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Autore: Stella Dark Star    19/01/2017    0 recensioni
Delfina, figlia del banchiere Andrea de' Pazzi, ha solo quindici anni e nessuna vita sociale quando viene incaricata dal padre di entrare nelle grazie di Rinaldo degli Albizzi per scoprire ogni suo segreto e sapere in anticipo ogni mossa che farà in campo politico. Lei accetta con riluttanza la missione, ma ancora non sa che il destino ha in serbo per lei molto di più. Quella che doveva essere una semplice e innocente conoscenza, diventa ben presto un'appassionata storia d'amore in cui non mancano gelosie, sofferenze e punizioni. Nonostante possa contare sull'aiuto della madre Caterina (donna dal doppio volto) e della fedele serva Isabella (innamorata senza speranze di Ormanno), Delfina si ritroverà lei stessa vittima dell'inganno architettato da suo padre e vedrà i propri sogni frantumarsi uno dopo l'altro.
PS: se volete un lieto fine per i protagonisti, non dimenticate di leggere il Finale Alternativo che ho aggiunto!
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Andrea&Lucrezia - Folle amore (da Pazzi, proprio!)" per vivere assieme ai protagonisti un amore impossibile.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo ventiquattro
Tutti i nodi vengono al pettine
 
Di fronte al camino in cui ardeva un fuoco scoppiettante, un gomito appoggiato al bordo, la fronte sostenuta dal palmo della mano. Ormanno aveva un aspetto preoccupante da quando suo padre era stato imprigionato. Si faceva radere, lavare e vestire come una bambola, tranne quando si trattava di eccedere nell’alcol, allora era lui a prendere in mano la situazione. Quel giorno, però, al posto di un collo di bottiglia, tra le dita aveva un foglio scritto in elegante calligrafia femminile. Da alcune settimane gli venivano recapitati dei messaggi a cui lui aveva sempre rifiutato di rispondere e che aveva poi gettato nel fuoco, tranne quell’ultimo che sembrava essersi incollato alle sue dita umide. La mano oscillava al fianco, esitante. Lo sguardo fisso nel vuoto si riempì all’improvviso, Ormanno abbandonò la sua linea di pensieri e alzò il braccio per rileggere attentamente ciò che il foglio conteneva.
“Il vostro ostinato silenzio non sarà d’aiuto a vostro padre. Ora più che mai dovremmo unire le forze, io e voi. Avete ignorato tutti i miei messaggi precedenti, ma so che questo avrà sorte migliore. Sono in possesso di un prezioso documento affidatomi da vostro padre e reputo giudizioso parlare con voi del suo contenuto.
                                                                                                                                                                                                                                        D.P.”
Lasciò ricadere il braccio a peso morto, con l’altra mano si lisciò il mento. Avrebbe preferito infilzarsi con la sua stessa spada piuttosto che rivedere quella ragazza, però la curiosità per quel documento lo stuzzicava. Gettò il foglio nel fuoco, finalmente, ma invece di andare a prendere una bottiglia di vino come era solito fare, andò a prendere il mantello.
Il tragitto che divideva Palazzo de’ Pazzi dal suo era molto breve, perciò lo percorse in un paio di minuti. Bastò riferire alla guardia armata all’ingresso principale che Damigella de’ Pazzi lo aveva invitato e in un batter d’occhio era all’interno del palazzo. Si avventurò da solo tra i corridoi, pur non sapendo dove si trovassero le stanze di Delfina, ma con un pizzico di orientamento riuscì a trovare il corridoio che conduceva alle stanze private della famiglia. Indeciso sul da farsi, spaziò lo sguardo sulle varie porte e ragionò: “Dunque, se io fossi una sgualdrina e ricevessi regolarmente il mio amante in gran segreto, dove potrei farlo?” Fece un cenno verso la porta prescelta e vi si diresse. Afferrò la grossa maniglia di ferro e dopo aver contato fino a tre aprì la porta.
