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Autore: jess803    18/01/2017    0 recensioni
In un mondo post-apocalittico, segnato profondamente dagli esiti di una distruttiva guerra nucleare, in cui le risorse idriche e i generi alimentari scarseggiano, si muove una donna, Hadiya De Wit, spia al servizio della Confederazione, ossessionata dai demoni del passato e legata da una catena invisibile ad un amore misteriosamente scomparso.
Ambientata nel torrido deserto nord africano, è una storia di spie, amicizie tradite, intrighi politici, ma soprattutto di un amore destinato, forse, a non finire mai.
"Erano come due anime in bilico sull’orlo dello stesso precipizio, che lottavano contro la stessa forza invisibile che cercava in tutti i modi di farle andare giù, che avrebbero potuto restare in equilibrio solo se fossero rimaste immobili a sostenersi a vicenda… due anime a cui sarebbe bastato solo il soffio di un alito di vento per precipitare sul fondo del baratro e restarci per sempre."
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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I primi fiocchi di neve della stagione stavano cominciando a cadere sulla città ormai buia. Il vento ispido soffiava ululando attraverso le grondaie e faceva sbattere violentemente le finestre e le porte dei balconi. Sofyane tentava di riscaldarsi le mani soffiando sulla lana rossa dei guanti a manopola, tenendo la cornetta del telefono tra la spalla e l’orecchio, mentre la voce del centralino continuava a mandare le solite offerte del discount. Dopo essere riuscita con qualche difficoltà ad inserire il codice sul tastierino, udì la voce del sergente dall’altro capo del telefono.
<< Che notizie porti dalla capitale?>> chiese quello senza troppi giri di parole.
La voce del sergente, per quanto rauca ed inflessibile, le fece venire un po’ di nostalgia. Sorrise amaramente per la sua volubilità: aveva cercato per anni di allontanarsi dalla base e di portare a termine la sua prima missione come agente speciale ed ora che si stava avvicinando all’obiettivo sentiva sempre di più la necessità di tornarsene al nido, a riabbracciare tutti coloro che si era lasciata alla spalle. Proprio lei che fino ad allora non avrebbe abbracciato neanche i suoi, se fossero stati ancora vivi.
<< La settimana prossima si terranno le prove finali per l’ammissione alla squadra ufficiale. Ci saranno un test scritto e una prova pratica; non ci hanno ancora dato molti dettagli, ma pare che per la seconda abbiano scelto qualcosa di particolarmente brutale>> rispose la donna, tirando su il moccio del naso << una volta sostenute le prove, ci concederanno una settimana di vacanze per trascorrere il Natale in famiglia e poi ci comunicheranno i risultati e i nomi degli ammessi nella prima di gennaio. Per metà mese la squadra dovrebbe essere già operativa e…>>
Il sergente la interruppe prima che potesse continuare la frase << non puoi tornare qui per le festività, Sofyane, mi dispiace>>. La ragazza rimase in silenzio, come pietrificata, davanti alla notizia.
<< Devi restare in zona e assicurarti che tutto fili liscio, non possiamo mollare proprio quando siamo in dirittura d’arrivo. E comunque, anche se ti lasciassi tornare, resteresti delusa: non c’è quasi nessuno da queste parti, sono tutti fuori in missione o a casa dalle proprie famiglie, per chi ce l’ha. Quest’anno il ministero ha anche deciso di dare qualche giorno di ferie agli operai e agli inservienti. In questo periodo, a dire il vero, l’atmosfera su questo vecchio macinino cigolante è alquanto spettrale>>.
Ci furono degli interminabili secondi di silenzio tra i due, un silenzio che mascherava un latente e crescente senso di insoddisfazione e sfiducia. In tanti anni non c’era mai stato del vero astio tra di loro, neanche nei momenti peggiori. Si erano sempre detti tutto a viso aperto, anche le cose più terribili; il silenzio non aveva mai fatto parte del loro rapporto.
<< Va bene capo>> rispose poi con poca convinzione la ragazza, sperando che la voce rotta non lasciasse trasparire la sua delusione <>.
<< Sofyane, so che dovrebbe essere inutile spendermi in ulteriori raccomandazioni, ma, dopo tanti anni che ti conosco, ho capito che con te non si è mai troppo prudenti. Devi assolutamente volare basso durante le prove finali, soprattutto durante quella pratica, ti è chiaro? Non voglio sorprese dell’ultimo secondo come con la faccenda di Rakovnik. E’ una questione di vita o di morte, lo sai anche tu. Non farmi pentire di averti dato fiducia>> le disse l’uomo, evidentemente ancora irritato per quanto accaduto qualche settimana prima col pozzo radioattivo.
