IMPERFEAIT
Mi
ero trasferito da poco da Toronto in una
piccola villa, soprannominata Saphir
vicino
al lago Huron, in una zona particolarmente solitaria e pianeggiante.
Avevo bisogno
di stare solo, o almeno era quello di cui credevo di aver bisogno dopo
aver
perso la grande opportunità di trovare moglie, e le sponde
del lago Huron, con
la loro tranquillità non più presente nelle
grandi città come Toronto o Ottawa,
facevano al caso mio.
Io
non sono mai stato un uomo
particolarmente… bravo a relazionarsi con le donne. Durante
l’estate passata a
Québec avevo conosciuto una dolce e giovane nobile austriaca
arrivata in Canada
con il padre per motivi commerciali. Non ha mai voluto dirmi il suo
cognome, ma
mi ricordo il suo nome, tanto particolare quanto la sua bellezza:
Sierra. Tra
noi ci fu una storia breve ma intensa, ma lei se ne andò al
cominciare
dell’autunno pensando che io non l’avessi mai
amata. Dimostrare i miei
sentimenti non è mai stata una mia qualità.
Avevo
già assunto delle cameriere e delle
domestiche che rimettessero a posto la villa prima del mio arrivo, e
degli
uomini che si occupassero del giardino e della stalla. Le avevo
chiamate da una
settimana e pagate in anticipo, quindi supponevo che avessero rimesso
la villa
in ordine e con ogni comodità, ma decisi comunque di lasciar
loro un’altra
giornata per finire, in modo che io potessi anche andare a far visita
al
proprietario di casa mia.
Lui
e la sua famiglia erano le uniche persone
vicino a me nel raggio di svariati chilometri, e nemmeno loro erano
molto
vicini: a cavallo era un’ora di cammino, e, con tutta la neve
che era caduta
durante la settimana, probabilmente sarebbero diventate due. Non avevo
la
minima idea di chi fosse quell’individue, e ne sapevo ancor
meno della sua
storia. L’unica cosa di cui ero a conoscenza, era che abitava
in un’antica casa
che col tempo assunse il nome di Imperfait, e che era abbastanza ricco
da
potersi permettere di comprare un’abitazione decisamente
migliore.
Arrivai
all’Imperfait più tardi di quanto
avevo calcolato, dato che era la prima volta che percorrevo quella
strada e mi
ero perso parecchie volte: era pomeriggio inoltrato quando intravidi la
piccola
casa. Mi avviai ai cancelli chiamando a gran voce l’uomo che
vedevo nel
giardino, che mi raggiunse sbuffando dopo cinque minuti buoni che mi
ignorava. L’uomo
doveva aver avuto una sessantina d’anni, occhi piccoli e neri
e qualche ciocca
di quel colore in mezzo ai capelli grigi. Era vestito con pantaloni e
camicia
marrone chiaro, molto logori, e si reggeva con un bastone. Mi
squadrò da capo a
piedi.
“Cosa
vuole un signore come lei in una
catapecchia come questa?” disse sarcastico. Mi stava
chiaramente schernendo per
il mio abbigliamento, che faceva notare il mio alto posto sociale. Ero,
infatti, colui che regolava gli scambi commerciali tra il mio paese e
le
Americhe. Era un posto molto importante, considerando che
l’America del Nord
era il nostro maggior alleato commerciale. In quanto a soldi, me la
cavavo
decisamente bene.
“Sono
Anderson, Cody Anderson. Ho preso in
affitto per un anno la villa sulla riva occidentale del lago Huron
venduta dal
vostro padrone. Pensavo di venire a fargli una visita per conoscerlo e
pagargli
il mese in anticipo” gli dissi calmo.
“Il
mio padrone? Ah, padrone! Un tempo non
era il ‘mio padrone’!” esclamò
l’uomo “Lei sa chi sono io? Lo sa? Ovvio che no,
eh? Troppo giovane, lei! Quanti anni ha lei, venti? Ne avrebbe dovuto
avere
minimo quaranta per conoscermi bene!”
Le
frasi dell’anziano mi lasciarono interdetto,
soprattutto perché non ero abituato a sentire servi o
contadini urlare contro
persone di un certo grado, soprattutto se avevano la sua
età, e mi azzardai a
chiedergli chi fosse, il che lo fece infuriare di più.
“Io
sono Chris, Chris McLean! Dove ha vissuto
fino ad ora? Tutti mi conoscono, o mi conoscevano a quanto pare! Ero un
grande
attore, il migliore nel mondo del teatro! Ah, ma ho dovuto smettere:
riuscivo
perfettamente ad alternare la mia carriera da attore con la
servitù della
famiglia Wellington, che è una tradizione che la famiglia
McLean ha da quando
loro facevano i nobili inglesi, ma ho dovuto smettere per i capricci
del mio
attuale padrone!” si lamentò McLean, aumentando la
mia curiosità verso questo
padrone. Aveva fatto interrompere la carriera al proprio dipendente per
tenerlo
disponibile per lui ogni volta che gli servisse, o l’ha fatto
per fargli un
torto? Perché non ne ha approfittato per licenziare un
servitore così anziano?
