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Autore: Eljzabeth    23/01/2017    0 recensioni
Il mondo è pericoloso, soprattutto il mondo di Aiyana, giovane ragazza appartenente alla stirpe Rossa, in grado di generare il fuoco, sottovalutata e sottomessa dalle altre specie.
In viaggio per i regni in cerca della sorella, in compagnia del suo più caro amico Hastiin, Aiyana scoprirà quanto può essere crudele l'uomo e fin dove può spingersi per ottenere ciò che vuole.
***Pubblicazione ogni sette giorni***
// E' il mio primo scritto, ce l'ho in mente da un po' di tempo ma solo adesso sono riuscita a cominciare a scriverlo. Non siate troppo crudeli con i commenti e fatemi sapere cosa ne pensate!! //
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guardo la fiamma danzare sulle mie mani, giocare tra le mie dita. Sotto il mignolo, sopra l'anulare, e poi ancora sotto il dito medio. Corre da un dito all'atro senza fermarsi, felice.
E' azzurra, dello stesso azzurro del cielo nelle giornate serene, senza nuvole.
Ho imparato a creare fiamme azzurre quando avevo otto anni; ricordo ancora Kaya, l'istruttrice, che mi incitava, promettendomi uno dei suoi famosi dolcetti per ogni scintilla azzurra che fossi riuscita a fare. Il miglior premio della storia dei premi.
Faccio fermare la fiamma tra il pollice e l'indice, mentre con l'altra mano la afferro dall'alto e tiro, dimezzando la prima e creando una gemella.
Sdraiata sull'erba fresca, nel buio dei boschi, guardo le due fiamme scivolarmi tra le dita; è questo il mio modo di rilassarmi, di estraniarmi dal mondo. Guardare quelle due luci mi infonde tranquillità, calma, pace.
Sento un fruscio di foglie e mi metto a sedere di scatto, guardandomi intorno pronta a balzare in piedi. Mi tranquillizzo solo quando vedo sbucare un piccolo coniglio bianco da un cespuglio e rido di me stessa.
Perchè pensare sempre al peggio?
Forse è perché il peggio è quello a cui sei abituata, mi rispondo da sola.
Mi alzo in piedi, le fiamme ancora accese sui miei palmi. Unisco le mani e faccio in modo che ritornino ad essere un solo fuoco, come mi ha insegnato Kaya e come sono ormai abituata a fare da anni. Mi incammino verso casa tenendo in una mano la fiamma -l'unica fonte di luce- e spazzandomi via le foglie dal sedere con l’altra.
Pian piano che mi avvicino al villaggio sento le voci diventare sempre più forti e chiare. La luna ha quasi raggiunto il punto più alto del suo viaggio in cielo, ma in giro per le strade ci sono ancora persone intente ad allestire il villaggio per la grande festa dell'indomani.
Arrivata davanti alla porta di casa non posso fare a meno di storcere il naso all’odore del sangue di cervo che mio padre ha utilizzato per disegnare una fenice stilizzata sull'uscio, come dice la tradizione.
Dannatamente disgustoso.
Prima di entrare stringo il palmo in un pugno e la fiamma scompare; non ne ho più bisogno. Dentro casa è buio, ma la strada la conosco bene: dritto per il corridoio e poi a destra. Grazie alla Dea Shadi non ha lasciato nulla per terra lungo il tragitto, quindi arrivo al mio letto sana e salva. Velocemente mi sfilo pantaloni e il Kyrtill, scivolo dentro la mia veste da notte e mi rifugio sotto alle coperte, al sicuro dal freddo.
Qualche secondo più tardi sento dei piccoli passi e subito dopo Sike salta sul letto, più precisamente sul mio stomaco.
Da quando è così pesante?
Senza troppi convenevoli il muso del non-più-piccolo Norsk Buhund si adagia sulla mia spalla, in cerca di coccole.
Prendo coraggio e tiro fuori la mano da sotto le coperte calde per accarezzargli il pelo, liscio e morbido al tatto.
Vado avanti per un po', perdendomi nel gesto, e lasciandomi cullare...
Sento l'odore ancor prima di svegliarmi del tutto: carne di cervo.
