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Autore: Amatus    24/01/2017    1 recensioni
I grandi eroi esistono per sconfiggere grandi nemici e pericoli mortali. E se il confine fra eroe e mostro non fosse così evidente? Se l'eroe non sapesse contro cosa realmente combatte? Se il nemico fosse convinto di essere un eroe?
E se il nemico più pericoloso fosse l'eroe pronto a combattere per la propria giusta causa a dispetto di tutto il resto?
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista. Questa storia ne presenta due. Due potenziali eroi. Due potenziali mostri. Distinguere l'uno dall'altro potrebbe essere più difficile di quanto si pensi.
Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative che non sapeva come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie. Non avevano più nessun significato da tempo immemorabile. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome, anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
[IN REVISIONE]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fen'Len - Figlia del Lupo'
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XXXIX

“Verrò con te.”
La voce la aveva colpita come una lama attraverso l'oscurità. L'ora era tarda e le candele che illuminavano solitamente la grande sala centrale della fortezza erano ormai spente, solo i fuochi nei grandi camini offrivano un poco di chiarore donando allo stesso tempo alla stanza ombre mobili e insidiose.
Lena era rientrata un po' stordita dalla confusione e dal vino, ma non aveva bisogno di luce o lucidità per dare un volto a quella voce roca e profonda.
Si voltò in direzione del suono e una massa scura le si fece incontro appena più consistente dell'ombra che lo ammantava.
L'emozione le aveva tolto la voce, si era accorta solo in quel momento di sentire terribilmente la mancanza di quei toni caldi e profondissimi, l'uomo dovette interpretare il suo silenzio come una domanda, perché ripeté facendosi vicino: “So che domani mattina partirai, verrò con te.”
Lena trasse un lungo respiro prima di rispondere, cercando con pessimi risultati di frenare il tremore della propria voce. “Le truppe si metteranno presto in movimento, ci rivedremo alle Selve Arboree poco prima della battaglia, non devi preoccuparti.”
Lo sguardo grigio dell'uomo sembrava danzare con il chiarore del fuoco. “Non ti sto chiedendo il permesso. Sono solo venuto ad informarti.”
Insopportabile arrogante, sapeva suo malgrado come risvegliare il suo orgoglio e tirarle fuori la peggioredelle  reazioni.
“Dovremo viaggiare veloci e siamo già un buon numero, non possiamo essere rallentati. Preparati per la battaglia e tieniti pronto, ti farò sapere quando avrò bisogno di te.”
Lena sentiva la propria agitazione stridere con il contegno calmo dell'uomo che si limitò a farsi più vicino ancora di un passo arrivando a sovrastarla completamente. Non lo ricordava così imponente, erano le ombre o quel senso di inquietudine che l'aveva afferrata a ingannare la sua percezione?
“Dovrai legarmi e gettarmi in una segreta per impedirmi di venire con te.”
La voce si era fatta ancora più bassa e decisa, e il viso del guerriero si era fatto ormai tanto vicino da poterne cogliere distintamente ogni linea.
“Potrei farlo.” Rispose senza convinzione, lasciandosi anzi sfuggire un tono ironico che l'uomo non mancò di cogliere. Un sorriso appena accennato gli increspò le labbra e Lena dovette ammettere la sconfitta.
