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Autore: simocarre83    23/01/2017    2 recensioni
Secondo racconto che parte dopo l'epilogo del primo. quindi se volete avere le idee chiare sarebbe, forse, il caso di leggere anche il primo. Ad ogni modo, una brutta notizia che presto diventano due, due vittime innocenti, loro malgrado, nuovi personaggi e purtroppo nemici che compaiono o RIcompaiono. Ma sempre l'amicizia che ha, come nella vita, un ruolo fondamentale.
Genere: Drammatico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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METTERE A POSTO LE COSE
Il giorno seguente, sebbene stanco e assonnato come poche altre volte, Simone si alzò certo di sapere quello che doveva fare. Prima di tutto, visto che la nottata in bianco gli aveva, nonostante tutto, ridato il buonumore, doveva mangiare. Era dal giorno prima all’una che non mangiava e quindi ingurgitò volentieri i due pezzi di pizza lasciati dalla sera prima. Poi doveva parlare con suo figlio.
“Ho bisogno di un favore! Puoi dare questa busta a Giuseppe, quando lo vedi, oggi?” chiese.
“Certo! Posso vedere cosa c’è dentro?” chiese suo figlio.
“Certamente! Sai che con te non ho segreti!” rispose suo padre sorridendo.
Giuseppe aprì la busta. C’erano due carte e un post-it. Le due carte erano l’Asso di Cuori e il Tre di Quadri. Sul post-it solo un numero: 18.30.
“Ahhh! Adesso ho capito!” aggiunse Giuseppe. In realtà non ci aveva capito niente. Non conosceva il significato di quelle due carte, in quello che sicuramente era il linguaggio in codice usato anche in passato da Simone e Giuseppe.
Richiuse la busta e la mise nello zaino. Intanto finirono di fare colazione e se ne andarono.
“Ci vediamo per pranzo, Maria?!” chiese Simone prima di uscire.
“Va bene!” rispose sua moglie.
Per l’una sarebbe stata libera e sarebbe andata tranquillamente da suo marito per mangiare insieme qualcosa e, ne era certa, per fare il punto della situazione su quello che stava accadendo. Evidentemente, pensava Maria, Simone non aveva ancora intenzione di portare tutta la famiglia a conoscenza di quello che era successo il giorno prima. L’umore di suo marito sembrava buono, però, quindi non si preoccupò più di tanto. Ma sapeva comunque che da lì a cinque ore sarebbe stata informata dei minimi particolari. E ne avrebbe approfittato per vedere anche suo fratello Vito, che non vedeva da una decina di giorni, e sua cognata Alessandra, che comunque aveva sentito il giorno prima.
Non c’erano problemi con Giuseppe, che era ospite a pranzo di Andrea e con cui avrebbe, come sempre, passato il pomeriggio.
Simone e Giuseppe uscirono.
Una volta in macchina, Giuseppe chiese a suo padre che cosa volesse dire al suo omonimo con quelle due carte.
“Non te lo posso dire!” rispose, semplicemente, Simone.
“Ma è qualcosa che centra con ieri?”
“Evidentemente si. Ma per il momento non voglio parlarne. Ok?”
“Va bene! Dimmi almeno che cosa significano!”
“L’Asso di Cuori lo usavamo per chiederci scusa. Il Tre di Quadri significa ‘lavoro’. Questo è quanto, ad ora, posso dirti!” rispose Simone.
Giuseppe si accontentò.
Venne lasciato da suo padre all’ingresso della scuola.
“Ciao Simo!” fu la prima cosa che disse Vito quando lo vide entrare in ufficio. “Come è andata ieri?” chiese.
“In che senso?”
“Come in che senso!! A Roma? Come è andata?!”
“Ah! A Roma! A Roma bene! Sono molto intenzionati a comprare. Anzi, mi hanno confermato che il nostro prezzo è il migliore e che dovrebbero spedirci l’ordine questo pomeriggio! Qui come è andata?”
“Bene! Ho fatto altri due colloqui per il responsabile della produzione! Sono tutti bravi ragazzi! Poi vedremo! Ieri ci è arrivato l’ordine da Torino! Abbiamo bisogno a tutti i costi di qualcuno per curare la parte tecnica, visto che noi due siamo super impegnati con la commerciale!”
“Cina?”
“Niente! Ho sentito Lee mezz’ora fa ma ancora non si è mosso nulla!”
“Ma scusa, che ci facevi già mezz’ora fa al lavoro?” chiese Simone.
