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Autore: My Pride    18/01/2017    9 recensioni
~ Raccolta di flash fiction/one-shot incentrate sui membri della Bat-family ♥
» 200. Cospiracy ~ Bernard x Tim
Non è la prima volta che Bernard passa un mucchio di tempo al computer, ma non gli è mai capitato di starsene quasi mezza giornata alla ricerca di chissà cosa tra forum che parlano di supereroi, siti dedicati e informazioni che dovrebbero teoricamente arrivare dal cosiddetto “dark web”.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Bruce Wayne, Damian Wayne, Jason Todd, Jonathan Samuel Kent, Richard Grayson
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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The rainmaker Titolo: The Rainmaker
Autore: My Pride
Fandom: Superman/Batman
Tipologia: One-shot [ 2245 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Bruce Wayne, Clark Kent
Rating: Verde/Giallo
Genere: Generale, Commedia, Maliconico
Avvertimenti: Hurt/Comfort, Accenni slash
The season challenge: Autunno › Ognuno dovrebbe trovare il tempo per sedersi e guardare la caduta delle foglie. (Elizabeth Lawrence)
The angst time: 06. Dolore
Caretaking challenge: 03. Fraintendimenti
Cocktail di storie: Mojito › 06. Due personaggi costretti a condividere un letto
Maritombola: 04. Coperta termica
Agnes Obel Challenge:
Who are you to take over my mind with your eyes on me? Golden Green, Citizen of Glass


BATMAN © 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.
SUPERMAN
© 1933Jerry Siegel&Joe Shuster/DC. All Rights Reserved.
Who are you to take over my mind
With your eyes on me?
(Agnes Obel - Golden Green; Citizen of Glass)