Apro gli occhi e fisso il soffitto, cercando di trovare la forza per sopravvivere all'intera giornata. Oggi è il Giorno Sacro.
Niente di che, semplicemente la giornata più importante del mese; ci sarebbero stati festeggiamenti, risate e cerimonie fino all'ultimo secondo del giorno.
Il Giorno Sacro è, beh... il Giorno Sacro. Viene celebrato una volta al mese in ogni villaggio da ogni Rosso... o almeno dai Rossi nelle terre. Si tratta di una giornata dedicata alla Dea Sikha -la dea Madre, la dea di ogni cosa esistente in pratica,- in cui sarebbero stati celebrate cerimonie, offerti doni alla Dea, preparati pasti abbondanti per tutto il villaggio -e per qualche forestiero, c'è sempre qualche forestiero- fino al tramonto, quando la Purohita, la sacerdotessa del villaggio, avrebbe cominciato il consueto rituale per domandare prosperità e gioia alla Dea Madre.
Quindi, beh... sarebbe stata una giornata stressante. Importante e necessaria ma stressante.
Mi metto a sedere e sento la spalla sinistra formicolarmi, segno che Sike deve aver passato la notte beatamente tranquillo utilizzando il mio corpo come cuscino.
Senza scendere dal letto, mi allungo il più possibile per recuperare i pantaloni che la sera prima avevo buttato a terra, mentre impiego due minuti buoni per rintracciare il Kyrtill che in qualche modo era finito sotto il mio letto. Indosso le scarpe e mi fiondo in fondo alla stanza per lavarmi il viso nella bacinella di terracotta di fianco alla porta.
Ora che sono sveglia, mi giro e mi guardo intorno nella camera; non è molto grande, ma neanche piccola, da un muro all'altro dovrebbero essere sei passi, il giusto spazio per contenere due letti -il mio e quello di Shadi, mia sorella-, due enormi cesti che mia nonna ha fatto per noi due e una cuccetta di fortuna per Sike. Il tutto abbellito con qualche vestito buttato qua e la sul pavimento di legno. Elegante.
Prima di uscire dalla stanza frugo nel mio cesto alla ricerca delle fasce per le gambe e con il rotolo in mano mi avvio verso l'ingresso. Vengo accolta da un odore di cervo ancora più forte e dalla risata di mia madre, una di quelle risate al cui suono non puoi non sorridere.
«Bentornata dal mondo dei sogni, scimmietta,» mi saluta mia madre senza neanche voltarsi. E' seduta a terra con le spalle rivolte verso di me intenta ad osservare mio padre cuocere la carne sul fuoco.
«Credo di aver smesso di essere una scimmietta qualcosa come dieci anni fa, mamma,» le rispondo. Dannazione, a diciannove anni si può essere ancora soprannominati scimmietta? «Dov'è il mio mantello?» Dov'è la mia dignità?
«Fuori ad asciugare, mia cara avventuriera. Non vorrai uscire adesso...» mi risponde mentre mi osserva arrotolare le fasce intorno ai polpacci.
«Umhh... Si, giusto un pochetto...» rispondo vaga. Non ho alcuna intenzione di rimanere in casa oggi. Giorno Sacro significa famiglia unita... ancora più del solito. Il che avrebbe significato avere tutte le zie e cugine in casa ad osservarmi come se fossi la matta del villaggio e a chiedermi la data del mio matrimonio, a cui sarebbe sicuramente seguita la domanda: hai già trovato un uomo?
Come se gli uomini fossero la cosa più importante.
No, la cosa più importante era sconfiggere le altre Specie e riportare tutti i Rossi in patria. E il mio obiettivo era lottare, non stare in casa a cucinare per il mio uomo.
Senza ascoltare la risposta di mia madre sull'importanza della famiglia e cose simili, afferro il suo mantello di lana rosso e scappo fuori di casa.
Scendo il piccolo gradino e faccio qualche passo, chiudo gli occhi, alzo il viso verso il cielo -verso la Dea- e mi stiracchio, la brezza fresca del mattino mi accarezza la pelle.
