Serie TV > Castle
Segui la storia  |       
Autore: nikita82roma    23/01/2017    3 recensioni
Rick ha detto a Kate che non sarebbe stato a guardarla mentre buttava via la sua vita. È tornato a casa dopo la consegna del diploma di Alexis quando sente bussare alla porta del loft. Ma non è Kate, è Esposito che lo avvisa che Beckett è in ospedale gravemente ferita. Si parte da "Always" ma il percorso poi è completamente diverso.
FF nata da un'idea cristalskies e con il suo contributo.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Rick Castle, William Bracken | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Alla fine Beckett si era convinta: quando sarebbe uscita non sarebbe tornata nel suo appartamento. Avevano trovato un compromesso che forse scontentava tutti, la Gates che avrebbe voluto che andasse fuori città, Castle che l’avrebbe voluta portare all’estero e lei stessa che voleva tornare a casa sua, alla sua vita normale. Fu Jim alla fine a convincerla che non era sicuro per lei tornare lì, soprattutto dopo che qualcuno si era intrufolato a casa sua mettendo tutto sottosopra. Sembrava non avessero rubato nulla, ma sicuramente cercavano qualcosa che non avevano trovato.

Quando la Gates in persona era andata in ospedale a dire a Kate di quella intrusione in casa sua, Rick era con lei: era rimasto  in silenzio ad ascoltare la breve conversazione tra le due donne senza esprimere un’opinione al contrario di quanto faceva sempre, anche quando non era richiesta. Aveva continuato a rimanere in silenzio anche quando il capitano se ne era andato e li aveva lasciati soli, giocava con il portachiavi della macchina facendo roteare tra le dita la chiave elettronica, aprendola e chiudendola nervosamente. Litigarono, furiosamente, con Rick che accusava Kate di non pensare a se stessa e a loro e lei che accusava lui di voler interferire con la sua vita e voler prendere decisioni al posto suo. Castle se ne andò, sbattendo la porta, urlandole che poteva tornare a farsi ammazzare, come sempre, fregandosene di tutte le persone che l’amavano. Il rumore della porta rimbombò nella stanza ma ancora di più dentro di lei. Fu Castle fuori da lì a chiamare Jim e spiegargli quanto accaduto e a chiedergli di provare dove lui non era riuscito, far ragionare sua figlia e Jim ci riuscì, con pazienza e determinazione, andando a toccare quei nervi scoperti di Kate che aveva imparato ad individuare quei giorni. Non le aveva detto nulla, ma aveva capito che tra lei e Castle c’era qualcosa di più dell’essere semplicemente colleghi, lo aveva capito da come lui si preoccupava per lei, da come lei parlava di lui. Le aveva anche proposto di tornare alla casa di montagna ma non aveva insistito quando aveva visto Kate opporsi con veemenza: aveva troppi brutti ricordi dell’anno precedente legati al quel posto, le sue crisi con Josh, la paura che non la faceva dormire e le faceva rivivere il momento dello sparo ogni notte, la mancanza di Castle ed il pensare continuamente alle sue parole che più voleva dimenticare, più tornavano con insistenza. Finito di parlare con suo padre aveva richiamato Rick, per scusarsi del suo comportamento e per chiedergli di andare da lei, perché gli doveva parlare. Aveva pianto, si era arrabbiata, gli aveva detto che era stanca di combattere contro i mulini a vento, contro i nemici invisibili. E anche Castle si era arrabbiato, aveva alzato la voce ma non se ne era andato, aveva ascoltato il suo sfogo e poi aveva lasciato che piangesse sulla sua spalla. Poi parlarono, con calma. Decisero, quindi, che uscita dall’ospedale Beckett sarebbe andata per qualche tempo a stare in hotel dove avrebbe vissuto sotto scorta fino a quando le acque non si fossero calmate. Avrebbe avuto bisogno ancora un bel po’ di tempo per riprendersi dall’agguato subito e lì poteva farlo in tutta calma, senza affaticarsi. Rick le aveva proposto anche di andare da lui, avrebbe avuto tutto lo spazio di cui aveva bisogno ed ogni tipo di comfort, oltretutto il suo palazzo era sicuro ed era facile poterlo mettere sotto controllo, ma lei declinò, perché non era il caso, perché era troppo presto, perché avrebbero dovuto spiegare troppe cose che lei non voleva spiegare. Non ancora.

