Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Leila 95    21/01/2017    2 recensioni
Alle volte si sentiva molto sola.
Camminava per strada fra tanta gente, traffico impazzito e vetrine scintillanti, eppure non percepiva la presenza di nessuno intorno a lei.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
SOLITUDINE
Alle volte si sentiva molto sola.
Camminava per strada fra tanta gente, traffico impazzito e vetrine scintillanti, eppure non percepiva la presenza di nessuno intorno a lei. Stava tornando alla stazione dopo l’università sotto una pioggia battente, mentre continuava a riflettere sulla propria esistenza. Come in un’improvvisa rivelazione si era resa conto di essere profondamente ed irrimediabilmente infelice. Sì, è vero, c’erano già stati momenti di tristezza, o addirittura intere giornate in cui la sua vita le appariva vuota ed inutile, ma poi tutto passava e lei tornava ad affannarsi dietro a mille cose da fare.
Il segreto, in fondo, era non fermarsi mai a pensare. Pensare sarebbe stata la fine. Avrebbe gettato luci inquietanti su tutte le sue scelte e avrebbe mandato in frantumi quell’autostima così sapientemente costruita negli anni.
 
Quando era piccola amava tanto studiare. Tutto nei libri la incuriosiva e l’appassionava, e leggere le pareva aprire mondi sconosciuti e meravigliosi. Divenne ben presto quella che si definirebbe una divoratrice di romanzi. I suoi preferiti furono fin dall’inizio i grandi classici della letteratura inglese. Aveva sempre invidiato agli inglesi il loro perbenismo e le loro abitudini così rigide da sembrare quasi maniacali, quindi si divertiva un mondo ad immedesimarsi in quella cultura tanto bizzarra a suo giudizio.
Insomma, fu subito adocchiata dai suoi docenti per la sua bravura insolita e per l’intelligenza vivace. La esaltavano apertamente davanti agli altri studenti e se la contendevano, e a lei questo piaceva perché le sembrava che si interessassero sinceramente a lei e che ne ammirassero davvero le sue qualità. Non aveva ancora compreso che la coccolavano solo per prendersi ingiustamente il merito di quello che era un suo talento personale. La scuola non l’aveva affatto arricchita e non le aveva insegnato nulla che lei non avesse già imparato da sola.
Sin da piccola poi aveva provveduto a se stessa. Aveva appreso da sola tutto ciò che riteneva potesse essere utile per la propria formazione: sapeva ricamare, cucinare, cucire a macchina e lavorare la creta; era perfettamente in grado di rassettare la propria stanza e di badare alla casa quando i suoi genitori non c’erano.
Una volta un compagno di classe le aveva detto che lei aveva il carattere di un uomo: era precisa, intraprendente, coraggiosa; non si lasciava scalfire dalle emozioni né indebolire dai giudizi altrui; non piangeva mai di fronte agli altri né lasciava che le persone vedessero i suoi punti deboli. All’epoca lo prese come un complimento, un elogio del suo spirito forte e fiero. Solo in seguito – molti anni dopo – si rese conto che forse quella fosse la causa della sua rovina.
Dopo aver finito il liceo, in corrispondenza del passaggio al mondo universitario, fu costretta ad operare anche un’altra scelta. Fino a quel momento aveva vissuto una vita solitaria, perennemente rinchiusa nel suo mondo fatto di studio e di libri. Non aveva amici, nessuno con cui parlare o confrontarsi. Aveva imparato a fare tante cose, ma le mancava l’abilità di vivere nel mondo, in mezzo agli altri.
Sua sorella riteneva che le cause della sua solitudine fossero il suo aspetto fisico e la sua pigrizia. Non che fosse brutta, quanto piuttosto poco curata. In effetti non aveva mai badato troppo all’aspetto esteriore. Per lei c’erano cose che contavano di più. Quanto poi alla pigrizia, il problema era che lei non amava uscire, soprattutto in compagnia di persone che non le piacevano e con le quali non si sentiva a suo agio.
Ma sua sorella aveva successo sul piano sociale – molto più di lei – e sapeva anche essere molto convincente. Non aveva niente da perdere in fondo, si disse. Perché non ascoltare i suoi consigli? E fu così che pian piano era scivolata in un abisso sempre più oscuro, che l’aveva condotta alla situazione attuale.
 
Chiuse l’ombrello per entrare in stazione. Per un pelo non aveva perso il treno, ma ormai non aveva più speranze di trovare un posto a sedere. Cercò di infilarsi almeno nel corridoio della carrozza, per evitare di rimanere schiacciata fra gli altri pendolari in piedi. Erano anni che faceva quella tratta in treno, e aveva acquisito una certa esperienza. Si vide riflessa nel vetro bagnato del finestrino non appena il treno entrò in galleria, e come al solito impiegò un attimo a riconoscersi. L’immagine riflessa non la rappresentava, era come se stesse recitando la parte di un’altra persona. Ciocche di capelli viola – un tempo erano stati biondi – spuntavano impertinenti dal cappuccio del cappotto. Aveva mortificato il proprio corpo con diete estreme e digiuni prolungati e continuava a farlo, ogni volta che la bilancia glielo imponeva, così ora era poco più grassa delle sue sole ossa. Lo aveva vilipeso, imbrattandolo con piercing e con tre tatuaggi, ammirati dalle sue nuove amiche ma detestati da lei, perché le ricordavano in ogni momento la sua colpa.
Si era più volte svalutata, regalandosi a ragazzi che conosceva appena. Sperava di percepire quel brivido di cui aveva letto nei romanzi che più l’avevano appassionata da ragazzina, ed invece ogni volta provava solo disgusto per quelle braccia sconosciute che la stavano stringendo e pena per la propria anima sempre più corrotta.
In compenso però aveva ottenuto ciò per cui si era trasformata così radicalmente: ora aveva amici, ora la gente la considerava, la invitava alle uscite e alle feste e pareva apprezzare la sua compagnia più di quanto non facesse prima.
Ovviamente la sua cultura doveva restare ben occultata, nascosta sotto chili di fondotinta e di fard. Tutto ciò che sapeva, che aveva imparato negli anni, le letture che ancora amava fare, tutto doveva essere coltivato in segreto.
 
Aveva forse fatto una sorta di patto con il demonio, come il mitico Faust? La sua emancipazione sociale in cambio dell’anima un tempo innocente. Se era così, allora non era più possibile tornare indietro. La sua dannazione sarebbe stata eterna.
 
Il treno si fermò alla stazione. Ormai era arrivata. Fuori della stazione c’era suo padre, fermo nella macchina con i fari già accesi. Percorse il piazzale di corsa, per evitare di bagnarsi ancora di più di quanto non lo fosse già.
Entrando in auto, si tolse le cuffiette dalle orecchie e gettò la cartella sul sedile posteriore.
Suo padre la guardò, inconsapevole dei suoi disagi, insensibile ai suoi problemi, come lo era sempre stato. “Tutto bene oggi?” le chiese, una volta partiti. La classica domanda di rito, per pulirsi la coscienza ed adempiere al proprio dovere di padre che si interessa alla vita dei propri figli.
“Tutto bene.”
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Leila 95