Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: EsterElle    16/01/2017    0 recensioni
"Oltre il vetro si dipana uno scenario fantasma. Racconta sussurrando la più terribile storia di amore e odio di tutti i tempi; quella tra il Mondo e noi".
***
In questa storia il mondo è avvelenato; dal progresso, dalla superficialità, dalla superbia.
Non abbiate paura, entrate lo stesso.
Troverete Lorenzo ad aspettarvi, un diciassettenne dal brutto carattere, ferito fin nell'animo. Poco oltre, ecco venirvi incontro Maryna, una piccola luce tutta speranza, tutta fiducia, tutta amore. Entrate e camminate al loro fianco in mezzo alla natura selvaggia, tre le rovine di un mondo che non esiste più. Abbiate fiducia: inizierete a conoscere da capo quel mondo che, nonostante tutto, resta nostro.
Prima classificata al contest "E' una storia sai..." indetto da Najara87 sul forum di Efp
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A






Capitolo 2
Riguardo Harry …
 



 
 
 
“Tomas Ariza ”
“Presente!”
“François Mercier”
“Presente!”
“John Evans”
“Presente, signore”
 
Il mio nome sembra non arrivare mai. Me ne sto qui, bardato dalla testa ai piedi, in fila tra questo mucchio di stranieri. Io, così sano e pulito nella mia tuta bianca a tenuta stagna, con il casco sotto il braccio ma pronto a calarmelo sulla testa per non soffrire ancora. Quelli che aspettano, laggiù ai campi di raccolta, direbbero che sono un ragazzo fortunato.
 
“Lorenzo Archi”
Questo sono io.
“Presente!”
 
In un attimo, sono fuori.
Calo il casco e avvio il sistema che mi permette di respirare l’aria buona della mia bombola. Non basterà, ce l’hanno detto, ma per ora la concentrazione di Gas nell’aria non è letale. Lo diventerà presto, ovvio.
Mi concentro e mi riprometto di non sentire; lascio andare solo la mente, mi occupo del presente e accartoccio i sentimenti in un angolo di me. Salgo sulla camionetta che ci condurrà al campo di raccolta B24 insieme ad altre nove persone, irriconoscibili dentro le tute. Non è ancora l’alba, ma avremmo tempo solo  fino a sera per compiere la nostra missione volontaria; se tardiamo, neanche a dirlo, nessuno si curerà di noi. Non sono onesti, quelli del Programma, ma non serve un genio per capire che non vogliono riproporre il sovraffollamento terrestre anche alla Base; un uomo in meno è spazio guadagnato.   
Faccio l’ennesimo respiro profondo.
Sono spalla a spalla con gli altri, nel buio del furgone, e ho l’impressione di percepire l’impazienza e la speranza di certi miei compagni mentre la strada dissestata ci sballottola tra le pareti scure; questo non fa altro che farmi sentire un estraneo, un diverso. Il motore romba possente mentre aggiriamo il tronco di un albero caduto; tutto sembra ricordarmi che sto rischiando troppo per nulla. Ma che ci posso fare se la mia coscienza non si spegne, se non mi permette di lasciare mia madre e mia sorella senza un ultimo saluto degno di questo nome? Glielo devo o non potrò continuare a vivere, non come se non fossero mai esistite.
Merda, per fortuna avevo detto nessuna emozione.
Respira, avanti.
Ripasso il mio piano: dal B24 camminerò verso sud-ovest per raggiungere il campo di raccolta D12, dove ho abitato con i miei, perché credo che le possibilità di trovare i loro corpi lì siano elevate. Ho fatto i conti e dovrei impiegarci più o meno tutta la mattina; avrò il tempo necessario per fare ciò che devo e tornerò al B24 in tempo. È semplice, non posso sbagliare.
Con un ultimo suono rantolante il motore della camionetta si spegne e ci avvisa che la corsa è finita; quella comoda e veloce, perlomeno.
Quando ci scaricano è un fuggi fuggi generale; come fantasmi bianchi, ognuno prende la sua strada in mezzo a questa boscaglia, soli tra la natura selvaggia e nemica, consapevoli dell’importanza vitale della missione. Come fantasmi ci disperdiamo, ombre di quello che eravamo in un mondo ormai giunto alla fine. Pensieri che mi mandano a male, ancora una volta.