“E sia. Ma sappi che sarà davvero un viaggio stremante, non potremo permetterci soste.”
Il guerriero parve soddisfatto, dismise l'aria minacciosa, si rilassò e fece un passo indietro. Fu Lena a questo punto a farsi più vicina e Blackwall rispose irrigidendosi e sputando fuori una domanda che sapeva di bile: “L'elfo, verrà anche lui?”
Lena rimase gelata. Niente era cambiato da quella notte trascorsa sul pavimento freddo di una locanda. Non avevano più parlato, riconosceva nello sguardo dell'uomo lo stesso identico disgusto, riconosceva la sua rabbia. Ricordò cosa aveva celato dietro una bugia che ormai aveva preso contorni di verità e fece per allontanarsi in silenzio. Sapeva di essere la principale responsabile per la direzione che quella relazione aveva preso e sapeva di dover ormai mantenere fede alle proprie bugie per evitare verità più dolorose, più spiacevoli. Girò sui tacchi per allontanarsi ma una mano più grande di quello che poteva ricordare le afferrò un gomito. Fu facile sentirne la stretta nervosa attraverso la stoffa sottile. Lena desiderò per un istante di poter fuggire, di potersi nascondere nelle ombre come a volte le capitava in battaglia. Ma la stretta era salda, e lei vi si era arresa ancor prima di provare a combattere.
“Non importa.” La voce era meno rabbiosa, più calda e la bocca che aveva pronunciato quelle poche parole era pericolosamente vicina al suo orecchio.
“Ho capito che davvero non mi importa. Voglio averti vicino, non importa se un mago del Tevinter o un elfo apostata o chi per loro passeranno la notte con te. Posso convivere con questo, ma ti voglio vicina, mi manchi.”
Lena voltò il capo appena il necessario per arrivare ad incrociare gli occhi grigi dell'uomo. Le sue parole non rispecchiavano la rabbia e il disgusto ancora presenti nel suo sguardo. Aveva malgiudicato il custode sotto molti punti di vista, ma non aveva fallito nell'individuare in lui una natura gelosa, gli errori passati la portavano però a giudicare il fatto con una maggiore apertura. Se quella era infatti la natura del custode, non aveva alcun diritto lei di definirla sbagliata. Poteva non apprezzare il giudizio implicito nelle sue parole, ma non aveva alcun diritto di imporre al custode una relazione che per lui sarebbe inevitabilmente risultata sbagliata, questa volta però voleva essere sincera. Allungò una mano per accarezzare il viso segnato dell'uomo: “Non è vero che non ti importa, ma io purtroppo non ho che questo da offrire.” Il custode aveva ormai perso la sua calma e disse trattenendo la rabbia tra i denti “Mettimi alla prova.”
“Da quando sono qui non ho mai speso la notte con altri che con te.” Il volto del custode si rischiarò per un attimo, poi la consapevolezza lo incupì di nuovo. “Non è con il sesso che misuro l'intensità o la profondità di un rapporto. Il sesso per me non è diritto di proprietà, né tanto meno può esserlo l'amore. Mi dispiace. So che per te, semplicemente, è diverso.”
La mascella dell'uomo si contrasse tanto che Lena temette di sentire il rumore dei denti spezzarsi.
La presa sul suo gomito si era allentata Lena ne approfittò per liberarsi e allontanarsi dall'uomo. “Si parte all'alba, se sei deciso a venire con noi, farai bene ad essere pronto, non aspetterò nessuno.”