Sofyane sospirò e strinse forte le palpebre, risentita del fatto che ancora le venisse rinfacciato quell’errore, << sì capo, le giuro che righerò dritto. Ora vado, si sta facendo tardi e tra poco chiuderanno il loft, non vorrei dover dormire fuori con questo gelo polare>>.
Proprio mentre stava per riagganciare, sentì di nuovo la voce del sergente richiamarla.
<< Ah, Sofyane…>> fece l’uomo, esitando << trascorri un buon Natale, mi raccomando. E ricordati che, anche se di recente le cose si sono complicate, qui c’è sempre qualcuno che ti aspetta>>.
<< Grazie capo. Trascorra un buon Natale anche lei. Ci risentiamo presto>>.
La fine della chiamata fu sancita dal rumore delle monetine che scendevano all’interno dei tubi metallici del telefono.
Uscì dalla cabina chiudendo adagio la porta dietro di sé, lasciò qualche avanzo di arrosto della cena al cane randagio che bazzicava di solito nel quartiere e poi entrò di corsa nella utilitaria blu a due porte, sperando che i riscaldamenti funzionassero.

Quella notte continuò a girarsi e rigirarsi nel letto senza riuscire a trovare pace. Nonostante gli stressanti allenamenti del mattino l’avessero stancata e nonostante le cattive notizie portate dal sergente non avessero fatto altro che aumentare il suo desiderio di farsi una bella dormita, non riusciva a chiudere occhio. Cosa avrebbe fatto per le vacanze natalizie? Il dipartimento sarebbe rimasto chiuso e lei non aveva altro posto dove dormire; avrebbe potuto chiedere a Mark di unirsi a lui e alla sua famiglia per il cenone natalizio, ma, probabilmente, agli occhi dell’amico sarebbe risultato piuttosto insolito il fatto che non trascorresse le festività in famiglia con il suo finto padre, nel suo finto paese natale. Altri contatti dell’Agenzia, in quella zona, non ne aveva e di sicuro non poteva permettersi di rientrare alla base contravvenendo agli ordini del sergente, già abbastanza spazientito per gli errori commessi in precedenza.
Cosa fare dunque? Non riusciva proprio a trovare una soluzione al suo problema, tanto più che aveva deciso che per quella volta se la sarebbe cavata da sola, che non avrebbe disturbato i suoi colleghi per una simile inezia, non dopo aver ricevuto l’ordine categorico del capo di non dargli altre grane. Avrebbe dormito in auto al freddo e al gelo, piuttosto che richiamarlo e pregarlo di trovarle una soluzione.
Stanca di restare lì immobile a torturarsi, decise che quella notte avrebbe fatto qualcosa di più proficuo; cercando di non svegliare la compagna di stanza, indossò la tuta sportiva e le scarpette da tennis, prese una borsa dall’armadio, ci infilò dentro degli asciugamani, una bottiglietta d’acqua, il suo fido mp3 e uscì senza far rumore dalla stanza. Percorse il corridoio che la divideva dalla camerata degli uomini, poi il cortile centrale; tutto intorno regnava un tenebroso silenzio: gli uffici del dipartimento erano chiusi da un pezzo e gli uomini delle pulizie erano andati via già da qualche ora. Era l’unica rimasta sveglia in tutto l’edificio. Spinse lentamente la porta della palestra, camminò percorrendola lungo il perimetro fino al magazzino degli attrezzi e poi tirò fuori il sacco da boxe. Si fasciò le dita con una benda bianca, si cosparse le mani col gesso, infilò le cuffiette con la musica a tutto volume nelle orecchie e cominciò a tirare pugni e calci al sacco. Era un metodo che aveva sempre usato alla base per sfogare la rabbia e scaricare la tensione, ma da quando era finita in missione non aveva mai avuto modo di riprendere la vecchia abitudine; quando qualche giorno prima, in uno dei suoi giri di esplorazione, aveva scoperto che le porte della palestra non venissero chiuse a chiave e che non vi fossero allarmi all’interno della struttura, il suo primo pensiero fu quello di tirare fuori la rabbia e ricominciare a picchiare duro.
I primi pugni che sferrò erano decisamente leggeri, aveva ancora bisogno di tempo per riabituarsi alla durezza della sabbia; poi, lentamente, i colpi diventarono sempre più intensi, la corda che legava il sacco all’asta metallica sempre più oscillante, fino a che il sangue che le cominciò ad uscire dalle nocche non colorò di rosso le bende bianche.