*
Mani giunte in grembo, lo sguardo perso fuori dalla vetrata, nell’udire il rumore della porta che si apriva e i passi di qualcuno entrare, mi venne spontaneo sospirare infastidita: “Padre, te l’ho già detto. Se non hai intenzione di aiutarmi a far scagionare Rinaldo, allora…”
“Io farei qualunque cosa.”
Quella voce mi fece voltare di scatto. Per quanto incredibile, l’uomo all’ingresso del mio salottino era proprio Ormanno. Fece un paio di passi verso di me e s’inchinò galante: “Damigella, sono a vostra completa disposizione.”
Superata la sorpresa, lo guardai di sbieco: “Ormanno, puoi smettere di recitare. Siamo soli.”
“Proprio come l’altra volta.” Ammiccò malizioso.
Finsi di non aver capito a cosa si riferiva e, anzi, mi affrettai a farlo accomodare su una poltrona di fronte al camino.
“Ho bisogno che tu mi dica cosa devo fare, Ormanno. Mio padre si rifiuta di aiutarmi e io non ho nessuna conoscenza utile.”
Il suo sguardo, dapprima puntato al nulla, si spostò su di me: “Anch’io mi sono dato da fare, ovviamente. Ironia della sorte, l’unica speranza di salvezza per mio padre ha chiesto di risiedere in gran segreto a Palazzo de’ Medici.”
“Chi? Chi può essere amico di Rinaldo e anche di quella feccia Medici?”
Rispose con tono canzonatorio, come se la risposta fosse scontata: “Papa Eugenio.”
Rimasi a bocca aperta.
“E’ fuggito da Roma dopo l’invasione. Io sono corso in suo aiuto assieme ai miei migliori uomini e lui in cambio ha voluto chiedere ospitalità a Cosimo perché dice che non può vivere nel palazzo di un uomo accusato di tradimento.” Terminò con un ghigno di disapprovazione.
“E.. E nonostante questo si dichiara disposto ad aiutare Rinaldo?”
Lui scacciò il discorso con la mano, evidentemente ansioso di chiudere l’argomento: “Pare di sì. Ti terrò aggiornata, comunque. Ora, se non ti dispiace, vorrei sapere il motivo per cui mi trovo qui.”
Mi ci volle un momento per elaborare la notizia e il repentino cambio di discorso. Mi schiarii la voce e cercai le parole per cominciare: “Io..sì. Si tratta di Levante. Rinaldo vuole riconoscerlo e fare di lui un Albizzi anche agli occhi della legge.”
“Perché la cosa non mi sorprende?” Disse con forte accento sarcastico.
“So che non sarà facile, per te, accettarlo. In un momento così delicato, sapere che dovrai dividere il patrimonio di famiglia con il tuo fratellastro deve essere per te un vero…”
“Onestamente adesso non me ne importa un bel niente. Vuoi che dia metà della mia eredità a lui? Sarà fatto. Ma ti ricordo che attualmente mio padre si trova in prigione e comunque andrà a finire la mia famiglia ne uscirà rovinata. Quindi il tuo bastardo è l’ultimo dei miei problemi.”
Il suo tono irrispettoso e arrogante mi causò un tremore rabbioso. Mi alzai dalla poltrona e gli voltai le spalle: “Vi auguro una buona giornata, Messer Albizzi.”
Lo sentii sospirare, il suo tono cambiò, le parole risuonarono tristi: “Non vorrei farti la guerra.”
“E allora non farlo. Credi che io non stia soffrendo? Oltre a essere tuo padre è anche l’uomo che amo. Ma a te non importa nulla.”
Ormanno si alzò a sua volta e si avvicinò a me. Sentii il tocco delle sue dita sulle spalle, il calore del suo respiro tra i capelli.
“Lo sai che ti odio.”
Ridacchiai: “Non fai che ripetermelo!”
“Eppure…” Le sue dita presero a muoversi sulle mie spalle, come se volessero plasmarle, la sua voce divenne un sussurro: “Per una volta vorrei provare a non odiarti. Vorrei provare a vederti con occhi diversi. Vorrei capire perché mio padre prova un sentimento così forte per te.”
Quel terreno stava diventando pericoloso. Non solo per via del suo tocco inappropriato, quanto più perché il mio corpo sembrava gradire tale attenzione.
