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Autore: Akai Hasu    21/01/2017    3 recensioni
Tratto dal primo capitolo:
“Ti prego…” diceva con tono supplichevole “Ti prego, mostrati anche a me! Lasciami vedere il tuo viso un’ultima volta, ti prego!”
Decisi di andarmene, per paura che si arrabbiasse se mi avesse scoperto ad origliare. Lo sentì, un’ultima volta.
“Se non vuoi farti vedere, allora uccidimi e portami con te! Morirei comunque, se non riuscissi a vederti ancora!”
Ma così come ogni fantasma quando viene chiamato, non lo ascoltò.

/La storia è ispirata a Cime Tempestose, uno splendido libro che parla d'amore e vendetta/
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Courtney, Dawn, Duncan, Gwen | Coppie: Duncan/Courtney
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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IMPERFEAIT

 

Mi ero trasferito da poco da Toronto in una piccola villa, soprannominata  Saphir vicino al lago Huron, in una zona particolarmente solitaria e pianeggiante. Avevo bisogno di stare solo, o almeno era quello di cui credevo di aver bisogno dopo aver perso la grande opportunità di trovare moglie, e le sponde del lago Huron, con la loro tranquillità non più presente nelle grandi città come Toronto o Ottawa, facevano al caso mio.

Io non sono mai stato un uomo particolarmente… bravo a relazionarsi con le donne. Durante l’estate passata a Québec avevo conosciuto una dolce e giovane nobile austriaca arrivata in Canada con il padre per motivi commerciali. Non ha mai voluto dirmi il suo cognome, ma mi ricordo il suo nome, tanto particolare quanto la sua bellezza: Sierra. Tra noi ci fu una storia breve ma intensa, ma lei se ne andò al cominciare dell’autunno pensando che io non l’avessi mai amata. Dimostrare i miei sentimenti non è mai stata una mia qualità.

Avevo già assunto delle cameriere e delle domestiche che rimettessero a posto la villa prima del mio arrivo, e degli uomini che si occupassero del giardino e della stalla. Le avevo chiamate da una settimana e pagate in anticipo, quindi supponevo che avessero rimesso la villa in ordine e con ogni comodità, ma decisi comunque di lasciar loro un’altra giornata per finire, in modo che io potessi anche andare a far visita al proprietario di casa mia.

Lui e la sua famiglia erano le uniche persone vicino a me nel raggio di svariati chilometri, e nemmeno loro erano molto vicini: a cavallo era un’ora di cammino, e, con tutta la neve che era caduta durante la settimana, probabilmente sarebbero diventate due. Non avevo la minima idea di chi fosse quell’individue, e ne sapevo ancor meno della sua storia. L’unica cosa di cui ero a conoscenza, era che abitava in un’antica casa che col tempo assunse il nome di Imperfait, e che era abbastanza ricco da potersi permettere di comprare un’abitazione decisamente migliore.

 

Arrivai all’Imperfait più tardi di quanto avevo calcolato, dato che era la prima volta che percorrevo quella strada e mi ero perso parecchie volte: era pomeriggio inoltrato quando intravidi la piccola casa. Mi avviai ai cancelli chiamando a gran voce l’uomo che vedevo nel giardino, che mi raggiunse sbuffando dopo cinque minuti buoni che mi ignorava. L’uomo doveva aver avuto una sessantina d’anni, occhi piccoli e neri e qualche ciocca di quel colore in mezzo ai capelli grigi. Era vestito con pantaloni e camicia marrone chiaro, molto logori, e si reggeva con un bastone. Mi squadrò da capo a piedi.

“Cosa vuole un signore come lei in una catapecchia come questa?” disse sarcastico. Mi stava chiaramente schernendo per il mio abbigliamento, che faceva notare il mio alto posto sociale. Ero, infatti, colui che regolava gli scambi commerciali tra il mio paese e le Americhe. Era un posto molto importante, considerando che l’America del Nord era il nostro maggior alleato commerciale. In quanto a soldi, me la cavavo decisamente bene.

“Sono Anderson, Cody Anderson. Ho preso in affitto per un anno la villa sulla riva occidentale del lago Huron venduta dal vostro padrone. Pensavo di venire a fargli una visita per conoscerlo e pagargli il mese in anticipo” gli dissi calmo.

“Il mio padrone? Ah, padrone! Un tempo non era il ‘mio padrone’!” esclamò l’uomo “Lei sa chi sono io? Lo sa? Ovvio che no, eh? Troppo giovane, lei! Quanti anni ha lei, venti? Ne avrebbe dovuto avere minimo quaranta per conoscermi bene!”

Le frasi dell’anziano mi lasciarono interdetto, soprattutto perché non ero abituato a sentire servi o contadini urlare contro persone di un certo grado, soprattutto se avevano la sua età, e mi azzardai a chiedergli chi fosse, il che lo fece infuriare di più.