 

Era arrivato, alla fine, il giorno in cui sarebbe uscita dall’ospedale. Quella mattina erano tutti lì. C’erano Ryan ed Esposito che l’avrebbero accompagnata nella sua nuova sistemazione. C’era Price, che negli ultimi giorni era passato spesso in ospedale a trovarla, suscitando più di qualche volta il disappunto di Rick. C’era Lanie che l’aveva aiutata a prepararsi e sistemare le poche cose che aveva lì in una borsa. C’era suo padre che la osservava in silenzio da lontano. C’era la Gates che solo con lo sguardo sembrava coordinare ogni azione, anche quella dei medici. C’erano tutti, tranne Castle. Le aveva detto che aveva un impegno improrogabile con la sua casa editrice, un’importante intervista concordata da tempo. Si era dispiaciuta, molto, anche se non aveva voluto dirglielo nè farglielo notare.

Aveva quindi ascoltato diligentemente tutte le indicazioni dei medici, le prescrizioni delle medicine che doveva prendere, la dieta che doveva seguire e tutte le attività che poteva o non poteva fare. Non poteva fare nulla, secondo lei. Tra quello che le proibivano i medici e quello che le aveva proibito la Gates aveva pensato che tanto valesse rimanere in ospedale, tanto sarebbe stata comunque chiusa in una stanza chissà dove in città a fare zapping in tv e leggere libri. Aveva già il voltastomaco e si era già pentita di aver detto sì a quella folle idea. Per quanto poi sarebbe dovuta rimanere segregata? Fino a quando non avrebbero scoperto chi l’aveva aggredita? E se fossero passati mesi o anni cosa avrebbe fatto, avrebbe vissuto così per sempre? “Almeno fino a quando non sarai di nuovo in forma” le aveva detto Lanie cercando di farla ragionare ed indorandole la pillola, aveva provato a farle vedere la situazione da un punto di vista diverso, doveva comunque trascorrere quei mesi di convalescenza lontana dal lavoro, lo avrebbe solo fatto in un luogo neutro, dove non si sarebbe affaticata troppo. Beckett non ne fu troppo convinta.

Le rimaneva solo una cosa da fare. Andare in amministrazione per firmare il foglio delle dimissioni e regolarizzare la sua posizione. Aveva chiesto una copia della documentazione da inviare alla sua assicurazione e quando l’impiegata le diede al sua ricevuta dicendole che era tutto apposto ed il Signor Castle aveva già provveduto saldare il conto cadde dalle nuvole, ma fece finta di nulla, prendendo la busta con le ricevute ed il riepilogo dei trattamenti ricevuti durante la sua degenza. Uscì dall’amministrazione stringendo tra le mani quella busta e tutta la sua frustrazione. Ancora una volta Castle aveva fatto qualcosa senza dirle nulla, aveva preso da solo delle decisioni che la riguardavano. Si sentiva tradita, ancora una volta e faceva ancora più male, perché non era nemmeno lì per chiedergli spiegazioni.

Seguì silenziosamente Ryan ed Esposito verso il parcheggio. Suo padre sarebbe andato con loro, glielo aveva chiesto lei, non voleva rimanere sola in un luogo sconosciuto ed anonimo, dove non c’era niente di se e della sua vita. Aveva fatto il giorno prima una breve lista delle cose che avrebbero dovuto prendergli a casa e se ne era occupata Lanie, lasciando la valigia in macchina dei detective. Non l’aveva potuta accompagnare, doveva tornare all’obitorio per un duplice omicidio commesso poco prima.

