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Autore: lmpaoli94    23/01/2017    0 recensioni
Era lì seduta in quel letto d’ospedale. Era ferma immobile. Da troppo tempo non si muoveva. Era quasi un anno che era in coma per colpa di un brutto incidente stradale. I genitori e tutti i familiari non avevano mai perso la speranza. Nemmeno il suo ragazzo Roberto che stava sempre accanto a lei nella certezza che un giorno si fosse risvegliata… Ma un giorno l’arrivo di una ragazza sconosciuta in ospedale che ha avuto lo stesso incidente della sua amata, gli avrebbe cambiato l’esistenza.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Vado a prendermi un caffè qui fuori alla macchinetta. Voi lo volete?» Domandò Roberto ai genitori di Rebecca.
Sì, è questo il nome di quella ragazza che sembrava dormisse per l’eternità e che nemmeno il bacio del vero amore che si raccontava nelle favole, l’avrebbe risvegliata.
Ma qui non eravamo nelle favole che si concludono sempre con un bel “e vissero per sempre felici e contenti”.
Roberto e tutti quelli che amavano quella povera ragazza volevano che un giorno avvenisse un miracolo, un miracolo che purtroppo stava tardando.
«No, grazie Roberto. Sei gentile come sempre. Perché non vai un po’ a casa a riposarti? Se succede qualcosa di insolito ti faremo sapere»
«No signora Paleri, non serve. Anche se andassi a distendermi, non riuscirei a riposarmi. Troppi pensieri mi affollano la mente…»
E la signora per provarlo a consolarlo un minimo, le dette una piccola carezza sul viso.
«Roberto, sei proprio il figlio che io e mio marito non abbiamo mai avuto. Sei la persona più buona che questo mondo che va in rovina possa offrire»
E mentre diceva quelle parole, alla signora Paleri gli veniva da piangere.
«Elizabeth, non piangere…»
«Come posso non piangere Alfredo? Non vedi in che condizioni siamo da quasi un anno a questa Parte?! Io non ce la faccio più»
«È comprensibile signora… ma bisogna continuare a lottare e io non mi darò mai per vinto!»
«Le tue parole riaccendono sempre la speranza che in me sembra che mi abbandoni da un momento all’altro»
«Faccio solo quello che una persona come me farebbe al mio posto: stare vicino ai suoi cari»
«Quando ti ci metti sei proprio un modesto»ribattè la signora dopo aver ritrovato il sorriso.
«Vado un po’ a sfogarmi nel corridoio. Chissà se camminare aiuterà a distrarmi…»
Ma purtroppo non fu così. Un via vai irrefrenabile di medici rompevano la sua concentrazione nel trovare il silenzio e quel poco di pace che ogni essere umano ha assolutamente bisogno. Soprattutto come quelle determinate situazioni.
«Infermiera! Porti subito una barella!» gridavano ogni tanto alcuni medici.
«Presto! Vieni! Dobbiamo operare d’urgenza una ragazza che si è schiantata contro un albero con la sua auto» E subito i medici andarono incontro alla paziente grave per prestargli soccorso.
Roberto, quando se la vide passare davanti che perdeva sangue in ogni angolo di corpo, gli tornò in mente quella terribile scena che implicava la sua povera fidanzata.
«No! Lasciami in pace! Lasciami vivere! Rebecca!» aveva gridato per tutto il corridoio facendosi sentire da tutte le persone che erano lì nei dintorni.
«Signore, si sente bene?» gli aveva chiesto un dottore che passava lì in quel momento.
«Sì sì, tutto apposto. Sto bene»
«N’è sicuro? Vuole per caso un tranquillante?»
«Ho detto che sto bene! Mi lasci in pace per favore!» rispose infine Roberto pieno di rabbia e di rancore che il povero medico se n’andò terrorizzato.
«Roberto, ho sentito degli urli. Cosa succede?»
«Niente signor Paleri. Il caffè deve avermi fatto innervosire ancora di più…»
«Vedrai che se provi a sederti, ti addormenterai sfinito. Domani devi pure andare in ditta»
«Sì, lo so. Proverò a fare come ha detto lei»
Rimase addormentato per un paio d’ore su una sedia mentre la sua povera creatura giaceva lì sul letto senza muovere un muscolo.
Più i giorni passavano e Roberto sprofondava in un vortice di solitudine che non aveva mai fine.
«Roberto, sono le 8 di mattina. Farai tardi al lavoro» disse il signor Alfredo Paleri con accento premuroso. «Come stai? Ti vedo alquanto distrutto»
«Se per distrutto intende che sono a pezzi fisicamente e mentalmente, allora ha pienamente colto nel segno. Ma devo lo stesso andare al lavoro per poter guadagnarmi da vivere…»
«Parole sante, figliolo. Parole sante. Vai ora, e distraiti da questa realtà cruenta e terribile»
«Me lo dice ogni volta che rimango a dormire in ospedale… Ma lei sa benissimo quanto me che è impossibile»
E per controbattere, il signor Paleri gli fece un sorriso tirato in segno di rassicurazione.