Erano le otto e mezza. E Vito non arrivava in ufficio prima delle nove, di solito.
“Oggi è l’anniversario di matrimonio dei miei suoceri. Se vogliamo rimanere vivi, per le quattro dobbiamo partire per essere a Pisa per le otto di stasera” rispose Vito.
Simone capì. In quel momento entrò Alessandra in ufficio. Lei, la segretaria di direzione, era anche la moglie di Vito. Simpatica, gentile, una bella signora. Erano molto amiche con Maria, e questo permetteva di mantenere i rapporti, anche lavorativi, sul corretto piano.
“Ciao!” fu l’unica cosa che disse prima di consegnargli l’ordine da 20.000 € che era appena giunto via e-mail da Roma.
“Bene!” concluse Simone “direi che mi sono guadagnato la giornata!”
Erano i soliti discorsi che facevano ridere tutti e due.
In realtà sia Simone che Vito, con i computer usati ci sapevano fare. E questo gli aveva permesso di fare un po’ di soldi. Ma rimanevano pur sempre con i piedi per terra e la testa sul collo. Lavoravano per portare a casa lo stipendio e non cercavano grandi cose. Amavano anche divertirsi con le loro famiglie. Vito e Alessandra avevano una figlia di sette anni di nome Claudia. Che era una bellissima bambina e che li impegnava moltissimo.
Fu in quel momento che a Simone venne in mente buona parte di quello che era successo il giorno prima. E che si ricordò di dover fare una cosa. Importante. Urgente.
“Scusate! Finché il mio telefono rimane occupato, non ci sono per nessuno!” disse, rivolto verso Alessandra. Che comprese immediatamente il senso.
“Giuseppe!?” chiese.
“Si. Anche. Vito, dopo, puoi venire un attimo da me in ufficio? Ti devo parlare!”
“Giuseppe!?” chiese.
“Si! anche!” rispose e volò nel suo ufficio.
Una volta chiusa la porta dietro di sé si sedette alla scrivania, accese il computer e prese il telefono.
Compose il numero.
“Pronto!” una voce distrutta dal dolore rispose dall’altra parte.
“Pronto Maria?!” chiese Simone.
“Si! chi è?”
“Buongiorno! Sono Simone! Si ricorda?!”
Un attimo di silenzio cadde sulla comunicazione.
“Simone! Ciao! Certo che mi ricordo!”
“Buongiorno! Prima di tutto volevo farle le condoglianze per Emanuele! Ho saputo da Giuseppe la notizia ieri sera. Mi dispiace moltissimo!”
“Grazie! Purtroppo non sono solo questi i guai. Mi tocca anche subire quello che stanno facendo a Francesco!”
“Ho saputo! Mi dispiace moltissimo. Sono certo che Francesco non merita una cosa del genere, e so che la verità uscirà prima o poi. Vedrà che tutto si sistemerà! Francesco come sta?”
“Sto per andare da lui. È distrutto! Sia per la perdita del fratello che per le accuse infamanti su di lui! Menomale che c’è Michele. Sta facendo tutto il possibile per scagionarlo, ma anche lui ha dovuto arrendersi, finora, alle prove”
“Ho capito! Senta… per qualunque cosa, anche se siamo lontani, non esiti a chiamarmi. Farò tutto il possibile per starle vicino e per aiutare Francesco ad uscire da questa cosa!”
“Grazie! So qualcosa di quello che è successo anni fa. E sono certa che quando Francesco saprà quello che mi hai appena detto, si sentirà meglio anche lui!”
“Grazie, signora Maria. Allora a presto! e mi saluti Francesco!”
“Grazie a te! Grazie! Te lo saluterò volentieri! Ciao!”
“Buongiorno!” rispose Simone. E attaccò.
Tutto gli parve molto strano. Non era ragionevole una cosa del genere. Francesco voleva un bene enorme a Emanuele. Non era giusto quello che stava accadendo e ormai sapeva che si sarebbe buttato in questa avventura, aiutando Francesco come avrebbe potuto.
Squillò il telefono. Era Vito.
“Simone! Alessandra sta preparando la conferma d’ordine. Che faccio aspetto che sia pronta o vengo subito?” chiese.
“No! Vieni subito! E dì ad Alessandra di portare la conferma d’ordine appena pronta. Nel mio ufficio. Dobbiamo aprire la commessa il prima possibile!”
“Va bene! Allora arrivo!”
Trenta secondi dopo Vito era nell’ufficio di Simone.
“Devo dirti una cosa!”
“Dimmi!”
