… Nota
Autore …
Salve
a tutti, gente di EFP. Vi presento il primo capitolo del mio secondo romanzo,
nonché primo che verrà davvero pubblicato! Sono davvero entusiasta, e sono
certo che la maggior parte di voi possa capirmi. Fin da piccolo ho sempre
sognato di diventare un vero scrittore, e adesso finalmente è quasi fatta. Il
romanzo sarà pubblicato nelle prossime settimane, mi piacerebbe però avere un
parere da parte vostra, così ho deciso di pubblicare qualche capitolo alla
volta (non penso più di 4-5). Quindi se vi va, recensite e fatemi sapere cosa
vi piace e cosa no. Grazie davvero per regalare alla mie parole il vostro
tempo.
Buona
lettura.
Capitolo 1
La città senza sorrisi
E |
velyn aspettava da così tante ore che
ormai ne aveva perso il conto. Se ne stava lì, tremante, in coda per un pezzo
di felicità. Intanto nuvole minacciose si stavano lentamente avvicinando verso
quella città di inermi prigionieri. Sembrava quasi volessero beffarsi di loro
derubandoli della timida luce delle stelle, la sola che rischiarava quella
triste e fredda notte priva di luna. La
giovane ragazza dai capelli color fuoco cominciò a credere che non sarebbe
rincasata in tempo prima che un prepotente acquazzone le strappasse via anche
quel pizzico di salute rimasto. Magari si sarebbe rivelato l’ultimo ostacolo di
una vita che era stracolma di difficoltà, ma che non si era ancora spenta
grazie a una volontà continuamente in lotta con un corpo bisognoso di morte.
Stavolta però Evelyn non era certa che la sola determinazione sarebbe bastata,
perché mai come in quel momento il suo fisico supplicava una tregua che però
non poteva concedergli. E se gli occhi stanchi imploravano riposo, la mente,
per quanto offuscata, non poteva che ordinare di resistere. Con quel briciolo di lucidità rimasta
osservava il mondo ostile che la circondava e ovunque si voltasse vedeva uomini
molto più grandi di lei; ne scrutava i volti. Per mantenere occupata la mente e
non farsi dominare dal sonno cercava di coglierne l’essenza, di scoprire quale
fosse l’emozione a essi incatenata. Erano visi da cui trasparivano chiaramente
le più diverse sensazioni, ma Evelyn era perfettamente in grado di percepire
anche quell’unica caratteristica che li accomunava davvero. Dietro ogni
smorfia, ogni lacrima, ogni sospiro si celava infatti una prigionia alla quale
tutti gli uomini erano costretti. Ma allora qual era il loro vero volto? Di
certo non quello che mostravano superficialmente… Riusciva bene a comprendere quella situazione
di assoluto disagio, però in quel momento non era capace di esserne pienamente
triste, o quantomeno non era libera di farlo. Tutto ciò che riusciva ad
avvertire chiaramente e senza alcun filtro era una pressante agitazione che
come Evelyn non si riposava mai, e che esplose quando uno degli uomini che
stava scrutando incrociò il suo sguardo. Lei abbassò immediatamente il capo,
cercando invano di reprimere la sua emozione, ma l’ansia non sembrava avere la
benché minima intenzione di abbandonarla. Ora più che mai si sentiva torturata
da essa, come se una voce nella sua testa le assicurasse che tutto sarebbe
andato nel peggiore dei modi. Ma in
fondo le restava solo un’ora di prigionia, solo un’ora prima che fosse
obbligata ad assumere un’altra pillola.
Tirò fuori dagli indumenti le tre restanti, scrutandole come fossero il
suo bene più prezioso, sebbene nessuna di queste prevedeva effetti
soddisfacenti. Con i loro diversi colori era semplice essere tratti in inganno,
pensare che potessero rappresentare qualcosa di gustoso e saporito, o comunque
positivo, ma la verità era che quei confetti erano quanto di più crudele e
spaventoso esistesse al mondo… Quando la fila tornò a muoversi, la ragazzina
svuotò il contenuto della sua mano per riporlo nella stessa tasca da cui fu
estratto. Ormai mancava poco a mezzanotte e differentemente da quasi dodici ore
prima, adesso riusciva a vedere perfettamente la meta ma non più la partenza.
La coda umana, seppur lentamente, non smise un attimo di avanzare, finché
finalmente anche l’ultimo uomo davanti a lei andò via. Se ne fosse stata in
grado avrebbe provato un gran sollievo, ma per il momento - o meglio - per gli
ultimi minuti, tutto ciò che poteva avvertire era un’ansia struggente.