«Il rosso le dona, bellissima donzella,» dice una voce a me familiare alle mie spalle.
Mi giro e mi ritrovo davanti agli occhi il petto più enorme mai esistito nella storia dei petti -giuro, non scherzo sui petti-, appartenente al ragazzo più fastidioso mai esistito dalla creazione dell'uomo. Per mia sfortuna è anche il mio più caro amico. Alzo lo sguardo e lo punto su due occhi nocciola. «Annega, Hastiin,» gli auguro dolcemente come solo un'amica sa fare. «Oggi mi tocca... Guarda il mio povero e amato mantello, sta soffrendo.» Ci giriamo entrambi a guardare l'oggetto in questione, appeso assieme al resto dei vestiti.
«Al freddo e al gelo. Non lo invidio per niente.» Concorda. «Ah! Per questa sera ho i posti in prima fila! Sento già le mie spalle gridare dalla gioia.» Dice toccandosi le spalle e fingendo una smorfia di dolore.
«Ah, ah, ah. Come siamo simpatici questa mattina. Non è mica colpa mia se ti sei addormentato sul lago.» Gli ricordo.
«Beh... mi avevi stancato...» tenta di difendersi, ma nulla può contro l'imbattibile e dura realtà dei fatti. Lo scorso mese durante il Giorno Sacro abbiamo passato l'intera giornata ad allenarci nel bosco e Hastiin si è accidentalmente addormentato dopo essere stato battuto un paio di volte e per colpa sua al ritorno abbiamo trovato solo posti in ultima fila per assistere al rituale e come punizione ha dovuto reggermi sulle spalle per tutto il tempo. Divertente per me... e doloroso per lui, se non è amicizia questa!
«Dai, andiamo povero il mio disgraziato,» gli dico prendendogli la mano e tirandolo verso il centro del villaggio. «Facciamoci un giro.»
* * * * *
Le strade sono piene di vita, ancor più del solito.
Un altro dei tanti aspetti positivi del Giorno Sacro sono le scuole e i corsi sospesi -il che vuol dire bambini e ragazzini in giro di corsa per le strade, intenti a rincorrersi, esercitarsi con piccoli incantesimi o ad aiutare nel loro adorabile modo madri e nonne nelle faccende in preparazione alla giornata.
«Guarda,» dice allegro Hastiin indicando con un indice che è il doppio del mio Koraa -la pazza del villaggio- intenta a saltellare da un piede all'altro con le braccia rivolte al cielo e gli occhi chiusi. Una… danza? «E' così pazza che non posso non fissarla. Cosa faremmo se non ci fosse?»
«Non indicare, imbranato! E' da maleducati,» gli dico, afferrandogli il dito e cercando di stortarglielo all'indietro. «E poi, preghiamo la Dea che non le succeda nulla... credo di essere in coda dopo di lei per il premio di Pazza del villaggio.»
Hastiin si ferma e si gira a guardarmi, serio in volto. «Smettila. Non diventerai la pazza di questo villaggio,» mi dice dolce mentre con la mano mi accarezza la testa, «probabilmente ti farai uccidere molto prima dal tuo stesso esercito perchè sei troppo fastidiosa,» ride e mi spinge la testa verso il basso, riprendendo a camminare. «O per le troppe stronzate che dici.»
«Davvero Hastiin, smettila con tutti questi complimenti, potrei sul serio abituarmici,» gli dico sarcastica raggiungendolo e tornando a camminare l'uno accanto all'altra. Mi piace passeggiare per le strade durante il grande giorno, mi piace la serenità che si respira in giornate come questa, una giornata di tranquillità in mezzo a tante piene di paura e tensione.
Il villaggio in cui abitiamo è di dimensioni modeste -non grande quanto il villaggio di Olav, dove risiede il Re Bijorn, ma neanche tanto piccolo da avere solo una cinquantina di abitanti; le abitazioni di pietra e legno, ognuna di dimensione e forma differente, sono sistemate in cerchi via via sempre più grandi man mano che ci si allontana dal centro, dove si trova la piazza popolare e dove regolarmente -e in giornate come quella di oggi- si svolge il piccolo mercatino locale.