“Se ti lascio questa commessa, vorrei gestire quella di Matera! Che ne dici?!”
Vito squadrò il suo socio. Sapeva che quella richiesta era quantomeno strana. Quando Vito aveva preso la commessa dei mille computer per Matera, essendo spalmata in un anno, sapeva che gli avrebbe portato via tanto tempo in viaggi. Inoltre era ben cosciente del fatto che Simone non aveva voluto sentirne parlare, di Matera, proprio perché non provava molto piacere ad andare da quelle parti. Ormai dal 2000. Simone quasi lo implorò di curarla lui quella commessa. Ed ora voleva assumersene lui la responsabilità?
“Perché!?” chiese.
E Simone gli raccontò tutto quello che era successo. Dal giorno prima fino a quel momento.
Durante il racconto, l’espressione di Vito divenne sempre più cupa. E seria. Dispiaciuta ed in parte anche spaventata.
“Si ma cosa centra tutto questo con la commessa?!”
“Sarebbe un modo per andare ogni tanto a Matera senza mettere troppo di mezzo la famiglia!” rispose, semplicemente, Simone.
“Ma Maria quanto sa, di questo?!”
“Ancora niente, perché sono tornato a casa, ieri, molto tardi. Ma oggi ci vediamo a pranzo apposta per parlarne. E, come sempre, sono intenzionato a dirle tutto. Anche perché decido di occuparmi della commessa di Matera”.
“Per me va bene!” disse Vito, appena in tempo per far entrare Alessandra con la conferma d’ordine calda di stampa.
Una scorsa veloce, e poi la firma di entrambi.
“Assegna la commessa a Vito!” disse Simone.
“E modifica la commessa di Matera, assegnandola a Simone!” fu la continuazione di Vito.
Alessandra guardo Vito, poi Simone. Esterrefatta.
Poi guardò suo marito e suo cognato. Ancora più stupita. Ma i due avevano deciso. Ed era certa del fatto che la sera stessa, se solo ci fosse stato un motivo urgente per cui tutto ciò era accaduto, Vito gliene avrebbe parlato.
Il resto della mattinata trascorse tranquillamente. Era l’una e un quarto quando Maria entrò dalla porta di ingresso dell’azienda. Salutò Alessandra, che gli disse che Simone era in officina per gestire un piccolo problema tecnico, ma sarebbe arrivato subito. Allora Maria ne approfittò per andare a salutare suo fratello. Fecero quattro chiacchiere parlando del più e del meno. Quando arrivò Simone, Maria salutò suo fratello, sua cognata e uscì con lui. Quando decidevano di mangiare insieme in pausa pranzo, quelle volte in cui erano più liberi perché Giuseppe era a casa di Andrea o si fermava a scuola per studiare, i due avevano scoperto un ristorantino molto buono con un sacco di prodotti tradizionali milanesi, a cinque minuti a piedi dall’ufficio. E si dirigevano sempre lì. In realtà il ristorante era convenzionato con la loro azienda, e ci andavano con i clienti ogni volta che era necessario organizzare un pranzo di lavoro. Quando però ci andava con Maria, prendeva anche il vino buono e si concedevano qualcosa in più di sfizioso.
Una volta a tavola, Simone spiegò a Maria tutto quanto. E anche l’idea di gestire la commessa di Matera.
“Io ho un’altra idea!” disse Maria. Idea che Simone fu felice di sentire.
“Perché non ce ne scendiamo a Policoro per le vacanze di Natale? Sono ventitré anni che non ci andiamo!” propose. Anche se in qualche modo sapeva come stavano le cose e come sarebbero andate a finire.
Infatti Simone aggrottò la fronte. “Non lo so! Non ho voglia di coinvolgere Giuseppe in questa storia e se scendiamo insieme inevitabilmente ne saremo travolti. E sai quanto non abbia voglia di andare a Policoro!” disse, mettendosi sulla difensiva.
Maria capì che ancora c’erano delle cose che impedivano a suo marito di superare quell’avventura passata. Effettivamente dall’estate del 2000 Simone non era più sceso a Policoro. Non ne aveva più voluto sentir parlare. Per lui sembrava un argomento chiuso. E catapultarsi in questa storia nuovamente era veramente difficile per lui. Coinvolgere tutta la famiglia, probabilmente, sarebbe stato ancora peggio.
Poi però Simone vide Maria. E capì che forse neanche a lui dispiaceva così tanto, ritornare da quelle parti.