L’anziano
mi aprì il cancello, mi condusse
alla porta ed entrò per annunciarmi. Poco dopo mi fece
entrare nel salotto,
dove, seduto su una poltrona di fronte al fuoco, si trovava un uomo sui
quarant’anni, dai capelli neri più o meno lunghi e
gli occhi color cobalto.
Aveva dei lineamenti ben marcati, delle spalle larghe e supposi che
doveva
avere un fisico ben allenato. La sala, invece, aveva le pareti colorate
di
bordeaux, che creava un ambiente a primo impatto confortevole unito al
tepore
delle fiamme del camino, ma nonostante questo aveva un aspetto
piuttosto
squallido. Tempo prima doveva esser stata una bella villa, ma ora
sembrava non
ricevere più le attenzioni necessarie.
“Signor
Anderson?” mi chiamò. Aveva una voce
roca, sembrava che aprisse bocca per la prima volta dopo anni.
“Sì,
sono il signor Cody Anderson. Lei è il
signor Wellington? Potrei sapere il suo nome?” chiesi
cortesemente,
aspettandomi che mi invitasse a sedermi con lui nell’altra
poltrona, cosa che
non fece.
“Signor
Duncan” disse secco,
contraddicendomi.
“Signor
Duncan Wellington? È il figlio di Mr.
Wellington?”
“Solo
Duncan” rispose deciso, ignorando la
mia ultima domanda.
“Accidenti
LeShawna! Ti ho chiamato mezz’ora
fa per attizzare il fuoco, si può sapere perché
non ti sei ancora mossa?”
sbraitò poi contro la cucina, dalla quale uscì
una donna di colore molto in
carne, con addosso un grembiule bianco e in mano un cucchiaio di legno.
“Ero
troppo impegnata a cucinare la cena per
Vostra Maestà” rispose lei schernendolo
“E comunque lo aveva ordinato a Chris”
aggiunse prima di tornare all’interno della stanza, prima di
sentire il signor
Duncan bestemmiare contro di loro.
“Ah,
che il diavolo ti porti! Sarai la mia
rovina!” si lamentò il servitore, mentre si
chinava a riaccendere il fuoco tra
altri borbottii. Il signor Duncan si rigirò verso di me.
“Ma
lei è pazzo a venire qui a quest’ora? Il
sole è ormai tramontato, tornare indietro con questa neve
sarà un vero
suicidio!” Mi urlò contro, lasciandomi
ulteriormente sorpreso.
“Il
viaggio è stato più lungo del previsto,
avevo programmato di arrivare qui per le tre del pomeriggio. Posso
chiederle il
favore di risparmiarmi il viaggio e di lasciarmi soggiornare qui per
una
notte?” chiesi speranzoso. L’uomo rise amaro.
“Ah,
Anderson, lo farei se solo non mi
interessasse la sua vita come mi interessa quella dei miei
servi” disse. La sua
indifferenza e la sua maleducazione mi lasciavano senza parole, non era
certo
come me lo ero immaginato: un uomo che cercava la solitudine ma dolce,
un po’
“Potrebbe
almeno, quindi, offrirmi uno dei
suoi servi che mi accompagneranno a casa?” dissi al limite
della mia pazienza.
Il padrone di casa rise ancora e diede un calcio ad un cane nero che
dormiva di
fronte alla porta della cucina. L’animale si sveglio
ringhiando e puntò subito
il suo sguardo pieno di rabbia verso di me. Appena cominciò
a venirmi incontro
uscii di corsa, diretto al mio cavallo. Nonostante la mia
velocità, il cane mi
raggiunse e mi azzannò un lembo dei pantaloni, facendomi
inciampare. Steso a
terra, lui mi saltò addosso, cominciando a mordermi e
strapparmi i vestiti
cercando di raggiungere la mia pelle. Intanto, di sottofondo, sentivo
le risate
di Duncan e del suo servo.
“Oh,
Santo Cielo!” sentì urlare dalla cuoca,
che avevo capito si chiamasse LeShawna. Prese una scopa e
cominciò a colpire la
bestia fino a quando non scappò dentro casa ed io fui
libero. Provai ad alzarmi
in piedi, ma gemetti di dolore e mi accorsi che era riuscito a mordermi
una
caviglia.
“Oh,
trattare così un ospite…!”
