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Autore: Lamy_    20/01/2017    0 recensioni
[Eddie Redmayne]
[Eddie Redmayne]Essere diversi è un bene, e questo sia Eddie che Venere lo hanno capito quando si sono incontrati.
La storia di un amore difficile, coinvolgente, diverso.
Leggete per sapere com'è finita!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PARTE PRIMA: Un libro, un film, e un incontro.
 
«Gli incontri avvengono sempre nei momenti in cui la mente è molto libera o molto affollata: nel primo caso avvengono per donare alla nostra anima qualcosa di nuovo, nel secondo per liberare la nostra vita da qualcosa di sbagliato.»
(Osho)

 
Un anno e mezzo prima:
Quando piove e luce il sole, tutte le vecchie vanno in amore. Era questo il proverbio che sua nonna le ripeteva da quando era bambina, eppure lei a queste dicerie non ci aveva mai creduto. Quella mattina il grigiore londinese era appena illuminato da un bagliore di sole che faceva fatica a scaldare l'aria, e lei sperava che non piovesse proprio il giorno in cui si recava in ufficio a piedi. Ritirare l'auto dal meccanico, ricordò a se stessa. Venere Anderson era una donna realizzata sul fronte lavorativo e si considerava fortunata per questo. Il suo sogno più grande era diventato realtà: diventare scrittrice e redattrice. Aveva da poco pubblicato il suo primo libro, qualcosa a cui lavorava già ai tempi dell'università, dal titolo "Essere diversi fa bene alla salute". Era una sorta di manuale che descriveva i numerosi e differenti modi di essere 'diversi', dai più semplici ai più complessi. Trattava di handicap, di malattie mentali, dell'omosessualità, dei trans, degli adolescenti emarginati, delle donne maltrattate. Insomma, una sfilata di personaggi considerati contraddittori e additati dalla società. Venere stessa si riconosceva in uno dei suoi protagonisti, ma questo nessuno lo sapeva. Controllò l'orologio, quindi accelerò il passo perché era in ritardo. L'enorme palazzo in cui era ubicata la redazione presso cui lavorava si stagliava come una gigantesca nave arenata in balìa un cielo plumbeo. Harold, l'elegante portinaio, le aprì la porta con un inchino. Venere gli sorrise e si mosse svelta verso l'ascensore nella speranza di evitare Paul, il contabile del terzo piano che le faceva la corte da due anni. Ma quella non sembrava essere la sua giornata: la valigetta di Paul bloccò le porte dell'ascensore e la sua faccia irritante fece capolino.
"Buongiorno, signorina Anderson. Come sta?"
Venere sospirò e tentò di esprimersi con tutta la gentilezza di cui era capace.
"Paul, smettila. Mi fai la corte da due anni e mi dai ancora del 'lei'? Io non ho tempo per una relazione, e questo lo sai. Non voglio un uomo nella mia vita e non ne ho bisogno, quindi sii solo mio amico. Grazie."
Il 'ding' segnalava che Venere era giunta al suo piano. Salutò Paul e imboccò il corridoio del suo ufficio. Anche sua madre e suo padre insistevano che avesse un fidanzato ma Venere era una donna forte e indipendente, e non aveva ancora trovato l'uomo per cui valesse la pena piangere, litigare, fare follie. Certo, c'era stato Brandon anni prima, però si era rivelato un fallimento. Quando raggiunse la sede della redazione, trovò tutti i suoi colleghi intenti a guardare verso il suo ufficio con stupore. Si diede un’occhiata attorno e tutto le sembrò come al solito. Il capo era assente, dunque non c’era motivo del perché si stessero comportando in quel modo. Poi un presentimento le attraversò la mente: qualcuno non aveva gradito il suo libro ed era lì per lamentarsene, forse qualche pezzo grosso della società editoriale o qualche lettore polemico. Sarah, la segretaria dell’ufficio, le corse incontro con un’espressione a metà tra l’eccitazione e il terrore.
“Che diamine sta succedendo nel mio studio, più che altro somiglia ad un ripostiglio per quanto è piccolo, pero cr…”
“Venere, sta zitta. Devi toglierti la giacca e renderti presentabile in due minuti. Ti stanno aspettando.”
Sarah le tolse la giacca dalle spalle e le strappò la borsa dalle mani, poi la spinse verso la calca di gente che fissava la vetrata. Scorse tre figure, una donna e due uomini.
“Proprio oggi dovevi indossare questa orribile camicetta?” le disse con disprezzo Colin, l’esperto di eventi, sempre impeccabile nell’abbigliamento e nell’acconciatura. Venere si liberò dalla presa ferrea di Sarah per specchiarsi in una delle numerose superfici riflettenti: i capelli erano ben pettinati, i pantaloni neri e la camicetta in seta a tre quarti color bordeaux non erano sgualciti, la matita e il mascara reggevano ancora.
“Mi spiegate che cosa sta succedendo? E chi è che vuole vedermi?” sbraitò Venere in preda ad una crisi di nervi. Ora tutti stavano guardando lei. La stanza era immersa nel silenzio totale, eccetto il rumore prodotto da Sarah mentre cercava il paio di décolleté nere che Venere teneva in ufficio per le grandi occasioni. Si infilò distrattamente le scarpe.
