Videogiochi > Warhammer
Segui la storia  |       
Autore: Dahu    22/01/2017    0 recensioni
Umberto Sgarri, ecco un nome che potete sentire nelle locande o attorno ai fuochi da campo, dall'Ostland a Sartosa, forse anche oltre, c'è chi ha una storia da raccontare su di lui.
Qualcuno sostiene che sia un eroe dell'Impero, qualcuno dice che sia uno spadaccino in affitto.
Ho sentito storie delle sue gesta in questa o quella campagna contro il chaos, molti uomini mi hanno giurato di essere stati al suo fianco in un muro di scudi, o nella stessa cella in qualche fetida prigione.
C'è chi racconta di averlo visto portare fuori dall'osteria dentro una carriola, ubriaco oltre ogni dire, chi sostiene addirittura di avere incrociato la propria spada con quella del tileano in cambio di improbabili premi in denaro.
Potete trovare chi lo dipinge come un eroe, chi lo crede un brigante di strada e un vagabondo, perfino chi crede che sia un personaggio nato dalla credenza popolare.
Credete a me, io ho conosciuto Umberto Sgarri ad Altdorf, e non era nulla di tutto ciò.
O forse era tutte queste cose, ma di certo non solo quelle.
-Franz L'Alto, archibugiere imperiale-
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lembi di nebbia si aggrappavano agli alberi dalle fronde basse, mentre un leggero nevischio continuava a scendere dal cielo candido.
Il cavallo procedeva a fatica lungo un sentiero che esisteva solo nella memoria del cavaliere. Un cervo apparve per un istante alla destra del cavaliere e corse goffamente fino ad un punto più fitto della foresta. Sgarri imprecò mentalmente pensando che un arco avrebbe potuto risparmiargli un’altra cena a base di carne secca e gallette.
Si strinse nel mantello e fissò lo sguardo sul sentiero che, oltre la nube di vapore delle sue narici, proseguiva per il Middenland. La barba rossa del tileano, lunga di una settimana, era coperta di cristalli di ghiaccio, al pari delle sopracciglia.
Il cavallo sbuffò allarmato e Sgarri lo tranquillizzò con una pacca gentile sul collo.
Un branco di lupi lo stava seguendo da tre giorni, ogni tanto uno si faceva più ardito ed avanzava fino a dove il cavallo lo poteva fiutare, ma fino ad ora non avevano dato grossi fastidi. La luce stava rapidamente scemando e il tileano individuò un buon posto per un riparo.
Balzò a terra con le gambe che dolevano per la lunga cavalcata e s’infilò in una specie di grotta formata dalle grandi fronde innevate di un abete.
Con pochi colpi d’ascia il tileano si procurò fronde sufficienti a completare il riparo e dissellò il cavallo, mettendo al riparo i bagagli.
Sgarri era un esperto della vita nei boschi, in effetti aveva fatto parte di una compagnia di spadaccini d’élite, specializzata nella caccia agli uomonibestia e che passava la maggior parte del suo tempo nella foresta.
In pochi istanti il tileano aveva individuato alcuni rami che, riparati da altre fronde, erano rimasti asciutti e li tagliò.
Scavando con un piede, liberò dagli aghi secchi larga parte del suo riparo e, al centro, in corrispondenza del buco che aveva lasciato nella copertura, scavò una piccola fossa che circondò di pietre.
Il tileano posizionò con cura la legna, in modo che i rami più grandi stessero in piedi, quasi a formare una piccola capanna.
Era il sistema migliore per ridurre al minimo il fumo prodotto dal bivacco, non che ci fosse una ragione particolare per nascondere la sua presenza; le profonde tracce nella neve erano così chiare che, anche al buio, avrebbe potuto seguirle perfino un bambino, era più una questione di abitudine.
Sgarri staccò un ciuffo di muschio secco dal tronco dell’abete e lo usò come esca.
Con pochi colpi d’acciarino, il militare fece infiammare il muschio che poi mise nel mezzo del circolo di pietre.
Pochi secondi dopo un allegro fuoco riscaldava l’ambiente.