Perché nessuno mi ha detto che ritrovarsi nel bel mezzo di un film di fantascienza fa così schifo? Perché diavolo piacevano tanto, a me e a papà? Non ci rendevamo conto, credo, di quanto poco mancasse alla nostra tragedia personale. Con questa tuta addosso mi sento ancora di più un astronauta, un alieno e un idiota. Devo imparare a conoscere da capo questo mondo che una volta era mio perché non appartengo più a questo pianeta che vuole liberarsi di noi.
Sono familiari i tremori che, dalla punta delle dita iniziano a risalire le mani, le braccia, pur protette dalla tuta di avanzata tecnologia. Merda, non è il momento di perdere il controllo. Basta friggersi il cervello con queste idiozie Lorenzo!
Do inizio alla mia missione; sposto i rami bassi e controllo ancora una volta la bussola che porto attaccata al braccio. Per precauzione cerco di stabilire dei punti di riferimento; un tronco spezzato, una collinetta ricoperta di vegetazione, la tana di qualche animale. Cammino e mi faccio trasportare dal movimento ritmico dei miei passi; passano i minuti, le ore, ed io neanche me ne accorgo.
La storia sembra correre al contrario, penso, immerso in tutto questo verde; non va avanti ma indietro, verso le notti senza luce e i bivacchi intorno al fuoco, mi riporta al Medioevo e in tutte quelle epoche in cui gli uomini non potevano fare affidamento che in se stessi.
Che enorme cagata che è stato, il progresso!
Camminare con questa tuta addosso è un inferno. Mi rallenta, lo zaino pesa, vedo il mondo tinto di una sfumatura blu attraverso la visiera del casco: a che serve aggiungere altro orrore a quello che abbiamo già davanti agli occhi? Mi sento talmente a disagio da accorgermi solo ora che qualcuno mi sta seguendo. Fa rumore, lo sconosciuto, si ferma quando mi fermo io, cammina quando avanzo, resta sempre troppo vicino; un tipo antisgamo, insomma.
Mi girò d’un colpo e lo trovo, quatto e bianco, colto sul fatto.
“Chi sei?” dico.
La mia voce suona meccanica attraverso il casco e capisco che la mia trasformazione in mostro procede senza problemi.
“Tranquillo, sono io” dice l’uomo nella tuta e la sua voce è altrettanto innaturale.
Che idiota. “Io chi? Non posso vederti”
“Harry Boodman”
Ancora lui. Ma che diavolo vuole da me? Innervosito sfilo il casco e lui mi imita; i capelli zuppi di sudore mi restano sgradevolmente appiccicati alla fronte. Anche lui è pallido ma sorride e nasconde bene la paura.
“Scusa, non arrabbiarti” inizia, alzando le mani. “Non volevo seguirti ma non mi piaceva l’idea di vagare qui in mezzo da solo. Tu mi sembri un tipo a posto, che sa quello che fa”.
“Potevi dirmelo” ribatto, gelido.
Mi rinfilo il casco e faccio per proseguire, mentre Harry mi affianca. Ma sì, vieni: dopotutto che male c’è?
“Dove sei diretto tu?”
“Al campo E05”
“Io al D12. Dovremmo separarci, prima o poi”
“Sta bene”
Ovvio che ti sta bene; sei un eroe tu, uno che corre a salvare la sua damigella in pericolo. L’idiota sono io, che accetto di essere il perfetto diversivo alla tua angoscia, che mi sorbirò la codardia segreta di un cavaliere senza macchia e “senza paura”.
“Ehi amico”
“Che c’è?”
“Pensi che sia pericoloso camminare qui fuori?”
Domanda idiota.
“Nel senso …potremmo imbatterci in qualche animale … che so, geneticamente modificato dal Gas?” precisa infatti lui.
Non ci avevo mai pensato, in realtà.
“So per certo che è pieno di sciacalli. Sciacalli umani, intendo” dico ed è vero.
I racconti che circolano alla Base sul mondo di fuori sono moltissimi, ma questa storia me l’ha raccontata la vecchia Dalina Carp, una tra le ultime ad essersi imbarcata. Fare volontariato al Centro Anziani era piuttosto interessante, infatti.
“In che senso?
“Alcuni di quelli scartati alla selezione hanno formato della gang” racconto. “Sai, per sopravvivere. Derubano quei pochi uomini del Programma che ancora mettono il naso fuori dalla Base ma anche i poveracci che sono più morti che vivi nelle loro tende. I nostri zaini, il casco, la tuta devono fargli un sacco gola”.