“Ormanno… E’ una pessima idea. Io…” Il mio respiro si spezzò.
Lui mi fece voltare, le sue braccia mi avvolsero delicatamente. Il suo viso ora era vicinissimo al mio: “Solo una volta. E quando tutto questo sarà finito, ricominceremo a renderci la vita un inferno a vicenda.”
Se la mia mente era come bloccata da quella richiesta assurda, il mio corpo sembrava aver già deciso per me. Mi accorsi di avere le braccia attorno al suo collo. Che Ormanno avesse un bell’aspetto non lo mettevo in dubbio, anche se era ben lontano dalla bellezza di suo padre. Inoltre, i tratti del viso e il colore degli occhi erano così simili a quelli della madre… Per un momento mi sentii riluttante ad essere a contatto con lui, grazie a questo pensiero, peccato che ogni tentativo di fuga venne dimenticato non appena le sue labbra si posarono sulle mie. Cominciò a baciarmi come se fosse assetato, più mi baciava più io mi sentivo coinvolta. Intrecciai le dita tra i suoi capelli, tra i suoi bei ricci naturali che al tatto erano così simili a quelli di Rinaldo. Rinaldo…
“Non significa niente. Te lo giuro.” Pensai intensamente, nemmeno potesse sentirmi dalla torre. Il bacio diventata sempre più intenso e rumoroso, le nostre mani sempre più indiscrete e possessive. Ormanno mi sollevò leggermente da terra afferrandomi per i fianchi e, tenendomi stretta a lui per farmi sentire la sua eccitazione, mi condusse fino alla parete contro la quale mi posò. Mi ritrovai così con le spalle al muro e con Ormanno che mi sollevava le gonne con foga. Incapace di resistergli, assecondai il gioco cingendogli un fianco con la mia bella gamba nuda. Lasciai che mi prendesse.
Mentre consumavamo il peccato, cercai di aggrapparmi ad un motivo per giustificare il mio comportamento. Tensione? Tristezza? O più semplicemente astinenza e debolezza? Qualunque fosse la risposta giusta, l’unica cosa che sapevo era che quell’atto che stavo compiendo era assolutamente sbagliato. E ingiusto. E immorale. E…maledettamente piacevole.
Nessuno dei due riuscì a darsi un contegno durante il rapporto e di certo io non pensai nemmeno di frenare il mio grido finale di piacere. Ormanno, stremato, lasciò scivolare il capo sull’incavo tra la mia spalla ed il collo, il suo respiro bollente sulla mia pelle umida. La nostra reazione successiva fu alquanto assurda. Ancora abbracciati, fronte contro fronte, quelli che erano iniziati come sorrisi si erano poi trasformati in risate. Se fosse un modo per allentare la tensione o pura pazzia, non avrei saputo dirlo.
Un suono curioso e strozzato ci fece smettere subito. Da sopra la spalla di Ormanno vidi Isabella, ferma sulla soglia tra il salottino e la mia camera da letto e con entrambe le mani premute sulla bocca. Mi affrettai a separarmi da Ormanno e feci per andarle incontro: “Isabella, non è come credi. Posso spiegare.”
Lei scoppiò a piangere e corse a rifugiarsi nella propria stanza.
Ormanno mi raggiunse, tra le mani ancora i lacci dei pantaloni con cui stava armeggiando: “Cosa c’è? Perché ha reagito in quel modo?”
“Secondo te?” Lo rimproverai, dimenticando che lui non era a conoscenza dei sentimenti di Isabella. Corsi nella sua stanza. La trovai a piangere di fronte alla finestra. La balia, che sedeva sul bordo del letto con Levante tra le braccia, mi lanciò un’occhiata interrogativa.
“Balia, sii gentile, porta via Levante. Andate nelle cucine e…fagli mangiare un po’ di purea di mela.” Ancora mi suonava strano dirlo, non riuscivo ad abituarmi al fatto che il mio piccolino ormai non si nutriva più solo di latte dal seno.
Usciti loro, potei parlare liberamente: “Lasciami spiegare, ti prego. Quello che hai visto…è stato un incidente.”