Il tileano condusse il cavallo al riparo sotto lo stesso abete, in modo che potesse riposare al riparo dalla neve e che allo stesso tempo facesse da sentinella.
Per farlo stare caldo Sgarri lo coprì con una coperta, quindi rientrò nel suo riparo e bloccò l’entrata con una frasca.
Il tileano si tolse il mantello e lo riempi di aghi secchi, creando così un morbido materasso che posizionò a debita distanza dal fuoco, quindi si sedette sulla sua coperta per isolarsi dal suolo e cominciò a scaldare la carne secca in un pentolino di ferro pieno di neve che aveva posato su una delle pietre del bivacco.
Quell’aria leggermente fumosa ed il profumo di resina gli riportarono alla mente ricordi che gli fecero luccicare gli occhi.
In un riparo molto simile, pochi anni prima, riposava accanto al fuoco con i suoi commilitoni. Ronald dalla barba nera, che intagliava un giocattolo per la figlia piccola da un ramo di larice, Marcus il biondo, che continuava ad affilare la spada strofinandola con la cote, Harry lo sfregiato che riparava lo scudo, bestemmiando sottovoce ad ogni colpo di martello, Fred il lungo, che suonava l’ocarina traendone le allegre note d’una canzone popolare che tutti accompagnavano a tratti, raccontando la storia del puttaniere di Middenehim, che con dieci amanti s’innamorò della sua grassa moglie.
E fuori l’urlo del vento.
Una lacrima scese lentamente lungo il duro viso dello spadaccino.
Sgarri recuperò la carne ammorbidita e bestemmiò sonoramente quando si scottò le dita.
La carne faceva davvero schifo, ma lo scoppiettare allegro del fuoco riuscì a cambiare umore al militare, che si sdraiò sul giaciglio e, gettatasi sopra la coperta di lana, cominciò a canticchiare “Vi narro ora la storia di Pino, c’amava donne, giuoco e vino…” .
Il tileano si destò alle prime luci dell’alba, sorprendentemente aveva dormito bene. I resti del suo fuoco erano coperti da un leggero strato di neve, entrata dal foro sul tetto.
Sgarri aprì la porta del suo bivacco e si gettò il mantello in spalla, quindi si assicurò le armi alla cintura.
Il cavallo aveva mangiato tutto il fieno che il tileano gli aveva lasciato, così sgarri cercò nella sella la tasca dei cereali e fece per dargliene una manciata, ma l’animale era troppo agitato. Sgarri cercò di calmarlo, ma il quadrupede non era per nulla incline a farsi sellare.
Sgarri fissò il cielo candido che minacciava altra neve, quindi si rivolse al cavallo
 –Dai bello, dacci un taglio, adesso fatti sellare che poi ce ne andiamo di qui eh?-
Ma l’animale nitriva e scalciava, così che il tileano dovette allontanarsi a distanza di sicurezza.
Imprecando tra i denti il militare fece per avvicinarsi nuovamente all’animale quando, con la coda dell’occhio, individuò un leggero sbuffo di fumo.
Un cittadino l’avrebbe scambiato per il riverbero della neve, ma Sgarri era nato e cresciuto in montagna ed aveva lavorato a lungo nella foresta; per lui era chiaramente lo sbuffo di vapore emesso dalle narici di un animale in corsa, troppo piccolo per essere un cavallo e troppo grosso per essere un gatto selvatico.
Il militare si volse di scatto sguainando al contempo la spada.
Un grosso lupo grigio si arrestò istantaneamente di fronte a lui. E cominciò a ringhiare piano. Il tileano imprecò; sperava che ai lupi sarebbe bastato il cervo che aveva visto e che avrebbero smesso di seguirlo, o che per lo meno non avessero il coraggio di attaccarlo.
Invece, lentamente, tutto il branco lo circondò.
Se avesse ucciso il cavallo probabilmente sarebbe riuscito a fuggire attraverso il branco, ma senza cavallo aveva poche possibilità di raggiungere la sua meta.
Sgarri sguainò anche la daga e si preparò a subire un assalto.