Dovrei essere più magnanimo ed evitare di raccontare storie del genere ad uno già mezzo morto di paura. Sono spaventato anch’io, però, e questo è il mio modo di farmi forza: non illudermi.
“Almeno i bastardi ci hanno dato questo per difenderci” borbotta Harry, picchiettando sul taser elettrico che penzola al suo fianco.
Anche io ce l’ho, certo, ma non ho nessuna intenzione di usarlo e nessuno da difendere, dopotutto.
“Dai, muoviti inglesino” borbotto. “Dobbiamo mantenere il ritmo finché il lupo nero resta alla larga; accelera il passo”.
Lui annuisce e io gli leggo negli occhi che non riesce a comprendermi; non gli ho mai detto che i miei familiari sono già morti, ma deve averlo intuito da sé. Apprezzo che non faccia sciocche, sentimentali domande. Anche perché sapere che mi segue, che è al mio fianco ed è spaventato tanto quanto me non è poi così male.
 
 
***
 

“Maledizione!”
Grido, lo so, e non dovrei. Ma la testa mi scoppia e il sangue non smette di uscire dal taglio sul sopracciglio.
“Inglesino?”
Lui è ancora steso a terra, incosciente.
“Harry mi senti?”
Il primo schiaffo sembra avere un qualche effetto; lui muove le palpebre e mugola qualcosa. Ecco perché ne faccio seguire subito un altro.
“Diavolo, che fai?” biascica.
Bene, almeno è sveglio.
“Che è successo? Merda, è sangue quello?”
È così maledettamente banale questa situazione! Poche ore prima stavo spiegando al mio amico come funzionano le gang del posto e meno di dieci minuti fa una di queste ci ha aggredito e derubato. Confido troppo nel mio sesto senso e questa è la terribile conseguenza.
Abbiamo perso tempo; il cielo grigio piombo del mattino inizia a lasciare spazio al grigio scuro che annuncia il pomeriggio.
“Andiamo dai, ti spiego strada facendo” dico, aiutandolo a tirarsi su.
“Ehi, il mio casco! E dove sono i nostri zaini?”
“Prova a immaginare …” ribatto, già avanti.
“Ti rendi conto che stiamo respirando il Gas?” continua Harry, affannato.
Mi raggiunge di corsa, sgraziato e ansante.
“Sei tardo o cosa? Ci stiamo avvelenando un’altra volta!” urla, ancora e ancora, isterico.
“Merda, merda, merda! Moriremo, lo sai?”
“Smettila!”
Lui lo fa davvero. Bene.
“Piantala. Cosa credi, che non la sento, la puzza? Uova marce e benzina, l’odore del Gas, no? Te lo devo dire io, quanto ne ha respirato la tua Cathy in tutti questi mesi? La vuoi salvare o no?” e tutto questo glielo grido in faccia.
Quando faccio per asciugare le gocce di sangue dalle guance, porto via anche le lacrime. Sinceramente ora non mi interessa che Harry se ne accorga; perché fa terribilmente male sapere che non c’è nessuno ad attendermi, al D12. È un vuoto immenso quello che sento ora che sono solo al mondo. Harry non lo sa, non sa che la paura più grande, in realtà, è il desiderio di annegarci, in questo Gas, e non sentire più nulla.
Tutto questo non glielo dico, ma lui tace e riprende a camminare.
Il sangue, le lacrime, la botta; chilometri dopo tutto diventa confuso e d’un tratto mi ritrovo per terra.
“Amico?”
Sì, sono davvero inciampato.
“Vuoi una mano?” dice Harry e il suo tono è remissivo, quasi colpevole.
“No. Tra un momento sono lì da te”
Voglio continuare ad osservare il cielo esattamente sopra di me, incorniciato dalle fronde scure degli alberi, plumbeo, pieno di nuvole. Il sole, una palla rosso fuoco, cala lentamente, troppo debole per ravvivare il grigio con la sua luce sanguigna. Non c’è consolazione, non c’è aiuto dall’alto; l’umanità intera precipita verso l’estinzione mentre l’universo continuerà ad esistere. Si prende beffe di me, questo mondo, e della mia sofferenza.
Chi noterà la mia mancanza quando me ne sarò andato?
 
 
***
 

“Tu non hai fame?”
