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Autore: Inganno    24/01/2017    0 recensioni
Cosa faresti se potessi provare una sola emozione per volta? E se questa fosse inevitabilmente negativa?
Evelyn lo sa bene, perché è proprio questa la condizione in cui vivono lei e gli abitanti della sua città.
Ogni pillola un’emozione diversa.
Ogni pillola una durata diversa.
Anche Jenny comprende cosa significhi essere una prigioniera, poiché vittima delle brutalità degli adulti senza cuore che lavorano nell’orfanotrofio in cui vive da quasi diciott’anni.
Solo l’intreccio delle loro vite sarà capace di permettere loro di affrontare un lungo e pericoloso viaggio, colmo di insidie ma anche di amore, al termine del quale poter finalmente trovare la libertà da sempre agognata…
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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… Nota Autore …

Salve a tutti, gente di EFP. Vi presento il primo capitolo del mio secondo romanzo, nonché primo che verrà davvero pubblicato! Sono davvero entusiasta, e sono certo che la maggior parte di voi possa capirmi. Fin da piccolo ho sempre sognato di diventare un vero scrittore, e adesso finalmente è quasi fatta. Il romanzo sarà pubblicato nelle prossime settimane, mi piacerebbe però avere un parere da parte vostra, così ho deciso di pubblicare qualche capitolo alla volta (non penso più di 4-5). Quindi se vi va, recensite e fatemi sapere cosa vi piace e cosa no. Grazie davvero per regalare alla mie parole il vostro tempo.

Buona lettura.

 

 

 

Capitolo 1

La città senza sorrisi

 

E

velyn aspettava da così tante ore che ormai ne aveva perso il conto. Se ne stava lì, tremante, in coda per un pezzo di felicità. Intanto nuvole minacciose si stavano lentamente avvicinando verso quella città di inermi prigionieri. Sembrava quasi volessero beffarsi di loro derubandoli della timida luce delle stelle, la sola che rischiarava quella triste e fredda notte priva di luna.  La giovane ragazza dai capelli color fuoco cominciò a credere che non sarebbe rincasata in tempo prima che un prepotente acquazzone le strappasse via anche quel pizzico di salute rimasto. Magari si sarebbe rivelato l’ultimo ostacolo di una vita che era stracolma di difficoltà, ma che non si era ancora spenta grazie a una volontà continuamente in lotta con un corpo bisognoso di morte. Stavolta però Evelyn non era certa che la sola determinazione sarebbe bastata, perché mai come in quel momento il suo fisico supplicava una tregua che però non poteva concedergli. E se gli occhi stanchi imploravano riposo, la mente, per quanto offuscata, non poteva che ordinare di resistere.  Con quel briciolo di lucidità rimasta osservava il mondo ostile che la circondava e ovunque si voltasse vedeva uomini molto più grandi di lei; ne scrutava i volti. Per mantenere occupata la mente e non farsi dominare dal sonno cercava di coglierne l’essenza, di scoprire quale fosse l’emozione a essi incatenata. Erano visi da cui trasparivano chiaramente le più diverse sensazioni, ma Evelyn era perfettamente in grado di percepire anche quell’unica caratteristica che li accomunava davvero. Dietro ogni smorfia, ogni lacrima, ogni sospiro si celava infatti una prigionia alla quale tutti gli uomini erano costretti. Ma allora qual era il loro vero volto? Di certo non quello che mostravano superficialmente…  Riusciva bene a comprendere quella situazione di assoluto disagio, però in quel momento non era capace di esserne pienamente triste, o quantomeno non era libera di farlo. Tutto ciò che riusciva ad avvertire chiaramente e senza alcun filtro era una pressante agitazione che come Evelyn non si riposava mai, e che esplose quando uno degli uomini che stava scrutando incrociò il suo sguardo. Lei abbassò immediatamente il capo, cercando invano di reprimere la sua emozione, ma l’ansia non sembrava avere la benché minima intenzione di abbandonarla. Ora più che mai si sentiva torturata da essa, come se una voce nella sua testa le assicurasse che tutto sarebbe andato nel peggiore dei modi.  Ma in fondo le restava solo un’ora di prigionia, solo un’ora prima che fosse obbligata ad assumere un’altra pillola.  Tirò fuori dagli indumenti le tre restanti, scrutandole come fossero il suo bene più prezioso, sebbene nessuna di queste prevedeva effetti soddisfacenti. Con i loro diversi colori era semplice essere tratti in inganno, pensare che potessero rappresentare qualcosa di gustoso e saporito, o comunque positivo, ma la verità era che quei confetti erano quanto di più crudele e spaventoso esistesse al mondo… Quando la fila tornò a muoversi, la ragazzina svuotò il contenuto della sua mano per riporlo nella stessa tasca da cui fu estratto. Ormai mancava poco a mezzanotte e differentemente da quasi dodici ore prima, adesso riusciva a vedere perfettamente la meta ma non più la partenza. La coda umana, seppur lentamente, non smise un attimo di avanzare, finché finalmente anche l’ultimo uomo davanti a lei andò via. Se ne fosse stata in grado avrebbe provato un gran sollievo, ma per il momento - o meglio - per gli ultimi minuti, tutto ciò che poteva avvertire era un’ansia struggente.