    Gotham era confortevolmente silenziosa, quella notte. Nonostante fossero ormai ore che si trovava là fuori, appostato su una delle gargolle del più alto edificio della città, non era ancora riuscito a scorgere nessun crimine, nessuna segnalazione di aiuto, nemmeno qualche caso di possibile suicidio, come se Gotham, per una volta nella sua vita, si fosse presa una pausa da se stessa e si fosse goduta la placidità di quell'umida serata autunnale. Se solo notti addietro fosse stata così, esattamente come la stava osservando in quel momento, molto probabilmente non avrebbe sentito quel peso opprimergli il petto, riducendo il suo cuore in poltiglia. Per quanto fossero quasi passati due mesi da quell'avvenimento e fosse riuscito, anche con un po' di aiuto, a ristabilire il proprio equilibrio mentale, nulla sarebbe mai riuscito a spazzar via il dolore di un genitore costretto a seppellire il proprio figlio.
    «Sto lavorando», asserì di punto in bianco e con voce più nervosa del solito, al che il nuovo arrivato, quasi fosse letteralmente comparso dal nulla, si librò accanto alla gargolla su cui si trovava il pipistrello di Gotham, incrociando le braccia al petto nel guardare le luci della città che svettava sotto di sé.
    «Lo vedo», si ritrovò a dire, con le orecchie ben attente nel captare qualunque suono e, in senso più ristretto, il battito dell'uomo su quel piedistallo di pietra. «Credevo ti fossi preso... almeno un momento», dovette ammettere, sentendo distintamente il grugnito che fuoriuscì dalle labbra del suo interlocutore.
    «Ne ho presi anche troppi. Il crimine non va in vacanza».
    «A quanto pare stanotte sì. Sei quassù da quanto, quasi due ore? E non è ancora successo niente».
    Batman lo scrutò attraverso le lenti della sua maschera. «Mi stavi spiando?» domandò schietto, e Superman sollevò subito entrambe le mani in segno di resa, conoscendo fin troppo bene quel tono di voce.
    «Diciamo piuttosto che mi preoccupavo per la tua salute», asserì con semplicità inaudita. «Dopotutto... ognuno di noi dovrebbe riuscire a trovare il tempo per sedersi e guardare la caduta delle foglie, B».
    «S, non farlo».
    «Fare che cosa, esattamente?»
    «Non citare Elizabeth Lawrence nel patetico tentativo di convincermi a riposare. Non sono nemmeno mai stato un fan dei suoi film», affermò schietto, con lo sguardo ancora fisso sulla città sotto di sé e le spalle rigide, quasi si aspettasse da un momento all'altro che Gotham si risvegliasse dal proprio torpore. «Cosa ci fai qui, piuttosto?»
    Superman esitò solo per un breve momento, ma fu abbastanza. «Uno non può semplicemente venire a trovare un amico?» provò ugualmente, anche se la nuova occhiata che gli venne lanciata, e che non dovette nemmeno provare a vedere grazie a raggi X oltre la maschera, fu fin troppo eloquente da fargli abbassare le precedenti difese. «Sono venuto a chiederti un favore».
    «Se si tratta ancora di un carico di kryptonite, il radar della Torre di Guardia è ancora calibrato sulle tracce del suo decadimento beta, inoltre avete già i container. Flash può benissimo...»
    «Si tratta di una questione un po' più personale, B».
    Se fino a quel momento Batman era apparso piuttosto disinteressato, a quel punto sollevò del tutto il capo per osservarlo attento e, qualche momento dopo, si alzò persino dalla gargolla su cui era per prendere il rampino dalla sua cintura quando un guizzo sottostante catturò la sua attenzione. «Mi occupo di quei criminali e sono da te», tagliò semplicemente corto, sparando la bat-fune e usandone lo slancio per superare un paio di edifici ed usare il proprio mantello per planare direttamente addosso a quei criminali.
    Per quanto avesse visto milioni e milioni di volte il suo amico combattere, per Superman era sempre stato un certo piacere ritrovarsi ad assistere a quello spettacolo: un nero apostolo della giustizia che piombava come un'ombra vendicativa sulla feccia che infestava le strade di Gotham, combattendo con una furia terrificante e bellissima a tempo stesso. Il modo in cui i suoi muscoli guizzavano al di sotto della tuta ad ogni pugno ben assestato, il rumore provocato dalle nocche rivestite in kevlar che si infrangevano contro la mascella del malcapitato di turno; il distinto suono delle ossa rotte quando, con una mossa fulminea, afferrava il braccio di chi impugnava il fucile e lo storceva dietro la schiena, lasciandolo agonizzante e con un sicuro viaggio all'ospedale prima di essere spedito a Blackgate. Batman aveva imparato a combattere la violenza con la violenza, senza uccidere il proprio avversario ma rompendo lui abbastanza arti da fargli desiderare di esserlo. E, se a molti quei metodi apparivano rudi e senza senso, c'era chi capiva quanto Gotham fosse spietata. E quanto essa non risparmiasse nessuno, nemmeno un bambino di dieci anni cresciuto troppo in fretta.
    Superman si era dunque limitato ad attendere che completasse il suo lavoro di vigilante, aiutandolo anche a trovare altri piccoli crimini che la polizia sarebbe riuscita ugualmente a tenere a bada, prima di tornare con lui alla batcaverna e accennargli di portare qualche cambio veloce, poiché avrebbe avuto bisogno della sua assistenza per un giorno o due. Non era comunque riuscito a farlo desistere dal portarsi dietro il proprio abito da lavoro con tanto di cintura multiuso, ma alla fine erano giunti a destinazione, a miglia e miglia da Gotham o Metropolis, e quando alla fine Bruce si era reso conto di ciò che aveva fatto, si preoccupò della pessima idea che aveva avuto. Beh... ormai era fatta, no? Aveva ben poco di cui lamentarsi adesso che si trovavano nella rustica e momentantemante piovigginosa Aspen.