Harry rompe così il lungo silenzio sceso tra noi da molti chilometri, ormai.
“Non molta”
“Io sto morendo di fame, invece” continua lui.
Il cibo fornitoci dalla Base era negli zaini; credo che Harry sarà costretto a tenersi i crampi.
“Non prendere i frutti che trovi qui in giro” mi raccomando, anticipandolo.
“Non sono proprio così idiota, sai? Ma magari in qualche tenda troviamo ancora qualcosa …”
Potrebbe essere, certo, ma non ho intenzione di fermarmi a controllare. Stiamo attraversando il campo D07 e sembra deserto, un cumulo di tende lacere e sfondate, un mucchio di fango e silenzio. Sono stati fortunati, i suoi abitanti, o possono essere fuggiti chissà dove.
“Sei uno tosto, tu, eh?”
Ecco, Harry ha di nuovo voglia di far conversazione. Nell’aspetto dimostra tutti i suoi ventidue anni eppure esprime un infantile desiderio di comunicazione, di vicinanza; l’idea di perdere la sua Cathy deve davvero spaventarlo molto.
“Ok, ho capito; niente commenti su di te” continua da solo.
Forse un po’ comincia a conoscermi, finalmente.
“Puoi dirmi almeno come ti chiami? Saranno ore che viaggiamo insieme e non ti sei ancora presentato”
“Lorenzo” rispondo, lapidario, con l’intenzione di mettere fine ad ogni polemica.
“Sì, l’avevo capito che eri italiano”
A lui invece polemizzare piace proprio, sembra.
“Perché, c’è qualcosa di male?”
“Ehi, tranquillizzati” dice e alza le mani. È un gesto che ripete spesso.
“Volevo solo dire che si sente dal tuo accento quando parli inglese” continua.
“Non è certo colpa mia se i governi internazionali hanno scelto la tua lingua come lingua comune”
“Vero, vero” dice lui e non nasconde una certa baldanza.
Tutti in Europa parlano un buon inglese e io ho sempre odiato la miriade di corsi che mi toccava seguire da bambino. Alla Base, però, è un gran vantaggio; almeno non abbiamo problemi di comunicazione.
Quando avvisto il limite sud del campo E07 e la vegetazione che si estende al di là della recinzione, mi fermo. È importante calcolare bene la direzione, ora che sono così vicino al mio obbiettivo e dopo che quei ladri bastardi ci hanno portato via le cartine. Harry invece non dovrebbe avere problemi, dato che deve proseguire verso sud di diversi chilometri ancora. Infatti, poco interessato ai miei calcoli, il mio compagno di viaggio esamina un paio di tende alla nostra sinistra, non meno lerce e puzzolenti delle altre che abbiamo incontrato. Un angolo della mia mente non può fare a meno di chiederselo di nuovo: ma come diavolo hanno fatto a credere che potevamo essere felici vivendo in questa merda? Proprio qui accanto se ne sta una tenda disabitata e crollata, infestata dagli insetti. Tutto intorno pentole, vestiti, uno specchietto rosa, tracce di vite perdute immerse in terra e fango, una bambola, una bottiglia verde, un pezzo di stoffa ormai marrone. Non mi addentrerei là dentro un'altra volta nemmeno per il più sontuoso dei banchetti.
Dopo qualche minuto sono quasi certo che, per raggiungere il D12, devo proseguire ancora di alcuni gradi verso ovest, separandomi dall’inglesino; vorrei dirlo ad Harry, ma lui non è ancora tornato dalla sua esplorazione.
“Ehi!” lo chiamo.
Nessuno mi risponde e allora mi azzardo a gridare un po’ di più: “Harry! Dove diavolo sei?”
Lo massacrerò di botte se per colpa sua veniamo di nuovo avvistati e assaliti dalle gang del posto. Per sua fortuna risponde al richiamo dopo pochi secondi.
“Lorenzo!” esclama.
Ancora una volta dimostra di essere un vero idiota: lo so come mi chiamo!
“Torna qui, stupido!”
“No. Vieni tu, un attimo”
La sua voce proviene dal mucchio di tende.
“Manco morto. Guarda che ti mollo qui!”
“Devi venire a vedere, ti prego”
Alla fine decido di raggiungerlo solo per farlo smettere di gridare. L’ultima cosa che voglio ora è incappare in qualche guaio, anche perché il tempo che ci resta è poco e la puzza del Gas inizia ad essere nauseante.