Durante la notte in ospedale, poteva rimanerci solo una persona a controllare il paziente nel letto, ma i coniugi Paleri conoscevano bene il primario dell’ospedale in cui era ricoverata la loro figlia. Il medico gli aveva promesso che potevano assistere la povera ragazza al massimo in tre persone a notte. Non uno di più.
Appena Roberto si era deciso ad andarsene, vide in una stanza lì vicino la ragazza che avevano operato d’urgenza ieri sera.
Anche lei sembrava che fosse caduto in un sonno profondo che non si sarebbe più svegliata.
«Mi scusi dottore, ma anche quella ragazza è in coma?» domandò l’uomo alquanto curioso.
«Lei per caso è un parente della paziente?»
«Mmh no…»
«Mi spiace, ma non possiamo rivelare le condizioni dei pazienti a persone sconosciute. Questa è la prassi» «Capisco»> disse infine Roberto senza insistere minimamente «arrivederci» e si congedò dal medico con tono educato e pacato.
Il lavoro di Roberto era sicuramente uno tra quelli veramente faticosi. Avevano ore massacranti e il requisito migliore era avere una possente forza fisica.
«Ciao Roberto, come stai?» domandò il suo collega di lavoro nonché il suo fedele amico.
«Ciao Francesco. Come vuoi che io stia? Non passa giorno che io non possa essere felice come un tempo. A te come ti vanno le cose?»
«Non c’è male… La vita da scapolo è la migliore che mi potesse capitare. Tranne che fare questo sporco lavoro. Sai dove siamo diretti oggi?»
«Fammi indovinare… fuori città giusto?»
«Esatto. E per la precisione vuoi sapere dove?»
«Sono qui che fremo per l’attesa» ribattè Roberto con tono ironico e annoiato.
«A Firenze. Dobbiamo caricare e scaricare dei mobili e portarli in una villa nel centro città»
«Ma che felicità! Perché il capo non trova mai un lavoro vicino l’azienda dove lavoriamo?»
«Mah! Vallo a chiedere a lui. Per poco non ci litigo pure stamattina»
«Che cosa è successo, Francesco?»
«Non mi vuole pagare gli straordinari di qualche mese fa’! E se provo a denunciarlo , rischiamo di perdere il lavoro…»
Purtroppo questa era l’Italia: non si riusciva mai a fare le cose per bene o come si dovrebbero.
«Se continui a mettergli pressione, vedrai che alla fine ti pagherà.»
«Lo spero. Via su, andiamo al lavoro che è già tardi»
Firenze era una bellissima città che al sorgere del sole si riempiva di lucentezza e di splendore. I monumenti erano vari: dal palazzo Pitti alla cupola del Brunelleschi, dal Ponte Vecchio alla piazza della Signoria. L’ultima volta in cui c’era stato, era con la sua bella Rebecca. Con lei aveva girato mezzo mondo: da Parigi passando da San Pietroburgo e dall’Argentina risalendo in aereo fino ad approdare a New York. Gli mancavano solo un posto che gli sarebbero piaciuto vedere: Los Angeles. Si erano ripromessi di andarci l’estate scorsa, ma l’incidente aveva compromesso ogni cosa.
Ogni tanto Roberto sussurrava all’orecchio di Rebecca che quando si sarebbe risvegliata sarebbero partiti subito verso quella magnifica città piena di divertimento.
«Roberto, stai bene? Sei tra noi?» domandò Francesco risvegliandomi dal mio bel sogno.
«Scusami Francesco. Era già da un bel po’ che non sognavo ad occhi aperti…»
«Se non sono troppo curioso, cosa hai visto?»
«Ovviamente alla bellezza e agli occhi lucenti di Rebecca che mi fissava con sguardo guardingo e pieno d’amore… Ogni giorno mi manca sempre di più.»
«Vedrai che prima o poi si risolverà tutto per il meglio»
«Ti ringrazio per le tue speranze che cerchi di trasferirli verso di me. Ma ti prego di non inculcarmi pensieri e dicerie per un futuro radioso… Io non vedo altro che Rebecca in coma su un letto d’ospedale»
«Va bene, come vuoi tu. Sai però che io sarò sempre vicino a te…»
«E come no! Non fai altro che ripetermelo tutti i giorni! E di questo ne sono felice»
E per cominciare quel meraviglioso giorno, non poterono far altro che scambiarsi belle parole che erano sempre utili in quella vita difficile e complicata,  finendo la conversazione con una vigoroso abbraccio amichevole.
«Tornando a noi, dov’è che dobbiamo andare?»
«Verso Ponte Vecchio» e si diressero verso il più bel ponte di Firenze con la speranza che la giornata fosse radiosa e spensierata.
Di ritorno dal loro faticoso lavoro, Roberto raggiunse subito l’ospedale di Lucca. Ormai viveva più in quel luogo pubblico triste e opprimente che a casa sua.
“La mia casa è più vuota della solitudine. Almeno in ospedale c’è chi mi dà la forza per andare avanti…” pensava sempre con un accento di malinconia.
Con grande sorpresa, vide che i genitori di Rebecca non erano accanto al letto della loro figlia. Era la prima volta che Rebecca veniva lasciata sola.