“Hollywood ti reclama.” Sussurrò Kat, una stagista. La donna misteriosa si voltò per osservare la curiosa scenetta e sorrise a Venere. Era incredibilmente somigliante ad Alicia Vikander.
“Vai.”
Con un spintone e qualche raccomandazione, Venere entrò nella sua stanza nella totale confusione.
“Buongiorno. Perdonate il ritardo e la scenetta comica di poco fa.”
“Si figuri, comprendiamo bene la situazione.” le sorrise gentile la donna, che si rivelò davvero Alicia Vikander, l’attrice. L’uomo accanto a lei alzò gli occhi verso la redattrice e un sorriso timido gli si dipinse sulle labbra. Era Eddie Redmayne. A Venere venne il latte alle ginocchia e si sedette pesantemente alla sua poltrona di pelle nera.
“E’ forse uno scherzo?” domandò Venere con una smorfia scettica. Aveva notato che Eddie teneva tra le mani il suo libro. Il terzo uomo, Tom Hooper, un famoso regista, ridacchiò e scosse la testa.
“Miss Anderson, siamo qui per il suo libro. E’ un capolavoro, uno degli scritti migliori degli ultimi dieci anni. Lo dimostra anche la fama e i numeri che ha conseguito. Ha vinto numerosi premi ed è stato tradotto in otto lingue. E’ un’opera d’arte!” l’emozione con cui Hooper si era rivolto spaventò Venere, che non era abituata a tutti quei complimenti. Alicia se ne accorse e sollevò gli occhi al cielo.
“Tom adora il suo libro, lo ha letto e riletto. Anche alla mia destra è seduto un suo grande fan.”
Venere vide l’imbarazzo negli occhi di Eddie, mentre le sue dita erano strette attorno alla copertina morbida del libro che le aveva assicurato il successo. Era più confusa di prima.
“Signori, non credo siate qui per discutere del mio libro. Cosa vi porta nell’ufficio di una redattrice?”
Hooper frugò nella propria valigetta, in precedenza abbandonata a terra, e ne tirò fuori diversi fogli rilegati. Li depose sulla scrivania.
“Miss Anderson, questa è la sceneggiatura del nostro film.” annunciò Alicia, ed era ben visibile l’orgoglio nei suoi occhi. Venere rimase interdetta.
“Io cosa c’entro con il vostro film? Scrivo libri, mi limito a questo.”
“Non si limita a scrivere libri. Lei crea mondi e dimensioni cariche di emozioni e di diversità, e noi abbiamo bisogno delle sue qualità.” era la prima volta che Eddie le rivolgeva la parola.
“Volete che scriva un libro sul film? Di solito è il contrario.” Disse Venere, gli occhi fissi sui fogli, la penna tra le mani.
“Vogliamo che lei sia il capo-sceneggiatore. La sceneggiatura è già stata scritta, ma abbiamo bisogno che un esperto controlli ed eventualmente corregga. Riteniamo che lei sia adatta al ruolo per via del tema trattato nel film.”
Venere non si aspettava che qualcuno, tre pezzi grossi del cinema, le chiedessero di fare da sceneggiatrice, non a lei che non aveva mai fatto quel tipo di esperienza.
“I-io non so se riesco. Non ho mai scritto né tantomeno corretto uno sceneggiato. Non ne sono all’altezza.”
La speranza del regista e dei due attori calò in un battito di ciglia, e lei ne era la responsabile.
“Miss Anderson, legga lo script e la documentazione allegata. Stasera la chiamo e mi darà una risposta. Tra quindici giorni iniziano le riprese, dunque non abbiamo tempo da perdere.” Hooper la stava pregando, il viso contratto e l’urgenza nella voce. Venere sospirò.
“Stasera le darò una risposta, promesso.”
Hooper si alzò, seguito da Alicia e Eddie. Il regista le strinse la mano e si congedò con un cenno del capo;
“Spero che accetterà il lavoro, sarebbe bello lavorare insieme.” le mormorò Alicia, quindi lasciò la stanza. Venere guardò Eddie.
“Anche lei vuole supplicarmi implicitamente e farmi sentire in colpa per la mia inadeguatezza?”
“Cosa? No, assolutamente no. Voglio che lei mi autografi il libro, se posso chiederlo.”
Venere arrossì e si schiarì la voce. Aveva fatto proprio una figuraccia. Raccolse la penna dalla sua scrivania e si avvicinò all’uomo. Eddie aprì la prima pagina del libro e glielo porse. Lei ebbe qualche attimo di esitazione.
“A chi lo dedico? Mister Redmayne? Oppure Edward?”
Eddie sorrise, gli si formarono delle piccole rughe attorno agli occhi che per sfortunata Venere trovò adorabili, e poi scosse la testa.
“Solo Eddie.”
Venere si accinse a scrivere, sperando che la sua mano non tremasse e che la calligrafia fosse decente.
“Ecco fatto!” consegnò il libro all’attore, che sbirciò la dedica. In corsivo elegante campeggiava la scritta: A Eddie, la cui diversità ha fatto bene alla salute. Con affetto, Venere Anderson xxx.
“La ringrazio, Miss Anderson. Spero in un altro incontro, magari sul set.”
Venere allungò la mano per stringere quella dell’attore, ma lui vi posò un bacio sul dorso. Il baciamano, un classico!
 