 

- Perché siamo qui? - Chiese Beckett davanti all’entrata dell’hotel di lusso dove Esposito aveva fermato l’auto. Un concierge aveva già aperto il portabagagli e messo le sue due valige in un carrello.

- È dove passerai la tua convalescenza. - rispose Ryan

- Non scherzate, la polizia non si può permettere queste sistemazioni

- No, infatti c’è un benefattore che se ne è fatto carico. - continuò l’irlandese. Non c’era bisogno che nessuno dicesse chi fosse. Kate guardò suo padre con lo sguardo interrogativo

- Tu lo sapevi? 

Jim Beckett alzò le spalle

- Non quale hotel fosse di preciso…

- Non se ne parla. Chiamate la Gates e annullate tutto.

Kate poi prese il cellulare componendo freneticamente il numero di Rick che però non era raggiungibile.

- Beckett ragiona. Non possiamo cambiare tutti i piani adesso. Rimani qui per ora, poi chiama la Gates e senti cosa ti dice.

Aprì lo sportello e fece per uscire troppo velocemente per quanto il suo fisico glielo permetteva. Si appoggiò con le mani al tetto dell’auto imprecando contro se stessa. Disse poi a suo padre che aveva cambiato idea. Voleva rimanere da sola. Un uomo all’entrata dell’hotel la avvicinò, salutò i detective in macchina, le mostrò il distintivo e poi fece segno al ragazzo addetto ai bagagli di seguirli. L’agente Forster le spiegò brevemente come si sarebbero svolte le cose ma Kate lo fermò subito dicendogli che conosceva la procedura. In ascensore tintinnava nervosamente con le dita sulla parete osservando il display luminoso che indicava i piani man mano che salivano. Si fermarono al 47 piano. Girarono nel corridoio a sinistra e a Kate non ci volle molto per capire quale fosse la sua stanza, data la presenza di due uomini fuori dalla porta in fondo al corridoio. Foster la lasciò libera di andare, osservandola camminare seguita dal concierge, mentre faceva un cenno di assenso ai due agenti di guardia che si spostarono di qualche passo per permettere al ragazzo di strisciare la carta magnetica ed aprire la porta per farla entrare, portando dentro i suoi bagagli. L’avrebbe aiutata a sistemarli in camera, ma lei lo congedò dice dicendo che voleva rimanere sola. Si rese conto di dove fosse solo quando chiuse la porta alle sue spalle e si guardò intorno in quella che non era una camera ma un vero e proprio appartamento con una cucina completamente accessoriata a vista sul soggiorno dove due ampi divani erano vicino alle vetrate panoramiche; una grande tv al plasma e un tavolo da pranzo completavano quell’ambiente molto più confortevole di quanto si fosse immaginata il luogo della sua permanenza. Una porta in fondo alla stanza separava quell’ambiente dalla camera da letto. Appoggiò la borsa sul bancone della cucina, si tolse le scarpe è camminò sulla morbida moquette fino a raggiungere l’altra stanza dove un grande letto matrimoniale dominava l’ambiente mentre da un lato c’era una stazione di lavoro e alle spalle la cabina armadio e dall’altro l’ampio bagno con la vasca idromassaggio.

Sentì il campanello della stanza ed andò ad aprire senza nemmeno chiedere chi fosse, convinta che potesse essere qualcuno dell’hotel o Foster che le dovevano comunicare qualcosa. Si trovò davanti, invece, il sorriso e gli occhi azzurri di Castle.

- Posso entrare? - Chiese vedendo che Kate non si spostava dalla porta impedendogli il passo.

- Ma certo, fai come se fossi a casa tua, anzi credo che sia così visto che paghi tu! - Disse sarcastica.