 

****

Il giorno della partenza era sgattaiolata fuori dal proprio alloggio come un ladro con il timore di dover affrontare lo sguardo di rimprovero, o peggio di delusione, di guardie e soldati. Non avrebbero certo compreso il suo modo di agire, si sarebbero forse sentiti traditi o abbandonati. L'Inquisitore partiva per raggiungere il proprio clan quando lo scontro diretto contro il nemico era alle porte. Aveva già dovuto affrontare le rimostranze del Toro e di Cassandra, non avrebbe potuto sostenere la delusione di nessun altro.
La presenza imprevista del custode aveva fatto nascere dei sorrisi ironici sul volto di Varric e di Dorian che si erano scambiati velate battutine riguardo il viaggiare leggeri e i bagagli ingombranti che Lena aveva volutamente ignorato. Solas era invece sereno come sempre negli ultimi tempi, non aveva dato mostra di essere infastidito dalla presenza dell'uomo e il suo sorriso tranquillo aveva alleggerito il senso di colpa. 
Avevano cavalcato a lungo, giorni interi senza soste, se non quando i cavalli stremati, con la schiuma alla bocca e i fianchi tremanti, non ne esigevano una. Il viaggio era proceduto più velocemente di quanto non si fosse aspettata e anche più serenamente. I momenti che non trascorrevano al galoppo, i cinque godevano della reciproca compagnia, il gruppo e la stanchezza erano in grado di allentare le più complesse tensioni. 
Più si avvicinavano all'obiettivo più prendeva piede nei pensieri di Lena, il timore dei giorni futuri, dell'incontro con il clan, con la Guardiana, con Menia. I giorni si facevano mano a mano sempre più corti per lei, e il desiderio che quel viaggio non giungesse al termine diveniva un bisogno quasi fisico. Le notti spese attorno al fuoco le offrivano lo spettacolo dei suoi compagni addormentati e davano nuova linfa alla sua angoscia.
Si pentì di aver insistito per lasciare a casa le tende, un peso inutile senza dubbio, ma forse nell'intimità della tenda avrebbe trovato conforto. Desiderava un sonno pacifico come quello che Solas le aveva donato in quell'aravel umido, ma non aveva cuore di chiedere nulla all'elfo. Lo vedeva tremare ogni volta che gli si faceva troppo vicino. Quel suo gesto, quell'afferrarsi le mani dietro la schiena era forse un modo per nasconderle il tremore e quindi l'emozione? Non avrebbe forzato i tempi o spinto l'elfo a qualcosa che lo avrebbe fatto sentire a disagio. La sua presenza era tutto ciò di cui lei aveva bisogno, lui era lì per lei e non poteva esserne più consapevole. Non avrebbe forzato la mano rischiando di rovinare quel legame meraviglioso e fragile come una gemma di vetro soffiato. 