Prima che potesse sferrare un altro colpo, sentì una mano prenderla per il polso e bloccarle il braccio a mezz’aria. Sofyane si girò di scatto, spaventata, ritrovandosi una luce puntata contro. Si portò il braccio libero sulla fronte, cercando di scrutare la figura che la tratteneva, poi, finalmente, dopo che i suoi occhi si furono adattati alla luce, vide quelli del funzionario Lee che la fissavano contrariati, le sue sopracciglia inarcarsi in un’espressione inviperita e infine le labbra muoversi con fare autoritario.
Si tolse immediatamente le cuffie dalle orecchie, giusto in tempo per sentire la voce dell’uomo, che le stava chiedendo, più esasperato che arrabbiato in realtà, che diavolo ci facesse lì a quell’ora. Sofyane cercò attentamente le parole da usare prima di rispondere, poi, asciugandosi il sudore con una delle sua tovagliette, disse: << lei piuttosto, che ci fa qui?>>.
<< Io? Non saprei, l’ultima volta che ho controllato il ministero mi pagava per gironzolare di notte tra i corridoi del dipartimento a controllare che fosse tutto apposto. Mi pare che lo chiamino “lavoro retribuito”. E’ lei, invece, quella che dovrebbe essere a letto già da un pezzo! Mi dica, perché è qui?>>.
<< Non riuscivo a dormire>> rispose con aria indifferente la ragazza, alzando le spalle come se la questione non la riguardasse.
Il funzionario le fece un’altra occhiataccia. << Non riesce a dormire e quindi, al posto di farsi una bella camomilla, se ne va in palestra nel cuore della notte a fare a botte col sacco?>>.
<< Perché, c’è forse qualche regola che lo vieta?>> ribatté Sofyane con aria di sfida; era davvero troppo stanca e arrabbiata per interpretare la docile ragazzina sprovveduta.
<< Ce ne sono almeno una decina, in realtà. Se vuole gliele elenco tutte>> rispose faceto l’altro.
Sofyane si liberò dalla stretta dell’uomo e raccolse la borsa dal pavimento, << non ce n’è bisogno, grazie. Prendo le mie cose e vado via, mi è appena tornato il sonno. Non capiterà mai più, glielo giuro>>.
Nonostante l’ambiente fosse illuminato solo dalla tenue luce che emetteva la torcia, il funzionario Lee scorse le tracce di sangue lasciate sulle bande intorno alla dita della giovane.
<< Dove crede di andare in quello stato?>>. Le prese di nuovo la mano, nonostante la ferma resistenza opposta da lei, e poi le tolse la lentamente la fasciatura; Sofyane strinse forte i denti nel tentativo di resistere al dolore lancinante che stava provando.
<< Ha le ossa della mano completamente deformate>> disse quello osservando per bene sotto alla luce le ferite della donna << deve aver tirato molti pugni nella sua vita>>.
Sofyane distolse lo sguardo senza proferir parola, poi aggiunse, ricordandosi ciò che le aveva detto il sergente qualche tempo prima: << sono stata una ginnasta professionista in un’altra vita. Bella disciplina, ma quando smetti ti ritrovi le mani di uno scaricatore di porto>>.
<< Comunque non può rientrare in stanza così, devo medicarla. L’infermeria è chiusa a quest’ora e può aprirla solo il personale medico, ci sono troppe sostanze d’abuso lì dentro; ma credo che dovrebbe esserci un kit di pronto soccorso in cucina>>.
La donna ruotò gli occhi verso l’alto e, cercando di fermare il sangue con un asciugamani, seguì controvoglia il superiore nelle cucine della mensa.
Lee aprì con la sua chiave le porte del refettorio, accese la piccola lampadina di una delle cappe, prese due sgabelli da un tavolo e li sistemò sotto ad un bancone di marmo che si trovava accanto ai fornelli. Invitò la sottoposta a sedersi, poi cominciò a cercare all’interno della dispensa il kit di pronto soccorso. Sofyane si appoggiò con la testa sul tavolo e prese a giocherellare con un cucchiaio di legno, probabilmente lasciato lì da qualche aiuto cuoco sbadato.
<< Hai freddo? Stai tremando>> le disse Lee, dandole del tu; appoggiò la cassetta bianca sul bancone e si arrotolò due o tre volte le maniche della camicia.