- Ti piace? - Le chiese mentre poggiava in cucina quattro buste piene di cose da mangiare che senza chiedere il permesso aveva cominciato a riporre in frigo e negli scaffali

- Non ha importanza non intendo rimanere qui a lungo, Castle!

- Perché no? C’è tutto quello di cui hai bisogno! È confortevole, ha anche la piscina e la palestra dove puoi fare gli esercizi per rimetterti in forma.

- Non voglio abusare della tua generosità. Puoi fare beneficenza a favore della polizia di New York in altri modi, aiutando chi ne ha bisogno.

- Non sto facendo beneficenza - Disse smettendo di sistemare ed andando vicino a lei - Ho solo cercato un posto dove tu puoi stare bene e non farti mancare niente.

- Non sono una delle donne che compri ostentando la tua ricchezza, Castle!

- Cosa? Kate ma che stai dicendo? Comprarti? Ma… Io… Io voglio solo il meglio per te. 

- Perché tutto questo Castle?

- Per te. Ma lo avrei fatto in ogni caso, non voglio niente in cambio. Mi dispiace se pensi il contrario, che voglio comprarti… Mi dispiace molto se pensi che compro le donne con i miei soldi. Per me non contano, servono solo a far star bene le persone importanti della mia vita e tu lo sei, che tu lo voglia o no, questo non lo puoi cambiare. - Kate non riusciva a guardarlo negli occhi, sapeva che lo aveva ferito, lo sentiva dal tono della voce e dalla postura dimessa - Io avevo fatto la spesa, avrei voluto cucinare per te qualcosa, ma forse non è il caso. Se non te la senti di cucinare puoi chiamare il room service, è tutto compreso nel pacchetto beneficenza offerto da Richard Castle alla polizia di New York. 

Rick stava per aprire la porta della stanza ed uscire quando sentì la stretta di Kate sul suo braccio.

- Aspetta… - Castle non si voltò ma si fermò - … se tu ne hai sempre voglia mi piacerebbe che cucinassi qualcosa per noi.

- Per noi? - le chiese Rick girandosi

- Per noi.

- Ok… - Sospirò lui tornando in cucina e lasciandola lì ferma a guardarlo mentre cominciava subito a tirare fuori pentole.

Una semplice pasta al pomodoro, questo le aveva promesso. Si era informato anche lui della dieta che doveva seguire e questa era ammessa. Beckett lo osservò tagliare i pomodoro freschi a pezzettini, cuocerli in padella con un filo d’olio e degli aromi e poi saltare gli spaghetti. Il profumo del pomodoro e del basilico fresco avevano invaso la stanza quando Rick con espressione estremamente soddisfatta portava i piatti a tavola. 

Mangiarono in silenzio se si escludevano i complimenti che Kate gli aveva fatto: era la pasta più buona che avesse mai mangiato, ma Rick le disse che era solo perché era appena uscita dall’ospedale e quei complimenti non valevano, li avrebbe dovuti riconfermare dopo una serie di pasti decenti.

 

- Beh… io vado… - Rick si stava asciugando le mani dopo aver messo i piatti nella lavastoviglie e ripulito la cucina, il tutto sotto lo sguardo di Kate alla quale gli aveva impedito in modo categorico di fare nulla per aiutarlo. Era rimasta appoggiata al muro guardandolo sistemare in silenzio, proprio come aveva fatto prima mentre cucinava. Pensò che nessuno aveva mai fatto questo per lei, ma era un pensiero ricorrente quando si trattava di lui. Provò rabbia per se stessa, per non riuscire ad essere diversa da quella che era, per la paura che la bloccava, per non riuscire a lasciarsi andare a quello che dentro di se voleva: lui.

Doveva darsi una scossa, fare una prova di forza contro se stessa, scavalcare le macerie del muro che lui aveva pazientemente buttato giù, ma che ancora li dividevano. Negli ultimi giorni le sembrava che invece che andare avanti avessero fatto dei passi indietro, intimoriti entrambi della situazione che stava cambiando, del doversi confrontare con loro stessi in un contesto diverso, non più riparati dalle mura dell’ospedale, dove era la situazione stessa a fornirgli l’alibi per mantenere un comportamento interlocutorio.

