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Autore: rocchi68    16/01/2017    2 recensioni
Quello era l’ultimo anno prima della maturità.
Era passato tanto tempo da quel giorno eppure quando si avvicinava quel periodo, lui si sentiva molto peggio del solito.
Tutto era tornato apposto, ma quella calda giornata estiva gli aveva causato una profonda frattura.
Il che era un vero peccato, considerando il passato.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Duncan, Scott, Trent
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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In tutto questo tempo Scott aveva imparato qualcosa sui suoi amici.
E non si trattava solo di cose positive, ma anche di situazioni terribili.
Di Duncan tutti sapevano veniva da una situazione famigliare alquanto disastrata.
Il padre era un ubriacone cinquantenne, perennemente al verde e senza uno straccio di lavoro.
Occupazione che aveva quando aveva messo incinta la madre del punk, la quale per colpa di quella seconda gravidanza fu costretta ad abbandonare il ruolo di segretaria nell’azienda di un suo amico.
Il vecchio, così lo chiamava lo punk, non era un tipo raccomandabile.
Un rompipalle violento e sadico.
Quando era piccolo lo temeva molto, dato che sapeva che ogni pretesto era valido per subire botte e non solo.
Schizofrenia.
Così il medico che l’aveva in cura aveva stabilito quei disturbi.
Era alquanto strano che potesse permettersi una scuola quasi di prim’ordine, ma la madre l’aiutava molto con le spese.
Aveva ricominciato a lavorare e per arrotondare era costretta a “divertirsi” con il direttore.
Duncan aveva anche una sorella, ma questa aveva preso tutto dal vecchio.
Da lui aveva preso anche lo stesso vizio e ne aveva aggiunti un paio.
Quando il punk aveva appena 14 anni, lei aveva già assaggiato e sniffato per la prima volta la droga.
Con la maggiore età quella aveva iniziato a sperperare denaro per il gioco d’azzardo e s’era rovinata con le sue mani.
Almeno non era manesca come il vecchio e lui era l’unica roccia su cui la madre faceva affidamento.
Ma tutte le botte e le sofferenze che aveva patito lo avevano profondamente cambiato.
Già dalle medie era violento.
Se la prendeva con i bambinetti viziati che gli capitavano a tiro e gli rubava soldi, merenda e cellulare.
Aveva notato che quando si comportava bene finiva sempre con il fare la figura del fesso e aveva deciso di cambiare.
Era stanco di vederla piangere nella sua stanza.
Lui doveva pur trovare un modo per aiutarla.
Rivendeva il cellulare in giro, guadagnando poco e i soldi li donava alla madre.
A lei raccontava che li trovava sempre per strada, affermando che aveva una fortuna sfacciata.
La merenda la consumava, risparmiando anche sul poco denaro che la donna le passava.
Lui sì che li teneva con cura.
La madre era convinta che il figlio fosse un angioletto, ma se avesse saputo di tutti i problemi che causava e delle minacce agli altri bambini, sarebbe morta di crepacuore.
A scuola s’impegnava sempre al massimo, anche se questo macchiava la sua reputazione da mastino teppista, ma i professori di quello che faceva fuori non erano interessati.
Poteva anche spacciare droga o darsi ai furti, tanto non era un loro problema.
Finché s’impegnava non avevano nulla da ridire.
Lui però, nonostante le grandi promesse, non si sarebbe mai spinto a tanto…avrebbe solo scatenato risse e cercato di mettere da parte più denaro possibile.
Senza il rosso, però, Duncan sarebbe stato destinato a tornare in ultima fila all’Università e sapeva che forse solo all’ultimo anno sarebbe potuto salire in cattedra.
Scott era il suo asso.
Era colui che lo avrebbe spinto in vetta e pazienza se quello era solo il secondo posto…se ne sarebbe fatto una ragione.
 