L'allungarsi delle ombre segnava anche quel giorno l'approssimarsi del momento della sosta. Scelsero un posto adatto al bivacco e si fermarono concedendo a loro stessi e soprattutto ai cavalli il meritato riposo. Accesero un gran fuoco e rimasero per un po' a guardare le fiamme, troppo stanchi anche solo al pensiero di mangiare. Man mano che il calore scioglieva i muscoli delle gambe tormentati dalle lunghe cavalcate, la compagnia si faceva allegra.
“Allora orecchie a punta, dovremmo ormai essere vicini, o sbaglio? Ci avevi promesso un posto incantevole e freddo. L'incanto mi sfugge ma senza dubbio il freddo lo abbiamo trovato.” Dorian in piedi accanto lei cercava disperatamente di scaldarsi le mani protendendole verso la fiamma. Le scoccò uno sguardo capace probabilmente di leggere dentro le sue paure perché si affrettò ad aggiungere in tono leggero: “E' arrivato il momento di studiare qualcosa per infastidire la Guardiana. Qualche idea?”
“Ti assicuro Dorian che il semplice fatto di essere qui con voi, e con le insegne dell'Inquisizione rappresenterà un fastidio notevole per lei.”
“Va bene, ma quello non richiede nessun tipo di impegno e non è divertente, dovremmo proprio inventarci qualcosa. Sai, quando ero costretto a tornare a casa escogitavo sempre qualcosa che desse ai miei genitori un buon motivo per rimpiangere di avermi fatto tornare e per avere molta fretta di vedermi andare via. Ad esempio ora sarei felice di poter tornare a Qarinus solo per poter rendere noto a tutti che, non solo l'adorato rampollo non ricompenserà i propri cari portando avanti il nome della famiglia, ma anzi, farei un vezzo del poter informare lo stuolo di leccapiedi che circonda la mia famiglia, che la speranza della casata Pavus preferisce spendere le notti con un nemico dell'impero, un triviale qunari, piuttosto che con una delle brave fanciulle che cercano sempre di propinarmi. Sarei certo così di non dovermi subire inutili cene o balli noiosi per almeno 200 anni.” Lena rise fino a sentire la tensione sciogliersi del tutto. Era il modo più allegro e diretto che il mago aveva per dirle che sapeva cosa stava passando e che senza dubbio ne sarebbe uscita. Se lui lo aveva fatto, poteva farlo anche lei. Si avvicinò all'amico che le fece passare un braccio attorno alle spalle e le stampò un bacio sulla tempia. Il timore ormai familiare di poter un giorno, ormai sempre più vicino, perdere tutto quello, fece capolino tra i pensieri di Lena, ma lo allontanò in fretta stringendosi un poco di più all'amico.
“Potrei presentarti come il mio compagno, non so se l'effetto sarebbe lo stesso, ma senza dubbio l'idea che io possa aver ammaliato un magister la riempirebbe di terrore.”
“Primo: non sono un magister. Secondo, amica mia, hai saltato qualche bagno di troppo per rendere davvero credibile la cosa. Il mio ineluttabile fascino, di contro, farebbe sorgere facilmente sospetti.”
Ridendo Lena si allontanò dall'amico, era ora di mangiare qualcosa e di prepararsi per la notte. Raggiunse le bisacce che erano rimaste vicino ai cavalli, per trarne le razioni sufficienti per la cena, ma qualcosa la bloccò all'improvviso. 
“Spendere così tanto tempo tra gli shem, ti ha rammollito Fen'len.”
Un fremito la percorse, anche se non avrebbe saputo dire se fosse dovuto alla freccia puntata contro la sua nuca o alla voce tagliente che aveva raggiunto le sue orecchie. In un battito di ciglia Lena fu testimone della reazione repentina dei suoi compagni. Solas e Dorian avevano impugnato il bastone e avevano iniziato a recitare incantesimi di qualche tipo, il suono inconfondibile della spada estratta dal fodero la raggiunse assieme ad un ringhio del custode e Bianca tra le braccia di Varric era già pronta per cantare la propria canzone. Fece appena in tempo a pronunciare una sola parola prima che la battaglia sfuggisse al suo controllo.