    «Era questa la tua questione personale?» domandò di punto in bianco Bruce, osservando con una certa attenzione la camera matrimoniale che era stata loro assegnata. La osservò in ogni minimo dettagli, dal letto al centro che appariva piuttosto confortevole, con tanto di una bella coperta termica ripiegata sul piumone, alla finestra alla sua sinistra, fuori dalla quale si riuscivano a scorgere ancora le piste illuminate nella notte; c'era anche un frigo bar accanto ad un televisore di 20'' a schermo piatto, e persino una poltrona dinanzi ad esso, con un bel tappeto che aveva l'aria di essere morbido e caldo. Perché si era fatto coinvolgere? Avrebbe potuto rifilare la cosa a qualcun altro della Lega e quell'idiota kryptoniano non sarebbe riuscito a fregarlo in quel modo così pessimo, per di più prenotando con così poco preavviso che gli avevano rifilato quella stanza e non si era nemmeno preso la briga di lasciar perdere.
    Clark abbozzò un sorrisino nonostante tutto, stringendosi nelle spalle prima di mollare la propria valigia accanto alla finestra. 
«Se ti avessi detto la verità mi avresti seguito?»
    «No».
    «Non mi aspettavo una risposta diversa», asserì come se nulla fosse, per nulla sorpreso, lasciandosi scappare poi una mezza risata quando si sedette sul bordo del materasso, picchiettandone un lato. «C'è un solo letto da condividere e... uhm, sai, ho una bizzarra sensazione di dejavù».
    Bruce lo fulminò immediatamente con lo sguardo, afferrando alla svelta un cambio dalla valigia. «Non dirlo a me», asserì ben poco concorde mentre si avviava verso il bagno. E ci si chiuse dentro per una buona mezz'ora, godendosi non solo il calore che scioglieva muscoli indolenziti dal freddo, ma anche quel breve momento di calma che si era creato sotto lo scrosciare dell'acqua dal getto della doccia, fino a decidersi a lasciare il bagno all'altro e a controllare la situazione a Gotham nell'attesa. Alfred gli aveva però comunicato che tutto taceva e che avrebbe potuto quindi tranquillizzarsi per quelle poche ore che lo separavano dall'alba e che, se avessero avuto bisogno, avrebbe potuto pur sempre dirottare la chiamata a Dick, che si trovava momentaneamente da quelle parti per sbrigare ben altri affari. In parole povere, tutti sembravano dirgli di riposarsi nonostante lui preferisse starsene fra le strade e sfogare la sua frustrazione.
    A quei pensieri scosse il capo, vedendo Clark tornare proprio in quel momento e decidendosi infine a prender posto, seppur ancora vagamente indispettito, prima di allungare una mano verso l'abat-jour per spegnere la luce. 
«Buonanotte», tagliò quindi corto, sistemandosi sotto il piumone e afferrando anche quella coperta termica, visto il freddo che, nonostante la stanza fosse riscaldata, si sentiva là dentro. E cercò quindi di prendere sonno come concessogli, alzando solo una palpebra quando avvertì un movimento al suo fianco e il corpo dell'altro, confortevole ma ugualmente strano, si assestò contro di lui. «Spero vivamente per te che quello che mi preme contro non sia ciò che penso, Clark», si ritrovò a dire, e Clark si lasciò scappare un piccolo colpetto di tosse come a voler camuffare chissà quale replica.
    «Mhn, sì, scusa», si ritrovò a dire con fare un po' imbarazzato, grattandosi dietro al collo pur senza allontanarsi. Quella vicinanza era piacevole, dopotutto. «Fa' un po' troppo freddo persino per me. Ti da fastidio se resto così?» ebbe comunque l'ardire di chiedere, provando a far leva sul fattore scientifico che due corpi si scaldavano meglio e bla bla bla, ma un po' si sentì ugualmente un idiota. Che diavolo gli era saltato in mente? Però, nonostante tutto, Bruce scosse il capo anche se ci mise una manciata di secondi di troppo, così trasse interiormente un sospiro di sollievo, sistemandosi meglio contro di lui e godendosi anche il calore emanato dal corpo dell'altro. Doveva ammettere che dormire così vicino a Bruce, diversamente da quanto accaduto la prima volta, era piuttosto piacevole e riusciva persino a rilassarlo, ma era probabilmente il solo a vederla così, visto il battito irregolare che, per quanto cercasse di non farlo, sentiva da parte del cuore dell'altro. Eppure... eppure, se ascoltava molto più attentamente, si rendeva conto che non era un battito dettato dalla situazione un po' troppo fraintendibile che era venuta a crearsi, ma quello di chi, ormai da chissà quante notti, non riusciva a riposare con la calma che avrebbe voluto così tanto avere. Appariva quasi... triste. E non aveva bisogno di essere a propria volta un detective per capire, nel silenzio delle ombre di quella camera d'albergo, a che cosa l'uomo stesse pensando in quel preciso istante. La stessa cosa che non aveva fatto altro che pensare per giorni, settimane, mesi. E a cui stava pensando anche quando l'aveva visto assorto su quell'edificio di Gotham.
    «Non è stata colpa tua, Bruce», gli sussurrò contro la pelle, sentendolo irrigidirsi ancora di più qualche momento dopo. Per attimi che parvero interminabili, fra loro aleggiò solo e unicamente la consapevolezza che l'altro sapesse, finché Bruce, con un lungo fremito e un suono strozzato simile ad un sibilo nel fondo della gola, lo allontanò di scatto da sé per mettersi a sedere e fissarlo, abituato a scrutare nel buio.
    «Non farlo, Clark».
    «Lasciami finire», lo frenò immediatamente, soprattutto nel sentire il tono a dir poco nervoso con cui l'amico aveva pronunciato quelle pochissime parole. Lo capiva? Oh, eccome se lo capiva. Ma, come si era reso conto che si stava auto-distruggendo, avrebbe anche dovuto accettare cosa fosse successo. «Potrà non essere lo stesso, ma anch'io mi sentii impotente quando pa' morì... e per settimane, se non mesi, mi presi la colpa di quanto successo, nonostante anche essere lì con lui non avrebbe cambiato minimamente le cose». Si issò a sedere a propria volta e gli poggiò una mano su una spalla, fissandolo attentamente negli occhi e costringendolo anche un po' a non distogliere la propria attenzione, visto il modo in cui Bruce cercava in tutti i modi di non incontrare il suo sguardo. Per quanto fosse umano e non sarebbe comunque stato in grado di vedere la sua espressione, Bruce sapeva fin troppo bene che lui sarebbe riuscito a farlo senza problemi. «Non puoi portare questo peso tutto da solo».
    «Aveva solo dieci anni, maledizione. Dieci anni. E io l'ho lasciato morire come lasciai morire Jason».
    «Non sei stato tu, Bruce, non prenderti colpe che dovrebbero avere Joker o Talia. Posso benissimo capire come...»
    Bruce lo fermò con un gesto secco della mano, issando nuovamente barriere sulla difensiva nell'abbandonare persino quel letto per andare alla finestra. Era ugualmente riuscito a vedere che l'espressione sul suo viso era stravolta, oltre al dolore che sembrava provare. «Non potrai mai capire. È morto fra le mie braccia, Clark».
    Clark aprì la bocca per ribattere, lasciando però che quel silenzio che si era venuto a creare fra di loro si estendesse come una nota vibrante in quella stanza, portavoce di parole non dette e di attimi che non avevano bisogno di essere spiegati. Poiché Clark sapeva che adesso aveva davanti solo un uomo, non più il pipistrello di Gotham, l'incubo di cui tutti i criminali sussurravano concitati e che molti di loro credevano esser stato sputato dall'inferno stesso. Era soltanto un uomo a cui mancava il sangue del suo sangue. E fu a quello stesso straziante pensiero che si alzò, avvicinandosi per poggiare una mano su una spalla di Bruce che, nel frattempo, si era perso a guardare fisso la pioggia che picchiettava contro i vetri, creando rivoletti che, sulla sua immagine riflessa, rassomigliavano tristemente a delle lacrime che non si sarebbe lasciato scappare mai dinanzi a lui.