 
 
Alla fine Venere aveva accettato l’offerta di Hooper, anche grazie all’incoraggiamento della sua famiglia e alla pressione del direttore della redazione. Da Londra aveva raggiunto Copenaghen, dopo svariate ore di volo, e un’auto lussuosa la stava accompagnando sul set. Aveva studiato lo script, aveva fatto le correzioni, aveva raccolto una propria mole di notizie riguardo alla storia di fondo e al protagonista. Ebbe il tempo di fare una doccia e di indossare qualcosa più elegante di una tuta, dopodiché raggiunse il cast e il gruppo di sceneggiatori al tavolo di lettura. Quando aprì la porta, tutti stavano guardando lei, chi con ammirazione, chi con fastidio. Hooper le indicò una sedia, quindi si sedette. Di fronte a lei era seduto Eddie, che non smetteva di sorriderle incoraggiante.
“Ha apportato modifiche allo script?” le chiese con un tono infastidito Karl, uno degli sceneggiatori. Venere mandò giù un sorso d’acqua per sciogliere il nodo alla gola che le impediva di parlare. Aprì il suo diario, essendo solita scrivere a mano anziché al computer, e si infilò gli occhiali.
“Beh, alcune scene erano sbagliate completamente.”
Numerosi mormorii fecero eco nella stanza, e lei si sentì in forte imbarazzo.
“Sono certo che le sue correzioni siano giuste.” Eddie le fece l’occhiolino. Venere prese coraggio e continuò.
“Da alcune scene sembra che Einar si vergogni della sua diversità, ma non è così. Lui crede nel suo ideale e non se vergogna, anzi ne va fiero. L’unico ostacolo che lo trattiene è l’amore intenso che Gerda prova per lui. Ho corretto tutte le scene in cui il desiderio di Einar di voler essere donna sembri un peccato rendendolo un manifesto per cui andare fiero.”
“Lei ha idea del tema del film? A me non sembra!” sbraitò Helen, che si era occupata del personaggio di Einar. Venere puntò i gomiti sul tavolo, sorrise di sbieco e guardò la donna.
“Nel mio libro racconto la storia di Stella, un trans, e per farlo ho vissuto una settimana a casa sua. So cosa significhi perché l’ho visto, l’ho respirato. I miei vicini sono una coppia franco-africana e hanno adottato un bambino russo. Ho fatto visita a dei malati mentali, come la società suole chiamarli, per un anno. Non ho inventato storie, ho raccontato la verità, la tragica verità di molte persone. Il mondo è bello perché è vario, o almeno così dicono, perciò mi sembra giusto che Einar non debba vergognarsi del suo desiderio, piuttosto il film deve sottolineare quanto sia normale essere diversi.”
Tutti i presenti erano rimasti in silenzio, forse per rispetto alle sue parole o per indifferenza, eccetto Hooper che sorrideva soddisfatto.
“Sono assolutamente d’accordo con Miss Anderson!” esclamò Alicia, seduta all’altro capo del tavolo. Venere le rivolse uno sguardo di gratitudine.
“Questo è lo script corretto, adesso decidete voi come proseguire.” disse Venere con tono pacato richiudendo la sua agenda.
“Io direi che possiamo cominciare a lavorare domattina. Spero che lei voglia restare con noi durante le riprese, potrebbe darci una mano!” questa fu la proposta di Eddie, della quale il regista e Alicia furono entusiasti.
“V-va bene. Resto.”
Quando la riunione ebbe fine, Venere si prese qualche istante per riordinare gli appunti che aveva annotato durante la lettura. Anche Eddie fu l’ultimo a uscire.
“Sono contento che abbia scelto di restare.”
Venere alzò lo sguardo su di lui e per un attimo fu rapita dal colore intenso dei suoi occhi, poi tossì e annuì.
“Anche a me fa piacere.”
 
