Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Nirvana_04    21/01/2017    15 recensioni
“Un pesce non vola” le aveva ribattuto: era sempre stato la nota stonata delle sue eteree fantasie.
“Lo hai mai visto lasciarsi trasportare dalle correnti?” Si era fermata e, con le mani strette dietro la schiena, si era piegata verso di lui. “Neanche un gabbiano saprebbe volare più in alto.” Rise ancora, e ancora…

Christopher è solo: ha cambiato città e ha abbandonato famiglia e amici, ma non è riuscito a liberarsi del fantasma di lei. Sam lo ha seguito fino a Myrtle Grove e, anche se la monotonia della vita di lui divora pezzo dopo pezzo i suoi ricordi, ella non ha intenzione di smettere di colorare le sue giornate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mare d’inverno

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se potessi ricreare il mondo, farei in modo di nascere pesce e cavalcare le onde.
La sua voce lo cullava verso i ricordi della sua euforica vita passata: la rivide girarsi e sorridergli mentre correva sulla sabbia bagnata, avvolta dagli schizzi del mare e baciata dai raggi dell’astro nascente. La sua pelle rosea era arrossata leggermente sulle spalle per il sole preso quell’estate, e le lentiggini sulle sue guance paffutelle trasformavano i suoi tratti delicati in smorfie infantili. In verità la donna di ventidue anni che rideva davanti ai suoi occhi non aveva nessun segno particolare che la ricollegasse a quella distesa di blu: la sua esile figura rischiava sempre di scomparire tra la folla del lungomare, ma per fortuna aveva quei boccoli ribelli che sparavano verso l’alto e saltellavano quando camminava con quella sua strana falcata, per tenere testa al passo di lui; non era magra, ma sapeva come smaltire un doppio frullato alla fragola, prima ancora che il suo corpo lo metabolizzasse; e aveva quel modo di arricciare il naso quando sorrideva furbamente, che lo disarmava senza possibilità di fuga.
Allora saresti un pesce palla che fa strane boccacce per confondere i pescatori” gli aveva risposto lui. Chissà perché la sua voce suonava falsa e rimbombante… la sua mente ricordava molto meglio quella di lei.
Per tutta risposta, l’immagine della donna gonfiò le guance e strabuzzò gli occhi, per prenderlo in giro e ridere insieme a lui. Fu in quel momento che egli ricordò: lei aveva gli occhi del mare di Saona, verde acqua come il vetro soffiato di quel bizzarro lampadario comprato a Santo Domingo e cristallini come le cascate di quella laguna scoperta per caso durante una notte di luna piena. Quelli occhi erano il motivo per cui non era più tornato ai Caraibi.
Chris!” lo aveva chiamato ancora, trattenendolo in quello stato di semincoscienza. “Non vorresti liberarti dei vestiti e di quei bracciali per volare tra i coralli?
Un pesce non vola” le aveva ribattuto: era sempre stato la nota stonata delle sue eteree fantasie.
Lo hai mai visto lasciarsi trasportare dalle correnti?” Si era fermata e, con le mani strette dietro la schiena, si era piegata verso di lui. “Neanche un gabbiano saprebbe volare più in alto.” Rise ancora, e ancora…
“Sam…”
Christopher si svegliò con le guance rigate dalle lacrime, cristallizzatesi per gli spifferi freddi che passavano dalla finestra.
La stanza buia era rischiarata dalla fioca luce che trapassava le tende di un grigio spento appese alla parete, mosse dall’aria invernale. Con un occhio che faceva capolino tra le sue dita, vide la trama del tessuto infiammarsi e gonfiarsi. Non c’era molto in quella stanza con cui occupare la mente: il letto si trovava a centro e proprio di fronte c’era l’armadio, incassato tra la porta e la parete; una vecchia cassa di verdure rivoltata fungeva da comodino, e sopra vi erano poggiati il cellulare spento e il portafoglio. La felpa era abbandonata sul pavimento, ma egli aveva ancora addosso i pantaloni della scorsa sera, troppo stanco e avvilito per toglierseli.
Con ponderata flemma, si alzò e raggiunse il bagno. Si lavò e cambiò la canottiera, prese un maglione pulito ma tenne i pantaloni sgualciti. Afferrò i suoi effetti personali dalla cassetta di legno e, accalappiate le chiavi buttate sul tavolo della stanza principale, uscì sbattendo la porta.
Fuori dal portone venne investito dall’odore di pesce fresco e un misto di frittura: capì che era giovedì, giorno di mercato.
Sospirò, alzò il colletto e sospirò di nuovo. Infine si obbligò ad avviarsi verso la fermata della metropolitana e a prendere parte al nuovo giorno.
 
 
 
 
Hai mai provato a leggere un libro di avventure? Ti sorprenderesti a scoprire che la tua vita è tutta già scritta in quelle pagine.” La sua voce era un tam-tam che batteva il ritmo della sua giornata.
Non mi piacerebbe scoprire il finale” le aveva risposto, immusonito.
Beh, puoi sempre strappare l’ultima pagina e scriverlo tu.
Che idea geniale! Se solo fosse stato tanto semplice…
“Mi scusi!” enfatizzò una voce di donna.
No, non la sua!
Cercò di concentrarsi, e vide una giovane ragazza dagli occhi blu fare la faccia offesa: probabilmente aveva già fatto la sua richiesta, ma ovviamente lui non l’aveva sentita.
“Prego?”
“Dove si trova il reparto di saggistica?” sbuffò. Sicuramente, l’aveva già chiesto un paio di volte.
Egli alzò un dito e si limitò a indicarle la direzione corretta. Poi tornò a concentrare la sua attenzione sullo scatolone dei nuovi arrivi, svuotato neanche a metà. Preso dall’ansia di mettere fine alla giornata, iniziò a contare i libri e mormorare i titoli tra i denti, ripetitivo, meccanico, sempre più distratto dal ticchettio di una tastiera… quella su cui a lei piaceva battere solo per ascoltarne il suono… il fruscio di una pagina che veniva girata… lei era capace di saltare a piè pari un capitolo intero solo per poter arrivare al centro della storia…
Il rumore di un libro che cadeva a terra lo fece sobbalzare. Senza rendersene conto si era nuovamente dissociato dal suo lavoro.
All’ora di pranzo si sedette sul cornicione del tetto, con il panino abbandonato accanto a lui. Il pomeriggio passò molto lentamente, senza cambiamenti sul suo stato di attenzione, sulla sua capacità di relazionarsi. Continuava ancora a non sapere il nome della nuova collega, eppure si ricordava vagamente di essersi prefissato l’obiettivo di presentarsi almeno una settimana prima. Beh, lo avrebbe fatto l’indomani.
Il giorno si concluse e Christopher si ritrovò nuovamente senza nulla da fare. Distrattamente vagliò le alternative: poteva andare al ristorante indiano, ma quello non aveva ancora cambiato le decorazioni e quei cibi erano sempre gli stessi, sul menù c’era ancora il suo piatto preferito; avrebbe potuto fare un salto al campo di basket, ma c’erano le loro ombre e avrebbero di nuovo chiesto come stava, e lui era stanco di rispondere “bene”. Stava… era ancora lì.
Alla fine prese un hamburger in un camion per strada e ripiegò verso il suo appartamento. La cassetta delle lettere straboccava per la posta, e allora la raccolse per buttarla insieme all’altra sul tavolo; ci appoggiò anche la cena e le chiavi, e si lasciò cadere tra le lenzuola disfatte.
 