“Io sono Chris, Chris McLean! Dove ha vissuto fino ad ora? Tutti mi conoscono, o mi conoscevano a quanto pare! Ero un grande attore, il migliore nel mondo del teatro! Ah, ma ho dovuto smettere: riuscivo perfettamente ad alternare la mia carriera da attore con la servitù della famiglia Wellington, che è una tradizione che la famiglia McLean ha da quando loro facevano i nobili inglesi, ma ho dovuto smettere per i capricci del mio attuale padrone!” si lamentò McLean, aumentando la mia curiosità verso questo padrone. Aveva fatto interrompere la carriera al proprio dipendente per tenerlo disponibile per lui ogni volta che gli servisse, o l’ha fatto per fargli un torto? Perché non ne ha approfittato per licenziare un servitore così anziano?

L’anziano mi aprì il cancello, mi condusse alla porta ed entrò per annunciarmi. Poco dopo mi fece entrare nel salotto, dove, seduto su una poltrona di fronte al fuoco, si trovava un uomo sui quarant’anni, dai capelli neri più o meno lunghi e gli occhi color cobalto. Aveva dei lineamenti ben marcati, delle spalle larghe e supposi che doveva avere un fisico ben allenato. La sala, invece, aveva le pareti colorate di bordeaux, che creava un ambiente a primo impatto confortevole unito al tepore delle fiamme del camino, ma nonostante questo aveva un aspetto piuttosto squallido. Tempo prima doveva esser stata una bella villa, ma ora sembrava non ricevere più le attenzioni necessarie.

“Signor Anderson?” mi chiamò. Aveva una voce roca, sembrava che aprisse bocca per la prima volta dopo anni.

“Sì, sono il signor Cody Anderson. Lei è il signor Wellington? Potrei sapere il suo nome?” chiesi cortesemente, aspettandomi che mi invitasse a sedermi con lui nell’altra poltrona, cosa che non fece.

“Signor Duncan” disse secco, contraddicendomi.

“Signor Duncan Wellington? È il figlio di Mr. Wellington?”

“Solo Duncan” rispose deciso, ignorando la mia ultima domanda.

“Accidenti LeShawna! Ti ho chiamato mezz’ora fa per attizzare il fuoco, si può sapere perché non ti sei ancora mossa?” sbraitò poi contro la cucina, dalla quale uscì una donna di colore molto in carne, con addosso un grembiule bianco e in mano un cucchiaio di legno.

“Ero troppo impegnata a cucinare la cena per Vostra Maestà” rispose lei schernendolo “E comunque lo aveva ordinato a Chris” aggiunse prima di tornare all’interno della stanza, prima di sentire il signor Duncan bestemmiare contro di loro.

“Ah, che il diavolo ti porti! Sarai la mia rovina!” si lamentò il servitore, mentre si chinava a riaccendere il fuoco tra altri borbottii. Il signor Duncan si rigirò verso di me.

“Ma lei è pazzo a venire qui a quest’ora? Il sole è ormai tramontato, tornare indietro con questa neve sarà un vero suicidio!” Mi urlò contro, lasciandomi ulteriormente sorpreso.

“Il viaggio è stato più lungo del previsto, avevo programmato di arrivare qui per le tre del pomeriggio. Posso chiederle il favore di risparmiarmi il viaggio e di lasciarmi soggiornare qui per una notte?” chiesi speranzoso. L’uomo rise amaro.

“Ah, Anderson, lo farei se solo non mi interessasse la sua vita come mi interessa quella dei miei servi” disse. La sua indifferenza e la sua maleducazione mi lasciavano senza parole, non era certo come me lo ero immaginato: un uomo che cercava la solitudine ma dolce, un po’

“Potrebbe almeno, quindi, offrirmi uno dei suoi servi che mi accompagneranno a casa?” dissi al limite della mia pazienza. Il padrone di casa rise ancora e diede un calcio ad un cane nero che dormiva di fronte alla porta della cucina. L’animale si sveglio ringhiando e puntò subito il suo sguardo pieno di rabbia verso di me. Appena cominciò a venirmi incontro uscii di corsa, diretto al mio cavallo. Nonostante la mia velocità, il cane mi raggiunse e mi azzannò un lembo dei pantaloni, facendomi inciampare. Steso a terra, lui mi saltò addosso, cominciando a mordermi e strapparmi i vestiti cercando di raggiungere la mia pelle. Intanto, di sottofondo, sentivo le risate di Duncan e del suo servo.

“Oh, Santo Cielo!” sentì urlare dalla cuoca, che avevo capito si chiamasse LeShawna. Prese una scopa e cominciò a colpire la bestia fino a quando non scappò dentro casa ed io fui libero. Provai ad alzarmi in piedi, ma gemetti di dolore e mi accorsi che era riuscito a mordermi una caviglia.