<< Sì, un po’>> rispose la ragazza guardandosi le spalle nude, coperte appena dalle bretelline nere del top. L’uomo si tolse la giacca e gliela poggiò sulle spalle. << I riscaldamenti si accenderanno solo tra qualche ora, quando cominceranno ad arrivare i primi addetti della mensa per preparare la colazione. Con i tempi che corrono, non possiamo permetterci di sprecare energie per riscaldare ambienti vuoti>>.
Tirò fuori una boccetta scura dal kit e ne versò un po’ su una garza bianca, le prese la mano e cominciò ad applicare il disinfettante sulle ferite aperte; Sofyane ritrasse la mano per il bruciore.
<< Oh andiamo, hai rischiato di lasciarci le penne sotto ad un cumulo di macerie in un fosso buio di una fogna abbandonata e adesso fai i capricci per dei graffietti?>> le chiese quello con aria contrariata.
La donna convenne che il superiore non aveva poi tutti i torti e quindi gli porse a malincuore la mano. << La nostra situazione energetica è disperata, vero?>> gli chiese d’improvviso. Aveva fatto una domanda stupida di cui conosceva già la risposta, ma avrebbe fatto di tutto pur di non pensare al dolore che stava sentendo.
<< Disperata è dire poco. La nostra società potrebbe implodere da un momento all’altro a causa della crisi di risorse>> - l’uomo soffiò sulle ferite aspettando che il medicinale si asciugasse- << è per questo che in tanti ci tengono ad assumere una posizione importante in questo dipartimento: a conti fatti, siamo il futuro. Ormai tutto il paese dipende da noi e da quante fonti di energia pulita riusciamo a trovare in giro per il mondo. Ma tu sei qui per un altro motivo, no? Hai quell’assurdo sogno di migliorare il mondo che sembrano avere molti abitanti di questa confederazione>>.
<< Sì, beh, almeno in parte. In realtà il mio sogno da bambina era quello di diventare archeologa. Avrei voluto studiare in sud America le civiltà pre-colombiane o magari i segreti delle antiche dinastie imperiali in Cina. I grandi popoli del passato mi hanno sempre affascinato>> rispose quella sorridendo, come quando si pensa ad un sogno infantile che ormai è troppo lontano per provocare tristezza, ma ancora abbastanza vicino da mettere di buonumore.
<< E come mai non lo hai fatto? Ne avresti avuto tutte le capacità e io, probabilmente, non avrei avuto tutti i problemi che mi hai dato da quando sei arrivata>> disse l’uomo quasi senza riflettere sul significato nascosto delle sue parole.
<< Se avessimo vissuto in un mondo diverso, in un mondo che non sia sempre sull’orlo del baratro, in cui le nostre vite non siano appese ad un filo, in cui la morte non ti aliti sul collo sin dalla nascita, allora lo avrei fatto; avrei fatto le valigie e sarei partita senza guardarmi indietro. Purtroppo però si devono fare i conti con la realtà e non credo davvero che sarei riuscita a vivere così spensierata dall’altra parte dell’equatore sapendo quanto soffrono i miei concittadini. Ho bisogno di sentirmi utile, ecco>>.
Il disinfettante si era finalmente asciugato, così Lee prese delle bende pulite dalla scatola e le avvolse dolcemente intorno alle dita piccole e sottili della ragazza; << e non ti sei mai pentita della tua scelta? Neanche per un attimo? Ora potresti essere in qualche paese tropicale a prendere il sole, invece che essere rinchiusa in questa fredda cucina con un uomo che non sopporti a fasciarti delle ferite orribili sulle mani>>.
<< Sa, secondo me al mondo non esistono cose come i rimpianti o le opportunità perse. Credo che le cose in realtà vadano sempre come dovrebbero andare e questo non perché creda nel destino, nella fatalità o nell’esistenza di qualunque altra sciocchezza mistico-religiosa che possa governare il nostro agire, ma solo perché sono fermamente convinta che ogni cosa accada sempre in conseguenza ad un nostro comportamento e ogni comportamento dipenda sempre dalla nostra volontà. Se avessi voluto sul serio perseguire quel sogno infantile, lo avrei fatto, senza scuse e senza mezzi termini. Se sono qui, è perché dentro di me sapevo che questa era la mia strada… sono qui perché è qui voglio essere davvero>> disse con solennità Sofyane, mentre faceva delle prove di apertura e chiusura del pugno. Le mani erano a posto.