“Una pillola, grazie” fece la ragazzina, senza mettere da parte l’agitazione nemmeno nel tono di voce. L’uomo al di là del vetro prese uno dei tanti sacchetti a disposizione e lo portò fuori dalla piccola apertura. Lei allungò la mano per afferrare la busta di carta, ma proprio quando quell’individuo lasciò la presa per cederla a Evelyn, il sacchetto cadde a terra. Lei rimase immobile.

“Senti, inutile donna, non siamo qui per perdere tempo!” minacciò l’anziano e irruente signore alle sue spalle. La strattonò violentemente di lato, facendola cadere a terra. Il vecchio la osservò un momento, digrignando i denti parecchio ingialliti, poi le sputò vicino per accentuare il suo impeto violento, finché finalmente pensò a sé e ai propri affari. Evelyn, ancora scossa, raccolse il suo pacco velocemente e si discostò in fretta dalla lunga fila. Estrasse la pillola dal sacchetto, il quale fu immediatamente gettato al suolo con noncuranza, aggiungendo l’ennesima goccia a un oceano di rifiuti. Si voltò un attimo indietro nella speranza di incrociare di nuovo lo sguardo di quell’uomo, ma non ebbe successo. Tornò a guardare dritto davanti a sé nascondendo la pasticca azzurro cielo nella tasca vuota, senza uscirne mai la mano e senza smettere di toccarla, per avere la costante certezza di non perderla. Ripensò subito a quello che le era successo, al volto del signore oltre il vetro. Al suo sorriso. Era talmente raro trovarne uno in quella folle città che il solo vederlo la stupì enormemente: in quasi ventiquattr’ore, quella era stata l’unica occasione in cui non aveva avvertito alcuna forma di ansietà. E più ci rifletteva sopra, più si rendeva conto di essere sempre meno vittima di inutili paure, e questo poteva significare solo che l’effetto della pillola ingerita ore prima stava scemando. Era convinta di avere a disposizione un po’ più di tempo, ma a quanto le rimaneva una manciata di minuti per tornare a casa. Aumentò la velocità, mentre una goccia d’acqua le colpì la guancia. Solamente dopo poche decine di metri anche una leggera brezza investì il suo corpo, via via più bagnato da una pioggia sempre più insistente. Il terreno si fece presto fangoso; poteva sentire l’acqua sporca, filtrata dalla suola consumata, che le inumidiva la pianta dei piedi. Ma qualunque disagio fisico avesse potuto incontrare, non sarebbe stato sufficientemente forte da cacciar via quella stupenda quanto indescrivibile sensazione. Ormai era totalmente svincolata da ogni obbligo e non esisteva momento migliore di quello, per un cittadino di Distòpia. Fu in grado di liberare un sorriso, per poi incupirsi un attimo dopo vedendo un uomo cadere al suolo e morire. La gente non faceva più molto caso ai morti sull’asfalto, era sempre più frequente trovarne in giro. Evelyn non poteva fare a meno di riflettervi sopra e rammaricarsene, ma questo la portò immediatamente ad assaporare la gioia. Poteva imbattersi in qualunque tipo di emozione, senza essere soffocata da una in particolare. Per quanto potesse sembrare paradossale, era lieta di aver provato tristezza perché era sua, reale. Era consapevole però che, come sempre, la libertà durava poco, troppo poco, ma nonostante ciò per lei era inevitabile non essere contenta per la fugace indipendenza ritrovata, anche adesso che le mancavano poco più di tre minuti prima che il suo corpo perdesse per sempre conoscenza.  Accelerò ulteriormente il passo, ignorando la disperazione di una donna che piangeva senza motivo, evitando di avvicinarsi a un uomo urlante e spaventato anche dalla propria ombra. L’effimera felicità raggiunta si affievolì presto. Provava pena per la sua gente, commiserazione per se stessa. Adesso che poteva analizzare con chiarezza ciò che le stava intorno, non poteva evitare di soffrire. Una lacrima scivolò suo volto, la quale si confuse con quelle delle nuvole, mentre l’ansia tornò prepotente. Stavolta però non era per nulla irrazionale, stavolta derivava dal suo vero io. Odiava quel mondo, detestava la sua vita. Uomini senza arbitrio che per vivere dipendevano da quegli odiosi confetti colorati, questa era la realtà a cui erano tutti condannati. Adesso aveva paura. Adesso era confusa. Non era mai stata soggetta a tante emozioni in una volta, non era più in grado di gestirle. Sentiva di aver bisogno di quelle pastiglie, avvertiva per la prima volta la necessità di essere prigioniera.  Due minuti ancora.  Forse non sarebbe arrivata in tempo. Continuò a correre, con fare sempre più frenetico. Una madre non poteva evitare di ridere istericamente mentre abbracciava la salma del proprio bambino appena morto. Per Evelyn era chiara la pazzia che la donna era costretta a manifestare, ma sapeva anche che nel profondo piangeva, sebbene non potesse in alcun modo mostrare il suo vero volto. Presto, molto probabilmente, avrebbe raggiunto il figlio, si sarebbero rivisti in un mondo migliore di quello schifo di città. Un ultimo minuto. La pioggia era diventata particolarmente aggressiva, sarebbe potuta sfociare in diluvio entro pochissimo tempo.  Aveva appena lasciato la maggior parte della gente alle sue spalle, ma non riusciva ad abbandonare con loro anche le sue paure. Chissà, forse la sua vera natura era la codardia. Evelyn non lo sapeva, non conosceva chi fosse davvero, ma d’altronde cinque minuti non potevano bastarle per crearsi un’identità. Trecento secondi erano troppo pochi perché il suo volto potesse conoscere i segni delle sue vere emozioni. Suo fratello minore l’aspettava da troppe ore, ma i due si erano ripromessi di non assumere una nuova pillola fino a che non fosse stato davvero necessario. Avrebbe voluto passare quei pochi attimi di libertà con lui, come faceva sempre, ma stavolta forse non ne sarebbe stata in grado.  Quando finalmente vide la sua modesta baracca alla fine della strada, una prematura felicità la pervase. Non le importava più la stanchezza, il dolore fisico, il freddo, i vestiti zuppi. L’unica e sola cosa che adesso davvero era necessaria si trovava dentro quella casetta.

