Verranno
alcune notti
in
cui non vorrai esistere
e,
semplicemente,
non
esisterai.
Ti
nasconderai, ancora, nella tua minuscola stanza, consumata da uno
sconosciuto
dolore, raccogliendo silenziosamente i cocci della tua
intimità violata, del
tuo spirito infranto; non ricorderai nulla che spegnerà la
tua frustrazione e
la tua rabbia, e ti volterai nelle ombre ammantata dalla stanchezza,
saldamente
aggrappata ai confini di un sonno nebbioso che tarda a venire,
tormentata dai
tuoi fantasmi privati, dalle tue sciocchezze, dai quei doloretti
cronici che di
tanto in tanto ti colgono.
Sarai
intima come un sogno dimenticato, mentre ti stringerai nel tuo corpo e
senza
accorgertene tornerai piccola, simile a quel che eri stata al tempo in
cui tua
madre ti teneva in grembo. Scivolerai nel tepore rarefatto di certe
sere mai
vissute, e così immaginerai cose che non hai mai fatto,
passeggiate nella bruma
rosea delle mattine di inverno, alberi contorti dai rami bagnati e
scuri,
immense campagne in cui lascerai vagare la tua mente incerta, tentando
di
recuperare alcune cose perdute. Il tuo corpo peserà
mostruosamente fra le
lenzuola sfatte, e continuerai a stringerti su te stessa
finchè la pelle non
scivolerà via dalle tue ossa, gocciolando fra le assi
sfondate del letto;
continuerai a stringerti e chiuderti e le tue stesse ossa si
assottiglieranno,
saranno zucchero, crocchianti e strette come quelle di un passero.
Le
lacrime scalderanno a lungo il tuo viso, disordinate e inattese,
segneranno
alcune strade che ripasserai con le tue dita febbrili, e intanto
continuerai a
stringerti; diventerai talmente piccola che potrai danzare come una
fata sul
palmo della mia mano, e muovere i tuoi arti minuscoli lontano dalle
ombre
pesanti e dalle tue paure.
Diventerai
così piccola che potresti annegare in una mia sola lacrima,
e sfuggirai da me
come un granello di sabbia. Il vento ti porterà lontano e ti
mescolerà alle
terre rosse del deserto, alle spiagge misteriose, alla polvere dei
grandi campi
incolti, alla fanghiglia fertile delle foreste inesplorate.
Infine
sfuggirai persino al vento, e sarai piccola come il respiro di un
batterio,
fluttuerai in una dimensione sconosciuta con i segreti dello spazio e
del
tempo, inconsistente, contemplerai meravigliata la tua stanza immensa,
e la
luce eterna della tua lampada a muro, distante anni luce dal tuo
corpicino
invisibile, mentre alcune forze ti condurranno ancora più
lontana.
Un
tempo eri grande abbastanza da poter girare il mondo sulle tue gambe,
attraversare strade asfaltate in equilibrio sui tuoi piedi, e pian
piano adesso
ti perderai in cose sempre più piccole, galassie di granelli
di polvere, e
viaggerai ignara come una formica cieca per i lunghi millimetri di un
angoletto
della tua stanza, rinchiusa in un infinitesimale universo raccolto.
Invano
busserò alla porta della tua stanza, angosciato di non
trovarti; spererò di
sentire la tua voce rispondermi, ma non udirò nulla. E
allora impaziente mi spingerò
con forza sulla maniglia della tua porta, e tenterò di
aprirla. Avrò una
visione del cortile gelato dal retro scala e il vento di dicembre mi
aggredirà
le gambe. Ti cercherò fra le lenzuola sfatte, tra le assi
sfondate dell’impalcatura
in legno, nella coltre lanuginosa della polvere sotto il tuo letto; con
occhi
disperati guarderò la tua gatta saltare sul comodino e
fisserò lo sguardo nel
suo misterioso, intento a scrutare qualche abisso invisibile al di
là delle nostre
vite. Cercherò febbricitante fra le brochure e le carte,
scoprendo
improvvisamente i tuoi progetti; frugherò tra le tue
cartoline (Patagonia,
Indonesia, Canada) e fra gli scontrini oleosi del market
all’angolo, fra le
carte sfrigolanti delle caramelle balsamiche che un tempo tenevi nella
ciotola
di vetro all’entrata del tuo studio, fra i tuoi appunti
scritti fuori dalle
righe, ricordandoti scrivere ai tempi dell’Uni reclinata
verso sinistra.
Ma
non ti troverò da nessuna parte. L’ansia mi
divorerà lo stomaco e sentirò sul
viso il vago pizzicore del pianto; solleverò i cocci
infranti del vaso cinese
che tenevi in bilico sull’armadio, rivolterò i
cassetti colmi dei tuoi vestiti,
troverò le macchie scure di sangue sbiadito sulla tua
biancheria dismessa.
Allora
scenderò nelle strade gelate e solitarie, percorrendole al
contrario correndo,
in cerca di chiunque abbia osato ferirti e violarti; urlerò
il tuo nome nella
notte, mentre le madri terranno la mano ai loro figli, ragazze graziose
col
berretto di lana saluteranno sugli usci i loro fidanzati, anonimi
uomini in
completo elegante cercheranno parcheggio per le loro auto. Da lontano
vedrò le
vetrine illuminate e sarò immune ai loro incantesimi di
seduzione, così che le
stelle colorate lungo i viali torneranno ad essere lucine smorte;
vedrò molti
visi, passarmi accanto con indifferenza, e le possibilità di
trovarti mi
sfuggiranno dalle mani. Non potrò mai riconoscere in nessuno
di loro colui che
ti ha ferita, nessuno sguardo si fisserà nel mio
così che io possa affermare: «
Sei tu! Tu! » ... e di te non rimarrà
null’altro che un paio di ridenti cartoline
ingiallite dal tempo, vecchi quaderni di appunti, una gatta solitaria
che pare
già volta al tuo mondo degli spiriti.