“Fermi.” Come cristallizzati in un attimo, i compagni la fissarono, con le armi pronte a colpire, trattenuti appena nell'impeto della lotta. Lena si voltò, e con un solo gesto rapido e fluido come lo scatto di un serpente sguainò un pugnale e lo puntò alla gola dell'assalitore. Ora poteva sentire chiaramente il metallo della punta della freccia contro la propria gola, e assaporò per intero il gusto della sfida. Era molto tempo che non le accadeva, gli scontri che aveva dovuto affrontare da quando era giunta ad Haven erano stati una faccenda da prendere gravemente sul serio, aveva dimenticato la leggera e spregiudicata eccitazione del combattimento, aveva dimenticato il tempo in cui la sfida, per quanto pericolosa non rappresentava nient'altro che un affermazione edonistica di sé. Ora invece un ghigno sprezzante le era sorto spontaneamente alle labbra e lo sguardo che sosteneva senza paura la stava guidando verso quell'ebbrezza dimenticata.
“Nonostante sia rammollita non riesci ancora ad avere la meglio su di me.”
L'arciere sorrise e ritrasse l'arma. “Mi sei mancata Fen'len.”
Se l'eccitazione della lotta inattesa aveva acceso una parte di Lena che a lungo era rimasta sopita, l'atteggiamento amichevole dell'elfo aveva ora risvegliato in lei tutti i timori e tutto l'astio che l'avevano un giorno portata a fuggire dalla sua gente.
“Dai un taglio ai convenevoli Tallis, perché siete qui?”
Ad un gesto dell'elfo sbucarono dalla boscaglia tre cacciatori con gli archi abbassati ma le frecce ancora incoccate. Lena rinfoderò il pugnale e si voltò verso i compagni: “Va tutto bene, a quanto pare siamo giunti a destinazione.”
Incrociò per un attimo lo sguardo di Blackwall e vi riconobbe senza fatica rancore e disgusto.
“I nostri esploratori hanno rilevato la vostra presenza da qualche giorno e la Guardiana ci ha mandato ad accogliervi. Siete i benvenuti nel territorio del clan Lavellan. Abbiamo il compito di scortarvi fin nei pressi del campo, dista ancora almeno un giorno di cammino quindi se volete possiamo metterci in marcia immediatamente.”
Tallis aveva parlato con un tono cerimonioso che non gli apparteneva e che Lena lesse come indisponente.
“Se l'intento era quello di accoglierci, perché ha mandato voi?”
Vide gli occhi di Tallis fiammeggiare e la sua espressione mutare soddisfatta, come di chi abbia appena messo a segno un colpo vincente.
“La Guardiana avrebbe volentieri mandato la sua Prima ad accogliervi, ma non voleva creare inutile tensione o imbarazzo.”
Il colpo in effetti l'aveva raggiunta come un pugno diretto allo stomaco. Sapeva che l'accortezza della guardiana non era dovuto ad altro che alla volontà di essere presente durante il loro primo incontro. Doveva dubitare della reazione di Menia per quanto riguardava il loro rapporto, o doveva temere l'influenza dell'Inquisitore su di lei, in ogni caso Lena ne fu ben più che grata. Non riusciva a immaginare cosa avrebbe provato se anziché essere sorpresa alle spalle da Tallis, avesse visto Menia venirle incontro lungo il sentiero.
L'elfo manteneva sul viso un insopportabile sorriso sardonico, che Lena era tentata di strappargli via a suon di pugni, si voltò invece dandogli le spalle e tornando vicina ai suoi compagni. “Abbiamo viaggiato tutto il giorno, i cavalli sono stremati. Riposeremo qui per questa notte e domani vi seguiremo al campo.” Non aggiunse una parola d'invito ma non sembrò servire. Lena vide i tre cacciatori fare ritorno nella boscaglia e Tallis avvicinarsi al fuoco.
“Fen'len, non vuoi fare le presentazioni?”