«Mi scusi dottore, sa per caso se i genitori di questa paziente sono andati via?»
La domanda era inutile e priva di grande importanza, tanto che il medico rispose stizzito: «Sa per caso se ci sono miglioramenti per quanto gli riguarda?» e subito il medico scrutò alcune delle sue cartelle cliniche per vedere se c’era il nome della ragazza. «Mi dispiace, ma non ho la sua cartella clinica con me. Però su una cosa sono certo… Ci saranno miglioramenti solo quando si sveglierà. Non prima»
«E questo quando può accadere?»
«Nessun medico lo sa per certezza. Il fatto che si presenta alla sua ragazza è un fatto molto raro»
«Ma… Come sa che io sono il suo fidanzato?»
«Sono il migliore amico del primario di questo ospedale. Mi chiamo Luigi Capini»
«Molto piacere di conoscerla» rispose cordialmente Roberto.
«Piacere mio. Se non sapessi chi fosse stato o se non fosse stato parente della ragazza, non gli avrei mai detto le condizioni della paziente. Lei sa del segreto professionale, giusto?»
«Sì, ne so qualcosa… Per i tipi curiosi come me è una faccenda complicata da tirar giù»
«Non la facevo tanto curiosa, sa?... Come le stavo dicendo, è molto raro che un coma duri così a lungo. Se non sbaglio, la signorina Palieri è qui in coma da un anno»
«Sì, esatto. Ha avuto un incidente stradale e non si è più ripresa…»
«Di solito il coma normale dura da 4 a 8 settimane. Mentre i coma rari come in questo caso durano anni o anche decenni!»
«Cosa? Non riesco a crederci! Dottore, non mi doveva dire una cosa simile!»
«E invece devo. Molte volte noi dottori dobbiamo essere forti ed essere portatori anche di brutte notizie» «Certo, capisco»
«Lasciando stare per qualche momento tutti questi ricordi. Che ne dice se le offro un caffè? Tanto per conoscerci meglio…»
«Magari un’altra volta. Perdoni la mia scortesia, ma preferisco rimanere accanto alla mia fidanzata e non lasciarla qui tutta sola»
Il dottor Capini mi fissava con un sorriso rassicurante.
«Si figuri. L’invito non era obbligatorio… Comunque stare vicino ad una persona in coma e conversarci, potrebbe aiutarla a risvegliarsi prima. È molto difficile, però prendila in questo modo: lei ascolta ogni singola parola»
«Non l’avrei mai creduto… Grazie per l’informazione. D’ora in avanti ci parlerò spesso. Anche se sembrerò un tantino ridicolo»
«Si fidi di me: non lo sarà. Un sacco di persone lo fanno e non si vergognano affatto!»
«Grazie per tutte queste informazioni, dottor Capini» replicò Roberto facendogli un sorriso smorzato.
«Di niente. Aspetterò con ansia per invitarla a bere un caffè. Arrivederci»
«Ci conti. Arrivederci»
Per gran parte del pomeriggio, Roberto stette a conversare con la sua fidanzata parlandogli dei traslochi che aveva fatto nelle città più importanti come quella di oggi.
«So che ami molto Firenze e non vedo l’ora di portartici… Sono stufo di vederti qui addormentata su un letto d’ospedale. Non comprendo ancora il perché non sono uscito fuori di testa…»
«Perché sei un ragazzo paziente»era la voce del primario d’ospedale che gli aveva fatto visita.
«Signor Danesi! Non pensavo che fosse lì in piedi sulla porta» ribattè Roberto alquanto sorpreso.
«Mi dispiace averti interrotto, ma volevo vedere le condizioni di Rebecca… Con i miei occhi vedo che non è cambiato nulla. È molto deperita.»
«Purtroppo sì, ma mantiene la sua bellezza intatta. Se potessi rivedere i suoi occhi lucenti…»
«E non solo quelli, vero Roberto?»
«Già… Vorrei rivederla in vita anche solo per un momento. Non so quanto mi resta da vivere…»
«Roberto, ma cosa stai dicendo? Hai 25 anni e la tua vita non è che alll’inizio!»
«No, signor Danesi. Lei si sbaglia. La mia vita si è fermata la notte del 1 settembre di un anno fa’…»
«Devi amarla così tanto per sentirti così angosciato»
«Lei non sa quanto. Perché? Perché Dio non mi ha preso al suo posto?»
Il dottor Danesi fissava il povero uomo piangere nelle sue sofferenze irrefrenabili provando pure lui una sensazione d’angoscia insopportabile.
«Su Roberto. Non fare così. Vuoi che andiamo a prendere una boccata d’aria?»
«E a cosa servirebbe? Piangerei lo stesso, con la differenza che potrei essere visto da persone sconosciute… Ti dispiace lasciarmi un po’ da solo con lei? Vorrei continuare a conversarci»
«Sì sì, certo. Fai pure. Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere»
E mentre se ne stava andando, il dottor Danesi venne fermato da un suo collega che era venuto a cercarlo. «Dottor Danesi… La signorina Provini sta per svegliarsi»
   
 
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