Film > Le 5 Leggende
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Autore: Roiben    24/01/2017    0 recensioni
Ancora poco, solo qualche metro, e infine sarà libero.
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«Tu chi sei?»
«Boogeyman, e tu?»
«Katherine»
Genere: Angst, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emily Jane Pitchiner, Kozmotis 'Pitch' Pitchiner, Nuovo personaggio, Pitch
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La Strada Verso Casa'
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capitolo 32 – Influenza




È piacevole il lieve tocco delle sue dita affusolate sulla fronte e fra i capelli; sembrano le ali di una farfalla, ma sono molto più calde e fanno meno solletico. A lei piace sentirlo vicino, e non importa che stia in silenzio. Il suo silenzio va bene; sa che non deve aspettarsi nulla di poco simpatico, sa che se non dice nulla è solo perché sta pensando (quanto pensa, Pitch!) e non perché è arrabbiato con lei. È un silenzio confortante, come una morbida felpa nelle giornate più fredde. Le sue labbra si distendono e Katherine si addormenta con in volto un’espressione rilassata e appagata.



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Quando si ridesta lo fa consapevole del fatto che il tocco sulla sua fronte è cambiato.


«Sei calda, tesoro. Forse hai un po’ di febbre» ipotizza la nonna, seduta al suo fianco sul materasso.


«Forse» conviene Katherine in un soffio appena.


La nonna la copre meglio e le accarezza gentilmente una guancia.


«Vado a preparare un po’ di tea caldo. Non ti scoprire, o prenderai freddo» si accerta, prima di lasciare la stanza.


Le sue palpebre sfarfallano confuse. Si sente un po’ intontita, come se ci fosse nebbia nella sua testa. Sospira e scopre di avere anche il mal di gola. Dev’essersi presa un gran bel malanno.


«Uff» brontola contrariata.


Si volta su un lato, trascinandosi svogliatamente dietro le coperte, e lo vede. Appiattito in un angolo in ombra, le braccia avvolte attorno alle spalle, le labbra serrate in una linea rigida e gli occhi vigili fissi sul letto: Pitch.


«Ciao» mormora, provando inutilmente a sollevarsi.


Lo spirito sgrana gli occhi e tenta un passo avanti per impedirle di muoversi, ma proprio in quel momento la porta si riapre, facendo entrare la donna che regge fra le mani un piccolo vassoio con il tea annunciato, così Pitch è costretto a rintanarsi nuovamente nel suo angolo ad attendere in silenzio. Non che la donna possa realmente scorgerlo, ma preferisce non correre il rischio di incrociarne la strada, se possibile.


«Vuoi qualcosa da mangiare?».


Katherine scuote piano la testa. «Non ho fame. Grazie».


La nonna annuisce, comprensiva, e l’aiuta a mettersi a sedere e a bere il suo tea caldo.


«Se ti viene fame chiamami, d’accordo?» si assicura, prima di lasciare nuovamente la stanza.


«Ok» promette la bambina, rimettendosi docilmente sotto le coperte.


Il silenzio che permea l’aria nei successivi minuti è quasi assordante. Katherine può sentire unicamente il suono del proprio respiro. Null’altro incrina quella calma irreale. Con un po’ di impaccio, torna a voltarsi verso la parete in fondo alla stanza, individuando immediatamente la buia figura dello spirito, immobile nell’ombra. La tristezza, d’un tratto, pervade il suo piccolo cuore, al pensiero che quella, con tutta probabilità, è stata per lungo tempo l’esistenza del suo Pitch: relegato in un angusto angolo in ombra. I suoi occhi dorati la stanno ancora osservando, instancabili. Non sembra aspettarsi nulla; rimane semplicemente fermo, in attesa di un qualunque cambiamento.


«Pitch» sussurra.


I suoi occhi si fanno più attenti, ma ancora non si muove.


«Non è pericoloso, sai» assicura Katherine. Allunga una mano sulla coperta. «Vieni?» offre, accennando uno stentato sorriso.


Lui si guarda intorno, circospetto; sembra intento ad ascoltare il silenzio per percepire qualsiasi possibile cambiamento. Infine, evidentemente, decide che le precedenti parole della bambina possano essere veritiere e, lentamente, si scosta dalla parete e raggiunge i piedi del letto, posando una mano leggera sulle gambe di Katherine.


«Come ti senti?» chiede in un mormorio appena.


«Stata meglio» biascica lei, sbadigliando stanca.


«Io…» prova Pitch, incerto.


«No» lo interrompe lei. «Non tu. Lei» precisa, sicura.


Lui trattiene il respiro e china la testa, addolorato.


«Quella era…» riprende Katherine, aggrottando la fronte. «Era lei, sì? Tua figlia» chiede, turbata.


Pitch annuisce lentamente ma non emette nemmeno un fiato.


«Tu sei… Sei il suo papà».


Gli occhi di Pitch scrutano insicuri il volto contratto di Katherine, attendendo che lei dia voce ai suoi dubbi.


«Sei il suo papà» ribadisce. «Ma lei ti ha detto delle cose così brutte».


«Sì» soffia lui, triste.


Lo sguardo di Katherine si infiamma improvvisamente.


«Beh, questo non è giusto! Lei ha te, ha ancora un papà e… invece di essere felice che non è da sola, ti tratta male! Perché?!» sbotta nervosa.


Lui la fissa un lungo momento, attonito, poi scuote la testa.


«Mi odia» ammette ferito.


Katherine trema. Pitch, impensierito, cerca di coprirla meglio. Lei però non trema per il freddo, ma per la rabbia.


«Non sei tu che sei cattivo! È lei! Se tu… S-se tu eri il mio papà, io non ti scacciavo via, ti tenevo stretto a me, sempre. Ma io… il mio papà non ce l’ho più, e non lo posso tenere sempre con me. E lei… non capisce niente!».


Pitch si allunga e la stringe fra le braccia, carezzandole i capelli e mormorando pacatamente per tranquillizzarla. E quando, dopo diversi minuti, Katherine si riaddormenta poggiata al suo petto, lui la riadagia piano sotto le coperte e rimane al suo fianco, chiudendo gli occhi e prendendosi il lusso di immaginare, per un attimo, un mondo ideale nel quale la sua bambina gli sorride e lo chiama papà.



La mia famiglia è la mia forza e la mia debolezza.” (Aishwarya Rai)


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Il ricordo della felicità non è più felicità; il ricordo del dolore è ancora dolore.” (Albert Einstein)






  
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