La partita iniziava in quel momento e lei doveva essere brava nel giocare solo le mosse migliori.

 

 

 

 

XL

La notte si era improvvisamente cristallizzata, quel dalish era giunto a scompaginare l'equilibrio e Solas ne era inaspettatamente infastidito.
Il viaggio era stato per lui sorprendentemente piacevole, nonostante la fatica e i ritmi forzati era tornato a sperimentare un senso di comunità e vicinanza che credeva destinato a rimanere sepolto nel passato, come molti aspetti della sua vita. Evidentemente doveva continuare ad essere sorpreso da questo mondo, forse semplicemente, la vicinanza della sua dolce amica aveva iniziato a gettare una luce più viva su tutto ciò che la circondava.
Quella sera attorno al fuoco furono dette poche parole, persino Varric si era trincerato dietro un silenzio scontroso. Tutti sentivano di dover in qualche modo tutelare l'Inquisitore in quella che doveva essere per lei una battaglia difficile. Ma tutti sapevano di non poter fare molto. Il dalish era esattamente come l'Inquisitore lo aveva dipinto, arrogante e indisponente, un sorriso provocatorio era costantemente stampato sul suo viso. Solas riusciva a fatica a sopprimere la voglia di scagliargli contro una scarica di fulmini e liberarsi così definitivamente di quel ghigno insopportabile. Avrebbe voluto farsi vicino all'elfa, ma non voleva dare modo a quel bifolco di usare il suo affetto per ferire la ragazza. Blackwall al contrario non si era dimostrato tanto avveduto. Aveva ceduto all'istinto di starle vicino. Invidiava un poco quel suo modo così fisico di manifestare i propri sentimenti. Da questo punto di vista doveva ammettere che l'uomo era molto più simile all'Inquisitore di quanto lui stesso fosse.
Eppure se avesse potuto lasciarsi andare all'istinto e al desiderio, sapeva che il guerriero non sarebbe apparso che come un ragazzino pudico e impacciato. Ma per quanta fatica gli costasse, non poteva. Non voleva. Se vi era una possibilità su un milione che lei potesse rimanere al suo fianco nel suo progetto di un nuovo mondo, non l'avrebbe sprecata mentendole o approfittando di lei. Non avrebbe commesso lo stesso errore del custode. L'uomo si era intrufolato nel cuore e nel letto di lei, indossando una maschera ed era stato il tradimento e la mancanza di fiducia che avevano distrutto il loro rapporto. Solas aveva la speranza di poter evitare lo stesso errore. Aveva sempre rifuggito la menzogna con la sua bella amica. Aveva sì, lasciato molte zone di ombra, ma non aveva detto una parola che potesse essere reputata falsa. Aveva ceduto purtroppo a momenti di tenerezza che non aveva saputo frenare e temeva di potersi dimostrare debole nuovamente, in futuro, ma non avrebbe osato più di quello. Non avrebbe permesso all'elfa di amare una maschera. Avrebbe dovuto scegliere consapevolmente di amarlo con tutto ciò che questo comportava. Avrebbe dovuto conoscere la sua vera natura e decidere di accettarla, prima che lui potesse cedere al proprio desiderio. Non l'avrebbe tradita. Non avrebbe approfittato oltre della sua fiducia. Per quanto il desiderio di stringerla tra le braccia e permettere alle mani curiose di scoprire il bel corpo di lei fosse bruciante, non avrebbe ceduto. Per lui una tale intimità, dimenticata per secoli, avrebbe significato cedere tutto se stesso. avrebbe quindi perso completamente se stesso in lei o non l'avrebbe avuta affatto. Questi pensieri risultavano incredibilmente inopportuni in quel momento e fortunatamente l'ennesimo battibecco tra l'Inquisitore e il dalish lo distrasse prima che potessero farsi più imbarazzanti.
“Fen'len vedo che ti sei circondata di uno stuolo di uomini di ogni tipo e forma. Ti piace ancora avere la possibilità di scegliere.”
Solas vide il proprio disprezzo specchiarsi nel furore dell'elfa. “Non vedo come la cosa potrebbe interessarti. Sei addolorato di non essere in lizza?”
Le parole piene di rancore suonavano stranamente maligne, non riconosceva quell'attitudine nell'elfa e ne era spiazzato.
“Al contrario, sono lusingato nel vedere con quanta energia cerchi di buttarti il passato alle spalle.”
L'elfa non fece in tempo a ribattere. Blackwall doveva aver esaurito la propria scorta di pacatezza e la sua reazione esplose violenta.
“Senti coniglio, nessuno ti ha invitato ad unirti a noi. Torna nel buco dal quale sei uscito se ci tieni ad avere ancora quelle tue brutte orecchie attaccate alla testa.”
Il sorriso sul viso dell'elfo era ora trionfante. Solas comprese la strategia e non poté che esserne affascinato, quel dalish era più furbo di quanto non dimostrasse. Rimpianse l'assenza di Iron Bull, lui avrebbe senza dubbio saputo tener testa a quella piccola serpe.
“Quindi il cane da guardia deve essere il tuo favorito. Hai scelto un bel tipo. Uno che dimostra di avere rispetto per le tue origini. Era da molto tempo che nessuno mi chiamava coniglio, deve essere un tipo raffinato.”
L'elfo aveva parlato rivolgendosi all'Inquisitore, senza degnare il guerriero di un solo sguardo. Fu la frazione di un attimo e Solas vide l'uomo balzare in piedi, afferrare il dalish per il collo e tirarlo su da terra, con il timore e la speranza che il guerriero desse davvero il colpo di grazia a quell'omuncolo insopportabile. La ragazza fu in piedi quasi contemporaneamente.
“Blackwall lascialo!” L'uomo spostò su di lei lo sguardo adirato e spinse via l'elfo con tanta forza da farlo finire a terra, prima di scomparire con passi furiosi tra la boscaglia.