La mia tuta non è più bianca e immacolata da un pezzo ma attraversare questo campo desolato imbratta più i miei pensieri che i miei vestiti. Non dovevo accettare di portare con me quel bamboccione di Harry, penso.
“Ehi! Dove sei?” bisbiglio.
Ormai sono dentro al labirinto delle vecchie tende e intorno a me vedo solo marrone e grigio, finché un fruscio alla mia destra mi fa rizzare tutti i peli in corpo. Mi preoccupo all’istante ma, quasi subito, capisco che le gang di sciacalli non c’entrano nulla questa volta. Me la trovo davanti all’improvviso; mi guarda con due occhi grandi, liquidi di paura, piccola, sporca, sola.
Una bambina, insomma.
Una bambina?
Subito dopo i corti capelli a spazzola di Harry sbucano fuori dall’apertura di una tenda semi crollata; lui sorride e posa una mano sulla spalla della ragazzina.
“Ti presento la mia nuova amica” dice.
Con questo abbiamo davvero toccato il fondo: “Stai scherzando?”
Forse ho alzato troppo la voce, perché la bambina distoglie lo sguardo, trema e si porta le mani al volto. Andiamo, l’ho spaventata? Bene, bravo Lorenzo.
“Harry che diavolo … ?”
Lui, d’altra parte, batte una pacca sulla spalla della piccola e le indirizza un bel sorriso, di quelli rassicuranti. Poi fa un cenno a me e ci allontaniamo di qualche passo. Subito l’inglese prende a bisbigliare in gran fretta.
“Senti, non devi agitarti” inizia. “Sono entrato nella sua tenda e l‘ho trovata lì, tutta sola. Mi ha fatto una gran pena, davvero: credo non abbia più nessuno qui o non vivrebbe in questo schifo”.
Non ha ancora finito di parlare che io già immagino ciò che sta per dirmi.
“Andiamo, non fare quella faccia!” esclama lui, infatti.
“Tu sei pazzo” sillabo chiaramente, casomai il mio accento impedisse il passaggio di questa fondamentale comunicazione.
“Sei pazzo. Che dobbiamo fare con lei, eh? Non possiamo portarla alla Base, né aiutarla in nessun modo. Dimmi che non le hai promesso nulla …” supplico.
“Certo che sì!” esclama lui.
Se potessi, lo strozzerei.
“Non vorrai lasciarla qui a morire intossicata? Sempre se non schiatta prima per la fame. È una bambina, maledizione!”
Va bene, l’amico si sta scaldando; ma che diavolo vuole da me? Non ho la minima intenzione di combattere questa battaglia.
“Senti, per me puoi fare quello che vuoi. Sai che mi interessa?” dico, deciso. “Io vado ad ovest, buona vita”
Mi volto e percorro la strada al contrario per tornare sul sentiero. Quando passo davanti alla bambina, ancora ferma davanti alla sua tenda, non posso fare a meno di lanciarle uno sguardo. Si è accucciata per terra e tiene tra le braccia un micio scheletrico: noto con sorpresa che quel gattino porta al collo un nastro rosso con tanto di campanella. Ero convinto che certi lussi fossero dimenticati, quaggiù. Comunque, distolgo lo sguardo e tiro dritto per la mia strada.
Mi ero ripromesso di spegnere i sentimenti e voglio farlo fino in fondo.
Non faccio che pochi passi, poi qualcuno mi afferra per le spalle e mi obbliga a fermarmi. È Harry, di nuovo.
“Ehi, ehi! Che hai capito? Non puoi andartene così” mi dice.
Ha il volto arrossato e gli occhi sgranati e io proprio non capisco che diavolo gli prende.
“Tu fai quel che ti pare, io faccio quel che mi pare” metto in chiaro.
Peccato che lui non ne sembra consapevole: in un sol gesto mi afferra le mani e mi trascina con sé, fin dentro una tenda. La bambina sembra confusa, ma ci segue e ci indica un’asse di legno poggiata sulla cerata in quella specie di casa per nani.
“Dai, accomodati” fa eco Harry.
Quel ripiano di legno deve essere una sorta di tavolo da pranzo per lei; proprio al centro c’è un bicchiere sbeccato, colmo d’acqua e pieno di papaveri rossi. I fiori, così colorati e belli in mezzo a quel marciume, non sono gli unici ad attirare la mia attenzione; noto subito un avanzo di pizzo poggiato sul consunto sacco a pelo, una bambola senza un braccio, un frammento di specchio.