“Sam!” urlò Evelyn quando spalancò la porta, volendo illudersi di avercela fatta. Si guardò subito intorno, ma nel monolocale non c’era anima viva. Qualunque fosse l’emozione positiva sfiorata, si allontanò immediatamente. Tornò fuori nella disperata ricerca del fratello, mentre mancavano ormai solo una ventina di secondi. Guardò la felicità nella sua mano, ma decise di riporla nuovamente in tasca. Estrasse le pasticche della noia, della rabbia e del rimorso: non aveva altra scelta.

“Sam!” tornò a gridare per un’ultima volta disperata, sebbene fosse tutto inutile. Pioggia e vento sembravano essersi alleati per generare una tempesta di quelle che non si vedevano da tempo. Ma i capelli di Evelyn continuavano ad ardere di rosso anche sotto la pioggia, la sua determinazione si manteneva ritta anche alla volontà della corrente d’aria di piegarla. Ecco chi era, ecco qual era il suo vero volto. Era una ragazza, una giovane donna, ma soprattutto una sorella. Nel suo viso prendevano forma il coraggio e la risolutezza che forse non possedeva, ma che si costringeva ad avere. Anche adesso che era libera, quello che mostrava non rappresentava la sua vera natura, ma almeno stavolta si trattava di una sua scelta. Per quegli ultimi istanti, la verità che nascondeva il suo sguardo fiero non sarebbe stata affatto prigionia, ma affetto puro e sincero per un fratello che amava più di ogni altro individuo. Prese poi fra le tre compresse sulla sua mano quella blu notte. La guardò pochi istanti con disprezzo, inghiottendola subito dopo a malincuore, giusto in tempo per non morire. Violentemente iniziò a divampare in lei il rimpianto di non aver corso più rapidamente, di non essere arrivata prima. E dov’era finito suo fratello? Accusava pesantemente se stessa di non aver portato Sam con sé, così che avrebbero potuto condividere la pillola subito dopo averla ottenuta.  Era tutta colpa sua. Sua e di nessun altro.  E mentre il rimorso la schiacciava senza pietà, lei continuò a chiamare l’unico essere a cui voleva bene con tutta la voce che aveva in corpo, ma le sue parole non fecero altro che disperdersi nel vento, così come la sua libertà.

 

 

 

 

 

 

  
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