“Quando torno non voglio trovarti qui.” Le parole dell'Inquisitore erano fredde e taglienti come una lama. Poi anche lei si allontanò lasciando la compagnia attonita come degli spettatori a teatro, sorpresi da una svolta inaspettata nella rappresentazione.
“Smilzo, credo sarebbe meglio che ti dimostrassi obbediente. Vattene, da bravo, prima di farti male davvero.” Era stato Varric ora a parlare con tono pungente. Il dalish ammaccato e impolverato ma con il solito sorriso persistente sul volto, si alzò e con fare cerimonioso augurò la buona notte, prima di lasciarli finalmente da soli accanto al fuoco. 
Era stato un breve temporale estivo, il passaggio di quel dalish aveva fatto scendere un gelo inatteso e per cui i compagni non si sentivano preparati. Nessuno aveva voglia di commentare il fatto e ciascuno era perso dietro le prospettive che quel breve incontro apriva sui giorni a venire. 
La notte avanzava e né l'Inquisitore né il guerriero sembravano fare ritorno. Solas notò più di una volta lo sguardo inquieto di Dorian posarsi su di lui. Aveva imparato suo malgrado a riconoscere i meriti di quel mago umano. Aveva imparato ad apprezzarne l'arguzia e la sapienza così come l'ironia e l'impudenza. Si era reso conto di aver riso molto in quei lunghi giorni di viaggio, più di quanto non gli capitasse ormai da molto tempo, per merito del mago tanto quanto di Varric. Eppure in quel momento, quel ricordo sembrava lontano come la sua vecchia vita.
“Torneranno presto.” La voce di Dorian infine spezzò il silenzio e smantellò l'ultima resistenza di Solas. Doveva riconoscere che anche quell'improbabile compagno, quel discendente di una stirpe di usurpatori, di sciacalli, era ormai diventato fin troppo simile ad un amico. Doveva davvero rassegnarsi ad essere smentito continuamente in tutto ciò che costruiva le sue convinzioni.
“Non preoccuparti Dorian. Prepariamoci per la notte, credo siamo tutti ben più che consapevoli che l'Inquisitore è in grado di cavarsela in queste circostanze.”
I tre compagni estrassero pelli e coperte dalle grosse bisacce e si sistemarono attorno al fuoco. Ciascuno sul proprio giaciglio guardava la notte passare attraverso lo scorrere imperturbabile delle stelle. Solas sapeva che non avrebbero chiuso occhio fino al ritorno dei due compagni.
Quando l'Inquisitore sbucò finalmente dalla boscaglia era sola. Solas si tirò su a sedere, Dorian e Varric, seppure svegli, finsero il contrario. La ragazza si accucciò accanto a lui e lo studiò per un po'. Il suo volto era stanco, come dopo una lunga lotta, gli occhi ardenti erano l'unico indizio di vita che rimaneva nei suoi tratti, sembrava volergli rivolgere una domanda, ma rimaneva in silenzio. Guardò i compagni addormentati, o sedicenti tali, poi gli prese la mano e si alzò in piedi. Solas la imitò senza dire una parola. Fecero pochi passi, il chiarore del fuoco riusciva ancora a raggiungerli, la ragazza sperava forse in un poco di intimità, ma probabilmente non voleva rischiare di imbattersi nelle sentinelle dalish. Gli lasciò andare la mano e solo a quel punto Solas parlò: “Dimmi, da'len.” Le parole snocciolate con un'intenzionale lentezza accompagnarono il movimento altrettanto lento di una mano ad afferrare l'altra dietro la schiena, in un gesto ormai consueto. L'elfa lo guardò negli occhi per un istante prima di rispondere. Solas in quegli occhi poteva vedere dispiegarsi per intero la propria rovina, ma non aveva ormai più armi per combatterla, poteva solo scegliere in che modo servirla.
“Non abbiamo avuto modo di parlare da quando abbiamo lasciato Skyhold. Non ho idea di cosa tu stia pensando di me in questi giorni. Puoi chiedermi ciò che vuoi, ma vorrei che sapessi che non ti ho mai mentito con una parola o con un solo gesto. Mi credi?”