“Lei abita qui” spiega Harry, seguendo il mio sguardo.
“Signore, siediti”
È la bambina che ha parlato stavolta e ammetto che non me l’aspettavo. Il suo inglese ha un accento strano, che non riconosco subito, mentre la sua voce porta tracce della paura quotidiana. Comunque, mi siedo.
“Ti rendi conto che stiamo perdendo minuti preziosi?” mormoro al mio compagno, sistematosi proprio davanti a me. “Che ci facciamo qui?”
“Hai detto tu che non dobbiamo attirare l’attenzione lì fuori, no?”
“Harry non abbiamo tempo per questo. Io non ne ho” ripeto, guardandomi intorno.
“Certo che no. Proprio come quelli del Programma non hanno mai avuto tempo per tornare a prendere i tuoi, giusto?”.
Questo è un colpo basso; osa paragonarmi a quei bastardi? Osa usare la mia sorellina morta come arma di convincimento?
“Sì” continua Harry.  “Sì, gli somigli quando ti comporti in questo modo”.
Da dove diavolo ha tirato fuori questa arroganza, questa stronzaggine? Solo lo shock mi impedisce di rompergli il naso a suon di pugni.
Un rumore di plastica stracciata attira la nostra attenzione; è la bambina, che ha appena aperto un pacchetto di cracker. Sorridendo ne posiziona due davanti a me e due davanti ad Harry, mentre tiene per sé il quinto.
Ne mordicchia un po’ e ci fa cenno di imitarla.
“Grazie” commenta subito Harry.
Si sono messi d’accordo per fregarmi, questi due?
“Io vado via. Non voglio più avere nulla a che fare con un bastardo come te” dico.
Non mi alzo subito, però. Merda, perché sono così sentimentale? Una mociosetta mi offre un cracker e io mi rammollisco all’istante; il mio amico tira fuori gli attributi e io divento un agnellino. Che fine ha fatto la mia determinazione, la mia rassegnazione?
“Amico, devi fermarti” e, ora, il tono dell’inglesino è più dolce.
“Fermarmi?”
“Non puoi mica scappare per sempre. La vita è questa ormai; fa schifo e noi stessi non siamo che burattini in mano ai bastardi del Programma dato che dobbiamo a loro la nostra salvezza”.
“Lo so bene, non credi? Meglio di te, anche, credimi” ribatto. “Cosa vuoi fare, la rivoluzione? Vuoi mandare all’aria le regole introducendo una clandestina a bordo?” dico, indicando la bambina.
Non so se lei capisce quello che dico, ma non mi importa. Mi sento confuso, oltremisura. Mi sento giudicato e, per la prima volta dopo mesi, devo rendere conto delle mie azioni ad un’altra persona.
“No. Ti propongo un solo, minuscolo atto di bene. Se non per lei, per te stesso; così potrai trovare il modo di salvarti e di farla pagare agli stronzi che ci hanno ridotto in questo stato. Non è la rivoluzione, ma è una possibilità di non essere parte del sistema”.
“Perché io? Che ti frega della mia coscienza? Fallo tu, il bene”
“Non ti piace, signore?”
Sta parlando con me, la scimmietta? Ci mancava solo lei, ora, col viso triste perché non mangio i suoi stupidi cracker.
“Lo sai che io non posso” risponde invece Harry alla mia domanda.
Sì, posso arrivarci. Lui non può davvero fermarsi qui con la bambina dato che una ragazza alta e mora di nome Catherine lo sta aspettando al’E05. Io, d’altra parte, sono solo, giusto?
“Se non per lei, Lorenzo, devi farlo per te” ripete
Con questo Harry si alza, bisbiglia qualcosa all’orecchio della piccola e fa per andarsene.
“Ehi!” mi vien da gridare.
“Harry non provarci neanche” continuo.
In un attimo sono in piedi ma, nella furia della corsa, inciampo e quasi calpesto il povero micio; mi ritrovo con la faccia incollata alla cerata sudicia. Ovviamente non sono il tipo che si lascia buttare giù per così poco. Mi lancio all’inseguimento di Harry e non impiego molto ad arrivare al limitare del campo. Lo vedo, l’inglese, giù per la scarpata, mentre corre verso sud. Schifoso traditore, codardo, buonista da due soldi!