 
Otto mesi prima:
Il lavoro sul set era frenetico. Avevano poco tempo per girare e le giornate sembravano essere troppo corte. Alla fine Venere non si era limitata a correggere la sceneggiatura, aveva preso parte alla produzione. Sedeva accanto al regista durante le riprese, aiutava Alicia ed Eddie ad entrare nel personaggio, li aiutava con l’esatta pronuncia e intonazione delle battute. Quella mattina a Copenaghen diluviava, perciò Hooper aveva deciso di montare i pezzi già pronti e sperare che il giorno dopo fosse bel tempo. Venere raggiunse il set alle nove perché comunque l’intera troupe si riuniva per provare abiti, dialoghi, luci.
Eddie e Alicia erano seduti a terra e provavano qualche battuta.
“Ciao, Venere!” fece Alicia, sorridendo di traverso al suo collega.
“Buongiorno. State provando la scena della festa?”
“Sì, ma Eddie non si lascia truccare da me.” l’attrice si finse offesa, si mise in piedi e abbandonò il suo copione tra le mani di Venere.
“Ali, tu non sei capace a usare una penna, come potrei lasciarmi truccare da te?” le disse Eddie nascondendo una risata.
“Sono esausta di provare. Vado a prendere un caffè. Venere, pensaci tu!”
Venere tentò di replicare, ma Alicia era già sparita. Si sentiva terribilmente in soggezione quando restava sola con Eddie. Era il suo modo di fare, la sua eleganza e la sua timidezza che stridevano con i modi distaccati e rigidi di lei.
“Siediti, per favore. Non andare nel panico. Io dico la battuta e tu ti accerti che sia giusta.”
Venere prese posto di fronte a lui, inforcò gli occhiali e si mise sull’attenti.
“Ho capito alcune cose di te in questo mese.” Esordì Eddie, ma Venere scosse la testa con le sopracciglia aggrottate.
“Questa battuta manca. L’hai appena aggiunta tu?”
“Venere, sto parlando di te.”
La ragazza lo guardò con espressione confusa,  persa in quei lineamenti scolpiti e i quegli occhi profondi. Lui più volte aveva provato ad avvicinarsi ed a interagire, ma lei lo aveva tenuto a debita distanza. Sapeva che si sarebbe scottata se si fosse avvicinata al fuoco, ed Eddie era una fiamma che ardeva viva. Entrambi avevano notato una certa freddezza di cui non riuscivano a liberarsi. Lui era un uomo meraviglioso: dava l’idea di un gentiluomo settecentesco, le teneva sempre la porta aperta, le offriva il fazzoletto quando ne aveva bisogno, dosava le parole da rivolgerle; poi era bello, inutile nasconderlo, e lo era in un modo diverso dal solito, in un modo strabiliante, così alieno, così unico, così magico. Venere aveva provato a nascondere quei battiti accelerati che facevano capolino quando lui le era accanto o le parlava.
“E cosa avresti capito di me?” quelle parole furono cavate a forza, l’ansia le attanagliava lo stomaco. Eddie sorrise.
“Ti piace il caffè dolce, ho notato che versi almeno quattro zollette di zucchero. Indossi gli occhiali solo quando leggi, forse perché non ti piaci particolarmente come appari. Hai una propensione per i vestiti di colore nero e bordeaux, raramente ti ho vista in abiti chiari. Cambi smalto ogni settimana. Porti gli anelli solo al dito medio della mano sinistra e l’orologio al polso destro. Ti piacciono gli orecchini e i bracciali. Leggi molti libri, soprattutto fantasy e gialli. Ti leghi sempre i capelli. Hai le labbra screpolate e non le curi. Ho anche intravisto un tatuaggio sulla schiena, se non erro. Mangi le pellicine delle dita quando sei nervosa; non ami stare al centro dell’attenzione. Infine, hai una storia triste alle spalle che cerchi di nascondere, ma lo vedo dai tuoi occhi malinconici.”
Venere era rimasta immobile. Aveva deglutito ripetutamente, sentiva il fiato corto, e le pizzicavano gli occhi. Nessuno l’aveva mai studiata nei minimi dettagli, si sera sempre sforzata di essere illeggibile, indecifrabile, aveva costruito attorno a sé spessi muri invalicabili che nessuno aveva avuto il coraggio di superare, ma Eddie li aveva frantumati mattone dopo mattone. Abbassò lo sguardo per non farsi vedere sconvolta.
“Non ho paura di camminare su questo mondo da sola. Così recita il tatuaggio sulla schiena.” Fu tutto quello che riuscì a dire.
“Sto cercando di fare il possibile per conoscerti meglio.” La sicurezza con cui parlò Eddie spiazzò ancora di più Venere, terrorizzata che qualcuno facesse breccia nel suo cuore.
“Non farlo. Non conoscermi. Non ti piacerebbe quello che troveresti.”
Il ragazzo le depositò un bacio sulla guancia e la guardò dritto negli occhi senza paura.
“Credo di aver trovato già tanta meraviglia.”
 