“Facciamo così” disse “Pensiamoci su e stasera ti faccio sapere. Intanto stasera mi devo rincontrare con Giuseppe e dobbiamo riparlarne! Ok?”
“Ok!” rispose Maria, che vide comunque un barlume di speranza di rivedere Policoro e fargliela rivedere anche a suo marito.
I due ripercorsero a piedi la strada verso l’ufficio. Poi si salutarono e Maria andò verso casa. Simone rimase in ufficio a lavorare.
Verso le sedici, Vito entrò nel suo ufficio con Alessandra.
“Simo! Noi andiamo! Ci vediamo giovedì, ok? Partiamo da Pisa domani mattina, ma ci fermiamo a Firenze da mio cognato, quindi saremo a Milano domani sera. Sono comunque raggiungibile al telefono. Risolto poi il problema con quel computer?”
“Si! Risolto tutto. Era una sciocchezza! Per caso tra oggi e domani abbiamo altri colloqui con degli aspiranti capi-officina?”
“Si! domani pomeriggio alle quattordici! Comunque ti dirà tutto Martina!”
Martina era l’altra segretaria, la “segretaria di Simone”, per così dire, anche perché pur essendo brava, era molto giovane quindi stava imparando ora a muoversi praticamente tra la burocrazia e le scartoffie. Ma con un’insegnante come Alessandra aveva buone speranze di diventare molto esperta.
“Ok! Allora ci vediamo giovedì! Fate buon viaggio e salutatemi Mario e Adele!” disse Simone, salutandoli ed inviando i propri saluti ai festeggiati, i genitori di Alessandra.
Passarono velocemente quel paio d’ore e mezza. Verso le cinque Simone si fece un altro giretto in magazzino, a controllare le spedizioni per il fine settimana. Era quasi tutto pronto, quindi erano in vantaggio sui tempi.
Ricevette un paio di telefonate e si impegnò come un pazzo per cercare di acquistare quei mille computer di cui avevano tanto bisogno. Quasi riuscendoci, nelle trattative. In circa quindici anni di lavoro era diventato abbastanza esperto, sia per gli acquisti che come commerciale. D’altra parte la loro era comunque una piccola azienda, con una quindicina di lavoratori assunti tutti a tempo indeterminato. E da quando si era formata aveva sempre avuto tutti i conti in ordine, e gli unici lavoratori che se ne erano andati erano quelli che andavano in pensione. Riuscivano a trovarsi bene con tutti. E venivano equamente rispettati da tutti. A fine anno, assieme alla tredicesima, dividevano con i loro collaboratori anche una percentuale degli utili, cosa che permetteva di tenerseli stretti.
Avevano un’altra grossa commessa in corso, di circa 1500 computer per gli Stati Uniti, e la curava lui. Quindi fece l’ultima telefonata verso le 18.15. A quel punto accadde quello che si aspettava. Alle undici e mezza di quella stessa mattina, suo figlio gli aveva comunicato della consegna della busta a Giuseppe.
Erano rimasti in ufficio in tre: Simone, Martina ed il magazziniere. Questi ultimi due stavano per andarsene, quando qualcuno entrò dalla porta.
Martina, in qualità di receptionist, lo accolse, chiedendogli di cosa aveva bisogno.
“Devo parlare con Simone!” rispose quest’ultimo.
“Mi dispiace ma gli uffici sono chiusi! Non posso far entrare nessuno!”
“Ma io ho un appuntamento!”
“Non sono stata avvisata quindi non posso farla entrare!” rispose solerte Martina.
“Senta… non può telefonare a Simone e sentire quello che le dice?”
“Chi lo cercherebbe?!” chiese.
“Mi chiamo Giuseppe!” rispose lui, imbarazzato per quella situazione.
“Martina!” chiamò Simone che stava arrivando di corsa “Non preoccuparti e tutto apposto. Lo stavo aspettando ma non sapevo se sarebbe arrivato. E mi son dimenticato di avvisarti. Lui è il mio migliore amico, Giuseppe. Ogni volta che ti dico che non voglio essere disturbato da niente e nessuno, lui è l’unica persona che può passare. Sempre e comunque! Oltre a Maria e mio figlio, naturalmente!”.
“Ah! Mi scusi!”
“E per favore, dammi del tu. Se lo fa anche l’ultimo operaio perché non dovresti farlo tu? Non è da questo che si misura il rispetto che nutri per una persona!” continuò Simone.
“Ok! Scusami!”
“Così va meglio! Puoi andare, penso io a chiudere. Dì per favore a Dario di chiudere lui, l’ingresso mezzi, e chiudi la porta degli uffici, così nessuno può entrare. Io resterò qui per un’altra oretta!”