 
 
 
Cosa faresti se io scomparissi?
Mi darei alla vita sedentaria. Dicono che è rilassante” ricordò di averle risposto una volta, dopo il loro ritorno dalla “vacanza” in Italia.
Se non ci fossi io, non sapresti cosa siano la bellezza di Poseidone e la forza di Demetra, o ancora la maestria di Efesto…
Ah, le sue parole erano un inno al passato e una funesta profezia verso il futuro!
Alla fine era stata la nuova collega a presentarsi per prima.
“Ciao, sono Annie. Piacere.”
Egli si tolse le cuffie e le strinse la mano che gli porgeva: “Christopher. Io…” Non poté fare a meno di sorridere imbarazzato. “Avrei dovuto farlo molto tempo fa, scusami. Benvenuta!” le disse, allargando le braccia a mo’ di scusa.
“Ah, non preoccuparti. I mesi volano quando si sta troppo chiusi in una biblioteca. Ti piacciono molto i libri?”
Mesi! “Sanno essere molto silenziosi” rispose con una smorfia.
“Scusa… io…”
Chris si batté una mano in fronte e cercò di rimediare: “No, non era un commento rivolto a te.” In imbarazzo, buttò lì: “Ti offro un caffè?”
La donna sorrise, divertita. “Per la pausa pranzo, sì. Tranquillo” fece mentre camminava all’indietro, “vengo io a chiamarti.”
 
 
 
 
Toc-toc. In quale mondo vivi?” gli soffiò nell’orecchio.
In caffetteria c’era molta confusione: il vocio era alto e i camerieri passavano tra i banchi con scatti rapidi, aizzando contro i presenti turbini di vento e aliti fastidiosi che solleticavano la memoria.
Annie era seduta di fronte a lui. Aveva provato a occupare il posto alla sua destra, ma egli era stato previdente e gli aveva già poggiato su il cappotto con il cellulare.
“Allora, Christopher. Sei di queste parti?”
“Nato e cresciuto in Virginia. Mi sono trasferito due anni fa, più o meno.”
Egli aveva già finito il suo caffè da un pezzo, ma ella continuava a sorseggiare il suo con lentezza esasperante; e parlava, faceva domande. Sembrava essere felice, soddisfatta della sua vita. Per lei Myrtle Grove era una tappa della sua avventura appena iniziata, per lui era la tomba dei suoi sogni e la fine di un viaggio interrotto bruscamente.
“… e le spiagge sono stupende. Sei già stato a Carolina Beach?”
Chris rimase a fissarla, inebetito. Annie amava parlare: era una macchina rollante che non smetteva di pressare con pareri e domande, e un’infinità di “mi piacerebbe” e “vorrei tanto”. Possedeva ancora la gioia di chi navigava in acque tranquille e fondali cristallini, nessun relitto affondato tra secche o abissi scuri.
“No” fu la sua riposta asciutta.
Ella doveva aver capito che la discussione non lo stava prendendo molto, perché d’un tratto mise da parte il monologo e tornò all’attacco: “Ti manca la Virginia?”
“Non ho legami laggiù” fu la risposta perentoria. Non aveva intenzione di affrontare l’argomento “legami”.
“Famiglia? Amici?” provò lei.
Egli scosse la testa, tamburellando con il dito sulla tazza vuota.
Annie rimase per un po’ in silenzio, bevendo qualche sorso di caffè e lanciandogli occhiate incerte da sopra la tazza.
“Sai, mi piacerebbe visitare la Virginia” provò ancora.
Chris si lasciò scappare un sorriso sbieco, come a voler dire “buona fortuna”, ma ella lo interpretò diversamente, perché continuò entusiasta: “So che ci sono grandi maneggi e percorsi all’aperto interessanti in quelle zone. Vorrei tanto poter fare trekking a cavallo…”
Christopher saltò dalla sedia come se un ferro rovente fosse appena stato infilato tra il legno e il suo fondoschiena. Borbottò una scusa a mezza voce, afferrò il cappotto e sparì in tutta fretta dal locale, lasciando una sbigottita Annie sola con il suo caffè freddo.
 
 
 