Il lupo che aveva di fronte era chiaramente il capo branco, per cui era il nemico da eliminare per primo, in modo che il resto del branco si scoraggiasse.
Il militare mulinò la spada preparandosi ad attaccare, ma il lupo fu più rapido.
Sgarri osservò spaventato gli occhi gialli del lupo e le sue zanne digrignate, si concentrò sul leggero rimbombo delle sue zampe in corsa e comprese.
Lo avevano fregato, un altro lupo lo stava attaccando alle spalle, non c’era modo di uccidere entrambi.
Con un ringhio risoluto Sgarri si preparò ad infilzare il capo branco, nella speranza che le ferite inflittegli dall’altro non gli avrebbero impedito di continuare a combattere.
I lupi balzarono all’unisono e Sgarri si slanciò in avanti.
Il tileano affondò la lama, che si conficcò fino all’elsa nel ventre del capo branco.
L’impeto del grosso canide travolse l’uomo, che cadde all’indietro.
Mentre cadeva supino nella neve, Sgarri vide l’altro lupo passargli sopra ed atterrare poco più avanti.
 Il militare pregò Ulric di richiamare i suoi servi e si preparò a difendersi dal secondo attacco, ma il lupo non si rialzò.
 Sgarri ci mise alcuni secondi ad accorgersi che l’animale era stato trapassato da parte a parte da una freccia.
Con un balzo felino il tileano si rimise impiedi e passò la daga nella destra, pronto a combattere ancora, ma i lupi non sembravano intenzionati a proseguire.
Una figura grigia e longilinea era appena apparsa nel cerchio di lupi e stava rivolgendo loro musicali parole in una lingua a Sgarri ignota.
Pochi istanti dopo il branco fuggì. La misteriosa figura si avvicinò al lupo trafitto e posò l’arco, quindi chiuse gli occhi e recitò quella che sembrava una preghiera, sempre nella sua misteriosa lingua.
Sgarri lo osservò un po’ interdetto; l’essere lasciava impronte leggere come quelle d’un bambino, pur essendo alto quanto lui.
–Un elfo eh?- Disse il tileano –Beh, non esattamente l’essere che incontro con più piacere, ma grazie comunque-
Così dicendo Sgarri porse la mano all’elfo.
Questi annuì ma non strinse la mano all’uomo.
Aveva gelidi occhi d’un azzurro metallico e capelli grigi, come tutti i suoi vestiti.
Sembrava malato, era pallido come un morto e tremava leggermente.
–Hai un foco?- Chiese in comune.
Il tileano annuì ed aiutò l’altro ad alzarsi, quindi lo distese sugli aghi secchi che aveva usato come giaciglio quella notte e liberò dalla neve il bivacco.
–Torno subito- disse uscendo alla ricerca di legname.
 
Dopo alcuni minuti accanto al fuoco l’elfo si mise a sedere.
Appariva ancora pallido ed emaciato, ma riusciva a parlare.
–Cosa fa un elfo malato in mezzo alla foresta?- Domandò il tileano.
L’elfo sospirò prima di rispondere
–Sono solo ferita, niente di serio, ma noi elfi dei boschi siamo più deboli in inverno… E non è stato facile convincere quei lupi che tu e il tuo cavallo siete indigesti-
Sgarri si grattò la nuca a disagio, non era mai stato un esperto nel trattare con gli elfi e, cosa ancor più imbarazzante, si era accorto che l’elfo era una femmina.
–Che… Che cosa fai così lontano dalla tua foresta?- Domandò velocemente, quasi biascicando le parole.
L’elfa aveva aperto il suo largo mantello mostrando una tunica grigia che rendeva evidente la sua femminilità.
–Io non vivo più a Loren; ora sono una mercenaria- Sgarri non sapeva che gli elfi dei boschi avessero rappresentanti tra le lame al soldo, ma non ritenne opportuno farlo sapere alla sua esausta ospite, anche perché aveva appena notato una larga chiazza di sangue sul lato sinistro dell’addome dell’elfa.
 –Bisogna rifarti la fasciatura- Disse evitando di guardarla negli occhi, che dal grigio avevano rapidamente variato ad un verde scuro simile a quello degli aghi di abete.
