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Autore: simocarre83    16/01/2017    2 recensioni
Secondo racconto che parte dopo l'epilogo del primo. quindi se volete avere le idee chiare sarebbe, forse, il caso di leggere anche il primo. Ad ogni modo, una brutta notizia che presto diventano due, due vittime innocenti, loro malgrado, nuovi personaggi e purtroppo nemici che compaiono o RIcompaiono. Ma sempre l'amicizia che ha, come nella vita, un ruolo fondamentale.
Genere: Drammatico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL GIORNO DI DOLORE CHE UNO HA

Quella mattina, più di ogni altra cosa, non avrebbe voluto alzarsi. C’erano 12° sottozero, era il primo giorno di scuola dopo quattro giorni di vacanza (dal 7 al 10 Dicembre 2023), e il professore di matematica l’avrebbe di certo interrogato. E non gli piaceva per niente. Non riusciva proprio a capirlo, e se non fosse stato per le ripetizioni che gli dava Giuseppe, non sarebbe neanche andato così bene. Menomale che c’era lui, il suo ex professore che lo sosteneva e gli permetteva di capire tutte quelle cose che il suo, di professore, non riusciva neanche a spiegargli. Ed era praticamente l’unico a sopravvivere.
Fu solo per quello, perché comunque aveva studiato trigonometria come mai prima d’ora in quelle vacanze e voleva dimostrarlo al mondo intero, che si alzò. Appena in tempo per lavarsi, correre giù a fare colazione, salutare sua mamma e correre via a prendere il pullman. Gli toccava farlo, ogni volta che suo padre, come era accaduto quel giorno, era in viaggio per lavoro. Sarebbe tornato da Roma la sera stessa, ma alle sette, ora della sua sveglia, suo padre era già in volo. Alle 7.45, una volta sul pullman, si svegliò definitivamente, quando dalla porta scorrevole della vettura vide salire, un paio di fermate dopo la sua, Andrea.  Si salutarono ed incominciarono a parlare.
“Pronto per mate? Di sicuro, Giorgi oggi ti interroga” disse Andrea, quasi per prenderlo in giro.
Giuseppe lo guardò. Poi con l’indice si toccò la fronte. “E’ tutto qui dentro” disse, sorridendo. Andrea gli credeva ciecamente. Sapeva chi gli dava ripetizioni e lui era veramente bravo a spiegare matematica.
Dieci minuti dopo erano in classe. Dove si incontrarono anche con Antonio. Era incredibile come, dopo quella concitata prima settimana di scuola superiore, due anni prima, Antonio avesse completamente cambiato atteggiamento nei loro confronti e nei confronti di tutti i suoi compagni di classe. Tanto che, oramai, potevano quasi considerarsi amici.
Durante il primo intervallo, Andrea e Antonio andarono al bar, come tutti i suoi compagni, mentre Giuseppe rimase in aula a ripassare matematica. L’interrogazione sarebbe stata nell’ora successiva.
Grazie anche a quel piccolissimo ripasso, Giuseppe se ne uscì con un sette. Più che sufficiente per i suoi gusti.
Dopo un’altra ora di inglese, ben più rilassato, suonò il secondo intervallo. E uscì un attimo, accompagnando Antonio a fumarsi una sigaretta. Lui non fumava: non gli piaceva e, comunque, la prima sigaretta scoperta da suo padre, gli sarebbe costata la vita.
Fu mentre erano fuori a congelarsi, che Giuseppe vide una cosa che non gli piacque per niente. Il loro ex professore di matematica stava discutendo animatamente con un’altra persona. I due si separarono e Giuseppe si avvicinò a loro, entrando a scuola.
-Strano- pensò Giuseppe -è il suo giorno libero. Chissà come mai è qui- mentre lo seguiva con lo sguardo. Sguardo e occhiata che non vennero neanche ricambiati.