    «...volevo solo veder crescere mio figlio», mormorò infine con voce stanca, crollando su se stesso dopo mesi e mesi in cui aveva cercato di tenere duro e di lasciare che fosse solo e unicamente la rabbia a spingerlo ad andare avanti, con l'anima in pezzi e il cuore arrancante. Perché, sì, anche Batman aveva bisogno di conforto, a volte. E Bruce Wayne, uomo e padre in lutto, in quel momento non era da meno.





_Note inconcludenti dell'autrice
Prima di cominciare, due spiegazioni veloci: la frase di Clark «Ho una bizzarra sensazione di dejavù, Bruce» è un richiamo all'albo Superman/Batman Annual #1, dove, durante una crociera, Bruce e Clark sono costretti non solo a condividere la cabina, ma persino il letto. Da qui la sensazione che prova Clark in quel momento ;)
Tra parentesi, di solito quei due si chiamano solo S o B - Bruce a volte lo chiama addirittura Blue, quindi figurarsi - dunque non è un errore ma un voluto richiamo al loro modo di parlare. Inoltre il titolo è a propria volta un richiamo ad uno dei primi spettacoli teatrali a cui prese parte
Elizabeth Lawrence, citata sempre nello scambio di battute tra Bruce e Clark.
Diciamo che volevo dare un'idea di come quei due si stuzzichino di continuo e a volte sembrino molto "gaiosi" - chi ha letto gli albi della serie Superman/Batman pubblicati dal 2003 fino a non molti anni fa sa di che cosa sto parlando -, quindi ecco com'è nato anche il cliché di vederli di nuovo a letto insieme con fraintendimenti, soprattutto tenendo conto che questa storia si svolge tempo dopo la morte di Damian, quando Clark stesso gli chiede se ha bisogno di parlarne prima che Bruce si impunti con il volerlo riportare a tutti i costi in vita. Motivo per cui, nonostante avessi pensato di rendere la storia giocosa e allegra, alla fine ci si è ritrovati con questa cosa mezza angst.
Una spiegazione veloce anche per i versi della canzone all'inizio, scelta grazie alla Agnes Obel Challenge indetta da Tide-EFP. Siccome Bruce odia chi pretende di capire che cosa sta pensando, mi sembrava che fossero a dir poco perfette per uno come lui, se comparato ad un uomo come Clark che può letteralmente vedere attraverso le cose e, qualche volta, anche attraverso cuore e mente di Bruce a causa dei suoi comportamenti. E il modo in cui Bruce si comporta da quando è morto Damian è chiaro come il sole.

Commenti e critiche, comunque sia, son sempre accetti
A presto! ♥



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