 
Temi troppe cose, Chris” lo aveva rimbrottato una sera, con voce esasperata.
Stavano decidendo la destinazione del loro prossimo viaggio – in realtà, lei aveva già deciso tutto – ed egli aveva espresso l’ennesimo dubbio su quel folle volo di paracadutismo che Sam voleva fare nel Gran Canyon.
Se non voli neanche per un secondo, la tua vita sarà solo un’eterna caduta.
Lei e le sue massime!
Ascoltami: faremo un lancio doppio, d’accordo? Così se precipitiamo, lo faremo assieme.
Christopher guardò Masonboro Island stagliarsi sullo sfondo visibile dal finestrino del treno. Ricordava benissimo di aver riso a quella stupida battuta, ma col senno di poi avrebbe voluto poterle urlare in faccia la drammaticità di un commento tanto infelice.
Dovevamo precipitare insieme. Invece tu hai continuato a planare, lontano da me, lasciandomi colare a picco in questo mare in burrasca.
Covava rabbia, e non aveva problemi ad ammetterlo!
La gioia di Sam era ciò che lo torturava nelle notti d’estate e lo pungeva in quelle d’inverno. Ricordare in modo così vivido ogni momento passato insieme, ogni esperienza e ogni sensazione fatta o provata era come sentirsi vittima delle fauci di Cerbero – tanto per usare uno delle sue creature preferite: un pezzo di carne litigato tra le tre teste. A distanza di due anni sentiva ancora il suo fantasma strofinarsi tra le lenzuola del suo letto, strusciare il viso sul suo petto e intrecciare i suoi freddi piedi ai suoi; il soffio del vento era la sua voce che stuzzicava i suoi sogni e le sue fantasie, gelo e vuoto che facevano a brandelli la sua anima.
“Chris! Sei tu?!”
Christopher si voltò, incredulo: a Myrtle Grove non c’era nessuno che lo conoscesse così bene da chiamarlo con quel diminutivo. La voce gutturale aveva conservato lo stesso ringhio profondo di sempre; lo sguardo grigio lo squadrava con lo stesso stupore con cui egli guardava lui.
“Matt! Che ci fai qui?”
L’amico d’infanzia si sedette nel posto libero accanto al suo e rimase in silenzio per alcuni istanti, a guatarlo. Poi, rispose: “Sono qui con il vecchio gruppo di immersioni. Pat e Samuel mi aspettano all’Oceanfood per questa sera.”
“Ancora insieme?” chiese, e senza volerlo parte del suo rammarico si trasferì sul punto di domanda.
Matt sogghignò. “Sono due cavallucci marini con le code imbrigliate.”
Chris rise genuinamente al commento disgustato dell’altro: quei due facevano salire il livello glicemico a chiunque nel raggio di un chilometro intorno a loro.
“Un’altra delle vostre cause?” domandò, ipotizzando il motivo della loro presenza nel North Carolina.
Matt tornò serio. “Turisti!” inveì a voce troppo alta, e una coppia di fronte a loro corrugò la fronte. “Passano da qui e scambiano le uova di tartarughe per dei souvenir. Quest’estate ne abbiamo salvate un paio e adesso ci stiamo preparando per rimetterle in acqua.” Gli lanciò un’occhiata. “Ti unisci a noi?”
“Ho parecchio da fare a lavoro” si giustificò.
“Già. Ti deve prendere davvero tanto se non hai il tempo per richiamare un vecchio amico.”
Chris scivolò via dal suo sguardo inquisitore e buttò un occhio fuori dal finestrino: mancavano ancora due fermate prima della sua. Si mosse a disagio sul sedile e sospirò mentre tornava a incrociare gli occhi dell’altro.
“Non posso permettermi una pausa in questo periodo” chiuse il discorso.
Matt non replicò. Il grigio dei suoi occhi scartabellò le borse sul suo viso e analizzò ogni impercettibile movimento dei suoi muscoli in tensione.
“Come stai, Chris?”
Eccola, infine, la fatidica domanda!
Il treno si fermò, ma lui non poteva ancora scendere. Ancora una, si disse.
“Bene” sbottò con un tono secco.
“Già, è quello che mi hai detto due anni fa. E poi te ne sei andato senza un ciao o un addio. Cosa avremmo dovuto pensare?”
“Cosa volevi che ti dicessi, Matt?” La maschera di controllata sofferenza s’incrinò, un’altra crepa lineò la sua facciata e distrusse la sua imperturbabilità. “Ti aspettavi davvero che riuscissi a rimanere? A camminare per quelle strade imbevute del suo profumo o a frequentare i suoi amici o tollerare gli sguardi di compassione della sua famiglia? Non sono mai riuscito a far loro le condoglianze! Suo padre le ha fatte a me. A me!” Le sue labbra tremarono, i suoi pugni si strinsero sulle sue ginocchia. Matt era bravo a star zitto quando voleva, peccato che aveva detto una parola di troppo.
Il treno si fermò per un’altra fermata: neanche quella era la sua.
“Io scendo qui. Ci vediamo, Matt!”
“Ciao, Chris” sussurrò alle sue spalle.
 
 
 
 
Guarda, Chris! Stanno uscendo!
La sua voce era il tifo sussurrato di una madre amorevole, che incitava i suoi piccoli in trepidante silenzio. La figura accovacciata, le mani strette a pugno davanti al viso, tremava e non stava più nella pelle. La sua emozione si propagava come un’onda sul suo corpo e lo investiva come un uragano.
Erano rimasti ore a seguire il lento esodo delle carette verso l’oceano. Ogni tanto facevano un passo, si fermavano e incitavano le minuscole creature a non demordere. Più di una volta, Sam lo aveva esortato a sventolare il telo per non far avvicinare i rapaci in agguato, per il resto ella aveva occhi solo per quelle testuggini: incantata dalla loro forza di coraggio, ammaliata dai loro colori che prendevano fuoco sotto i raggi dell’alba. Egli l’ammirava in silenzio, con la stessa venerazione con cui lei spalancava gli occhi dinanzi alla bellezza della natura.
Adesso, quelli stessi momenti felici erano i coltelli che trapassavano notte e giorno la sua anima; nel suo cuore c’erano più relitti e tesori perduti di quanti il mare ne avesse mai custoditi nei secoli.
Christopher avrebbe dovuto chiamare un taxi per ritornare al suo appartamento, ma il richiamo del mare lo aveva preso al lazzo e, come solo la potenza dell’oceano d’inverno sapeva fare, lo stava trascinando verso la rena.
Egli si aggrappò al corrimano della battigia e osservò la risacca delle onde allungarsi sulla terra e predarne i confini. Se solo avesse potuto fare la stessa cosa con i suoi ricordi… Desiderava tanto poter annegare tra le acque agitate, sprofondare tra gli abissi e liberarsi di quelle lame che perforavano la sua mente. Eppure rimase lì, tempestoso come l’oceano e sbattuto come la schiuma contro la sabbia. Il cielo plumbeo era una lastra di vetro che rispecchiava il suo malessere, e l’aria salmastra era l’ennesima stilettata che trafiggeva il suo cuore.
Sam profumava sempre di salsedine, anche quando correva per i boschi o si dava all’arrampicata: ciò che la legava al mare era il suo inconfondibile profumo.
Sabato e domenica rimase sdraiato sul letto, nudo come un verme. Aveva provato a lasciare la finestra aperta per tentare l’assideramento, ma l’istinto di sopravvivenza, nel sonno, lo aveva spinto a coprirsi; allora era rimasto immobile, provando a diventare vittima del digiuno.
Lunedì giunse troppo in fretta. Si alzò, si vestì; afferrò le chiavi e uscì. In biblioteca, Annie gli restituì il suo cellulare.
“Lo avevi scordato sulla sedia, venerdì” sembrò volergli rammentare.
Stavolta Chris non si prese la briga di essere gentile: mormorò un grazie e ritornò a lavoro.
Nonostante i buoni propositi della ragazza, ritornò a mangiare sul tetto, da solo. Mentre piluccava il suo pranzo, il peso di quel piccolo oggetto sembrava bruciare con la sua presenza gelida la sua coscia, attraverso la tasca dei pantaloni. Alla fine si decise ad accenderlo: subito mille messaggi, chiamate perse ed email tartassarono il suo display. L’ultimo era quello di sua madre, e probabilmente era anche il primo. Turbato, cancellò senza leggere l’intera cronologia e riprese a mangiare.
Il cellulare tornò a squillare quello stesso pomeriggio sul tardi: il nome sullo schermo era quello di Matt.
Rispose senza pensarci troppo.
“Ciao, Matt.”
“Ciao, Chris. Sei ancora nei paraggi?”
“Sono sempre nei paraggi. Che ti serve?”
“Beh, non sono certo che serva qualcosa a me.” Matt e la sua solita schiettezza! Pensò. “Questo weekend andiamo a Carolina Beach, a liberare le tartarughe. Ho pensato d’informare il mio vecchio amico; se non sbaglio, a lui importavano queste cose.”
Oh, Matt, perché devi sempre mettere su il broncio?
“Avrò da fare. Lavoro nel weekend.”
“Non ti ho chiesto se lavori né se volevi venire, amico. Ti ho detto solo quello che potrebbe servirti.” Un rumore di sottofondo, un attimo di silenzio. “Beh, ci sentiamo.”
“Ciao.”
 