Se Duncan era così messo male…c’era qualcuno nei suoi amici che viveva come un Dio.
Brick veniva da una situazione agli antipodi.
Una famiglia nell’alta società che lo amava.
Aveva tutto, ma è come se non avesse avuto nulla.
Duncan, per esempio, aveva una madre che lo amava, ma lui aveva solo l’aridità dei soldi.
Lui non riusciva a sentirsi parte di quella famiglia.
Dopotutto in ogni famiglia vi era una pecora nera e lui, anche essendo figlio unico, rappresentava alla perfezione quel simbolo che gli avevano appiccicato sopra.
Tutti si aspettavano che seguisse le orme del padre e per questo gli era sempre stato imposto un certo comportamento.
L’etichetta da bravo figlio di papà però gli pesava molto e più cercava di staccarsela di dosso, più gli si attaccava sotto pelle.
Non era in grado di sopportare quei finti sorrisi.
Quell’ipocrisia dovuta al denaro che passava dal portafoglio di un ladro alle mani di un altro ladro.
Quella vita lo disgustava da anni.
Era da quando era piccolo che disprezzava la ricchezza.
Era da quando passava il Natale, le feste e i compleanni da solo.
Tutta colpa degli affari e questi erano collegati con il denaro.
Poi era entrato in quello studio.
Aveva spulciato quei documenti come se li conoscesse da una vita e come se ci avesse sempre lavorato e aveva capito in quali affari sporchi i suoi genitori erano invischiati.
Il padre era solo un pupazzo.
Inconsapevole di esserlo, ma era comunque un pupazzo.
Un pupazzo nelle mani dei pezzi grossi, i quali erano solo le puttane di un’altra persona.
Tutto il potere confluiva in quell’omuncolo che aveva incontrato ad una festa.
Questo era un altro dei motivi per cui non sopportava quella squallida esistenza.
Un’esistenza che era scritta nel suo futuro.
Peccato si fosse ripromesso di evitare quella contaminazione.
Odiava quella situazione per un motivo in particolare: i suoi amici.
Loro vivevano nella spazzatura e lui doveva vivere, per forza, a contatto con il denaro.
Fu a questo punto che giunse all’amara verità.
Aveva due possibilità per uscirne.
La prima lo disgustava.
Doveva obbedire, diventare il successore del padre, salire in cattedra, abbassare il prezzo dei prodotti e non diventare la puttana del capo ed evitare di farsi contaminare dal denaro fetido che avrebbe manipolato.
La seconda non poteva applicarla.
Perché se l’avesse fatto non sarebbe riuscito nei suoi intenti.
Gli sarebbe piaciuto staccarsi e vendere la società una volta che il suo vecchio si fosse ritirato.
Aveva visto molte persone finire sul lastrico a causa di quel bastardo ingordo e a costo di farsi uccidere era pronto anche ad iniziare una guerra.
Quell’omuncolo con i suoi soldi poteva permettersi avvocati da milioni, ma prima o poi avrebbe fatto un passo falso e lui doveva solo aspettare il momento opportuno.
Purtroppo aveva sbagliato fin dal principio.
Onde evitare, aveva scelto di dimostrarsi poco incline agli affari del padre ed era solo per il suo bene che non aveva avvertito chi di dovere.
Ben presto i genitori si sarebbero defilati a causa della pensione.
Una bella soffiata alla polizia sarebbe stata la giusta punizione per quel padrone baffuto.
Come detto, lui a differenza dei suoi amici stava bene economicamente e spesso offriva loro la merenda con grandi dimostrazioni e urla d’affetto.
Non era apprezzato solo per il suo portafoglio, ma anche per il suo carattere.
Tutti sapevano che era ricco, ma non se ne approfittavano per questo.
Era impossibile odiarlo, il suo buon cuore era sufficiente, ma era ancora più umano con le persone che reputava degne di fiducia.
Non si arrendeva mai ed era sempre pronto a lottare anche nelle condizioni più disparate.
Convinto della sua forza era stato il primo ad autoproclamarsi leader della scuola al terzo anno.
Poi era comparso Duncan e quest’ultimo lo aveva schiacciato come un insetto.
Lo aveva spazzato via, ma gli aveva offerto una seconda opportunità.
“Unisciti a me.”
Erano queste le parole che gli riferì, mentre allungava una mano per aiutarlo a rialzarsi.
Non voleva rischiare.
Se si fosse rifiutato, avrebbe potuto prenderla male e poi era quello che desiderava anche lui.
“Perché?” Aveva chiesto, mentre lo guardava dal basso.
“Ho bisogno anche del tuo aiuto.”
Brick pensò a quella proposta per pochi secondi.
Non aveva nulla da ridire.
Era stato sincero.
Era rimasto colpito dalla sua forza ed era un motivo valido per accettare.
Quella collaborazione avrebbe aiutato entrambi e convinto di ciò, afferrò con forza la mano del suo nuovo amico.
Chi li aveva visti, era rimasto sorpreso.
Fino a qualche attimo prima erano pronti a mandarsi all’ospedale a vicenda, ma da quel giorno divennero inseparabili.
Avevano anche brindato con una birra per la formazione di quell’alleanza assai particolare.
Era gennaio ed era nato il primo gruppetto di teppisti della scuola.
Scott manteneva ancora un basso profilo e fu solo quando la società di Duncan si ingrandì con l’ingresso degli altri 3 membri, che lui iniziò a scalare le gerarchie.
Brick poteva considerarsi il terzo uomo della squadra del rosso.
 