Il professore si voltò, quando era quasi sull’uscio della porta e li osservò. “Che cosa fate voi due lì?! Non sentite che è già suonata la campana?!” disse, serio e estremamente scontroso. Antonio e Giuseppe rientrarono ubbidientemente in classe.
L’impressione che ebbe Giuseppe fu di una persona estremamente preoccupata. Non se ne preoccupò più di tanto, certo del fatto che l’avrebbe scoperto quello stesso pomeriggio. Lui e suo padre, il lunedì sera, andavano in piscina. E, sebbene suo padre, quella sera, non ci sarebbe stato, dall’inizio di quell’anno scolastico, si erano decisi ad iscriversi in piscina anche Giuseppe e suo figlio. Simone, però, era a casa con la febbre, e, come era accaduto anche qualche altra volta, i due omonimi sarebbero andati da soli in piscina.
La giornata di scuola terminò e in men che non si dica passò anche il pomeriggio. Giuseppe e Andrea passarono il pomeriggio a studiare un’oretta e poi a giocare con i videogiochi, loro grande passione.
Alle 18:30 Giuseppe stava preparando la borsa per la piscina, quando sentì un rumore dalla porta d’ingresso. Sua mamma non poteva essere. Era già in casa, e in sottofondo poteva sentire il ferro da stiro che sbuffava a tutto spiano. Quindi non poteva essere Maria. In più sentì proprio lei esclamare un “Ma come! già qui?!”, a cui seguirono delle risate che lasciarono intendere a Giuseppe una sola cosa. Cosa che venne completamente confermata quando, dopo pochi secondi, sentì qualcuno che bussava alla porta della sua camera e questa che lentamente si apriva.
“Papà! Ciao! Ma sei già tornato!?” chiese Giuseppe.
“Ciao! Sì la riunione era stamattina e alle due avevo finito di pranzare con loro, quindi mi sono fatto anticipare l’aereo dalla zia e sono tornato prima” rispose suo padre. “Tra cinque minuti andiamo, ok!?”
Giuseppe non poteva sentire niente di più piacevole, quella sera. Nonostante le esperienze e le idee diverse su qualche cosa, comunque considerava suo padre una persona eccezionale, della quale avere il massimo rispetto e la massima stima. Ma gli voleva anche un mondo di bene. Se solo avesse avuto una certezza nella sua vita da sedicenne era che i suoi genitori erano i migliori che poteva avere. Con loro ci stava bene. Man mano che cresceva, si rendeva conto di come si sentiva libero di parlare con loro di qualsiasi cosa, se avesse voluto. E questa era una sicurezza che aveva ormai da due anni, da quando, la sera stessa in cui aveva conosciuto meglio il passato dei suoi genitori, senza dirgli cosa fare, si erano fidati della sua maturità e gli avevano fatto fare la scelta giusta. E, con l’andare del tempo, si era accorto che si stavano continuando a comportare in quel modo con lui. Gli davano fiducia ed erano pronti ad aiutarlo, correggerlo, e anche dargli la giusta disciplina quando ciò si fosse reso necessario. Fu quindi più che felice di sapere suo padre tornato a casa e pronto a passare quel paio di orette in piscina con lui e Giuseppe.
Solo a quel punto gli venne in mente che il suo ex professore aveva sicuramente qualcosa che non andava, ma era troppo tardi per continuare a pensarci. Era ora di scendere. Suo padre era già in cucina che l’aspettava.
“Siamo di ritorno per le nove e mezza!” disse Simone a Maria, che li salutò, mentre, finito di stirare, si stava rilassando un po’ sul divano, prima di mettersi a cucinare, cosciente del fatto che aveva ancora più di due ore prima della cena.
Il lunedì era una giornata speciale per Giuseppe. Il pomeriggio lo passava con Andrea a studiare e poi a divertirsi, in casa o fuori. Alle 18:30 tornava a casa, e preparava la borsa, poi andava in piscina, e tornato a casa, c’era sempre qualcosa di buono e particolare da mangiare. Poi, di solito, lui e suo padre si fermavano a sparecchiare, pulire e lavare i piatti, ma era quasi uno spasso, farlo con lui e parlare di come era andata a scuola e di qualunque altra cosa si fosse resa necessaria. Verso le dieci e mezza se ne tornava in camera sua dove a malapena riusciva ad appoggiarsi completamente sul letto, perché, soprattutto a causa della piscina, crollava dal sonno e dalla stanchezza.