Mormorò
aiutandomi a stare in piedi. Mi disse che a prima vista il morso era
superficiale e non c’era bisogno di allarmarsi. Poi, quando i
due uomini furono
tornati in casa, mi ricondusse all’interno passando dalla
porta che portava
alla cucina. Poco prima di entrare mi accorsi che un ragazzo dai
capelli neri e
gli occhi verdi portava nella stalla il mio cavallo.
La
cuoca mi condusse in una stanza che
sembrava essere una biblioteca, per quanto fosse piena di libri.
“Il
padrone ha dei riguardi speciali verso
questa stanza, non so bene il perché. Non permette a nessuno
di entrarci, ma
credo che per una volta possiamo fare un’eccezione.
Là c’è il letto, già
fatto”
mi disse lei prima di lasciarmi solo.
Mi
sedetti e mi guardai attorno: tutta la
camera era coperta di libri che erano stati messi a terra, gli unici
mobili che
si potevano vedere erano un armadio nero e il letto. Presi, per
curiosità, un
mucchio di libri, li appoggiai sul letto e mi soffermai solo a guardare
il nome
del proprietario:
Courtney
Wellington
Gwen
Courtney
Tremblay
Gwen
Tremblay
Tutto
i libri che avevo trovato portavano
questi nomi, tranne un’eccezione, Trent
Wellington.
Aprì
uno dei libri di Courtney Wellington, e
notai che ogni spazio bianco di ogni pagina era stato riempito da frasi
scritte
a mano, probabilmente dalla stessa Courtney. Sfoglia il volume, fino ad
arrivare alla fine e trovare una pagina, che un tempo dovette essere
stata
completamente vuota. La scrittura era grande e insicura, probabilmente
era l’opera
di un bambino. Non potei fare a meno di immaginare una piccola bambina
senza
volto chiamata Courtney che sorrideva felice nel trovare un intera
pagina vuota
dove scrivere i suoi pensieri.
Ne
lessi un pezzo:
“Chris
ha chiuso me e Duncan nella stalla per punizione, e mio fratello glielo
ha
lasciato fare! Pensavo che mi volesse bene, e invece da quando
è tornato mi
tratta come se fossi una serva qualunque! Pure Dawn viene trattata
meglio di
me! Una volta mi ha detto che se passavo il tempo con la serva e con lo
schiavo
non potevo che essere trattata che in questo modo. Non capisco
perché lo chiami
schiavo, papà lo ha sempre trattato come se fosse uno dei
suoi figli, o forse
anche meglio. In ogni caso, chiuderci con i cavalli senza nemmeno darci
la cena
è stato troppo crudele. Ho pianto tutte le lacrime che
potevo piangere, ma è
stata quella vipera di sua moglie ad accompagnarci, e lei e Chris sono
totalmente insensibili alle mie preghiere. Bene! Se mi hanno chiuso qui
per non
vedermi sta sera, allora non mi vedranno per una settimana.
Duncan
ha trovato una via di uscita, ma dovremmo arrampicarci sulle travi del
soffitto
e poi buttarci giù dal tetto. Lui dice che è
sicuro e che lo ha sempre fatto,
quando lo chiudevano là e sapeva che io volevo vederlo.
Abbiamo in programma di
correre fino al giardino dei Tremblay e stare lì per tutta
la settimana. Tanto hanno
un giardino così grande, e non escono mai di casa! Come
potrebbero accorgersi di
noi? Quando i signori non saranno in casa, entreremo noi per prendere
qualcosa
da mangiare, e se i loro figli ci scoprono, so che non parleranno mai,
per
quanta paura hanno di Duncan e del mio potere sui loro genitori!
Nessuno
penserà mai di venirci a cercare dai Tremblay. Sanno che li
odiamo, e non
penserebbero che ci siamo nascosti a casa loro. Ora devo smettere di
scrivere,
Duncan è già sulle travi e mi aspetta
impazientemente!”
Speravo
di trovare un altro pezzo, per sapere
come la loro avventura fosse andata, ma quel libro non aveva
più pagine, e se
cominciavo a cercare il libro usato dopo quello, ci avrei messo tutta
la notte.
Sfogliai
altri libri di Courtney Wellington,
e notai che in ogni singola nota era menzionato Duncan. Mi venne il
sospetto
che fosse lo stesso Duncan che avevo conosciuto quel giorno, ma
l’omonimo
ragazzo menzionato da Courtney mostrava un carattere decisamente
diverso da
quello che oggi aveva dimostrato a me.
Assonnato,
decisi di coricarmi, nonostante
sospettassi non fossero ancora le otto.
Non
so se fosse stata la mia mente che cercava
di mandarmi un messaggio, se quella casa fosse infestato da un fantasma
o fosse
stata sempre la mia mente che continuava a pensare a Courtney
Wellington. Fatto
sta che quella notte mi mandò un incubo.
Nel
sogno ero sempre in quella stanza,
sdraiato sul letto, mentre sfogliavo dei libri di Courtney Wellington.