Lightning era entrato nel gruppo di Duncan perché era solo.
Non aveva amici.
Lui credeva che essendo appena arrivato, fosse dovere degli altri dargli una mano.
Credeva che esistesse una sorta di amor proprio per aiutare qualcuno che ne aveva veramente bisogno.
Invece tutti lo evitavano.
Non ne capiva il motivo.
Dopotutto si era appena trasferito e non era colpa sua se era indietro sulle materie.
Era arrivato al punto di credere che la colpa, se così poteva essere definita, era da ricercare nelle sue umili origini da artigiano.
A volte, durante le lezioni, diventava paranoico.
Credeva che nessuno lo volesse come amico solo per via del colore della pelle oppure solo perché sembrava più grande degli altri.
Non era il razzismo il problema.
Il vero problema era la stupidità di quelle sciocche persone.
A far pena non erano gli studenti, ma i professori.
Quelle teste di cavolo non avevano insegnato nulla ai ragazzi.
Se gli insegnanti non ti considerano nemmeno di striscio, perché i ragazzi dovevano aiutarlo?
Perché dovevano vederlo sotto un’altra luce, se nessuno compiva quello sforzo?
Non ne valeva la pena.
Solo un pazzo poteva cercare di comunicare con lui.
Un pazzo che si configurava bene con la descrizione oggettiva di Duncan stesso.
Fu durante una ricreazione che il punk notò il gigante buono isolato dal mondo.
Era sempre solo e Duncan era spiazzato da quella situazione.
Raramente incontrava qualcuno che gli provocava pietà e quel ragazzo era il primo di quella scuola che quasi lo spingeva ad avvicinarsi per chiedere se andasse tutto bene.
Provava un immenso dispiacere verso quello che sembrava un bravissimo ragazzo.
Aveva solo bisogno di una spinta per farsi apprezzare, ma se nessuno lo sosteneva o cercava di spronarlo, alla fine sarebbe rimasto solo a fissare il cielo.
Certo era bello estraniarsi da un mondo falso e pieno di pregiudizi, ma se non si cerca di far cambiare idea agli altri, si resta falliti per tutta la vita.
Tutti lo guardavano dall’alto in basso ed era escluso da ogni attività solo per il suo povero vestiario.
Come se fosse colpa sua di non essere nato con la camicia.
Ignorato e solo.
Eppure Duncan aveva posto i suoi occhi sul ragazzone da qualche tempo.
All’inizio non ci aveva fatto troppo caso, ma poi vedendo che la situazione perdurava, gli era nata una strana idea.
Chi meglio di un escluso può avere bisogno di un vero amico?
E lui era pronto a dargli un aiuto.
Era solo e per questo aveva chiesto al suo vice di non studiarlo superficialmente.
“Brick posso chiederti un favore?“
“Tutto quello che vuoi capo.” Rispose subito, offrendo parte della sua merenda al punk, il quale rifiutò quella cortesia.
“Quel ragazzo sembra interessante.” Borbottò Duncan.
“Cos’hai in mente?”
“Vorrei solo capire se lui è forte come sembra.”
“Io ho la soluzione perfetta.”
“E quale sarebbe?” Chiese il punk, fermandosi per fissare negli occhi l’amico.
“Potrei picchiarlo.”
Quella sarebbe stata la possibilità perfetta se anche Lightning fosse stato un bullo, ma Duncan non voleva arrivare a tanto.
Non voleva essere considerato anche da quel ragazzo alla pari di un delinquente.
Colpito da un’altra idea da lui considerata geniale, si girò per osservare dove si fosse nascosto Lightning.
Quest’ultimo aveva percorso pochi metri, si era seduto all’ombra di un albero e stava consumando con lentezza il panino che aveva preparato prima di andare a scuola.
Duncan credeva non fosse ancora pronto per una rissa.
Dovevano approcciarsi con cautela, per non spaventarlo troppo.
Quel piano che aveva appena studiato, gli avrebbe permesso di capire se valesse la pena correre quel rischio o se fosse meglio lasciarlo tranquillo.
“Stavo pensando d’invitarlo nel nostro gruppo.”
“Sei tu il capo.”
“Ho bisogno della tua opinione.”
“Potrei studiarlo per un po’…tanto per farmi un’idea.”
“E per quanto?” Chiese il punk, sapendo di potersi fidare di uno come Brick.
“Una settimana?”
“Poi mi dirai cosa ne pensi.”
 