“Una pillola, grazie” fece la ragazzina,
senza mettere da parte l’agitazione nemmeno nel tono di voce. L’uomo al di là
del vetro prese uno dei tanti sacchetti a disposizione e lo portò fuori dalla
piccola apertura. Lei allungò la mano per afferrare la busta di carta, ma
proprio quando quell’individuo lasciò la presa per cederla a Evelyn, il
sacchetto cadde a terra. Lei rimase immobile.
“Senti, inutile donna, non siamo qui per
perdere tempo!” minacciò l’anziano e irruente signore alle sue spalle. La
strattonò violentemente di lato, facendola cadere a terra. Il vecchio la
osservò un momento, digrignando i denti parecchio ingialliti, poi le sputò
vicino per accentuare il suo impeto violento, finché finalmente pensò a sé e ai
propri affari. Evelyn, ancora scossa, raccolse il suo pacco velocemente e si
discostò in fretta dalla lunga fila. Estrasse la pillola dal sacchetto, il
quale fu immediatamente gettato al suolo con noncuranza, aggiungendo l’ennesima
goccia a un oceano di rifiuti. Si voltò un attimo indietro nella speranza di
incrociare di nuovo lo sguardo di quell’uomo, ma non ebbe successo. Tornò a
guardare dritto davanti a sé nascondendo la pasticca azzurro cielo nella tasca
vuota, senza uscirne mai la mano e senza smettere di toccarla, per avere la
costante certezza di non perderla. Ripensò subito a quello che le era successo,
al volto del signore oltre il vetro. Al suo sorriso. Era talmente raro trovarne
uno in quella folle città che il solo vederlo la stupì enormemente: in quasi
ventiquattr’ore, quella era stata l’unica occasione in cui non aveva avvertito
alcuna forma di ansietà. E più ci rifletteva sopra, più si rendeva conto di
essere sempre meno vittima di inutili paure, e questo poteva significare solo
che l’effetto della pillola ingerita ore prima stava scemando. Era convinta di
avere a disposizione un po’ più di tempo, ma a quanto le rimaneva una manciata
di minuti per tornare a casa. Aumentò la velocità, mentre una goccia d’acqua le
colpì la guancia. Solamente dopo poche decine di metri anche una leggera brezza
investì il suo corpo, via via più bagnato da una pioggia sempre più insistente.
Il terreno si fece presto fangoso; poteva sentire l’acqua sporca, filtrata
dalla suola consumata, che le inumidiva la pianta dei
piedi. Ma qualunque disagio fisico avesse potuto incontrare, non sarebbe stato
sufficientemente forte da cacciar via quella stupenda quanto indescrivibile
sensazione. Ormai era totalmente svincolata da ogni obbligo e non esisteva
momento migliore di quello, per un cittadino di Distòpia.
Fu in grado di liberare un sorriso, per poi incupirsi un attimo dopo vedendo un
uomo cadere al suolo e morire. La gente non faceva più molto caso ai morti
sull’asfalto, era sempre più frequente trovarne in giro. Evelyn non poteva fare
a meno di riflettervi sopra e rammaricarsene, ma questo la portò immediatamente
ad assaporare la gioia. Poteva imbattersi in qualunque tipo di emozione, senza
essere soffocata da una in particolare. Per quanto potesse sembrare
paradossale, era lieta di aver provato tristezza perché era sua, reale. Era
consapevole però che, come sempre, la libertà durava poco, troppo poco, ma
nonostante ciò per lei era inevitabile non essere contenta per la fugace
indipendenza ritrovata, anche adesso che le mancavano poco più di tre minuti
prima che il suo corpo perdesse per sempre conoscenza. Accelerò ulteriormente il passo, ignorando la
disperazione di una donna che piangeva senza motivo, evitando di avvicinarsi a
un uomo urlante e spaventato anche dalla propria ombra. L’effimera felicità
raggiunta si affievolì presto. Provava pena per la sua gente, commiserazione
per se stessa. Adesso che poteva analizzare con chiarezza ciò che le stava
intorno, non poteva evitare di soffrire. Una lacrima scivolò suo volto, la
quale si confuse con quelle delle nuvole, mentre l’ansia tornò prepotente.
Stavolta però non era per nulla irrazionale, stavolta derivava dal suo vero io.