Sognerò
questa notte della Vigilia di vederti tornare a casa con il viso sfatto
dalla
stanchezza, mentre sbuffando una risata tenterai di abbassare la
cerniera del
tuo giubbotto, come al tempo dell’Uni quando ridevi per ogni
cosa; immagino
tuttavia di vederti invecchiata, ma nella maniera rassicurante e dolce
con cui
solo alcuni di noi invecchiano, e resterai la stessa sotto i percorsi
accennati
delle vene azzurre sulla tua pelle chiara, fra le rughe di espressione
che gli
anni hanno segnato come cornice per i tuoi occhi vivaci, sulle ossa
sporgenti
che inizieranno a venir fuori dalle tue mani delicate.
Ti
vedrò invecchiare ma la tua anima resterà la
stessa che vedevo affiorare da
alcune tue occhiate, vibrante e intensa come un buco nero, e
scioglierai nei
miei abbracci le tue inquietudini.
Mi
parlerai allora del tuo studio, della nostra casa da sistemare, di
nostro
figlio o nostra figlia e i viaggi che un tempo avevi progettato. Ti
prometterò
di portarti in Indonesia, se vorrai, per i nostri vent’anni
di matrimonio, ma
tu mi dirai che ci sei già stata e che a quel luogo deve
rimanere il ricordo
della tua giovinezza.
Non
vorrai invecchiare, ma io ti starò accanto. E
dirò ai nostri nipoti che l’età
non ha tolto nulla alla tua bellezza, ma ti donato un fascino nuovo; da
dietro
le lenti dei tuoi occhiali mi scruterai vispa e complice come eri
solita fare
tanti anni prima, i nostri nipoti non crederanno alle mie parole, ma
noi ricorderemo
delle primavere assolate fra i banchi di scuola, delle passeggiate in
bicicletta in una Bologna tiepida e placida che appartiene solo ai
nostri
ricordi – e sapremo che è tutto vero.
Vorrei
che fosse così, lo sai, ma la verità è
che continuerò invano a cercarti in visi
sconosciuti e scialbi, seguendo le piste invisibili che
crederò tu mi avrai
lasciato per trovarti, fin che giorno dopo giorno il tuo ricordo
inizierà a
sbiadire: dimenticherò cosa ordinavi quando ti portavo al
ristorante cinese,
quale sia il tuo gusto di gelato preferito, dimenticherò la
tua scrittura e i
maglioni che indossavi, e guardando la tua biancheria macchiata di
sangue non
mi verrà più in mente il corpo che
l’aveva indossata.
Ti
lascerò scivolare come quei giochi di ombre e di luci sulle
vetrine sfavillanti
dei negozi la notte di Natale, e dietro alla memoria che avevo di te
rimarrà
solo una grande oscurità misteriosa, dalla quale attingere
di tanto in tanto,
inconsapevolmente. Riprenderò a vivere e invecchiare senza
averti accanto, e
attenderò ogni Natale della mia nuova vita rannicchiato fra
le tue cose ormai
estranee, piangendo e supplicando il vento di dicembre di riportarti
indietro.
Tu mi guarderai dal tuo angoletto invisibile, minuscola, comparirai
ogni tanto
fra le mie dita che stringono le tue camicette intatte nel tuo profumo
appassito, tra sottolineature di un libro che avevi sfogliato a lungo
in cui è
rimasto il tuo fantasma. Pure quando ti dimenticherò, ogni
dicembre passerò
sotto la finestra del tuo appartamento ormai venduto, e
vedrò da lontano le
luci che chiunque l’abbia acquistato ha acceso.
Non
sarai più lì, perché quello che ti
legava al mio mondo è svanito (persino la
tua gatta è morta, la gatta che avevi accarezzato e
cresciuto quando eri una
ragazzina.)
Ma
la verità è che adesso ho ventiquattro anni e non
sono pronto a invecchiare.
Voglio continuare a cercarti qui, fra questi inutili oggetti, mentre il
mio
cuore balzerà in ogni istante in cui crederò di
vederti riapparire.
La
polizia sta indagando per le strade festose e la sirena delle loro auto
si
perde nel silenzio della neve. Ho lasciato loro qualcuno dei tuoi
vestiti.
Sono
migliori di me quando si tratta di cercare le persone, o
così mi hanno detto. Ma
loro non sanno delle notti che tu hai trascorso sola su questo letto,
chiudendoti in te stessa fino a diventare minuscola e scomparire, non
ti hanno
mai vista prima che accadesse ciò è successo,
quando saltavi ridendo dalle
scale sul retro.
Non
sanno del tuo studio appena aperto, della scrivania che odorava ancora
di legno
nuovo e il bancone pulito e le caramelle, quando tenevi al fatto che
tutto
fosse in ordine, almeno all’inizio.
Sei
stata talmente brava da non lasciare più traccia. Tu, un
detersivo per piatti,
un rasoio, un sacchetto di plastica, o qualsiasi cosa abbia usato.
Appoggio
la mano sulla maniglia bloccata e penso che se adesso guardassi
giù, dalla
finestra del vano condominiale, vedrei il tuo spirito libero correre
per le
strade innevate della nostra Bologna con la tua gatta al seguito.
Ho
paura di
cosa troverei se aprissi davvero questa porta.