Solas sapeva che la ragazza si riferiva a Blackwall. In quei giorni lo aveva visto osservare cupo i movimenti dell'Inquisitore e li aveva a volte sorpresi a scambiarsi sguardi che sembravano voler incendiare la distanza che li separava. Ma di certo non poteva dirsi geloso, qualunque cosa ci fosse tra la sua bella elfa e quel rozzo bugiardo, aveva smesso di infastidirlo nell'attimo esatto in cui lei aveva riversato sullo stesso Solas un'inspiegabile ma concreta passione. Quando lei, persa in un sogno quanto mai reale, lo aveva sorpreso baciandolo con uno slancio pieno di tenerezza, il custode aveva smesso di infastidirlo con la sua presenza.
“Non mi devi alcuna spiegazione.” L'emozione lo aveva improvvisamente privato della sua proverbiale eloquenza.
“Non so cosa ci sia fra me e Blackwall, ma non posso e non voglio negare che qualcosa effettivamente esiste. Ma non ha niente a che fare con...” Solas vide chiaramente un “noi” morirle sulle labbra. C'era davvero un “noi” che lo riguardava nel cuore di lei, quindi. La consapevolezza era lieve e piacevole come un bacio a fior di labbra e lo portò a colmare la distanza tra loro, le mani rimanevano però ancorate dietro la schiena, gli occhi fissi in quelli di lei. “Ciò che c'è tra voi non mi riguarda e non mi impensierisce. Venhan dovresti concedermi un poco più di credito.” Il volto della ragazza si illuminò sotto il doppio effetto di un un sorriso appena accennato e del chiarore prodotto dai tatuaggi. Solas non trattenne più le mani e due dita curiose presero a tracciare le linee lucenti.
“I Vallaslin?” la voce dell'elfa era incerta, e lui rispose alla domanda con un semplice gesto della testa.
“Credo di aver capito cosa li fa risplendere, anche se non posso sapere il perché.” Esitò un momento e sfuggì il suo sguardo. Quando lo rialzò su di lui gli occhi erano ardenti e i tatuaggi brillavano con forza.
“Si illuminano quando mi sei vicino, quando ti vorrei più vicino. Quando vorrei...” esitò solo per un attimo, un attimo in cui Solas sentì le gambe farsi molli, poi concluse decisa: “te.”
Solas sentiva tutta la propria cautela abbandonarlo, sentiva i buoni propositi sfuggirgli tra le mani. Le dita accarezzavano la pelle morbida del volto della ragazza, ne inspirava il profumo e i begli occhi accesi avallavano la confessione appena fatta. Lei lo desiderava. Più il suo volto si faceva bello, rischiarato da quello strano incantamento, più lei lo desiderava. Come poteva resistere ad una rivelazione tanto semplice e travolgente? 
Il rumore prodotto dal custode di ritorno dal bosco, lo strappò a quella malia. Riportò svelto le mani dietro alla schiena, strinse forte fino a farsi male, fino ad allontanare da sé pensieri insidiosi. Poi sorrise alla ragazza. I tatuaggi erano tornati quasi completamente inerti, ma gli occhi apparivano ancora febbricitanti. “E' ora di andare a dormire, Venhan. Ci attendono delle giornate difficili.”


 


Ecco qui un nuovo capitolo a distanza, questa volta, esattamente di un mese. Questo capitolo e il prossimo sono completamente fuori canon. Nel senso che riguardano strettamente il mio inquisitore e il suo clan. Mi sono ispirata solo parzialmente alle missioni del tavolo della guerra, quelle secondo le quali il clan potrebbe essere salvato o distrutto completamente. Spero che non risulti noioso o troppo fuori contesto. Dopo il prossimo capitolo torneremo in carreggiata dritti dritti verso la conclusione. Non faccio promesse ma il prossimo capitolo potrebbe arrivare un po' prima rispetto a quanto accade ultimamente.
Grazie a chi segue, silenziosamente o meno. Questa storia ha raggiunto un numero di preferiti/seguiti che non mi sarei mai aspettata e che non sono certa di meritare. In ogni caso grazie, grazie.

 

   
 
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