Fece un gesto isterico e parlò con voce starnazzante per via del pianto: “Un incidente, sì! Deve avervi scambiato per un quadro visto che stava tentando di appendervi al muro!”
Sospirai per mascherare il mio imbarazzo per quel paragone: “Non hai motivo di essere arrabbiata. Ti assicuro che non ha significato niente. Tra me e lui non c’è nulla.”
“Ha significato per me! Sapete quanto io lo ami! Sapete che non desidero altro che stare con lui ed essere amata!”
“Che cosa?” La voce di Ormanno ci sorprese entrambe. Passando lo sguardo da me a lei, camminò fino ad arrivare accanto a me: “E’ uno scherzo, vero?” Poi si rivolse direttamente a lei: “Non avevo idea che le cose stessero così. Io…” Era talmente incredulo che faticava a trovare le parole: “Non posso credere che tu abbia costruito un simile castello nella tua mente. Ho abusato di te e per questo mi sentirò sempre in colpa. Io speravo di poter avere il tuo perdono, sì, ma da questo ad amarti…” Ridacchiò: “Non succederà mai!”
Il viso di Isabella era livido, le mani tremavano.
Mi sentii in dovere d’intervenire: “Ormanno, forse è il caso di parlarne con calma. Non c’è bisogno di…”
La mia frase fu interrotta da un vagito. La piccola Gioia, disturbata dalle nostre voci, si era svegliata e aveva tutta l’intenzione di mettersi a piangere. Isabella la sollevò dalla culla e la strinse a sé per quietarla.
Ormanno divenne ancora più contrariato: “Hai davvero coraggio a lasciare che questa donna dalla mente contorta si prenda cura di tuo figlio.”
“Ormanno, per favore. Ti sarei grata se moderassi i termini.”
“In quale altro modo dovrei definirla? Guarda! Ha messo un fiocco tra i capelli del bambino!”
“E’ una bambina, idiota!” Strillai, esasperata dai suoi modi rozzi.
Mi guardò con tanto d’occhi: “Che…? Bambina? Non avevi detto che era un maschio?”
Lei non è Levante, è la figlia di Isabella.” Precisai, puntando il dito in direzione della piccola e sua madre.
“Di bene in meglio! So per certo che non è sposata, quindi cosa dovrei pensare? In quale letto si è infilata? E per trarne quali vantaggi? Una persona così disonesta non…” Si bloccò all’improvviso. Il sospetto gli balzò alla mente, il suo sguardo tremò. Volse lo sguardo sulla bambina, sui suoi riccioli castani, il visetto tondo dalla pelle chiara: “Quando… quando è nata?”
“Alla fine dell’estate scorsa.” Risposi io, guadagnandomi un’occhiata gelida da parte di Isabella.
Ormanno deglutì pesantemente, il volto divenne pallido. Era evidente che i conti nella sua mente combaciavano. Voltò il capo bruscamente.
“Credo sia davvero il caso di parlarne con calma.” Proposi, volgendo lo sguardo prima a lui e poi a lei.
Ormanno parve riprendersi un poco, con passi lenti e sguardo fisso sulla piccola arrivò di fronte a lei e sua madre. Incerto, sollevò una mano e con commovente delicatezza sfiorò il volto di Gioia.
“Ho…una figlia.” La voce soffocata dall’emozione. Sempre lentamente sollevò lo sguardo su Isabella: “Tu..tu hai dato vita a questa bellissima creatura?”
Lei non riuscì a parlare, strinse le labbra per non scoppiare a piangere e fece un cenno col capo. Ormanno sembrava completamente disorientato.
“Ho una figlia.” Ripeté a se stesso. Poi all’improvviso si voltò e lasciò velocemente le mie stanze, senza nemmeno dare una spiegazione.
Diedi un’occhiata a Isabella. Non potevo mettere in dubbio che stesse soffrendo tremendamente per quanto stava accadendo. Avrei dovuto pregare tutti i Santi che conoscevo affinché mi aiutassero a darle supporto ed ottenere il suo perdono.
  
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