 
 
 
La chiacchierata avvenuta una settimana prima non era stata più ripresa. Eddie e Venere, nonostante ora fosse palese che li legasse qualcosa di diverso rispetto al lavoro, si comportavano come sempre. Ma quella sera le cose cambiarono. Terminate le riprese, Hooper invitò tutti a bere qualcosa al bar.
“Vieni anche tu?” le domandò Alicia, mentre indossava la giacca e prendeva la borsa.
“No, sono stanca. Mi scoppia anche la testa. Prendo un’aspirina e filo a letto.” Si scusò Venere, quindi accompagnò l’amica nella hall dell’hotel in cui albergavano tutti da un mese e mezzo.
“Riprenditi. Domattina abbiamo la sveglia alle sei. Sappi che Eddie resta qui, perciò se hai bisogno puoi chiedere a lui.”
Alicia la salutò e uscì insieme agli altri. Venere ordinò dell’acqua al bar e risalì in camera sua. Sapere che in quel corridoio ci fossero solo lei ed Eddie le metteva una certa pressione. Mentre si massaggiava le tempie e cercava di calmare il dolore alla testa, ricevette un messaggio:
-Ho bisogno di una mano, puoi venire in camera mia? (E. Redmayne)
Ipotizzando che fosse una scusa, si alzò di malavoglia e attraversò il corridoio fino alla suite 105. Bussò e attese. La porta si aprì con uno scatto e una voce la invitò ad entrare. Nella stanza regnava il disordine. La valigia era ribaltata sul pavimento, i vestiti erano impilati sul divano, cartoni di pizza e lattine erano sparse qua e là sul tavolo
“Eddie, stai bene? Di cosa hai bisogno?”
“Buonasera!”
Eddie era chino sulla scrivania ed era alla ricerca di qualcosa; svariati libri erano buttati a casaccio a terra, sugli scaffali e sul letto.
“Che stai facendo? Perché mi hai chiamato?”
Dopo qualche minuto, il ragazzo sollevò un libro e sorrise vittorioso. Si voltò verso di lei e le mostrò la copertina: Addio alle armi di Ernest Hemingway. Venere era impassibile.
“Vuoi che ti racconti una storia prima di andare a dormire?” chiese con sarcasmo mettendo le mani sui fianchi.
“No, grazie, ho già preso la mia tisana rilassante. Vorrei discutere con te di un interesse che abbiamo in comune: i libri. Io di certo non sono uno scrittore, ma sono un lettore accanito, e tu scrivi e leggi.” L’innocenza con cui le aveva rivolto quell’invito mandò in tilt la volontà di Venere di stare lontana da lui, ma dovette cedere. Afferrò il libro e andò a sedersi sul divano. Lui la raggiunse.
“Non ho mai conosciuto qualcuno che avesse letto questo libro. E’ semplicemente straordinario.” Ammise lei, mentre la sua mente si perdeva di nuovo tra le pagine ingiallite di quella vecchia edizione.
“Hemingway era un genio. Hai letto Il rosso e il nero di Stendhal? Io l’ho divorato in una settimana.”
Venere gli lanciò un’occhiata meravigliata e allibita al tempo stesso. Un uomo che avesse la passione per la lettura come Eddie e che leggesse libri di un certo spessore la stupirono in positivo. Sorrise automaticamente.
“Certo che l’ho letto! Una delle storie d’amore più tragiche della letteratura.”
“Sono d’accordo. Quanti libri all’anno legge mediamente uno scrittore?” Eddie ora si era messo comodo, aveva allungato il braccio destro sullo schienale del divano e aveva steso le gambe sul tavolino. Venere ruotò il busto verso di lui e incrociò le gambe. Tirò sul naso gli occhiali e riprese a parlare.
“Ho sempre letto molti libri, circa duecento all’anno dai tempi delle medie, ma da quando ho cominciato a scrivere leggo almeno il triplo. In redazione sono obbligata a leggere e a correggere i manoscritti che gli autori mi spediscono, e inoltre leggo altri libri per conto mio.  Nella mia libreria ho più di quattromila libri di vario genere. Ho un quaderno su cui appunto tutti i libri che leggo, l’autore, la data di inizio e di fine, e le mie considerazioni. E’ un lavoro impegnativo, ma mi piace così. E tu?”