 
 
 
Andiamo a fare trekking a cavallo?
Chris aveva sbuffato. “Non preferiresti restare qui, con me?
L’aveva afferrata dai fianchi e l’aveva stretta a sé, lasciando che i loro corpi aderissero alla perfezione: era una magia che aveva sempre avuto dell’incredibile con lei.
Sam era un vulcano in eruzione: non stava mai ferma per troppo tempo nello stesso posto e non ripeteva mai due volte la stessa esperienza, perché – diceva – c’erano così tante cose da fare che non ci si poteva permettere il lusso di affezionarsi a qualcosa a discapito di un’altra. Chris ricordava ancora che era stata lei a fare la prima mossa, semplicemente dicendo: “C’è freddo. Ti va se ci riscaldiamo un po’?” Convincerla a non stancarsi di lui era stata un’altra storia: Chris aveva rinunciato alla sua pigrizia, alle sue sere davanti alla tv e alla pizza ordinata per telefono; per i tre anni passati insieme, aveva corso dietro a quel folletto dalla chioma leonina, arrivando sempre con il fiato corto e lasciando che fosse lei a mozzarglielo del tutto.
Sam si era liberata delle sue mani e aveva ribaltato le parti, mettendosi a cavalcioni sopra di lui. Aveva avvicinato la sua bocca, i suoi capelli che nascondevano i loro visi, e aveva sfiorato le sue; poi si era allontanata, lasciandolo con il suo sapore di acqua salata a bruciargli le labbra.
Staremo insieme, sciocco. Faremo una passeggiata, cavalcheremo un po’…” A ogni frase un nuovo bacio, a ogni soffio una nuova fiamma a incendiare il suo corpo. “Poi possiamo tornare qui, se vuoi.” Gli aveva morso le labbra con quei suoi denti che lui prendeva spesso in giro per le proporzioni giganti.
I cavalli vengono con noi?” aveva cercato di allentare la tensione delle sue voglie.
Sam aveva riso, scivolando al suo fianco, e non c’era stata più possibilità di farla smettere.
Christopher si svegliò con l’acqua alla gola: le lenzuola erano appiccicate al suo corpo a causa del sudore che grondava; le lacrime scivolavano senza controllo sulle sue guance, bagnavano di sale le sue labbra e corrodevano la sua anima. Buttò con uno scatto felino le coperte da un lato; si alzò, e a piedi scalzi tirò via le lenzuola e le infilò direttamente nella lavatrice. Con un ringhio imbestialito, sbatté il cestello e si lasciò alle spalle le ombre dei suoi demoni.
La stanza era spoglia e priva di qualunque oggetto che potesse irradiare calore affettivo, di ambiente vissuto: non c’era nessuna foto o effetto personale a simboleggiare una sua vecchia esperienza passata; il mobilio era scarno e costituito da una cromatura spenta e piatta; ed era sfornito di televisore o portatile.
Allora perché sentiva il suo fantasma aleggiare nell’aria?
Sam avrebbe odiato quell’appartamento! Non avrebbe mai frequentato il piagnucolone e svogliato ragazzo che lui era diventato, non sarebbe mai andata a vivere in una cittadina priva di fascino e…
Chris afferrò il cellullare nel momento stesso in cui sentì l’essenza di lei venire inghiottita da quel grigiore smorto. Compose il numero, senza preoccuparsi dell’ora tarda, e percorse avanti e indietro i pochi metri quadrati dell’appartamento nell’attesa che la cornetta, all’altro capo, venisse alzata.
“Chris, che succede?” La voce impastata dal sonno di Matt lo incalzò preoccupata.
“Vengo. Dove ci incontriamo?”
Matt sbiascicò una risposta confusa, poi cercò di fare ancora qualche domanda, ma l’altro stroncò la discussione con un semplice “ci vediamo lì, allora” e riattaccò.
Il secondo dopo si era lasciato crollare sul letto spoglio, gli occhi due cerchi incolori che guardavano il soffitto. Era sconvolto dalla sua veemenza, intontito dalla sua impulsività. Aveva chiamato Matt, aveva accettato di prendere parte alla missione “salviamo le carette”; e non aveva la benché minima idea del perché. Non voleva saperne di andare a Carolina Beach, non aveva intenzione di salire su un motoscafo e navigare nelle acque dell’Oceano Atlantico.
In cuor suo, però, sapeva di non avere scelta. Sam voleva andare, desiderava guardare quelle tartarughe riconquistare la loro libertà, prendere possesso della loro vita. Ma Sam non poteva farlo senza di lui.
Staremo insieme, sciocco” aveva detto, prendendolo in giro.
E poi se n’era andata, lasciandolo solo a navigare nelle acque dell’Acheronte.
Christopher chiuse gli occhi e la sentì camminare in punta di piedi sul freddo pavimento, con la sua camicia di flanella addosso e un cucchiaio pieno di gelato pendente dalla bocca.
Ne vuoi un po’?
Venerdì si ritrovò alla fermata della stazione di Myrtle Grove, con un borsone mezzo vuoto abbandonato ai suoi piedi e lo sguardo incupito che vagava lungo la banchina. Era ansioso di farla finita, ma allo stesso tempo temeva le emozioni che quel viaggio avrebbe suscitato in lui. Il cielo era piuttosto limpido, solo qualche banco di candida nuvola che vagava liberamente trasportato dalle alte correnti; ma c’era molto vento e le temperature pungenti lo tenevano sul chi vive.
L’euforia di Pat nello scorgere la sua figura fu un pugno dritto nello stomaco, ma fece buon viso a cattivo gioco e la strinse in un abbraccio. Si scoprì ad assaporarne la vicinanza, colpito dall’averla ritrovata. Si distaccò un po’ da lei per ricambiare la stretta di mano offertagli da Samuel e gli sorrise, sincero: non si era accorto di quanto i suoi amici li fossero mancati.
Matt era alle loro spalle, che lo squadrava guardingo. Anche lui pareva stare un po’ sulle sue, incerto di come interpretare la sua presenza in quell’avventura. Il treno evitò loro un’imbarazzante discussione, fatta di parole cortesi e silenzi mal riusciti.
Il mezzo di trasporto svettò sui binari a folle velocità, trasportando nella sua corsa tutte le carambolanti sensazioni che lo stavano investendo.
La semplicità di Pat giocò a suo favore: per tutto il tempo del viaggio, l’amica monopolizzò la discussione, facendogli un dettagliato resoconto delle novità degli ultimi due anni.
“Ci sposiamo!” esclamò a un certo punto, non stando più nella pelle.
Chris strabuzzò gli occhi e aprì la bocca, sorpreso. “Wow, ragazzi. Congratulazioni!”
“Pat non si decideva a stabilire una data” se la rise un po’ impacciato Samuel. “Ma quando Matt ci ha detto che saresti venuto anche tu a Carolina Beach, è volata in cucina a scrivere “matrimonio” a lettere cubitali sul calendario. Che giorno era?”
“Non lo so” scoppiò a ridere. “Quello che avevo sotto mano.” Ci pensò un attimo. “Il ventotto agosto.”
“Questo agosto?” Samuel era sobbalzato.
“Che ti aspettavi? Avevo una scelta limitata di duecentonovantatre giorni. E non ho la minima intenzione di sposarmi con un clima invernale o piovoso.”
Matt e Chris risero di gusto e per qualche secondo la spensieratezza toccò nuovamente le corde del cuore del ragazzo.
 
