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Autore: HarryJo    17/01/2017    1 recensioni
[Edito da CentauriaLibri]
Sono passati dodici anni da quando Adela, Queen, Evan e Viper sono stati sequestrati da uno psicopatico, rinchiusi in una grande casa nelle campagne russe e infine liberati – unici sopravvissuti tra i tanti bambini scomparsi – dalla polizia. Non ricordano nulla, ma ciascuno porta impresso nella mente un trauma, che ha fatto di loro quattro giovani dotati di capacità inquietanti, ognuno a modo suo un «esperimento riuscito». Ora il loro carnefice è evaso di prigione, deciso a perseguitarli ma anche – pare – a rivelare i suoi segreti. Messi al sicuro in una casa controllata dalla polizia, i quattro scapperanno insieme alla ricerca dell’uomo che ha segnato il loro passato. E che li sta aspettando.
Per le strade di San Pietroburgo e nelle vaste nebbie della Russia, Adela, Queen, Evan e Viper scavalcano assassini e poliziotti, spacciatori e traditori, per tacere delle loro stesse ombre, forse le più mortali di tutte. Chi incalza chi, in questo gioco di inseguimenti e inganni? Il loro obiettivo è scoprire la verità, consumare una vendetta, o porre fine una volta per tutte alla loro vita ormai «contaminata»? Quattro eroi sbagliati in un thriller che unisce avventura e atmosfera, ritmo forsennato e scavo psicologico.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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[Missing moment di Contaminati, thriller edito da Centauria Libri a nov. 2016. Qui la scheda del libro.]
 
Evan
(prima che tutto ciò ebbe inizio)



Ricordo come i miei genitori avessero cercato di prospettarmi un futuro scolastico roseo quando ero più piccolo. «Imparerai tante cose belle che ti serviranno nella vita» aveva promesso mio padre.
O loro mi stavano volutamente mentendo.
O loro stessi avevano creduto a certe idiozie.
Certo, per i primi anni forse era anche stato vero. Ma presto le cose erano cambiate, perché io non ero come il resto delle persone.
Una dimostrazione?
Prendiamo la giornata in cui tutta questa storia ebbe inizio, o per certi versi ricominciò: era mattina, e tra i soliti corridoi di scuola con la muffa agli angoli delle pareti gli studenti si muovevano a mandrie compatte.
Io ero immerso nella solita giungla di ripassi dell'ultimo minuto, brusii e risate mal celate. Quando entrai nell'aula di Psicologia, il chiacchiericcio dei corridoi fu sostituito da quello della piccola stanza, più sommesso a causa delle ristrettezze spaziali. Vlad mi camminava a fianco ragguagliandomi della sua ultima conquista del fine settimana.
Ci sedemmo ai nostri soliti posti in fondo all’aula e mentre Vlad terminava la sua storia, che verso la fine andava sfociando in un’iperbole narrativa di rara mascolinità adolescenziale, io rimasi a osservare il resto della classe. Ragazzi e ragazze si erano divisi con scioltezza in base al genere di appartenenza, e nei diversi gruppi si discuteva di scarpe o di hockey, di atteggiamenti poco corretti da parte dei giovani adolescenti russi, o del fisico delle compagne di classe. Qualcuno starnutiva in previsione di una brutta annata influenzale, e qualcun altro si sfregava gli occhi ancora assonnato, nonostante la mattinata scolastica stesse ormai terminando.
«Fatto le ore piccole ieri sera, Yana?» La ragazza in questione si voltò verso di me con le labbra distorte dalla fase finale di uno sbadiglio.
Alzò solo una spalla, forse per pigrizia, forse per altri motivi. «Ho studiato per la prova di Russo.»
«E com’è andata?» Vlad sorrise con il solito fare carismatico, sporgendosi dal banco verso Yana.
Avrei voluto dire a Vlad che non era necessario perdere tempo in queste domande inutili: Yana non era certo rimasta veramente sveglia a studiare ieri sera. Ma se lui voleva portare avanti quella farsa di conversazione a me stava bene.