L’elfa sbuffò –So badare a me stessa, grazie, appena ne avrò la forza rimarginerò la ferita con la magia del mio popolo-
Sgarri annuì poco convinto, non pensava che l’elfa fosse in grado di rimarginare del tutto la ferita, ma non osava dirlo; in fondo lei gli aveva appena salvato la vita.
–Dove sei diretta?- Domandò invece.
–Volfenburg, sono diretta a Volfenburg-
Sgarri annuì, pensava che avrebbe dovuto offrirsi volontario per accompagnarla visto che mancava una settimana abbondante di cammino e lei era ferita.
Ma l’elfa non gli diede il tempo di parlare –A cinque miglia in direzione Nord Est, in una radura con due alberi caduti, ho lasciato i miei bagagli. Li trovi sotto un piccolo abete, penso che dovresti prenderli se dobbiamo proseguire assieme-
Il tileano stava per risponderle male, ma poi vide il viso longilineo contrarsi in una smorfia di dolore.
Con un sospiro si gettò in spalla il pesante mantello delle Asce Nere, prese la borraccia, si mise in tasca alcune gallette ed uscì dal riparo.
Controllò rapidamente la posizione del sole e individuò facilmente la direzione indicatagli dall’elfa.
C’era molta neve verso Nord e Sgarri decise che avrebbe fatto prima ad andare a piedi piuttosto che a cercare un passaggio praticabile per il cavallo.
Così indossò il cappuccio e si avviò con la neve a metà coscia.
Faceva meno freddo del giorno prima, ma dopo poco più di un’ora prese a nevicare copiosamente.
Il tileano si fermò un istante e mangiò un paio di gallette, quindi si colpì la guancia gelata con uno schiaffo; doveva stare attento, non poteva più procedere immerso nei suoi pensieri come aveva fatto fino a quel momento o si sarebbe perso nella nevicata.
Si rimise in cammino facendo bene attenzione a dove deviava per evitare le impervietà del terreno.
Ora che il sole era scomparso e che la nevicata aveva aumentato d’intensità la visibilità era ridotta a pochi metri e non era facile orientarsi.
Dopo una ventina di minuti Sgarri si fermò e poggiò le mani sul tronco di un grosso larice.
Le mani esperte dello spadaccino percorsero la dura corteccia in cerca di risposte che solo un uomo di montagna poteva comprendere. La quantità di muschio sui vari lati del tronco gli raccontò una storia di vento e gelo.
Sgarri carezzò l’albero, quasi a ringraziarlo, quindi riprese il cammino piegando leggermente verso sinistra; si era infatti accorto di essere finito troppo a Sud rispetto alla direzione che si era prefissato.
Proseguì per un periodo di tempo che non avrebbe saputo quantificare prima di individuare un leggero avvallamento nella neve.
Doveva trattarsi del torrente che aveva superato il giorno prima, dunque doveva essere poco oltre la meta.
Restava da vedere se fosse a Nord o a Sud rispetto alla radura indicata dall’elfa.
Era inutile cercare tracce; lei era troppo leggera e la neve caduta troppa perché se ne potessero trovare.
Tuttavia il tileano aveva servito per anni nei Lupi del Middenland, la cui mansione principale era la caccia agli uominibestia; una simile esperienza lo aveva reso abilissimo nella ricerca di qualunque segno di passaggio. Sgarri sbuffò e si mise all’opera.
Cercava qualunque segno indicasse il passaggio della sua ospite; un rametto spezzato, un’impronta sotto le fronde di un abete, un lembo di mantello tra gli arbusti… Si aggirò attorno al letto del torrente in semicerchi sempre più ampi, per ore.
Alla fine era stanco ed infreddolito, col naso che colava ed i piedi intirizziti, ma non aveva trovato nulla.
Imprecando sottovoce il tileano riprese a cercare; non intendeva tornare sconfitto, era una questione di principio.
E la sua ostinata perseveranza fu premiata. Sul letto di aghi morti ai piedi di un monumentale abete erano rimaste tre impronte quasi impercettibili.