<< Se posso permettermi, è davvero una bella filosofia la tua. Forse un po’ troppo semplicistica per quel che mi riguarda, perché penso che nella vita spesso entrino in gioco delle variabili che sono indipendenti dalla nostra volontà e che ci costringono a fare cose che non vorremmo fare, ma comunque mi piace il tuo pensiero self-confident, questa idea che in fondo tutto dipenda da noi>> disse Lee guardandola fisso negli occhi, poi sorrise e si mise a ripulire il tavolo dai residui della medicazione.
<< Beh, ho comunque ancora tanti altri sogni da avverare e tanti altri posti da esplorare, la mia vita non si fermerà di certo qui, in questo dipartimento. Ammirare la skyline notturna della capitale dall’ultimo piano della Tower of Lights è uno di questi, per esempio>> riprese la donna, sorridendogli a sua volta.
<< Non mi sembra poi una cosa così difficile da fare. Come mai non ci sei mai andata fino ad ora?>>.
Sofyane si alzò dalla sedia e cominciò a frugare all’interno degli ampi mobiletti di legno della dispensa della cucina, << non è così semplice come sembra. Per accedere all’ultimo piano ci vogliono dei permessi speciali, roba da ministri e funzionari di altro grado. Sa, le solite rigide misure di sicurezza contro il bioterrorismo; ma un giorno sarò così importante e stimata da riuscire ad avere le credenziali per accedervi. Vedrà>>.
<< Non ne dubito Sofyane, sul serio. Ma… che stai facendo ora?>> le chiese Lee con l’espressione di uno che non avrebbe sopportato altre sorprese per quella notte.
La donna si voltò e gli sorrise con un’espressione truffaldina. << Non le andrebbe una bella cioccolata calda? La mia è fenomenale, glielo assicuro>>.
Dieci minuti dopo, i due erano davanti a delle tazze fumanti di cioccolata calda la cui dolce fragranza si era diffusa in tutta la stanza. Sofyane fece subito un lungo sorso dalla sua, disegnandosi, senza accorgersene, due lunghi baffi marroni ai margini della bocca.
Lee, invece, continuava a fissare inerte con le braccia incrociate il marshmallow rosa che galleggiava nella sua tazza piena fino all’orlo.
<< Non mi dica che non le piace neanche la cioccolata>> gli disse Sofyane con un’espressione contratta. L’uomo finalmente sollevò lo sguardo dalla sua tazza e scosse la testa, come se in tutto quel tempo fosse stato da un’altra parte, e guardò la donna imbronciata che gli stava seduta accanto.
Scoppiò in una risata fragorosa che risuonò in tutti gli angoli della cucina. Sofyane strinse le palpebre in attesa di avere spiegazioni per quella reazione che per lei, che chiaramente non aveva modo di guardarsi in viso, era incomprensibile.
L’uomo si alzò dal suo sgabello, le si avvicinò sorridendo e, sollevandole il viso con l’indice sotto al mento, le tolse col pollice la striscia di cioccolata.
<< La cioccolata va benissimo>> le disse poi dolcemente, restando lì a fissarla con le dita che le carezzavano le labbra, ad una distanza troppo ridotta perché lei potesse ragionare lucidamente. I secondi le sembrarono minuti e le ore le sembrarono attimi. Le regole del tempo si erano completamente sovvertite.
Tutt’ad un tratto Lee si allontanò bruscamente, si rimise al suo posto, bevve velocemente la sua bevanda senza dire una parola e poi, uscendo dalla cucina, le disse: << appena ha finito rimetta tutto in ordine e torni nella sua stanza. Deve dormire e riposarsi, domani mattina la aspetta una giornata lunga>>.
Sofyane sentì solo il rumore delle due porte chiudersi dietro di lui prima che potesse dire una sola parola. “Come puoi pensare che riesca a dormire dopo quello che è successo un attimo fa?” pensò tra sé e sé riuscendo a malapena a nascondere il rossore che le era comparso sulle guance. Ma era davvero successo qualcosa? O se lo stava solo immaginando?
Fu presa da un’agitazione ancora più forte di quanto non lo fosse prima, quando era uscita dalla sua stanza per schiarirsi le idee. Mise in ordine le tazze, cancellò ogni segnò di quelle ore trascorse clandestinamente con l’uomo nelle fredde cucine del dipartimento e si preparò a passare l’ennesima notte insonne da quando era cominciata quella missione.