Yana stava rispondendo con una qualche frase insipida, mentre qualcosa ai margini del mio campo visivo attirò la mia attenzione.
L'entrata della professora Toskanskaja? Forse sì. O forse no.
Guardai meglio, con più attenzione. No, non era quello.
La professora Toskanskaja ci salutò e riprese la spiegazione da dove si era interrotta la settimana precedente.
Inizialmente le lezioni di Psicologia mi avevano allettato, e per qualcosa come due settimane erano state quasi interessanti. Nonostante all'inizio parlassimo solo di concetti basilari, ero speranzoso che una volta partiti con il programma le cose sarebbero diventate più succose. Non era accaduto. E ora la Toskanskaja, per quanto ci mettesse la sua energia da professora alle prime armi, era solo una figura in più dentro quel grigiore che era divenuto il sistema scolastico, che tante cose avrebbe dovuto insegnarmi.
«Oh, già. Dimenticavo. Avete raccolto i soldi per la gita a Sochi?» Tutti si voltarono verso Katerina, la ragazza che due settimane prima si era assunta la responsabilità. Lei, leccandosi le labbra, si abbassò a prendere la borsa gettata sotto la sedia. Era stata lei ad attirare la mia attenzione, quando era entrata nella classe. Qualcosa, quella mattina, era diverso in Katerina.
Rovistò per qualche minuto prima di estrarre la busta. La consegnò alla Toskanskaja. Le due presero a contare i soldi, come ultima verifica. Lo fecero una prima volta e, al termine, lo sguardo rabbuiato della professora incontrò quello sorpreso di Katerina. Ma fu cosa di un secondo, subito le sopracciglia alzate della ragazza si piegarono in un'espressione concentrata che la professora imitò mentre le due tornavano a contare le varie banconote.
Non ero l'unico a essersi accorto della cosa, e qualche ragazzo seduto in prima fila aveva iniziato a mormorare. La scena si ripeté, e le due con sempre maggiore agitazione ricontarono, per la terza volta, i rubli.
«Qui mancano dei soldi, Katerina» disse la Toskanskaja voltandosi con sguardo indagatore verso la sua allieva. «Sicura che tutti te li abbiano dati?» Sicura di non essertene intascati qualcuno?
Non potei fare a meno di studiare la mia compagna di Psicologia, alla ricerca di quel qualcosa fuori posto, quel qualcosa in meno. E allora colsi quel particolare che nessun altro avrebbero notato: Katerina non indossava la collana di oro bianco regalatole anni prima da una nonna ormai deceduta. Lo trovai subito strano, e mentre riflettevo sulla cosa i miei occhi si fissarono a lungo su Katerina e sul suo collo nudo. Nel frattempo Katerina era arrossita e scuoteva la testa con un gesto netto «Giuro che c’erano tutti. Avrò controllato almeno una decina di volte stamattina» disse, con la voce strozzata. Ora il brusio nella stanza era un vivace scontrarsi di voci e suoni stupiti.
Mentre le due parlavano, io sovrappensiero avevo spostato lo sguardo altrove, tornando a studiare la classe e le persone all’interno.
«Qualcuno ha forse rubato i soldi?» domandò una voce dall'altro lato della classe.
«Andiamo, non facciamo scherzi!» E tutti iniziarono a dire la loro.
Continuai a guardarmi attorno, in silenzio. Lei mi osservò, le sorrisi. Ma non ricambiò, guardinga.
La lezione, ora, sembrava promettere qualcosa di divertente. Un ragazzo si volse verso di me, i suoi piccoli occhi mi osservarono accusatori: Yan Ivanov non era di certo uno dei miei più accaniti fan.
«Non vi preoccupate» disse infatti, «ora Evan farà uno dei suoi trucchetti.» Alzai gli occhi al cielo indignato, ma la classe ormai guardava me. Aspettava il mio show.