I due passarono il resto della ricreazione a parlottare tra loro, dando spesso un’occhiata Lightning che non si era più mosso dal momento in cui aveva finito di mangiare.
Lui sarebbe sempre stato lì a fissare il cielo, tranne nei giorni di pioggia, dove lo si trovava in aula a guardare il panorama dalla finestra.
Fu in uno dei giorni soleggiati di gennaio che Brick gli si avvicinò.
Era scivolato silenzioso vicino a lui e solo il rumore di un legnetto spezzato lo aveva risvegliato.
Con quel rumore insolito Lightning si era girato.
Anche se non gli aveva mai rivolto la parola prima d’allora lo conosceva abbastanza bene.
In quella scuola le voci tendevano a circolare in fretta e sapendo la sua natura, aveva già pensato al peggio.
Non era raro che lo stesso Lightning s’intimorisse per qualche sciocchezza.
Notando Brick aveva iniziato a temere per la sua vita.
Credeva che volesse picchiarlo oppure che volesse sbeffeggiarlo come facevano spesso i bambinetti della sua classe.
Tutto in lui era motivo di scherno.
Dal vestiario umile, alla sua timidezza e perfino il suo insolito accento veniva preso di mira.
“Posso sedermi?” Borbottò Brick.
Lightning credeva di esserselo sognato.
Non credeva possibile che uno come lui potesse rivolgergli la parola.
Infatti si guardò intorno, credendo che quella domanda non fosse rivolta a lui.
Era sicuro che presto sarebbe spuntato dal nulla qualcuno che lo avrebbe preso in giro.
E invece non c’era nessuno.
Stentava a crederci.
Non immaginava che qualcuno ce l’avesse proprio con lui.
Gli unici che gli rivolgevano la parola erano i professori e solo durante il breve appello mattutino.
Il resto era silenzio.
“Se non ti disturba stare con me.” Rispose.
“Figurati…questo è uno dei miei posti preferiti.”
“Sei sicuro?”
“Non preoccuparti…a proposito io sono Brick.” Riprese, allungando la mano verso il ragazzo.
“Lo so.”
“Non credevo d’essere famoso.” Ridacchiò il giovane.
“Molti dicono che siete pericolosi.”
“Pericoloso è chi uccide, non chi si difende.”
“Non saprei.” Sussurrò Lightning, temendo una brutta reazione.
“Allora…hai un nome?”
“Sì scusa, mi chiamo Lightning.” Borbottò, stringendogli la mano con forza.
“È una delle prime volte che ti vedo qui.”
“Forse perché tutti mi stanno lontani.”
“I nuovi non sono mai ben visti.” Sbuffò Brick, facendolo annuire.
“Non mi hanno mai ascoltato e sono sempre stati indifferenti nei miei confronti.”
“Brutti bastardi.” Mormorò, studiandolo con attenzione.
“Mi giudicano ancor prima di conoscermi.”
Brick preferì far passare qualche secondo, dando il tempo al ragazzo di calmarsi un po’.
“Lo fanno con tutti.”
“Anche con voi?” Chiese stupito il ragazzo.
“Per loro siamo lo schifo della scuola, ma non m’importa.”
“Mi piacerebbe essere come te, ma non ci riesco mai.”
“Ognuno è speciale per quello che ha.” Lo rincuorò il ragazzo, sorridendogli.
“Già.”
“Siamo sulla testa barca.” Sorrise Brick.
“Così sembra.” Borbottò Lightning.
“Siamo così simili che potremmo aiutarci.”
“Come?” Gli chiese.
“Questo pomeriggio potremmo andare alla sala giochi e prenderci una pizza?”
“Non posso.“
“Perché?”
“Non posso usare i pochi soldi che ho alla sala giochi.” Borbottò il ragazzo.
Lightning credeva di perdere anche l’unico amico che era riuscito a trovare, ma Brick non era un tipo che si arrendeva facilmente.
Infatti lui poteva contare su una cosa che l’altro non aveva: il portafoglio pieno di soldi.
Brick, infatti, per nulla preoccupato da quelle parole, gli rispose con un sorriso.
“Non c’è problema.”
“Davvero?” Gli chiese stupito Lightning.
“Sono di famiglia benestante e qualche spicciolo non sarà una grave perdita.”
“Non vorrei approfittarmene.”
“Ho sempre preferito il divertimento e un buon amico al denaro.”
“Ogni tanto però.” Tentò Lightning, facendolo annuire
“Certo.” Lo rassicurò Brick.
Se qualcuno avesse mai detto a Lightning che avrebbe incontrato un amico del genere, probabilmente gli avrebbe riso in faccia.
E invece per una volta la fortuna sembrava sorridergli.
Infatti, quello che considerava impossibile, si stava avvicinando sempre più.
 