Odiava quel mondo, detestava la sua vita. Uomini senza arbitrio che per vivere
dipendevano da quegli odiosi confetti colorati, questa era la realtà a cui
erano tutti condannati. Adesso aveva paura. Adesso era confusa. Non era mai
stata soggetta a tante emozioni in una volta, non era più in grado di gestirle.
Sentiva di aver bisogno di quelle pastiglie, avvertiva per la prima volta la
necessità di essere prigioniera. Due
minuti ancora. Forse non sarebbe
arrivata in tempo. Continuò a correre, con fare sempre più frenetico. Una madre
non poteva evitare di ridere istericamente mentre abbracciava la salma del
proprio bambino appena morto. Per Evelyn era chiara la pazzia che la donna era
costretta a manifestare, ma sapeva anche che nel profondo piangeva, sebbene non
potesse in alcun modo mostrare il suo vero volto. Presto, molto probabilmente,
avrebbe raggiunto il figlio, si sarebbero rivisti in un mondo migliore di
quello schifo di città. Un ultimo minuto. La pioggia era diventata
particolarmente aggressiva, sarebbe potuta sfociare in diluvio entro pochissimo
tempo. Aveva appena lasciato la maggior
parte della gente alle sue spalle, ma non riusciva ad abbandonare con loro
anche le sue paure. Chissà, forse la sua vera natura era la codardia. Evelyn
non lo sapeva, non conosceva chi fosse davvero, ma d’altronde cinque minuti non
potevano bastarle per crearsi un’identità. Trecento secondi erano troppo pochi
perché il suo volto potesse conoscere i segni delle sue vere emozioni. Suo
fratello minore l’aspettava da troppe ore, ma i due si erano ripromessi di non
assumere una nuova pillola fino a che non fosse stato davvero necessario.
Avrebbe voluto passare quei pochi attimi di libertà con lui, come faceva
sempre, ma stavolta forse non ne sarebbe stata in grado. Quando finalmente vide la sua modesta baracca
alla fine della strada, una prematura felicità la pervase. Non le importava più
la stanchezza, il dolore fisico, il freddo, i vestiti zuppi. L’unica e sola
cosa che adesso davvero era necessaria si trovava dentro quella casetta.
“Sam!” urlò Evelyn quando spalancò la
porta, volendo illudersi di avercela fatta. Si guardò subito intorno, ma nel
monolocale non c’era anima viva. Qualunque fosse l’emozione positiva sfiorata,
si allontanò immediatamente. Tornò fuori nella disperata ricerca del fratello,
mentre mancavano ormai solo una ventina di secondi. Guardò la felicità nella
sua mano, ma decise di riporla nuovamente in tasca. Estrasse le pasticche della
noia, della rabbia e del rimorso: non aveva altra scelta.
“Sam!” tornò a gridare per un’ultima
volta disperata, sebbene fosse tutto inutile. Pioggia e vento sembravano
essersi alleati per generare una tempesta di quelle che non si vedevano da
tempo. Ma i capelli di Evelyn continuavano ad ardere di rosso anche sotto la
pioggia, la sua determinazione si manteneva ritta anche alla volontà della
corrente d’aria di piegarla. Ecco chi era, ecco qual era il suo vero volto. Era
una ragazza, una giovane donna, ma soprattutto una sorella. Nel suo viso
prendevano forma il coraggio e la risolutezza che forse non possedeva, ma che
si costringeva ad avere. Anche adesso che era libera, quello che mostrava non
rappresentava la sua vera natura, ma almeno stavolta si trattava di una sua
scelta. Per quegli ultimi istanti, la verità che nascondeva il suo sguardo
fiero non sarebbe stata affatto prigionia, ma affetto puro e sincero per un
fratello che amava più di ogni altro individuo. Prese poi fra le tre compresse
sulla sua mano quella blu notte. La guardò pochi istanti con disprezzo,
inghiottendola subito dopo a malincuore, giusto in tempo per non morire.
Violentemente iniziò a divampare in lei il rimpianto di non aver corso più
rapidamente, di non essere arrivata prima. E dov’era finito suo fratello?
Accusava pesantemente se stessa di non aver portato Sam con sé, così che
avrebbero potuto condividere la pillola subito dopo averla ottenuta. Era tutta colpa sua. Sua e di nessun
altro. E mentre il rimorso la
schiacciava senza pietà, lei continuò a chiamare l’unico essere a cui voleva
bene con tutta la voce che aveva in corpo, ma le sue parole non fecero altro
che disperdersi nel vento, così come la sua libertà.