Eddie era totalmente rapito dalle parole di Venere, dal modo in cui le brillavano gli occhi quando parlava delle proprie passioni, dalla maschera di indifferenza che si crepava in pochi istanti, e dal modo in cui si spostava indietro i capelli, in cui si aggiustava gli occhiali, e ancora era ammaliato dal modo in cui si mordeva il labbro quando era pensierosa e poi ridacchiava nervosamente. Più volte si era ritrovato a notte fonda, solo nel letto di un hotel, ad immaginare il sapore che potessero avere le labbra di Venere, il calore del suo corpo, un suo abbraccio. Si passò una mano sulla fronte per risvegliarsi.
“Io vorrei leggere di più, ma il lavoro mi ruba tempo prezioso. Ho un discreto numero di libri a casa, ma la maggior parte li scarico sul PC e li leggo quando ho una pausa dal set. Adesso sto leggendo Il Quinto Vangelo di Caldwell… e capisco da come mi guardi che tu lo hai già finito di leggere.”
Venere scoppiò a ridere dinanzi all’espressione strabiliata di Eddie. Anche lui rise.
“L’ho finito in due giorni. E’ fantastico!”
“Parlando di libri, vorrei sapere la storia di Essere diversi fa bene alla salute.
Venere sapeva che prima o poi le avrebbe fatto quella richiesta, ma la colpì il suo piccato interesse.
“Sei un ficcanaso, Redmayne. Un vero ficcanaso!” rise lei, per nascondere il rossore sulle gote. Lui continuò a guardarla con incanto, in attesa di un bel racconto, mentre la curiosità prendeva piede. Venere si fece seria.
“Dopo essermi laureata in Lettere Classiche, ho subito cercato lavoro, ma nessuno aveva intenzione di assumermi. Un giorno mi arriva una strana lettera che si scusa del ritardo e mi avvisa del termine di scadenza: successivamente scopro che mia madre mi ha iscritta ad un concorso letterario di nascosto per farmi una sorpresa. In soli quindici giorni ho scritto cento pagine, le ho corrette e le ho spedite. Senza farla lunga, sono arrivata prima e ho vinto un corso di formazione per diventare redattore. Quando ho firmato il contratto presso l’ufficio dove oggi lavoro, ho cominciato a scrivere quel libro. Non pensavo che potesse raggiungere tutta quella fama.”
“Come mai hai scelto il tema della diversità? Ti sei mai sentita diversa?”
“Sì. Mi sento diversa ancora oggi. Sarò diversa per sempre. Ho dato voce a chi non può parlare per paura di essere giudicato. Nulla di più, un po’ di giustizia e un pizzico di critica. Ci vogliono tutti perfetti, tutti fissati entro certi schemi, ma dobbiamo tenere duro e perseverare nella nostra diversità.”
Eddie istintivamente le accarezzò il polso provocandole una serie di brividi e sorrise. Venere, dal canto suo, era stanca di resistere e si abbandonò a quelle attenzioni.
“Anche io mi sento diverso. Ho interpretato personaggi particolari e diversi, ma così pieni di vita. Hai ragione a dire che essere fuori dal comune fa bene alla salute. Grazie, Miss Anderson.”
Adesso erano vicini, pochi centimetri a separarli, e continuavano imperterriti nel loro gioco di sguardi. Lui faceva scorrere gli occhi sulle sue labbra e voleva baciarla, però non lo avrebbe fatto per non spaventarla. Venere ammirava il viso particolare di lui, quelle numerose lentiggini che acuivano la sua bellezza, quelle labbra perennemente piegate in un sorriso talvolta impacciato talvolta impertinente.
“Ti va di leggermi un libro? Il suono della tua voce mi piace.” Quella richiesta arrivò diretta e inaspettata, come una doccia fredda. Venere annuì con incertezza. Eddie le passò il libro che stava leggendo in quei giorni e le indicò un capitolo preciso: era la raccolta di poesie di Federico Garcia Lorca, il brano si intitolava Canto d’Autunno.
Prima che Venere prendesse a leggere, Eddie poggiò la testa sulle sua ginocchia e lei cominciò ad accarezzargli i capelli.
 