 
 
 
Quei due finiranno con lo sposarsi. Prima di noi” aveva sillabato le ultime parole mentre, arrampicata sulla scala del garage, attaccava un festone alla lampadina penzolante.
Chris aveva sentito le mani sudare, strette saldamente al ferro. “Sposarsi vorrebbe dire scegliere un posto dove vivere” aveva cercato d’ironizzare, non capendo se lei avesse parlato seriamente.
Sam era rimasta in silenzio per un po’, poi aveva alzato le spalle e aveva iniziato a scendere i pioli. Sull’ultimo si era fermata, guardandolo seria. “Non c’è nessun posto dove vorrei vivere se non casa. Alla fine è l’unico luogo dove valga la pena tornare.
La camera d’albergo aveva i colori della schiuma sulla riva: le pareti bianche svettavano contro il blu delle cornici appese e della lampada a forma di conchiglia; il piumone grigio sul grande letto innevava un po’ il clima, ma l’aria salmastra invadeva la stanza dalla finestra aperta.
Quella camera odorava di dolci ricordi non suoi, che solo il vecchio Chris avrebbe amato e di cui avrebbe saputo godere; a Christopher, il dipendente della biblioteca di Myrtle Grove, non era concesso trovare conforto da quelle sensazioni. Per l’ombra che restava di lui, più qualcosa sapeva di miele più la sua lingua si riempiva di fiele.
Il gommone che avrebbe dovuto portarli a largo quella mattina era stato osteggiato dalle condizioni atmosferiche. Il mare era agitato a Carolina Beach, e quando erano giunti sulla spiaggia, il vento dell’atlantico aveva gonfiato le onde e aizzato le correnti marine. Il proprietario dell’imbarcazione aveva impedito la navigazione e rimandato l’uscita in mare.
Così adesso Christopher si trovava bloccato in quella stanza d’albergo, assediato dai suoi vecchi amici e attanagliato dai ricordi della sua Sam. Questi ultimi erano più nitidi che mai: tra le strade asettiche di Myrtle Grove o tra le pareti grigie del suo appartamento, la sua presenza era un’effimera brezza che s’insinuava attraverso gli infissi; mentre lì, nel suo elemento naturale, egli poteva vederla rotolarsi sopra al letto, pazza di gioia e colma di risa. I suoi occhi si puntarono sul suo viso lentigginoso, un po’ arrossato sul naso spellato ma inscurito dalle estenuanti maratone sotto il sole d’agosto; il profumo di sale e pesci volanti si attaccò alla sua pelle e gli bruciò le pupille. Sam stava ammirando il mare dalla finestra blu, stringendo le labbra in quella sua solita espressione di soddisfazione mal trattenuta.
Si girò verso di lui e gli disse: “Facciamo una passeggiata?
Come un automa, Christopher portò il suo fantasma a spasso per la cittadina: visitando il mercatino, i foulard volarono, quasi percepissero le mani di lei scivolare tra i loro colori vivaci; nella gelateria ordinò pistacchio e fragola, il primo per lui e il secondo per lei. Infine giunse in spiaggia. La giacca a vento con la cerniera abbassata si gonfiò e le raffiche atlantiche appiattirono la sua maglietta contro il petto con violenza. Gli occhi lacrimarono ed egli fu costretto a socchiuderli, ma vide lo stesso le corte gambe di Sam correre fino alla riva e indietreggiare, in quel folle gioco che ella faceva sempre con le onde di marzo, troppo fredde per essere cavalcate, ma irresistibili per essere ignorate.
Sai, il mare ha un fascino magico in inverno” gli mormorò la sua voce nell’orecchio, mentre la sua immagine cercava di catturare la schiuma con le mani. “La luce che il sole irradia d’estate la conserva e la trasforma in calore per le stagioni fredde. Così, nonostante i batuffoli di neve che cadono sulla sua superficie, egli può sempre donare un po’ di calore a chi ha l’ardire di tendere una mano.
“Chris!”
La voce di Matt lo riscosse dal suo torpore. Si ritrovò con le gambe immerse tra le correnti, le onde che gli sbattevano selvaggiamente contro, schizzandogli i vestiti. Uscì e andò incontro all’amico.
“Sei impazzito?” gli urlò quello, spaventato.
Egli lo ignorò, stralunato e intorpidito dalle forti sensazioni di cui era preda. “Aveva ragione, come sempre.”
“Di cosa stai parlando, per la miseria?” scioccò.
Christopher abbandonò per un attimo il verde acqua degli occhi di lei per puntare il suo sguardo nel grigio di quelli dell’amico: erano confusi ed esprimevano sgomento e timore.
Rispose: “Il mare d’inverno ha un fascino particolare. È caldo.”
 