“Ok! A domani!”
“Ciao! Vieni Giuseppe!” disse, rivolgendosi poi a quest’ultimo e facendosi seguire verso il suo ufficio.
Una volta rimasti soli, ritornarono i due ragazzini di sempre.
“Scusami per ieri sera. Quella notizia mi ha stravolto e non sapevo veramente cosa fare. Avevo bisogno di tornare a casa e schiarirmi le idee!”
“Beh! Anche perché quello che mi hai detto ieri mi ha un po’ ferito!”
“Si! hai ragione! E ti chiedo scusa anche per quello! Sono stato stupido e avventato. Ma è ovvio che non penso veramente quello che ho detto!”
Un sorriso e una stretta di mano sottolinearono la pace tra i due.
“Però adesso spiegami per filo e per segno quello che è successo in questa settimana e come hanno incastrato Francesco”.
“Allora significa che ci aiuti?!”
“Più di quello che pensi! Però prima mi devi raccontare veramente tutto!” disse Simone.
Giuseppe si sentì molto meglio. Fu così, nel silenzio degli uffici deserti, e con l’aiuto della fiducia che aveva sempre riposto nel suo amico, che lo fece. Gli raccontò tutto.
“Martedì scorso, Maria, la madre di Emanuele, andando a casa di suo figlio, lo ha trovato riverso a terra. Qualcuno l’aveva ferito mortalmente con un coltello. Chiamò immediatamente la polizia. Sia Francesco che Emanuele, vivono a Matera. Francesco affermò che quel giorno era a Policoro e che era tornato solo una volta saputo cosa era successo, il martedì tardi. Purtroppo Emanuele viveva con Francesco, e tutte le prove, comprese le impronte digitali sul coltello, sono contro Francesco. Non sono state trovate altre tracce biologiche, a parte del sangue, appartenente allo stesso Francesco. La polizia non ha potuto fare altro che metterlo in stato di fermo. Ieri mattina è stato confermato l’arresto. Francesco ha sempre affermato di essere stato a Policoro per tutto il giorno e di aver lasciato suo fratello in vita e tranquillo quella stessa mattina”
“Scusa, ma come fai a sapere tutte queste cose sulle prove?”
“Me le ha dette Michele!”
“E Michele come fa a saperle?”
“Perché è lui il funzionario della polizia scientifica che ha firmato il rapporto!”
“Michele funzionario della polizia scientifica?!” chiese uno stupito Simone.
“Si! È il direttore della Polizia scientifica presso la questura di Matera”
“Ah però!!”
“Eh Già!!”
“Ma perché Michele firma un rapporto che crede errato e manda in galera una persona che secondo lui è innocente?!” chiese Simone.
“Perché ha ricevuto pressioni dal questore. Sembra che avessero avuto una fretta incredibile di risolvere le indagini!”
“E perché?” chiese ancora.
“Questo lo ignoro! Ieri mattina gli stavo chiedendo proprio quello quando mi ha chiesto se ero disponibile ad aiutarlo e gli ho risposto che era meglio se ne parlavo con te. Da lì è scaturita la litigata che ci ha portato fino a scuola. Quando ci siamo lasciati lui non me l’aveva detto. E poi non l’ho più sentito!”
“Ah! Ma cosa sai in generale di Francesco e Emanuele?”
“Niente! Non ci sono notizie su di loro. Anche la madre mi ha detto pochissimo. Mi ha detto che avevano una piccola azienda di materiale informatico e che tiravano fine mese con quella. Ma che essendo soli, conducevano una vita abbastanza agiata!”
“È la stessa cosa che sapevo io!” rispose Simone.
“Come! Sapevi già questo?”
“Certo! Mio padre, prima di morire, quando era ancora in forze per andare a Policoro, passava diverso tempo in loro compagnia! E mi ha aggiornato sulla loro attività, fino ad un paio di anni fa! Mi ha anche incoraggiato ad andare a trovarli, se non altro per rivedersi e magari fare qualche affare insieme. Ma non ho mai più avuto il coraggio di scendere a Policoro, da quella famosa estate e fino ad ora!” concluse. Anzi no! Aveva ancora una cosa da chiedere a Giuseppe.
“Ma secondo te perché Michele non mi ha voluto dire nulla di questa storia?”
“Perché, per come la vedeva lui, ha voluto proteggerti. Almeno. Questo è ciò che mi ha detto. Ma poi non ho scoperto molto altro”
“E proteggermi da cosa?”