Lightning rinfrancato da quella risposta aveva accettato la sua proposta e avevano passato il pomeriggio insieme a divertirsi.
L’andazzo proseguì per una settimana, così come aveva stabilito Duncan e al termine di essa il punk aspettava l’analisi del socio.
Quel martedì si avvicinò con calma al luogo dove i due stavano parlando e si sedette al loro fianco.
“Allora Brick…cosa ne pensi?” Lightning non si era nemmeno accorto della presenza del punk e l’aveva notato solo dopo aver sentito la sua voce.
“Non picchiarmi.” Urlò istintivamente il ragazzone, mentre Brick e Duncan sorridevano divertiti.
“Non voglio picchiarti, ma solo offrirti l’opportunità di diventare importante e di non guardare più gli altri dal basso.” Ribatté con prontezza il punk.
“Non posso.”
“Sei felice di essere un perdente?” S’intromise Brick.
“Brick lascia perdere…”
“Se vuoi restare uno sfigato per tutta la vita, continua ad accettare d’essere escluso senza motivo.” Sbottò con rabbia.
“Cosa dovrei fare?” Chiese Lightning che stava iniziando a farsi corrompere dalle parole di Brick.
“Devi solo difenderti quando gli altri ti attaccano.”
“Tutto qui?” Borbottò, mentre il punk iniziava già a cantare vittoria.
“Si tratta solo di stare insieme e di aiutarsi nel momento del bisogno.”
“Ci sto.” Si convinse, stringendo la mano di Duncan.
“Benvenuto nel nostro gruppo.”
“E ora che facciamo?” Chiese la nuova recluta.
“La nostra società è piccola, ma ha un alto tasso di aggressività ed espansione e quindi faremo delle eliminatorie.”
“Che cosa intendi dire?” Mormorò preoccupato Brick.
“Qualcuno potrebbe unirsi a noi e di conseguenza la nostra forza aumenterebbe ancora.” Si spiegò, riferendosi ad alcuni gruppetti isolati che lottavano per scalare le gerarchie.
“Chi prendiamo?”
“Domani lotterò con Geoff e chi vince si prende il gruppo.” Rispose il punk, mantenendo la sua solita tranquillità.
Anche Lightning aveva intuito che se il capo si metteva in testa qualcosa non c’era verso di fargli cambiare idea e aveva accettato la sua scelta.
Sapeva che avrebbe vinto, ne era certo e infatti l’indomani quando Geoff si rialzò dalla polvere, accettando la stretta di mano del punk, non ne fu sorpreso.
 