- Devi andare? - Gli chiese senza avere ancora il coraggio di buttarsi

- No. In realtà non ho nessun impegno.

- Allora non andare. -  Gli disse perentoria. Si era avvicinata a lui e gli aveva bloccato entrambi i polsi lasciati scoperti dalle maniche della camicia arrotolate.

- Ok… - Rick sembrava quasi intimorito dalla decisione con la quale gli parlava e lo teneva stretto.

Lasciò che si avvicinasse a lui, fino a quando non si appoggiò contro il suo petto. Era scalza, senza i suoi tacchi vertiginosi con i quali era abituato a vederla, e le sembrò ancora più un fragile oggetto prezioso da proteggere. Rimase immobile fino a quando non lasciò i suoi polsi per abbracciarlo, sentiva le dita premere sulla schiena mentre nascondeva il viso sulla sua spalla  che però non nascondeva i suoi sospiri profondi accompagnati da strette più vigorose, allora la abbracciò anche lui, circondandola completamente con le sue braccia.

Kate lasciò scivolare la mano lungo la sua schiena e Rick fece lo stesso, come se i loro movimenti fossero concordati si muovevano in perfetta sincronia e si trovarono sfiorandosi prima toccandosi poi fino ad intrecciare le loro dita in una stretta che era di più di prendersi la mano come tante volte (sempre) avevano fatto negli ultimi tempi. Era una loro promessa implicita e silenziosa, di tenersi e non lasciarsi.

I passi che li dividevano dai grandi divani della stanza erano pochi e Rick si lasciò condurre da Kate, sedendosi lui, per primo, in un angolo lasciando che fosse lei a decidere le distanze che di fatto non ci furono, annullate nel momento stesso in cui lei si mise così vicina a lui da obbligarlo ad alzare un braccio per farla adagiare addosso a lui. 

Kate accarezzò il volto di Castle, spostando la mano poi sulla nuca giocando con i suoi capelli. Si guardavano negli occhi, tremendamente vicini e lei si avvicinò ancora di più, lasciando che le punte dei loro nasi si sfiorassero, che i loro respiri si confondessero e andò anche con l’altra mano a solleticare la pelle del collo di lui ed accarezzare la sfumatura dei capelli, impedendogli di fatto di allontanarsi, non sapendo (o forse sì) che non lo avrebbe mai fatto. Rimasero un tempo indefinito così, con gli occhi chiusi, sentendosi, respirandosi. In quel momento era tutto troppo: troppa la voglia di trovarsi e la paura di perdersi, la necessità di andare avanti ed il terrore di farlo. Troppo il desiderio di loro che fu Kate a colmare avvicinandosi di più, distruggendo la distanza nello spazio e nel tempo, sfiorando il labbro superiore di Rick con la sua bocca e poi solleticandolo con le sue, facendogli capire che non era più il tempo delle parole, del temporeggiare, dei ti amo platonici e lui dischiuse la sua bocca, lasciando che fosse lei, ancora, a scegliere come e quanto assaporarsi, in un bacio che nacque dolce e lento, carezze labbra su labbra, per poi lasciarlo esplodere in tutto quello che avevano dentro e che trovò sfogo quando anche Castle prese il volto di lei tra le mani e si separò dalla sua bocca, solo per guardarla quel tanto che bastava per farle capire quanto desiderasse vivere quel momento e poi tornare a baciarla con tutta la passione e l’amore che aveva. Si erano sussurrati a vicenda un “ti amo” che era stato poi inghiottito dai loro baci che si susseguivano ora più profondi ora più delicati come se dovessero recuperare tutta la vita che avevano perduto nell’evitare quello che sembrava a quel punto inevitabile: potevano solo stare insieme.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: nikita82roma