“Non lo so… ti ho detto che non mi ha detto altro!” concluse Giuseppe.
Intanto si erano recati al distributore automatico e stavano bevendo un caffè. Erano passate le sette da qualche minuto. E allora Simone decise di fare quella proposta pazza a Giuseppe. Gli sarebbe costata cara. Carissima. Ma era necessaria.
“Che fate per le vacanze di Natale?” chiese, lasciando pensare a Giuseppe di aver cambiato discorso.
“Sai che noi scendiamo!” rispose Giuseppe. Ed era vero. A Natale scendevano sempre a Policoro. A trovare sua mamma e sua sorella.
“Vogliamo scendere insieme?!” chiese Simone. Attendendosi l’effetto che sapeva.
Giuseppe quasi si strozzò.
“Ma come! Tu!? A Policoro?!” chiese.
“Si! Io a Policoro! È una idea che mi ha dato Maria e credo proprio che ventitré anni siano più che sufficienti, di attesa, per riprendermi!” concluse Simone sorridendo.
Giuseppe lo abbracciò. E quell’abbraccio diceva tutto. Era non solo felice che Simone avesse deciso di ritornare a Policoro dopo tutto quel tempo, ma era anche e soprattutto felice che Simone avesse deciso di aiutarli. Anche se ancora non sapeva come avrebbe reagito Michele a quella notizia.
Spensero le luce e se ne andarono. Simone chiuse la porta degli uffici e entrò in macchina. Seguito da Giuseppe che prese la sua, di macchina. Al primo semaforo Simone girò a destra, e Giuseppe a sinistra. Tornarono entrambi a casa.
Entrò che era quasi pronto. Suo figlio era in camera sua che ascoltava la musica. Maria era in cucina che stava preparando la cena.
“Tra cinque minuti è pronto!” disse “Ci pensi tu a chiamare Giuseppe?”.
“Certo!” disse. Poi decise di affrontare subito l’argomento. “Forse è giunto il momento di ritornare dalle mie parti! Direi che è passato abbastanza tempo per non soffrire più in quei posti! Sono pienamente d’accordo con la tua idea. Anzi, grazie di avermela data!”.
I due si abbracciarono, e un bacio concluse quella loro piccola conversazione.
Maria sapeva veramente cosa fare e come dimostrare i suoi sentimenti per il marito. Sentimenti che erano pienamente e completamente corrisposti da Simone. Stavano benissimo insieme e, anche se ormai il loro matrimonio aveva raggiunto la maggior’età, dal momento che avevano compiuto diciotto anni di matrimonio a giugno di quell’anno, per loro quei sentimenti non avevano fatto altro che aumentare. Nonostante problemi e incomprensioni che ancora, ogni tanto, potevano esserci.
Il campanello del timer concluse quel momento romantico.
“Vado su a informare Giuseppe. Voglio essere il primo a farglielo sapere! Sono sicuro che sarà contentissimo!” disse Simone. Ne era certo perché da quando aveva conosciuto la storia di Policoro, Giuseppe aveva sempre provato a convincere i genitori ad andare lì in vacanza, senza mai riuscirci.
“Illuso!” rispose ridendo Maria.
“Perché!?” chiese Simone.
“Niente! Vai su e lo scoprirai!”
Simone corse al piano di sopra a parlare con Giuseppe.
Non fece neanche in tempo ad entrare che venne accolto da un euforico, a dir poco, Giuseppe.
“Grazie Papà! È il regalo più bello che potessi farmi! Grazie! Grazie veramente!” disse Giuseppe senza neanche lasciare parlare suo padre.
“Grazie per che cosa?!”
“Come per che cosa! Andiamo a Policoro a Natale!!! Grazie!!”
“Ma come hai fatto a saperlo?” chiese Simone incuriosito.
“Come ‘come faccio a saperlo?’! me l’ha detto Simone che l’ha saputo cinque minuti fa da suo padre! Sono felicissimo!”
“Scendi che è pronta la cena!” disse, dispiaciuto di non aver potuto dare la notizia a suo figlio. Ma ampiamente soddisfatto della felicità che, in ultima analisi, lui gli aveva arrecato.
Era il 12 Dicembre, e Sabato 23 sarebbero partiti per Policoro. dopo 23 anni. Tornando da Policoro domenica 7 Gennaio. Sperando che quei quindici giorni fossero sufficienti per scoprire qualcosa di più su tutta quella situazione.

NdA: - 
Fatemi sapere! :)
-
  
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