 
 
 
Ahahahah… vieni anche tu!
“Fa male, Matt! Ogni giorno sempre di più. Ho cancellato la mia vita, ci ho provato davvero. Avrei voluto annullarmi nell’esatto momento in cui ho capito che non l’avrei riavuta indietro.”
Erano seduti sul muretto che delimitava la spiaggia dal lungo mare. I vestiti bagnati di Chris lo facevano rabbrividire, ma la sua voce tremava per il dolore che irrompeva dalle sue labbra secche.
“Credevo che cambiare casa, cambiare stato avrebbe attutito il suo ricordo e le mie pene, ma non è così. Lei è rimasta con me, attaccata alla mia pelle come una cozza allo scoglio; e ora sento che tutto il male che mi sono fatto, tutto ciò che ho sofferto in questi ultimi due anni, l’abbia patito pure lei. A causa mia, di nuovo!”
Le lacrime scivolavano come pioggia sui vetri, picchettando le sue guance e bagnando le sue labbra. Christopher sentiva lo sguardo di Matt su di lui, ma si rifiutò di leggervi la commiserazione.
“Non avresti dovuto affrontare tutto da solo!”
Chris si fece sfuggire una smorfia amara sulla bocca: Matt, ricordò, non era un tipo compassionevole, e difficilmente sapeva essere sensibile. Eppure il suo commento non lo ferì, ma fu solo l’ennesimo vento che irritò i suoi occhi.
“Voi avreste parlato di lei” obiettò tra i denti che sbattevano, “avreste pianto e l’avreste ricordata, ma sareste stati liberi di scegliere, e a un certo punto sareste andati avanti. Io non posso: lei è parte di me, e l’essenza stessa della vita che continua a soffiare nel mio corpo…” La voce gli si spezzò. Alzò lo sguardo e vide la figura appannata del suo vecchio amico sfocarsi sempre più. “Non avrei sopportato di dimenticare, non voglio.”
“Non te lo avrei mai imposto” gli ribatté in un mormorio accorato, “nessuno di noi l’avrebbe dimenticata. Non sarebbe possibile” sorrise, e anche i suoi occhi luccicarono. “Sam non lo permetterebbe mai, si fa sempre notare; a tal punto che alla fine senti la sua assenza come un buco nero intorno a cui sei costretto a gravitare.”
Chris rise dinanzi all’ironia melanconica dell’amico, e continuò a ridere sempre più forte, sempre più a lungo. Alla fine si ritrovarono entrambi a ridere con le lacrime a fiotti sul viso.
“Già” sospirò quando il pianto finì e i suoi occhi riuscirono nuovamente a vedere gli occhi di lei sorridergli dalla spiaggia, “Sam non lo permetterebbe mai.”
 
 
 
 
Sam aveva vinto, come sempre.
Quel weekend erano andati in un maneggio in montagna, per fare trekking a cavallo.
“Pensavo preferissi i cavallucci marini” aveva brontolato lui, ancora assonnato per l’ora assurda.
“Sì, ma per cavalcare quelli dovrei essere un mollusco o qualcos’altro di altrettanto piccolo e viscido” aveva scosso le spalle, disgustata.
L’agriturismo in cui avevano prenotato aveva anche delle stanze in cui pernottare. Ne avevano affittata una ed erano subito scesi nella stalla. Sam aveva respirato profondamente l’odore di paglia e sterco e poi aveva sorriso, entusiasta. Chris l’aveva seguita lungo i box, a rimirare gli stalloni dal manto nero e marrone. A un certo punto, lei aveva puntato un dito.
“Domani, io e te, là fuori” sembrava aver minacciato il cavallo.
Chris ricordava essere un bello stallone dal manto nero, con delle macchie bianche in prossimità degli zoccoli anteriori. Scalpitava, ma la presenza di Sam sembrava irretirlo.
Si era avvicinata, e quello, mansueto, si era fatto accarezzare. Aveva fatto persino dondolare la coda quando gli aveva offerto una carota; poi avevano passeggiato un po’ nel recinto, per prendere confidenza. Inutile dire che quei due se la intendevano alla grande, e Chris si era ritrovato a invidiare l’equino.
Quella notte il suo broncio per la sveglia dell’indomani era scomparso, inghiottito dalle lenzuola e scacciato fuori dal calore della pelle di lei, che s’infiammava sotto le sue mani.
“Domani sarà il gallo a svegliarci” rise lei.
“Cosa c’è di tanto divertente?”
“Adesso? La tua faccia” lo bersagliò con la sua risata.
“Ah, sì? Vediamo se trovi divertente questo.” E aveva iniziato a baciarle il collo e i seni, per poi scivolare più giù, sulla pancia. All’altezza dell’ombelico, aveva preso di mira i suoi fianchi con le dita. Sam, preda del solletico, aveva iniziato a dimenarsi come un’isterica, urlando e minacciando.
“Vediamo se così ti stanchi un po’, eh?” aveva detto lui, prima di beccarsi una ginocchiata.
“Scusa” aveva biasciato lei a fil di voce, cercando di riprendere fiato.
“Me la sono meritata.”
Sam aveva riso e si era buttata sopra di lui; gli aveva stampato un bacio sul petto, poi aveva ripreso a giocare, torturandolo e saziandolo con la sua presenza.
Christopher mugugnò nel sonno, il suo corpo s’irrigidì e si contorse tra le lenzuola, cercando di liberarsi dalle maglie del sogno, ma inutilmente: passato e incoscienza crearono una rete stretta intorno alla sua mente, che lo imbrigliò, facendolo prigioniero di quelle visioni.
Cavalcava davanti a lui, un’amazzone con i capelli sciolti al vento. Rideva e ululava alla montagna e alla foresta, insieme ai cani e in direzione del torrente. Il sentiero era ben tracciato ed ella si destreggiava bene con redini e staffe, al contrario di lui che si era già torcigliato le briglie quattro volte intorno alle braccia e ai gomiti.
La sua criniera ballava in un tripudio di riccioli e smorfie, che ella ogni tanto si voltava a regalargli.
“Ti prego” sussurrò, cercando disperatamente di svegliarsi. “Non di nuovo, ti prego.”
Sam fece rallentare il cavallo e si girò a sorridergli. Si passò la lingua tra i denti ed esclamò: “Tranquillo, non c’è niente che un bel bagno caldo e un massaggio non possano cancellare.”
Christopher ringhiò, in un lamento straziante: “Smettila di guardarmi!”
Sam puntò il verde acqua dei suoi occhi nel nocciola dei suoi, atterriti, e arrise, felice come sempre. Fu in quel momento che la vipera scivolò fuori da dietro le rocce. Il cavallo, che Sam tanto adorava e il quale aveva amato lei, s’impennò, impaurito, e scalciò violentemente. I piccoli piedi di Sam uscirono dalle staffe e le sue mani si fecero scivolare le cinghie tra le dita. Il colpo la scagliò contro le grandi rocce spuntate, e Chris l’ammirò agghiacciato mentre la sua testa si spaccava contro la dura pietra e i suoi boccoli prendevano fuoco.
Christopher spalancò gli occhi e vomitò l’anima. La tempesta che si stava abbattendo sul mare continuò a imperversare, carica di pioggia e salsedine, incurante delle pene che il suo profumo gli causava.
 