Tyler e Geoff erano come fratelli e andavano incredibilmente d’accordo.
Si aiutavano fin dalle elementari e in tanti anni di sfide e competizioni si erano sempre sostenuti a vicenda.
La loro situazione economica era discreta.
Non vivevano nei bassifondi della gerarchia come Duncan o Lightning e non erano nemmeno figli di papà come Brick, ma le loro famiglie vivevano discretamente bene.
Tyler, ex pugile mancato, costretto a rifiutare il suo sogno solo perché dotato di scarsa disciplina.
Quando suonava il gong non si fermava e se si ritrovava al suolo era convinto che fosse corretto attaccare anche alle spalle.
Era per questo che non lo volevano più nelle palestre della città e lui per sfogarsi picchiava chiunque gli capitasse a tiro.
La differenza tra Tyler e Geoff stava tutta qui.
Tyler era sadico e amava la violenza e il biondo per non lasciare da solo l’amico s’era fatto contaminare.
Era finito anche lui a combattere e grazie agli insegnamenti dell’amico era diventato abbastanza abile.
Il suo punto forte era da ricercare nei riflessi e in forza era pari al suo maestro.
Era solo per questo che Geoff fece da portabandiera nella rissa con Duncan e solo alla fine, studiando i suoi movimenti e la sua intelligenza, aveva compreso di non essere all’altezza del punk.
Credeva che nessuno mai li avrebbe più disturbati e infatti per quasi 2 anni erano rimasti incontrastati.
Poi Scott si era svegliato e non c’era più spazio per loro.
La banda aveva cambiato leader e ogni membro si sarebbe comportato come sempre.
Il gruppo si basava sull’aiuto reciproco e sull’amicizia: elementi che non avevano mai conosciuto in passato.




Angolo autore: Rieccomi, anche se in ritardo.


Molti avranno creduto che mi fossi dimenticato di aggiornare e invece non è così.


Ryuk: Siamo stati troppo impegnati.

Esatto.
Altra noia da aggiungere è che questo doveva essere il capitolo precedente, ma una svista mi ha fatto pubblicare l'altro.
Poco male perchè sono riuscito a recuperarlo.
Detto questo vi saluto.
Alla prossima.
 
   
 
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