Mi sfiorai la cicatrice che portavo al sopracciglio, ricordo di una parte del mio passato decisamente macabra, e mi alzai dalla sedia. Nel farlo, il thriller che stavo leggendo scivolò contro il pavimento, richiudendosi. Poco male, era una trama parecchio prevedibile: nonostante fossi alle prime pagine ero già piuttosto certo di aver compreso chi avesse ucciso il vecchio marinaio durante la tempesta. L’anziana che gli era passata accanto durante la cena la seconda notte. Per quale motivo? Qualcosa connesso al loro passato, probabilmente. Per comprendere gli atti orribili commessi dalle persone bisogna sempre partire dal loro passato.
Feci scorrere lo sguardo lungo i vari banchi, studiando i miei compagni: li conoscevo bene abbastanza da sapere cosa cercare. Ivanov mi ringhiava contro, senza cercare di nascondere il disprezzo che provava nei miei confronti, risalente a un episodio a mio avviso di poco conto.
Il mio sguardo terminò contro il muro freddo e umido della classe. Ripercorsi nuovamente quei visi, una seconda volta. Era essenziale mantenere una certa suspense.
«Quindi?» domandò la professora.
«Lyudmila?» dissi, voltando il viso verso la ragazza. Lei mi rispose con preoccupazione.
«Sì?»
«Hai forse preso qualcosa che non ti apparteneva?» domandai con un tono innocuo, per nulla indagatore.
«No» disse, con un tono poco più alto rispetto a quello che normalmente utilizzava.
«Ah. Scusami, allora.» Sorrisi, voltandomi verso la ragazza sedutale davanti: Yana. «E tu, Yana?» Lei per un attimo distolse lo sguardo da me, spostandolo verso il pavimento e poi verso la classe.
«E io cosa?» Mi guardava con aria di sfida.
«Hai preso qualcosa che non ti apparteneva?»
«No, non ho preso qualcosa che non mi apparteneva.» Di nuovo, mosse lievemente la spalla.
«Quindi quei 36.780 rubli che hai, guarda caso, dentro il portafoglio, sono i soldi che normalmente ti porti a scuola?»
Yana si finse sdegnata, e si volse verso la Toskanskaja la quale si limitò a dirle: «Facci solo controllare.» Io già stavo prendendo lo zaino, guardando però Lyudmila di sottecchi. Mi ci vollero pochi secondi per trovare il portafoglio di Yana, ed estrarre la quantità di rubli sospetta.
«Sono miei» si affrettò a dire Yana.
Scossi la testa. «Lavori la notte, probabilmente in un qualche locale malfamato. Posso capire la necessità economica, e un’occasione è pur sempre un’occasione.» Poi, abbassando la voce, aggiunsi: «E poi Katerina è così ingenua...»
Yana era rossa: di imbarazzo, di rabbia, o di entrambi. La campanella suonò, e io fui legalmente libero di incamminarmi verso casa, lasciando Yana, Katerina e la professora a occuparsi degli aspetti tecnici. La sentii obiettare debolmente qualcosa, continuando con la versione che voleva quei soldi come suoi, poi proruppe con uno stridere di denti «È impossibile che lui...»
Fu la professora a dire quello che tutti quelli nella stanza stavano pensando: «Avanti, Yana, è Evan.»
«Ah, Lyudmila.» La fermai con un sussurro. Il corpo della ragazza raggelò. «Tu sei amica di Katerina, giusto?»
«Che vuoi?» ringhiò.
«Potresti darle questa?» Le allungai un ciondolo in oro bianco che Katerina portava spesso al collo, regalo di una nonna ormai defunta. «Sarebbe un peccato se la perdesse, o peggio... finisse nelle mani di qualche personaccia. Giusto?». Vidi la mano sinistra di Lyudmila chiudersi a pugno mentre l'altra si allungava in un gesto meccanico verso il gioiello.
«È una fortuna che quella ragazza abbia delle buone amiche, come te.»
«Ti credi tanto intelligente, non è così, Evan?»
Mi credevo molto più intelligenti di tutti loro, quello sicuramente, ma a lei non ero tenuto a dirlo.
Le sorrisi. Ma lei non ricambiò.

 
   
 
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