Si sentiva
qualcosa bussare alla finestra, ma io decidevo di ignorarlo. Ogni volta
che
cambiamo libro, il bussare sulla finestra si faceva sempre
più insistente, ed
appena decisi di prenderne uno di Courtney Tremblay, si
sentì un urlo
sovrannaturale provenire fuori da casa. A quel punto mi alzai e mi
diressi al
varco, guardando fuori. Appoggiata con le mani ai vetri, si trovava il
fantasma
di una donna. Il corpo era opalescente, e di lei si distinguevano dei
capelli
legati in un chignon e occhi neri. Ora che ero di fronte a lei, smise
di
bussare.
“Fammi
entrare…” disse sussurrando. Io rifiutai,
e lei ricominciò a picchiare sul vetro.
“Sono
ormai venti anni… fammi entrare!” disse
ancora. Cominciò a sbattere i pugni sul vetro urlando.
Tappandomi le orecchie,
aprì la finestra per dirle di fare silenzio, o avrebbe
svegliato il padrone. Il
fantasma, sentendo il nome di Duncan, si calmò, e con tono
lamentevole, mi
supplicò di invitarla all’interno e condurla da
lui. Mi rifiutai un’altra
volta, facendola arrabbiare. Mi serrò le dita attorno al
collo tirandomi a sé,
ed urlò, un’ultima volta.
Mi
svegliai urlando. Avevo ancora impresso
nelle palpebre la
sagoma della donna e,
soprattutto, i suoi occhi. Non concordavano affatto con
l’atteggiamento assunto
alla fine. Sembravano sofferenti, chiedevano pietà,
supplicavano. Probabilmente,
se fosse comparsa in quel momento, chiunque si sarebbe impietosito.
E
chi era, la donna? Era forse la Courtney di
cui avevo letto così tanto ed al cui carattere mi ero
affezionato? Mi obbligai
a pensare il contrario. Una parte di me ne era sicura,
l’altra si rifiutava di
credere che Courtney fosse diventata un fantasma.
“Che
cosa è successo qui?” chiese a voce alta
il padrone di casa, entrato in quel momento. Probabilmente il mio urlo
lo aveva
svegliato.
“Nulla,
signore, ho avuto un incubo che mi ha
svegliato, e pensando che fosse realtà avrò
urlato” spiegai, ma lui sembrava
non ascoltarmi.
“Chi
l’ha mandata a dormire qua?” disse avvicinandosi
alla finestra.
“La
vostra domestica, LeShawna” risposi. Poi gli
accennai il fantasma visto in sogno, e, dato che non sembrava
né irritato né interessato
alle mie parole, gli raccontai tutto.
“E
come ha detto che li aveva questi occhi?”
mormorò sedendosi sul letto.
“Neri
o mori, ma non come il carbone,
piuttosto come il cioccolato fondente. Erano disperati, ma ripensare a
loro mi
riscalda il cuore” risposi sovrappensiero. Era vero:
nonostante la loro malinconia,
erano lo stesso
molto caldi. Chiunque li
avrebbe potuti vedere si sarebbe sentito a casa. Duncan rimase in
silenzio, per
poi ordinarmi di andarmene. Non osai ribattere ed uscì.
Appena
fuori, però, lo sentì parlare.
Mi affacciai alla porta e lo vidi di fronte
alla finestra.
“Ti
prego…” diceva con tono supplichevole
“Ti
prego, mostrati anche a me! Lasciami vedere il tuo viso
un’ultima volta, ti
prego!”
Decisi
di andarmene, per paura che si
arrabbiasse se mi avesse scoperto ad origliare. Lo sentì,
un’ultima volta.
“Se
non vuoi farti vedere, allora uccidimi e
portami con te! Morirei comunque, se non riuscissi a vederti
ancora!”
Ma
così come ogni fantasma quando viene
chiamato, non lo ascoltò.
salve!
So che dovrei prima finire l'interattiva ma... l'impulso era troppo forte.
Allora, cominciamo col dire che qesta storia è ispirata a Cime Tempestose, quindi, così come il titolo dell'opera è tratto dal nome della casa, la Tempestosa, e dalle situazioni che là si creano, il mio titolo è sempre riconducibile alla casa e al carattere dei protagonisti.
poi, altre cose:
1- no, Cody non c'entra quasi niente in questa storia
2- i personaggi non sono solo quelli che ho messo nella descrizione, ma molti di più. Volete che li riporti tutti nel secondo capitolo?
3- la storia è ispirata al libro, quindi prendo solo il filo principale. Non sto facendo copia e incolla da un file con il libro. Tanto per chiarire.
Eee niente, spero vi piaccia e che qualcuno abbia letto quel fantastico libro.
-Vampy
P.s. Ho messo l'avvertimento OOc... non si sa mai