Uscirono di casa. Mentre erano in macchina, Simone informò suo figlio del fatto che Giuseppe e suo figlio non sarebbero venuti in piscina perché non stavano bene.
“Strano!” sussurrò tra sé e sé Giuseppe.
“Perché?” chiese Simone.
“Perché oggi Giuseppe era a scuola. Io e Antonio l’abbiamo visto fuori”
La conversazione finì lì. Simone e suo figlio arrivarono in piscina e le successive due ore erano troppo impegnati a nuotare. Anche se, erano impegnati soprattutto fisicamente. I pensieri, loro, erano da tutt’altra parte.
Infatti, quella conversazione continuò, inevitabilmente, quando uscirono dagli spogliatoi pronti a ritornare a casa.
“Oggi Giuseppe stava discutendo con una persona!” esclamò di punto in bianco Giuseppe. Comprese immediatamente che anche suo padre ci stava pensando.
“Chi era?!”… Simone aveva riallacciato immediatamente il discorso lasciato in macchina.
“Non lo so! Non l’ho mai visto!” rispose Giuseppe. “Sembrava che stessero litigando di brutto. Poi Giuseppe ha preso e se ne è andato, quasi mandandolo a quel paese. È entrato a scuola senza neanche salutarmi!”.
“Beh! Evidentemente era soprappensiero!” continuò Simone, cercando di rassicurare suo figlio.
“Però non l’ha mai fatto!” rispose quest’ultimo.
“Cosa?!” chiese Simone.
Ci fu un attimo di silenzio. Giuseppe guardò preoccupato suo padre. Stranamente non sapeva se dirgli o meno quello che era successo poi. Quasi come se non se la sentisse di raccontargli quella cosa. Poi, la stima reciproca fece il suo ingresso in campo e Giuseppe si aprì completamente.
“Quando era quasi entrato, Giuseppe si è rivolto verso di noi e ci ha sgridato, quasi ordinandoci di rientrare in aula. Perché la campanella era suonata da un pezzo!”
“Beh! Ma è normale che vi sgridi se eravate ancora fuori dopo, quando è suonata la campana!”
“Sarebbe stato normale e giusto, se la campanella non fosse suonata due minuti dopo che ci ha fatto rientrare, non prima!” rispose Giuseppe, questa volta un po’ più nervoso.
“E allora avrà avuto i fatti suoi!” rispose Simone. Troncò quel discorso che, evidentemente, stava prendendo una brutta piega.
Quando Giuseppe aveva “i fatti suoi” era veramente pericoloso stargli vicino. Ma sicuramente avrà avuto un’ottima ragione di preoccupazione per fare così. Non ci sarebbe stato bisogno di aggiungere a quella di Giuseppe, anche la sua, di preoccupazione.
Arrivarono a casa. Appena entrati, si fermarono entrambi nell’ingresso. Perché sentirono Maria che stava parlando con qualcuno al telefono.
“Dai non preoccuparti! Appena arrivano gli parlo così vediamo quello che si può fare! Dai! Buonanotte! Ciao!”.
Simone tirò fuori solo la testa, dall’ingresso, protendendosi verso la sala da pranzo.
“Ciao Cara! Siamo tornati! Tutto ok!?!” chiese. Maria gli rispose con gli occhi. Simone capì. Rientrò completamente nell’ingresso.
“Portami su la borsa per favore. Lasciala in camera da letto, che poi vengo a disfarla. Poi disfa la tua borsa. Tra” disse Simone.
“Dieci!” aggiunse una voce che sembrava provenire dalla cucina.
“Minuti è pronto!” concluse Simone.