“Oh, trattare così un ospite…!” Mormorò aiutandomi a stare in piedi. Mi disse che a prima vista il morso era superficiale e non c’era bisogno di allarmarsi. Poi, quando i due uomini furono tornati in casa, mi ricondusse all’interno passando dalla porta che portava alla cucina. Poco prima di entrare mi accorsi che un ragazzo dai capelli neri e gli occhi verdi portava nella stalla il mio cavallo.

 

La cuoca mi condusse in una stanza che sembrava essere una biblioteca, per quanto fosse piena di libri.

“Il padrone ha dei riguardi speciali verso questa stanza, non so bene il perché. Non permette a nessuno di entrarci, ma credo che per una volta possiamo fare un’eccezione. Là c’è il letto, già fatto” mi disse lei prima di lasciarmi solo.

Mi sedetti e mi guardai attorno: tutta la camera era coperta di libri che erano stati messi a terra, gli unici mobili che si potevano vedere erano un armadio nero e il letto. Presi, per curiosità, un mucchio di libri, li appoggiai sul letto e mi soffermai solo a guardare il nome del proprietario:

Courtney Wellington

Gwen

Courtney Tremblay

Gwen Tremblay

Tutto i libri che avevo trovato portavano questi nomi, tranne un’eccezione, Trent Wellington.

Aprì uno dei libri di Courtney Wellington, e notai che ogni spazio bianco di ogni pagina era stato riempito da frasi scritte a mano, probabilmente dalla stessa Courtney. Sfoglia il volume, fino ad arrivare alla fine e trovare una pagina, che un tempo dovette essere stata completamente vuota. La scrittura era grande e insicura, probabilmente era l’opera di un bambino. Non potei fare a meno di immaginare una piccola bambina senza volto chiamata Courtney che sorrideva felice nel trovare un intera pagina vuota dove scrivere i suoi pensieri.

Ne lessi un pezzo:

Chris ha chiuso me e Duncan nella stalla per punizione, e mio fratello glielo ha lasciato fare! Pensavo che mi volesse bene, e invece da quando è tornato mi tratta come se fossi una serva qualunque! Pure Dawn viene trattata meglio di me! Una volta mi ha detto che se passavo il tempo con la serva e con lo schiavo non potevo che essere trattata che in questo modo. Non capisco perché lo chiami schiavo, papà lo ha sempre trattato come se fosse uno dei suoi figli, o forse anche meglio. In ogni caso, chiuderci con i cavalli senza nemmeno darci la cena è stato troppo crudele. Ho pianto tutte le lacrime che potevo piangere, ma è stata quella vipera di sua moglie ad accompagnarci, e lei e Chris sono totalmente insensibili alle mie preghiere. Bene! Se mi hanno chiuso qui per non vedermi sta sera, allora non mi vedranno per una settimana.

Duncan ha trovato una via di uscita, ma dovremmo arrampicarci sulle travi del soffitto e poi buttarci giù dal tetto. Lui dice che è sicuro e che lo ha sempre fatto, quando lo chiudevano là e sapeva che io volevo vederlo. Abbiamo in programma di correre fino al giardino dei Tremblay e stare lì per tutta la settimana. Tanto hanno un giardino così grande, e non escono mai di casa! Come potrebbero accorgersi di noi? Quando i signori non saranno in casa, entreremo noi per prendere qualcosa da mangiare, e se i loro figli ci scoprono, so che non parleranno mai, per quanta paura hanno di Duncan e del mio potere sui loro genitori! Nessuno penserà mai di venirci a cercare dai Tremblay. Sanno che li odiamo, e non penserebbero che ci siamo nascosti a casa loro. Ora devo smettere di scrivere, Duncan è già sulle travi e mi aspetta impazientemente!”

Speravo di trovare un altro pezzo, per sapere come la loro avventura fosse andata, ma quel libro non aveva più pagine, e se cominciavo a cercare il libro usato dopo quello, ci avrei messo tutta la notte.

Sfogliai altri libri di Courtney Wellington, e notai che in ogni singola nota era menzionato Duncan. Mi venne il sospetto che fosse lo stesso Duncan che avevo conosciuto quel giorno, ma l’omonimo ragazzo menzionato da Courtney mostrava un carattere decisamente diverso da quello che oggi aveva dimostrato a me.

Assonnato, decisi di coricarmi, nonostante sospettassi non fossero ancora le otto.

Non so se fosse stata la mia mente che cercava di mandarmi un messaggio, se quella casa fosse infestato da un fantasma o fosse stata sempre la mia mente che continuava a pensare a Courtney Wellington. Fatto sta che quella notte mi mandò un incubo.