 
 
 
Chris…
Il motoscafo balzava sulle onde, lasciandosi una scia di ribollente schiuma alle spalle, un lungo dito bianco che spezzava le acque dell’oceano. I banchi di nuvole in cielo e quelli di pesce nel mare parevano fare a gara con la barca, in una sfrenante corsa verso il gorgo infernale che Christopher vedeva stagliarsi all’orizzonte, pronto ad accoglierlo.
La brezza marina scompigliava i loro capelli e frustrava i loro vestiti; gli spruzzi d’acqua picchettavano sulla loro nuca, invitandoli a guardare lo spettacolo che li attorniava.
Egli non rispose, gli occhi due buchi neri incupiti dall’ombra della morte che aveva coperto con il suo nero mantello l’eterea figura della sua Sam: il piccolo folletto con il viso lentigginoso si era impallidito, i colori del suo ricordo sfumavano verso tetre tonalità di orrore e tormento; la luce dei suoi occhi marini stava morendo, specchiandosi contro i vetri insanguinati che perforavano le sue ferite.
Matt gli batté una pacca d’incoraggiamento sulla spalla: probabilmente neanche il suo viso aveva conservato molto colore.
“Sam sarebbe felice di essere qui.”
Christopher serrò la mascella. “È morta, non può vedere” obiettò, livido.
I suoi occhi si accecarono e la sua anima sprofondò come lo scheletro di un vecchio relitto, arrugginito dalla salsedine e corroso dalle correnti avverse. Il suo buon amico si tramutò in roccia contro il suo fianco, ferito a morte dalla durezza delle sue parole.
Già, Matt… La verità è uno schifo, amico. Ti costava così tanto farmi vivere nella menzogna?
Pat urlò, estasiata, e indicò un punto prossimo verso cui si dirigevano, rallentando la velocità.
“Chris” borbottò accorato il suo compagno, “devi aprire gli occhi adesso.”
Le sue dita strinsero un momento, poi lo lasciarono senza una guida a vagolare tra le tenebre. La luce del sole irritò le sue palpebre e infiammò le sue pupille. Infastidito dal colore del sangue, aprì gli occhi e vide i suoi osservarlo con insistenza, imprigionandolo in una rete di bellezza, senza vie di fuga: dovunque si girasse il verde acqua delle sue iridi lo fissava; la sua risata cristallina agitava la superficie blu rizzandola, mentre le sue dita di luce aizzavano i pesci, invitandoli a saltare.
Stavano volando!
Chris guardò. Ammirò l’azzurro del cielo crollare su quell’oasi di verde marino, tentando di mischiarsi alla sua purezza, livido d’invidia. Ma il mare incantava coi suoi riflessi, il suono delle onde, che s’infrangevano contro i faraglioni più a largo, ammaliava con il suo arcano canto: una musica che parlava di lei, delle sue follie e dei suoi desideri; una melodia che raccontava di loro, del loro amore e della vita vissuta insieme; e la ricreava, in una danza di pesci volanti sul quel palcoscenico liquido, ridandole vita e donandole nuove sfumature che prima egli non aveva notato.
Sam era lì: non stava guardando attraverso i suoi occhi, stava dipingendo quel capolavoro per lui, attingendo dalla tavolozza del creato, perché specchiandosi nelle acque di quel mare egli potesse vedere semplicemente l’amore e la bellezza. Non un viso o un ricordo, ma solamente i colori del vento che tinteggiavano le loro gioie e i loro sogni, tramutandoli in tangibile realtà.
Chris” sussurrò il mare, “liberami.
Non fu facile sciogliere quelle catene: le aveva legate strette intorno a sé e al fantasma di lei, ferro rovente che bruciava la loro pelle con dolore e rimpianti; aveva scacciato, seppellito i suoi insegnamenti per commemorare la sua morte, e così facendo l’aveva uccisa ancora, e ancora. Ma lei era la vita, lo spirito che nuotava tra le nuvole e volava tra le onde, libera e selvaggia come quella distesa che non conosceva padrone. E lui non poteva imprigionare il mare!
Con l’aiuto di Matt e dei suoi amici, cullò le carette tra le onde, e quando furono pronte – quando egli fu pronto a lasciarle finalmente andare – le lasciarono libere di viaggiare tra le correnti, verso il loro imprevedibile destino.
 