Un occhiolino, lanciato a suo figlio, gli fece capire che doveva rimanere su quei dieci minuti, anche se a disfare la borsa ci metteva di meno. E scendere solo dopo. Il giovane acconsentì, anche se avrebbe voluto sapere qualcosa di più su quello che era successo, e, senza fare ulteriori storie, salì al piano di sopra.
Simone entrò in cucina. Maria l’aspettava, mentre un profumo fantastico di pizza fatta in casa l’accolse.
“Buona la pizza!” disse Simone, guardando con dolcezza sua moglie.
“Che cosa è successo?!” chiese poi, quasi come per cambiare discorso.
“Mi ha telefonato Anna. Giuseppe è uscito di casa stamattina e non è ancora tornato. Ha telefonato per chiedere se per caso era in piscina con voi o era qui. Solo che non l’ho proprio visto. Sapendo che tu eri a Roma ha provato a telefonare a Alessandra, che però le ha risposto come me. E neanche Vito l’ha visto. Mi ha chiesto di dirtelo” rispose Maria.
Simone ci pensò un attimo su.
“Io non l’ho visto. D’altra parte dall’aeroporto sono arrivato subito qui e poi siamo stati, finora, in piscina. Non l’ho neanche sentito. A parte un messaggio di oggi pomeriggio, che ho letto appena sceso dall’aereo in cui mi diceva che non sarebbero venuti in piscina. Ma Giuseppe mi ha detto che l’ha visto stamattina a scuola. Prima stava litigando con un’altra persona. Poi era incredibilmente nervoso. Tanto che li ha sgridati perché non erano entrati in classe, anche se la campana non era ancora suonata. Come se volesse evitare di far scendere il discorso su quell’argomento”.
Giuseppe scese in quel momento in cucina.
“Non sono ancora passati i dieci minuti. Per favore!” chiese suo padre.
“So che non devo immischiarmi in queste cose, ma riguardo a ciò di cui abbiamo parlato prima, oggi pomeriggio, raccontando quello che era successo ad Andrea, mi ha convinto a cercare di disegnare la persona che ho visto. E ci ho provato. Eccola! Mi sembra che ci assomigli abbastanza”
Simone prese in mano il foglio. Dapprima, mostrandolo a sua moglie si guardarono esterrefatti per la precisione e l’armonia di quel disegno. Avevano scoperto una cosa nuova di loro figlio: che sapeva disegnare benissimo. E poi Simone si concentrò un secondo di troppo su quel disegno.
E realizzò.
Si voltò verso suo figlio.
“Sei proprio sicuro che questa persona stava parlando animatamente con Giuseppe?” chiese.
“Si! Si stavano quasi per mettere ad urlare. Ad un certo punto lui gli ha dato uno spintone e si è allontanato. L’altro è rimasto un po’ sulle sue a guardarlo dirigersi verso di noi e si è allontanato pure lui!” rispose suo figlio.
“Se è chi credo che sia, è tutto molto strano!” rispose. Poi fece una cosa che non aveva mai fatto prima.
“Voi mangiate! Io devo andare a cercare Giuseppe. C’è solo un posto in cui credo di poterlo trovare! Mi prendo le chiavi di casa! Prima di andare a letto togli la chiave così posso aprire senza disturbare!”
Maria sapeva già che le cose, da quando Anna l’aveva chiamata agitata, sarebbero andate a finire così. Salutò Simone e disse a Giuseppe di darle una mano ad apparecchiare che avrebbero mangiato subito dopo.
“Lasciatemi un pezzo di pizza!” rispose Simone cercando di sorridere, anche se non ne aveva tanta voglia.