Sgarri sorrise, l’elfa si era fermata a salutare lo spirito dell’albero, il quale aveva preservato le tracce dalla neve.
Il tileano poggiò una mano sul tronco dell’abete e lo ringraziò mentalmente, quindi decise di sedersi li all’asciutto e mangiare le rimanenti gallette.
Lo spadaccino si concesse diversi minuti per tirare il fiato.
Ripensò ai Lupi del Middenland, erano sempre preceduti dalle leggende sulla loro solidità ed incrollabile fede, tanto che un prete di Ulric li aveva definiti “Gli eletti del dio lupo”.
Sgarri sorrise, il vero motivo per cui si battevano a quel modo era l’addestramento.
Per diventare un Lupo era necessario superare un addestramento così duro che al confronto le battaglie più sanguinose sembravano normale amministrazione.
La mente del tileano tornò al giorno della sua prova finale; alcuni cavalieri del lupo bianco l’avevano prelevato da un bordello e picchiato abbondantemente, quindi lo avevano bendato e legato mani e piedi.
Poi lo avevano portato da qualche parte nella foresta, avevano gettato a terra chissà dove la sua spada, gli avevano fatto stringere un pugnale tra i denti e lo avevano gettato giù da cavallo mentre andavano al galoppo.
Ci aveva messo mezza giornata solo per liberarsi ed altrettanto per ritrovare la spada.
Per trovare la strada per Middenheim aveva impiegato quattro giorni.
Era stato il quarto a tornare in caserma, però era l’unico che recava con se la testa di un centigor.
–Beh Berto, ne hai passate di peggio nei Lupi, questa marcia non è niente- Si esortò il tileano mentre usciva dall’asciutto riparo.
Dall’inclinazione dell’ultima impronta era facile dedurre la direzione di marcia, per cui Sgarri non trovò alcuna difficoltà nel seguire il cammino dell’elfa.
La cosa positiva dell’abbondante nevicata era che non si rischiavano brutti incontri; neanche i demoni del caos avrebbero marciato con un simile tempo.
Il tileano individuò una radura che poteva corrispondere alla descrizione della sua ospite, quindi si avvicinò al piccolo abete e prese a scavare nella neve con le mani intirizzite. Con immensa gioia trovò uno zaino in materiali vegetali.
Aveva alcune vettovaglie agganciate a varie corde ed una coperta avvolta legata in cima.
Su un lato era appesa una lunga spada dall’elsa squisitamente decorata con un motivo a foglie di rampicanti dall’aspetto straordinariamente realistico.
Quando viveva ancora al paese con la sua famiglia, Umberto si era anche dilettato nella scultura su legno, con risultati non proprio esaltanti, più per mancanza d’impegno che per assenza di talento.
Questa sua predisposizione lo portava ad ammirare particolarmente i lavori d’intaglio che coprivano tutte le parti di legno presenti nel bagaglio.
Sgarri slegò la coperta e se l’assicurò a tracolla, così da ripararla dalla nevicata col mantello. L’elfa aveva avuto l’accortezza di usare alcune frasche per coprire l’equipaggiamento, facendo si che il tutto si mantenesse asciutto.
Lo zaino era piuttosto pesante e Sgarri capì perché lei se n’era liberata prima di correre in suo aiuto.
Con uno sbuffo il tileano si mise in marcia.
Aveva resistito alla tentazione di frugare nel bagaglio solo perché la luce stava rapidamente scemando e lui non aveva alcuna intenzione di farsi sorprendere dal buio.
Nonostante il freddo intenso e la sfibrante marcia nella neve alta, il fatto di aver trovato il bagaglio aveva messo di buon umore Sgarri, il quale prese a darsi il passo cantando una delle sue amate canzoni da osteria.
–Chi è che dice che il vino fa male, è tutta gente, è tutta gente… Chi è che dice che il vino fa male è tutta gente già nella tomba… Io ne ho bevuto tanto e non mi ha fatto male, l’acqua fa male, il vino fa cantar…-
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Warhammer / Vai alla pagina dell'autore: Dahu