 
 
 
Sulla spiaggia, i quattro amici se ne stavano seduti contro il basso muretto, i jeans coi risvolti e i piedi nudi affondati nella sabbia dorata.
Il tramonto colorava la terra e le sue creature: i capelli biondi di Pat riflettevano l’arancio del cielo, esplodendo di riflessi luminosi; la testa scura di Samuel era posata sulla sua spalla, lo sguardo del medesimo colore perso sulla linea cremisi che spruzzava le onde di sfumature celestiali. Matt sedeva proprio alla sua sinistra, i muscoli possenti a far da scudo tra lui e i due fidanzatini.
Il solito Matt, pensò con un sorriso, mentre osservava gli ultimi raggi combattere le tenebre, in una battagliera cromatura d’infinito, il cavaliere delle cause perse. Come se qualcuno potesse salvarsi con quei due nei paraggi!
“Allora” spezzò il silenzio, “il ventotto agosto, eh?”
Pat si voltò di scatto verso di lui, facendo sobbalzare un sonnacchiante Samuel, che finì a mangiare granelli d’oro con la faccia in giù. Chris rise, il suo petto asciutto che veniva scosso dalla serenità di quel momento, e toccò a Matt spalancare gli occhi per la sorpresa.
E dire che sei stato tu a rendere questa spensieratezza possibile, gli disse mentalmente. Combatti le battaglie di tutti, e poi te ne torni nel tuo angolo senza prenderti alcun merito. Matt! Si esasperò.
“Ma dove mi è venuto in mente?” stava strepitando Pat, nervosa. “Meno di sei mesi per organizzare un matrimonio. Non ce la posso fare.”
“Spostalo” constatò semplicemente Matt, con la sua solita schiettezza.
Pat sembrò spaventarsi più di prima. Cominciò a scuotere il capo e a farneticare: “No, no, no, no. Ho già chiamato mia madre, mio padre, mia nonna. Ho già invitato gli zii di Samuel e detto a mia sorella Cloe di prenotare la chiesa.”
“Ma quando…?”
“Alle due di notte. Dopo che tu avevi chiamato” sbuffò Samuel, con sguardo truce.
Stavolta fu il turno di Matt di ridere sommessamente.
“Tu ci sarai?” chiese timidamente il fidanzato a Christopher.
“Certo che ci sarà!” esclamò Pat, nel panico per un eventuale rifiuto.
“Certo che ci sarò” confermò con una risata il ragazzo, una luce accorata negli occhi. Distese le lunghe gambe e si beò degli ultimi raggi che riscaldavano il suo viso come una carezza. Un refolo di vento intirizzì la sua nuca, minaccioso, ma egli strinse i denti e ispirò l’aria di mare, il dono più grande che lei gli aveva fatto.
Pat tirò un sospirò di sollievo, e anche Samuel parve risorgere da una lunga apnea.
Chris sentì la presa salda di Matt stringere il suo polso, dargli un punto fermo a cui aggrapparsi. Prese un profondo respiro e sorrise, stavolta di gratitudine. Incrociò lo sguardo dell’amico per un secondo, dicendogli: “Sto bene”. Matt ricambiò l’occhiata e annuì, certo che stavolta le sue parole erano sincere, o quantomeno sentite.
Christopher stava… aveva ripreso a camminare: aveva bisogno di reggersi a un bastone, ma per quello ci sarebbe stato il buon vecchio Matt, lo sapeva. Sam stava nuotando tra le acque calde del mare d’inverno, illuminando le onde sul far della sera.
Pat continuava a blaterare, ormai completamente spedita lungo la strada che portava alla pazzia.
“Prendi un respiro, Pat” la bloccò Chris, intervenendo a gamba tesa. “Mi occuperò io della musica.”
“Rispolveri i vecchi dischi?” si entusiasmò, speranzosa.
Annuì. “Appena torno a casa e saluto la mia famiglia, sarà la prima cosa che faccio. Promesso.”
La presa di Matt si fece più morbida e sicura: lui sarebbe stato alla stazione, ad aspettarlo. Non avrebbe fatto il primo passo da solo!
Cullato dal suono delle onde sulla spiaggia e tenuto sul chi vive dai cambi d’umore dell’amica, Christopher rivalutò la sua vita a Myrtle Grove. Il padrone di casa avrebbe sentito la mancanza dei suoi soldi, se non altro perché avrebbe faticato a trovare un altro inquilino a pagare quella cifra per la topaia di trenta metri quadrati, fatta più da buchi che muri. La biblioteca lo avrebbe rimpiazzato facilmente, non era stato un buon dipendente. Si chiese, in effetti, perché lo avessero tenuto: forse, il suo stato d’animo s’intonava bene alla vecchia carta da parati. Un volto gli annebbiò per un attimo la vista e lo fece vergognare: il sorriso innocente di Annie gli ricordò che aveva ancora un debito da pagare in quella piccola cittadina. Si ripromise di saldarlo stavolta, ma per il momento allontanò il cruccio e si concentrò sulla sua vita. Stava ancora trattenendo il fiato in alto mare, incerto su cosa avrebbe trovato una volta sulla riva, ma i profumi del mondo avevano ripreso a stuzzicare i suoi sensi.
Chris guardò i suoi amici, sereno e libero per la prima volta negli ultimi due anni. Sam, dal mare, trillò la sua risata, tuffandosi in uno spericolato volo tra le acque dell’oceano.
 
 
 
 
L’appartamento era vuoto, il suo esecrante grigiore poteva solo rodere le pareti e attendere, nella solitudine, la prossima vittima.
A Myrtle Grove, di Chris, non era rimasto niente. Probabilmente nessuno per strada avrebbe sentito la sua mancanza o ne avrebbe chiesto notizie al vicino. Nessuno avrebbe cercato il suo viso in un bar o in un ristorante, né si sarebbe premurato di dargli appuntamento in qualche locale o piazza.
La sua unica testimonianza era il foglio di carta infilato sotto la tastiera del computer, al bancone della biblioteca. Le poche parole, vergate in una calligrafia incerta e frettolosa, erano rivolte ad Annie, e dicevano:
 
“Se mai il tuo cammino passasse per la Virginia, cercami. Ti offro un caffè.”
   
 
Leggi le 15 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Nirvana_04