In silenzio, ci districhiamo in mezzo alla folla che riempie le vie e ci dirigiamo verso le piccole bancarelle; camminando non posso fare a meno di ammirare le case, ciascuna abbellita con ghirlande di fiori colorati.
Arrivati a destinazione veniamo accolti dall'anziana Serah e la sua arpetta, intenta a suonare il suo strumento per un gruppetto di nove o dieci bambini sistemati in cerchio intorno a lei, incantati dal suono lieve delle corde che in qualche modo riesce a superare il rumore dei chiacchiericci.
Mi giro per guardarmi intorno e inspiro profondamente, inalando il profumo dei dolcetti freschi e appena sfornati proveniente dal banchetto dei genitori di Hastiin, la cui famiglia sforna da sempre i dolci più buoni dell'intera zona, cosa che mi fa seriamente prendere in considerazione l'idea che Hastiin sia stato adottato, data la sua strepitosa capacità di rendere immangiabile qualsiasi cosa tocchi. Accanto a loro si trova una bancarella di fiori, e affianco una di vestiti.
Il tipo di merce in vendita è sempre la stessa ogni volta -vestiti, fiori, dolci, oggetti per la casa- e le decorazioni sono sempre le solite, ma ogni volta rimango incantata dalla bellezza di questo quadro vivente che si viene a creare.
Tra cappelli, Kyrtill, tortini e cesti, il mio sguardo viene catturato da un banco in particolare; le lame delle spade brillano riflettendo la luce del sole man mano che mi avvicino, richiamando la mia attenzione. Passo le dita sulle lame e sulle else, decorate da splendidi ghirigori, e alzo lo sguardo perlustrando l'intero baracchino, notando anche dei foderi realizzati con vari materiali e delle simpatiche spade di legno per i bambini.
Sorrido al ricordo di quando da piccoli io e Hastiin, assieme ai nostri padri, andavamo nei boschi e ci allenavamo per ore ed ore con quelle piccole armi di legno.
Faccio per voltarmi e allontanarmi quando con la coda dell'occhio noto una coppia di pugnali; sono due gemelli, in ferro, lunghi entrambi quanto il mio avambraccio e con un'elsa particolare, con rifiniture d'oro. Li afferro e me li rigiro tra le mani: sono molto leggeri.
Mentre faccio scorrere lo sguardo sulla lama fine, sento Hastiin avvicinarsi e fermarsi accanto a me. «E' successo, Hass,» gli dico, girandomi a guardarlo. «Mi sono innamorata.»
Il mio amico allunga una mano e gli concedo di prendere uno dei pugnali tra le mani, di studiarlo. «Sono belli,» dice.
«Solo belli?» Lo guardo con gli occhi sgranati, riprendendomi la piccola arma. «Sono... perfetti!» Guardo l'anziano proprietario che si sta avvicinando e gli chiedo il costo. «Settanta monete,» mi risponde. Settanta...
Tutta la mia euforia scompare all'improvviso, rimpiazzata da un'amara delusione. Settanta monete sono troppe, se anche avessi avuto tutto quel denaro e fossi tornata con quei pugnali a casa mio padre li avrebbe usati per uccidermi durante la notte.
«Ah, la ringrazio comunque,» interrompo l'uomo, che si era lanciato in una dettagliata descrizione delle due armi gemelle. Metto giù la coppia e mi allontano, seguita da Hastiin.
«Maccome, rinunci al tuo amore?» mi chiede, mettendomi un braccio intorno alle spalle. «Non era così forte come volevi far credere...» «Era un amore impossibile,» sospiro. «Sarà per un'altra volta... o un'altra vita
Hastiin ride di gusto della mia delusione. Mascalzone. «Vieni,» dice facendomi cambiare direzione e portandomi verso i suoi genitori. «Mi fai così tanta tenerezza che ti offro un dolcetto...»
* * * * *
«Allooora... Dove ci sediamo?» E' quasi il tramonto e l'intero villaggio si sta radunando al centro per l'inizio del rituale, che dovrebbe avvenire a breve. «Stai cercando qualcuno? Potrei aiutarti...» Dico vedendolo scrutare la folla.