 

Nel sogno ero sempre in quella stanza, sdraiato sul letto, mentre sfogliavo dei libri di Courtney Wellington. Si sentiva qualcosa bussare alla finestra, ma io decidevo di ignorarlo. Ogni volta che cambiamo libro, il bussare sulla finestra si faceva sempre più insistente, ed appena decisi di prenderne uno di Courtney Tremblay, si sentì un urlo sovrannaturale provenire fuori da casa. A quel punto mi alzai e mi diressi al varco, guardando fuori. Appoggiata con le mani ai vetri, si trovava il fantasma di una donna. Il corpo era opalescente, e di lei si distinguevano dei capelli legati in un chignon e occhi neri. Ora che ero di fronte a lei, smise di bussare.

“Fammi entrare…” disse sussurrando. Io rifiutai, e lei ricominciò a picchiare sul vetro.

“Sono ormai venti anni… fammi entrare!” disse ancora. Cominciò a sbattere i pugni sul vetro urlando. Tappandomi le orecchie, aprì la finestra per dirle di fare silenzio, o avrebbe svegliato il padrone. Il fantasma, sentendo il nome di Duncan, si calmò, e con tono lamentevole, mi supplicò di invitarla all’interno e condurla da lui. Mi rifiutai un’altra volta, facendola arrabbiare. Mi serrò le dita attorno al collo tirandomi a sé, ed urlò, un’ultima volta.

 

Mi svegliai urlando. Avevo ancora impresso nelle palpebre  la sagoma della donna e, soprattutto, i suoi occhi. Non concordavano affatto con l’atteggiamento assunto alla fine. Sembravano sofferenti, chiedevano pietà, supplicavano. Probabilmente, se fosse comparsa in quel momento, chiunque si sarebbe impietosito.

E chi era, la donna? Era forse la Courtney di cui avevo letto così tanto ed al cui carattere mi ero affezionato? Mi obbligai a pensare il contrario. Una parte di me ne era sicura, l’altra si rifiutava di credere che Courtney fosse diventata un fantasma.

“Che cosa è successo qui?” chiese a voce alta il padrone di casa, entrato in quel momento. Probabilmente il mio urlo lo aveva svegliato.

“Nulla, signore, ho avuto un incubo che mi ha svegliato, e pensando che fosse realtà avrò urlato” spiegai, ma lui sembrava non ascoltarmi.

“Chi l’ha mandata a dormire qua?” disse avvicinandosi alla finestra.

“La vostra domestica, LeShawna” risposi. Poi gli accennai il fantasma visto in sogno, e, dato che non sembrava né irritato né interessato alle mie parole, gli raccontai tutto.

“E come ha detto che li aveva questi occhi?” mormorò sedendosi sul letto.

“Neri o mori, ma non come il carbone, piuttosto come il cioccolato fondente. Erano disperati, ma ripensare a loro mi riscalda il cuore” risposi sovrappensiero. Era vero: nonostante la loro malinconia, erano  lo stesso molto caldi. Chiunque li avrebbe potuti vedere si sarebbe sentito a casa. Duncan rimase in silenzio, per poi ordinarmi di andarmene. Non osai ribattere ed uscì.

Appena fuori, però, lo sentì parlare.  Mi affacciai alla porta e lo vidi di fronte alla finestra.

“Ti prego…” diceva con tono supplichevole “Ti prego, mostrati anche a me! Lasciami vedere il tuo viso un’ultima volta, ti prego!”

Decisi di andarmene, per paura che si arrabbiasse se mi avesse scoperto ad origliare. Lo sentì, un’ultima volta.

“Se non vuoi farti vedere, allora uccidimi e portami con te! Morirei comunque, se non riuscissi a vederti ancora!”

Ma così come ogni fantasma quando viene chiamato, non lo ascoltò.


ANGOLO ME
salve!
So che dovrei  prima finire l'interattiva ma... l'impulso era troppo forte.
Allora, cominciamo col dire che qesta storia è ispirata a Cime Tempestose, quindi, così come il titolo dell'opera è tratto dal nome della casa, la Tempestosa, e dalle situazioni  che là si creano, il mio titolo è sempre riconducibile alla casa e al carattere dei protagonisti.
poi, altre cose:
1- no, Cody non c'entra quasi niente in questa storia
2- i personaggi non sono solo quelli che ho messo nella descrizione, ma molti di più. Volete che li riporti tutti nel secondo capitolo?
3- la storia è ispirata al libro, quindi prendo solo il filo principale. Non sto facendo copia e incolla da un file con il libro. Tanto per chiarire.
Eee niente, spero vi piaccia e che qualcuno abbia letto quel fantastico libro.
-Vampy
P.s. Ho messo l'avvertimento OOc... non si sa mai
   
 
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