 
La mattina successiva il risveglio fu strano per entrambi. Eddie aveva aperto per primo gli occhi non muovendosi per non svegliare Venere, che dormiva serenamente. Erano rannicchiati sul divano, la ragazza aveva la schiena contro il suo petto, e lui le stringeva la vita. Venti minuti dopo anche lei si svegliò.
“Buongiorno, Miss Anderson.” Le sussurrò Eddie dolcemente all’orecchio, al che lei non si irrigidì, come ci si aspettava, anzi fece di tutto pur di nascondere un sorriso allegro.
“Buongiorno. Grazie per avermi fatto dormire qui, ma è bene che io torni in camera mia.”
Non appena Venere cercò di alzarsi, Eddie la tirò di nuovo sul divano. Le portò una mano sulla guancia e si avvicinò a lei. Lei abbassò lo sguardo, sembrava afflitta.
“Eddie, tra poco finiranno le riprese…”
“Non deve finire anche tra di noi, non per forza.”
 
 
Quattro mesi prima:
Le riprese erano terminate e il film era completo. Per festeggiare, il cast e lo staff si erano riuniti in un ristorante di classe nel centro di Copenaghen. Alicia aveva tanto insistito perché Venere posticipasse la partenza e partecipasse alla cena. Quando Venere raggiunse il ristorante, era un fascio di nervi, sia per l’abito che indossava sia per la stupida idea che aveva avuto nel fare un regalo ad Eddie.
“Ecco qui la nostra salvatrice!” strillò quasi isterico Hooper, mentre la stritolava in un abbraccio.
“Tom, hai un’ossessione per questa donna.” Lo canzonò una Alicia bellissima nel suo abito color smeraldo. Il produttore sollevò il calice di champagne e indicò prima Venere e poi Hooper.
“Un brindisi per ringraziare le due persone che hanno reso possibile questo film.”
Tutti quanti parteciparono al brindisi, e Venere mandò giù l’alcol in un colpo solo.
“Miss Anderson, vorrei chiarire alcuni dettagli con lei.” Disse il produttore, così insieme si sedettero al bancone.
Dall’altra parte del salone, seduto da solo, c’era Eddie. Era rimasto ammaliato quando Venere aveva fatto la sua entrata. Indossava un meraviglioso vestito di pizzo nero, lungo sopra al ginocchio, e si era passata un filo di matita e di rossetto rosso che rendeva le sue labbra carnose ancora più invitanti. Si rese conto che la stoffa del vestito le stringeva i fianchi e lasciava intravedere tutte le forme, persino quelle da far battere il cuore e il sangue nelle vene.
“Sembri uno stalker. Sei inquietante!” la voce di Alicia alle sue spalle lo fece sorridere.
“Che vuoi, Al? Perché mi infastidisci?”
La loro amicizia era così, si punzecchiavano, bisticciavano, ma in fondo si volevano un gran bene e si sostenevano l’un l’atro.
“Va’ da lei e parlale, anche perché credo che il produttore ci stia provando.”
“E cosa le dico? Farei solo la figura dell’imbecille.” Ammise mestamente Eddie, quindi bevve un sorso di champagne. Alicia lo affiancò e gli mise una mano sulla spalla.
“Ma tu sei un imbecille. Un adorabile imbecille, ed è per questo che Venere ha un debole per te. Fatti coraggio!”