«Sei troppo nana, non potresti mai aiutarmi.» Mi dice, tirandomi verso di se per non farmi andare a sbattere contro una donna con in braccio un bimbo in fasce. «E attenta a non mettere sotto nessuno, ippopotamo.»
«Solo dolci parole di incoraggiamento oggi, a cosa devo questo amore?» Gli sorrido. «Ma ancora non hai risposto alla mia domanda.»
«Mmh... Si, certo...» dice vago. «Sto cercando No--»
«HEI RAGAZZI, SONO QUI!!!» sento urlare. La voce non mi piace. No, non mi piace per niente. Faccio per lanciare un'occhiataccia ad Hastiin ma lui la schiva, si posiziona alle mie spalle e mi spinge in mezzo alla folla come se fossi una bambina.
«Ehi, Nosh!» Lo saluta Hastiin, raggiungendolo e sedendosi alla sua destra, tirandomi a terra con se per farmi sedere in mezzo a loro due.
«Aiyana, sei bellissima questa sera,» mi dice osservandomi dalla testa ai piedi. «Il rosso ti dona.»
Il rosso non mi dona affatto, idiota.
«Grazie, Nosh.» Cerco di tirare fuori una voce amichevole, non so con quale risultato. Quando il poverino si gira per salutare qualcun'altro, io mi giro a mia volta verso Hastiin-il-traditore.
«Allontana quello sguardo assassino da me, donna di fuoco,» alza le mani in segno di scusa -o per ripararsi dalla mia furia omicida? «Avevo bisogno di qualcuno che ci tenesse i posti in prima fila.» Sussurra.
Rimane un traditore.
Nosh ritorna a dedicarci la sua attenzione. «Allora, mia dolce Aiyana,» mi dice, circondandomi le spalle con un braccio ed avvicinando troppo il suo volto al mio. Troppo. «Pronta per rituale?»
Perchè, devo essere pronta per il rituale?
«Stavo pensando che domani potremmo passare un po' di tempo insieme. Io e te.»
Oh Dea! Perchè la gente deve essere così appiccicosa? «Mi dispiace, ma domani devo allenarmi. Magari un altro giorno.» Dico allontanandomi e spingendo via la sua mano dalla mia spalla.
Per mia fortuna -oppure per favore della Dea che ha ascoltato la mia supplica interiore- Nosh viene interrotto dalla Purohita che appare al centro del cerchio.
Senza alcun saluto al pubblico, inginocchia davanti alla croce di legno allestita per l'occasione, apre le braccia e chiude gli occhi, in attesa che quattro uomini portino nel cerchio una gabbia con all'interno un'aquila. Gli uomini aprono la porticina e tirano fuori l'animale per legarlo in qualche modo alla croce, per poi essere sacrificato. Si usa il sacrificio di un'aquila perchè è un animale imponente, che vola più in alto di tutti gli altri uccelli e riesce a volare più vicino possibile alla Dea per consegnarle le preghiere degli uomini.
Una volta assicurato l'animale al legno, i quattro uomini si uniscono agli spettatori.
La Purohita comincia una cantilena nella lingua antica con cui prepara l'animale e gli da istruzioni per arrivare alla Dea, mentre prende un coltello e fa un incisione lungo il corpo dell'animale. Il sangue comincia a gocciolare e si raccoglie dentro ad una ciotola di terracotta, intanto che la sacerdotessa cambia e comincia a cantare le preghiere alla Dea, chiedendole di accettare il sacrificio, di donarci felicità, prosperità...
L'intera folla -l'intero villaggio- rimane incantato a guardare la vecchia donna prendere la ciotola, immergerci due dita e tracciarsi due righe verticali sul mento e due orizzontali su entrambe le guance, prima di bere l'intero contenuto.
La Purohita posa la ciotola e conclude con l'ultima strofa della cantilena, dopodichè cala il silenzio, un silenzio in cui ognuno rivolge la sua preghiera alla Dea.
La mia è solo una, ed è sempre la stessa da quattro anni ad oggi.
Combattere. Combattere le altre Specie e vincere.
Non essere più sottomessi.
Non essere più uccisi.
Essere temuti.
   
 
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