Mi volto ma so già che la bambina mi ha seguito; la trovo ferma dietro di me, col gatto in braccio e le labbra cosparse di briciole di cracker.
“Beh? Che vuoi? Tornate a casa”
Lei abbassa il volto e si mordicchia un labbro, annunciando un bel pianto. Prima ancora che possa sfuggirle una lacrima mi giro verso la foresta; non posso guardarla piangere, non posso davvero.
La verità è che non voglio portarmela dietro, non voglio rogne con quelli del Programma, di nessun tipo. Sono un asservito al sistema? Seguo la logica criminale che pubblicizzano, appoggio la crudeltà, l’interesse e tutto ciò che di male la Base rappresenta? Non mi lascerò scalfire.
Lo penso, lo ripeto come un mantra: non mi scalfisce, non mi interessa vivere né vivere bene. Spengo i sentimenti, come da copione, prendo un bel respiro e parto, diretto ad ovest.
La rabbia verso Harry mi dà da pensare per parecchi minuti e procedo senza esitazioni, né interruzioni.
Come diavolo si è permesso di cacciarmi in una simile situazione? Proprio io, che l’ho preso con me in questa spedizione folle, io che gli avevo offerto il mio aiuto! Ancora una volta rifletto sull’egoismo delle persone disperate. Ovviamente diventa imperativo mettere a tacere la voce della coscienza che bisbiglia: “Egoista, lui?”.
I pensieri macerano nella mia mente a lungo, in accordo con i miei passi ritmati. Quando, infine, la rabbia scema, la confusione, i rimorsi e la tristezza hanno la stessa consistenza di cocci, che affiorano delle sabbie mobili della mia anima, neri e sporchi, pronti a trafiggermi.
La prima volta pungono: chi sono diventato? mi chiedo.
La seconda trapassano: chi voglio diventare?
Griderei, se potessi, urlerei ciò che non posso e non riesco ad afferrare, ciò che non so esprimere a parole: che fare, quando la mia logica inflessibile e insensibile mi dice “Va avanti” mentre quel residuo di bontà, quell’umanità che tanto voglio – e non voglio -  soffocare afferma appassionatamente “Torna indietro”?
Non posso continuare a prendermi in giro.
Non faccio che ripetermi di spegnere i sentimenti, di trasformarmi in un guscio vuoto, che tanto non mi è rimasto nulla nella vita. Eppure senza la mia umanità non sarei diverso dagli assassini della mia famiglia. Non è vero che non mi scalfisce: devo prendermi cura di me e della mia coscienza.
Quello stronzo di Harry mi conosceva fin troppo bene: non sono un mostro, non ancora. Non sono un uomo del sistema, non ancora.
La bambina, che non ha smesso di seguirmi, è rimasta diversi metri indietro, impigliata, sembra, tra le fronde di un grosso albero storto e deforme. Si dimena ma non grida né chiede aiuto; il suo gatto spelacchiato l’aspetta dall’altra parte con rassegnata disperazione.
Vado ad aiutarla? Davvero lo voglio? Che direbbe papà se fosse qui con me? Che farebbe l’eroe dei film di fantascienza?
Ovvio, correrebbero in suo soccorso, sacrificando tutto e tutti.
Fallo per te ha detto Harry.
Non la conosco né provo nulla per lei. Non mi sta a cuore la sua vita, la sua felicità, il suo futuro; da mesi non mi curo nemmeno di me stesso. Intendeva forse questo, l’inglese? Lei può salvarmi?
Tremo tutto, dalla testa ai piedi.
Infine la bambina si libera da sola di foglie e rami, solleva il micio tra le braccia e riprende a camminare verso di me, che ora resto fisso a guardarla. Avanza piano e, passo dopo passo, riconosco un sorriso spuntare sul suo viso sporco e magro. Infine accenna ad una lieve corsetta fino a fermarsi ad un passo dalle mie mani.
Mi guarda.
Beh, che ci vuole, Lorenzo? Prendila e portala in salvo.
Chi mi crederà quando dirò che questo semplice gesto è frutto di così grandi sacrifici? Chi penserà bene di me? Forse loro che non ci sono più: perché questo mondo in rovina non può, davvero, decretare la fine della mia umanità. Non può, questa crudeltà continua, ridurmi a bestia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: EsterElle