Quando riappoggiò la testa sul cuscino, pensò seriamente di non farcela. Desiderò con tutta se stessa di fare i bagagli e tornarsene alla base, ad occuparsi di nuovo di tutto quel tranquillo lavoro d’ufficio e di quelle missioni secondarie di cui tanto si era lamentata in precedenza, quelle che non la vedevano abbastanza protagonista.
<< Le missioni sotto copertura non sono uno scherzo>> le aveva detto una volta il sergente, quando, in occasione del rientro di un altro agente da una operazione durata sette mesi, si era per l’ennesima volta proposta come agente speciale per una missione.
<< Pensa davvero che non riuscirei ad adattarmi in un ambiente ostile? Pensa che non riuscirei a stringere rapporti con altre persone che non siano lei o i miei colleghi? O a scovare informazioni importanti in mezzo ad una banda di criminali? Posso calarmi perfettamente in ogni parte, lo sa bene, mi addestra da quando ero una bambina apposta>> aveva poi ribattuto ingenuamente lei.
<< E’ proprio questo il tuo problema, ti adatti fin troppo bene e ti fai coinvolgere eccessivamente da ciò che ti sta intorno. E credimi, non c’è niente di peggio per un agente sotto copertura che essere troppo coinvolto>> le aveva risposto infine l’uomo.
Forse solo ora, a distanza di diversi anni, stava riuscendo a cogliere il senso delle parole del suo superiore, parole a cui all’epoca non diede troppo peso.
Da mesi ormai stava vivendo una vita che non era la sua, conoscendo persone e stringendo legami con esse con un’identità e una personalità che non erano le sue. Nessuna di quelle figure con cui parlava tutti i giorni e a cui si stava sinceramente affezionando la conosceva sul serio, nessuno la amava per ciò che era davvero. Non era lei quella ragazzina che da piccola desiderava girare il mondo alla scoperta di civiltà antiche, non era lei quella che voleva entrare con tutte le proprie forze nel dipartimento di Ricognizione e bonifica per cercare nuove fonti di energia e aiutare il suo popolo, non era lei quella che voleva diventare importante abbastanza da osservare la città dal tetto più alto del mondo, non era lei quella che avrebbe preparato una cioccolata calda ad uno sconosciuto nel cuore della notte solo per fermare ancora un po’ il tempo, per impedire che quel momento scivolasse via per sempre. Quella persona era solo una proiezione della sua fantasia, non era lei e non lo sarebbe mai stata. O forse sì? E se i desideri e le emozioni che Sofyane provava stavano diventando talmente forti e reali da scavalcare completamente i suoi? Le sembrava a volte di sdoppiarsi e di guardare la propria vita dall’esterno, come se a muovere il suo corpo ci fosse qualcun altro e non sapesse più da che parte stare.
Aveva bisogno di calare un attimo quella maschera, aveva bisogno di riprendere contatto con la realtà, la sua realtà. Il giorno dopo, durante la pausa pranzo, si allontanò di soppiatto dal dipartimento e si recò di nuovo alla cabina telefonica da cui aveva parlato con il sergente la sera prima.
Compose un numero diverso stavolta, un numero personale. Ci furono un paio di squilli, poi una voce nota rispose dall’altra parte.
<< Salve signor Otterton, come sta?>> disse la ragazza, quasi sul punto di piangere.
<< Hadiya, che sorpresa! Io sto bene e tu? Da dove chiami? Pensavo fossi in missione, non ti si vede da mesi da queste parti ormai>> le disse il macchinista con entusiasmo.
Sentirsi chiamare col suo vero nome dopo tutto quel tempo le fece venire un nodo alla gola.
<< Io… sì, sono in missione. La chiamo solo perché volevo solo sentire una voce amica. Tutto qui>>.
<< Beh, lo sai che puoi chiamare ogni volta che vuoi, questo vecchio signore non ha poi molto da fare durante la pausa pranzo>>.
<< Lo so signor Otterton, anche se in realtà io davvero non potrei farlo… ora devo andare, mi ha fatto tanto piacere sentirla. E non dica nulla al sergente Huber di questa chiamata, la prego, mi metterebbe sul serio nei guai. Grazie di nuovo, grazie per tutto>> riagganciò prima che l’uomo potesse chiederle altro, prima che la voce rotta tradisse il fatto che le lacrime stavano già solcando impietose il suo viso.
Si accucciò nell’angolo della cabina con la testa tra le ginocchia, lasciando che tutta la rabbia e la tristezza che aveva sentito in quei mesi venisse fuori. Non poteva più continuare a quel modo; ormai era davvero sull’orlo del baratro, come il mondo che tanto stava cercando di proteggere.
   
 
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