Uscì. Era certo di sapere esattamente dove fosse Giuseppe. Più di una volta gli aveva raccontato che quando aveva bisogno di pensare, andava alla Stazione Centrale di Milano. Vedere i treni che arrivavano e partivano, lo faceva stare particolarmente in pace con sé stesso. Solo che di solito per le sette di sera era a casa: ora erano quasi le nove e mezza di sera e ancora non era tornato. I casi erano due. O era successo qualcosa di brutto, o aveva molto bisogno di pensare. E non sapeva quale delle due fosse peggio. Anche perché visto la persona con la quale aveva parlato quella mattina, nel cortile della scuola, e visto il modo agitato con cui ci aveva parlato, sicuramente doveva essere successo qualcosa.
Infatti la leggera calvizie e la barba incolta erano assolutamente anonimi, ma il taglio degli occhi e della bocca erano inconfondibili. Li avrebbe riconosciuti tra tutti. Quella mattina, Giuseppe, per un motivo che ancora Simone non sapeva, stava litigando con Michele.
Provò, quasi per una sorta di sfiduciata curiosità, a telefonare al suo amico, che infatti risultava irraggiungibile.
Dopo circa venti minuti arrivò in Stazione Centrale. Lasciò la macchina e corse su, verso il parco treni. Arrivato, cercò qualche secondo, guardandosi attentamente intorno. Poi lo vide, finalmente. Era seduto con il volto rivolto nella sua direzione e lo stava guardando, con un’espressione a metà tra la felicità di vederlo lì, ed il sollievo di vedere proprio lui.
Si avvicinò a grandi passi e, senza neanche parlare e salutarlo, si sedette al suo fianco.
“Anna non sa niente di questo!” disse.
“Lo so! È lei che ci ha avvisato dicendo che non eri ancora tornato a casa. E quando siamo arrivati dalla piscina e Maria ci ha informato, Giuseppe ci ha detto anche quello che era successo a scuola! Ma sai…” ma Simone non fece neanche in tempo a continuare la frase che Giuseppe gli fece cenno di sì con la testa.
“Si! È veramente bravo a disegnare. Sapevo che avrebbe trovato il modo di farti venire a conoscenza di chi era la persona con la quale ho litigato questa mattina. Era l’unico modo per convincerti a venire qui. Altrimenti non l’avresti mai fatto, ma ti sarebbe bastato dire a Anna di questo posto!” rispose Giuseppe sorridendo.
“Allora mio figlio sapeva e non mi ha detto?!” chiese Simone preoccupato.
“No! Sono io che l’ho usato, anzi mi sa che dovrò chiedergli scusa. Ma sapevo che era l’unico modo per farti venire a conoscenza della situazione senza che i tuoi famigliari ci capissero molto” disse Giuseppe.
“Ho capito, ma allora che cosa è successo di così grave per litigare con Michele in quel modo?” chiese Simone, ancora più interessato.
“Stamattina ero ancora a casa. Avevo delle cose da sbrigare e poi dovevo passare dalla scuola per riportare dei compiti in classe. Verso le nove e mezza ricevo la chiamata da un numero sconosciuto. Era Michele. Sono stato felicissimo di sentirlo. Il problema è che lui mi aveva chiamato per un motivo ben preciso. Mi prometti che non ti arrabbi se te ne parlo?”
“Se è qualcosa che riguarda la storia che conosciamo non incominciare neanche” rispose Simone, seriamente.
“Ecco! Lo sapevo! Parti subito negativo!” rispose Giuseppe.
“Giuseppe! Ascoltami! Tu puoi pensare quello che vuoi ma per me è una storia chiusa. Non voglio più sentire parlare di quelle persone. Mai più!”
“Per la cronaca: Dopo che mi ha raccontato quello che tu non vuoi sapere, Michele mi ha chiesto di non parlarne con te. Intanto eravamo andati a fare tutti i giri che dovevamo. Ed eravamo arrivati a scuola. È perché non ero d’accordo con Michele su questo che ci ho litigato. E anche di brutto. Evidentemente aveva ragione. Non dovevo farti entrare in questa storia!” disse Giuseppe, offeso.
“Perché? Tu ci sei già dentro?” chiese Simone preoccupato.
“Non ancora, ma gli devo dare una risposta per domani. E sento che è necessario aiutarli!”
