in camera sua dopo la scenata che aveva fatto appena tornato da scuola. Aveva smesso da poco di piangere e urlare, ma nessuno ormai ci faceva più caso.

Era passato poco più di un anno dall'incidente in cui avevano perso Amalie, e se prima Nikolai era invisibile agli occhi dei genitori, adesso era diventato meno di un'ombra nelle loro vite.

William era un caso a parte. Lui era il gemello fortunato, quello che era rimasto illeso, e sua madre non perdeva occasione per ricordarglielo e farlo sentire in colpa per questo. Se fosse stato per lei, avrebbe barattato entrambi i suoi figli maschi per riavere la sua principessa.

William prese dallo zaino il bigliettino di auguri che gli aveva dato Mari quella mattina a scuola, poi scavò più a fondo e tirò fuori il videogioco che gli aveva regalato Chris. Fu tentato di provarlo in quel momento, ma non voleva attirare l'attenzione della madre ubriaca accendendo la televisione, così rimise tutto nello zaino e si preparò per andare a letto, sebbene ancora non avesse cenato. Sapeva che sua madre si era dimenticata anche quella sera di preparare qualcosa, e aveva paura di incontrarla quando lei beveva, così mettersi a dormire gli sembrò la soluzione migliore.

Mentre spegneva la luce e chiudeva gli occhi su quella giornata orribile, pensò a quando lui e Amalie sgattaiolavano fuori di casa mentre mamma e papà litigavano per colpa di Niko.

Gli mancava sua sorella, la sua metà. Adesso era rimasto da solo.

  
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