Le parole di Alicia lo assillarono tutta la sera, soprattutto durante la cena quando, tutti seduti al tavolo, i suoi occhi cercavano quelli di Venere. Si sorrisero un paio di volte, prima che lei distogliesse lo sguardo. Per quanto fosse sfuggente, Venere era così sicura e questo inibiva ogni tentativo del timido ed impacciato Eddie. A cena conclusa e a saluti fatti, la serata era volta al termine. Alicia e Venere si erano ripromesse di restare in contatto e di vedersi ogni tanto. Al tavolo erano rimasti solo lei ed Eddie, come accadeva quando erano sul set o dopo una riunione.
“Vuoi che ti accompagni in aeroporto?” le chiese gentilmente Eddie, mentre si infilava la giacca.
“No, grazie. Sto aspettando l’autista.”
“Oh… certo.”
Venere tirò fuori dalla borsa un pacchetto ornato da una carta regalo lucida di colore blu con un fiocco rosso e lo passò ad Eddie, che lo accettò confuso.
“E’ un regalo per te. Nulla di che, solo un pensierino. Spero ti piaccia.” Anche il quel frangente, Venere era rimasta salda e risoluta. L’attore scartò il pacco come un bambino a Natale, un sorriso stampato in faccia e le mani tremanti. All’interno vi era un libro: Impressionismo. I pittori e le opere. di Bernard Denvir, una edizione del 1991.
“So che sei laureato in Storia dell’Arte, e anche io amo l’arte, perciò ho pensato che questo libro potesse esserti utile.”
Ora Venere era nervosa davanti all’espressione indecifrabile di Eddie. Non appena lui sorrise raggiante, il cuore della ragazza si alleggerì.
“E’ un regalo fantastico, Venere. Lo leggerò in aereo. Grazie, e non solo per il libro, ma per tutto.”
Inaspettatamente Eddie l’abbracciò, stringendola a sé con dolcezza. Venere posò la guancia sul suo petto e sospirò. Si sarebbero mancati a vicenda.
“Venere, io …”
Prima che lui potesse dire altro, lei portò un dito sulle sue labbra per fermarlo. Lo guardò in quei suoi occhi chiari e meravigliosi, perdendosi ancora una volta, forse l’ultima.
“Non dire altro, ti prego.”
 
 
 
Alle due di mattina Eddie non riusciva ancora a prendere sonno, triste e afflitto dalla partenza di Venere. Il suo volo era partito da un’ora circa e aveva ancora parecchio tempo prima di atterrare a casa. Decise di prendere il libro e di leggerlo. Aprì la prima pagina e sgranò gli occhi, c’era quella che sembrava una dedica: Jean Borges scrisse che ogni persona che passa nella nostra vita è unica; sempre lascia un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Ci sarà sempre chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai nessuno che non avrà lasciato nulla. E adesso io ti scrivo che tu, Eddie, porti con te una parte del mio cuore. La tua scrittrice diversa, Venere Anderson.
“Amico, la tua ragazza è uno sballo!” esclamò una voce rozza al suo fianco, un ragazzo americano che gli avrebbe fatto compagnia fino a casa. Eddie, ancora scosso ed emozionato, annuì.
“Sì, la mia ragazza è uno sballo.”
 
 
 
 
Salve a tutti! :)
Quello che vi presento è una sorta di esperimento, è composta da tre capitoli in cui ho cercato, nel mio piccolo e nei limiti, di raccontarvi una storia d’amore e di crescita.
Spero possiate apprezzare. Fatemi sapere cosa ne pensate.
NB: ci tengo a sottolineare che i tempi dei film e alcuni eventi non seguono un ordine cronologico.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.
Ps. Consiglio a tutti gli amanti della lettura di leggere i libri menzionati (sono davvero eccezionali!)

 

  
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