“Aiutare chi?”
“Michele!”
“E poi?!”
“Scusa ma non me la sento di parlartene, se non vuoi sentire tutta la storia!” disse.
Simone si alzò e fece per andarsene.
“Tra venti minuti telefono a Anna. Se per quell’ora non sei arrivato a casa, le dico dove ti trovi! Buonanotte!” disse, facendo qualche passo indietro. Poi si voltò per andarsene.
“Michele e Francesco” rispose Giuseppe.
Simone si fermò. Era un paio di metri avanti a Giuseppe ma quello che aveva appena sentito lo fece fermare. Cosa era successo a quei due? Fondamentalmente erano due delle persone alle quali era più grato in assoluto. Però nel preciso momento in cui Giuseppe gli aveva chiesto di promettergli che non si sarebbe arrabbiato, sapeva che stava per riaprire ferite che dovevano ormai essere abbondantemente chiuse. Anche se la cicatrice era rimasta. Tornò indietro e si sedette al fianco di Giuseppe. E lì parlò chiaro.
“Ascoltami bene! Se tu mi hai fatto venire fin qui è perché c’è qualcosa che ti ha spinto a parlarmene anche contro la volontà di Michele. E questo può solamente significare che la situazione è veramente grave. Quindi se vuoi raccontarmi tutto dall’inizio io ti ascolto, ma non voglio avere voce in capitolo. Non mi arrabbio. Ma se lo riterrò opportuno la nostra conversazione e questa storia finiranno qui. Ok?” disse, guardando fisso negli occhi Giuseppe.
“Ok!” rispose quest’ultimo.
“Avanti! Sentiamo!”
“Michele mi ha raccontato che una settimana fa ha saputo dell’omicidio di una persona. Inspiegabilmente, dopo tre giorni, la Polizia è arrivata a casa di Francesco e l’ha arrestato. In questo momento Francesco è in carcere per un omicidio che non ha commesso. Avrebbe anche un alibi, se non fosse che la polizia non lo accetta, perché ha affermato di essere stato a Policoro per l’intera giornata ma nessuno ha confermato di averlo visto. Questo è quanto!” concluse Giuseppe. O almeno, ci provò.
“E chi sarebbe la vittima?” chiese Simone. Aveva anche lui paura di conoscere la risposta, ma era necessaria. Giuseppe guardò negli occhi Simone per qualche interminabile secondo.
“Il problema è che, venuti a conoscenza di quanto fosse necessario da Francesco, e saputo il resto da qualcun altro, che non sappiamo chi sia, la polizia ha pensato di aver scoperto anche il movente e per Francesco non c’è stata più speranza” disse Giuseppe, come per cercare di ritardare il momento della verità.
“Giuseppe! Ti ho chiesto chi è la vittima!” chiese ancora Simone, che non si era mai lasciato ingannare da questi sotterfugi.
“Emanuele” rispose lapidario Giuseppe.
Sembrò farsi silenzio in tutta la Stazione Centrale.
Il vuoto riempì, in quel momento, la testa di Simone. Una sola cosa disse a Giuseppe, pochi secondi prima di lasciarlo lì, e tornarsene a casa a dormire. Perché non ebbe la forza e la voglia di dire e fare nient’altro.
“Ma è mai possibile che tu riesci sempre a rovinare le giornate delle persone così facilmente?” gli chiese.
E se ne andò. Tornò a casa e, senza neanche mangiare andò a letto. Non volle neanche parlare con Maria, che, peraltro, stava già dormendo. La salutò solo dolcemente con un bacio, prima di spegnere la luce e provare ad addormentarsi. Senza riuscirci.

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NdA: Buongiorno ed eccomi qui ritornato con una nuova storia! come sempre sono ampiamente gradite le recensioni positive/negative, le critiche le idee e le opinioni. Anche in questo caso dovrei riuscire a postare un nuovo capitolo ogni settimana. Buona lettura!
  
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