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Autore: Halley Silver Comet    25/01/2017    2 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vento dell'Ovest - Capitolo 23



- Capitolo Ventitreesimo -
Vento di Misteri




Q
uando Gerardo si era offerto di darle la prima lezione di nuoto, Vittoria si era rallegrata a tal punto da dimenticarsi completamente di Giacomo.
Qualche giorno prima, infatti, Beatrice le aveva parlato della spiaggia di Redinoce1, dipingendola come una località perfetta per imparare a nuotare, visto che si trovava in una posizione più isolata e, pertanto, meno frequentata dai turisti. Così i due giovani, dopo essersi riforniti di tutto l’occorrente, lasciarono la villa di buon’ora per recarsi a prendere la piccola e poco affollata navetta che li avrebbe portati a destinazione.
Una volta scesi dal mezzo, Vittoria riconobbe facilmente i punti di riferimento che le aveva citato l’amica: l’indicazione per l’isolotto della Paolina e, subito dopo, la strada sterrata circondata da piante di lentisco. Per giunta, anche altre tre persone che avevano fatto il viaggio con loro si avviarono in quella direzione, confermandole che stava procedendo correttamente.
Con un gran sorriso, la ragazza invitò subito Gerardo a seguirla, pregustando la deliziosa giornata che aveva davanti.
«Non avevo mai visto il mare di questo colore!» esclamò poi, quando, una volta raggiunto l’ultimo tratto dello scosceso viottolo, 
intravide tra la vegetazione quella meravigliosa oasi.
«Direi che Ostia non può assolutamente reggere il confronto» commentò, invece, il giovane, anche lui rapito dalle sfumature che dal verde acqua viravano al blu verso l’orizzonte.

Tra la spiaggia libera ed il minuscolo stabilimento balneare non si contava più di una dozzina di bagnanti, proprio come aveva previsto Beatrice, anche se Vittoria sperò che quell’esiguo lembo di terra rimanesse tale anche dopo le dieci o, peggio, nel pomeriggio.
I due ragazzi si sistemarono non molto distanti dalla battigia, stendendo entrambi due asciugamani uno sopra l’altro per attutire quanto più possibile il contatto con la dura ghiaia.
«Oggi il mare è perfetto per fare qualche bracciata» considerò il giovane, notando la completa assenza di onde.
«Questo mi rende più tranquilla» commentò lei, poco convinta, mentre estraeva una confezione di lozione solare dalla sua borsa di paglia e la porgeva al fidanzato. «Gerardo, mi aiuteresti a mettere la crema, per favore?» gli chiese, accompagnando le parole con un sorriso sottile.
Quello, di primo acchito, si limitò a sbattere le palpebre, per poi diventare più rosso del costume a pantaloncino che indossava. Tuttavia, anche se con una certa esitazione, alla fine non si sottrasse a quella richiesta e, dopo aver preso il flacone, si avvicinò a lei, che, nel frattempo, aveva slacciato il pareo, esponendogli la schiena nuda.
Il tocco delicato ed incerto di lui, benché tradisse il suo imbarazzo, le procurò subito un dolce piacere, mettendola di buonumore, poiché le suscitava un’incredibile tenerezza pensare che stava lottando contro se stesso per lei. 
Infatti, era l’unico uomo, oltre a Marcello, che riusciva a farla sentire a suo agio anche mentre era in due pezzi davanti a lui, poiché da anni Vittoria aveva rinunciato a frequentare le spiagge nei giorni e, soprattutto, nelle ore più affollate a causa delle battutine piccanti dei ragazzi e quelle velenose delle ragazze sulle sue curve naturalmente prosperose. Ovviamente, non aveva mai badato troppo ai commenti altrui, ma non sopportava comunque di essere oggetto di fantasie perverse o di insulti invidiosi a causa di un fisico che non aveva chiesto lei di avere. Anzi, quando era più piccola avrebbe preferito essere come le sue compagne di classe, che potevano permettersi di mettere magliette più aderenti o scollate senza sentirsi dare della poco di buono; poi, con il tempo, aveva impararato ad accettarsi.
«Appena avrai finito, ricambierò il favore» propose lei ad un certo punto e subito l’altro si bloccò, facendola ridacchiare al solo immaginarsi l’espressione sulla sua faccia.
Purtroppo, però, quei momenti di quiete terminarono presto, quando un fischio acuto trapassò l’aria e congelò Vittoria: aveva già udito molte altre volte quel suono così volgare, ma, in quel contesto, conosceva una sola persona che avrebbe potuto importunarla così. Un paio di secondi dopo, nel sentire una voce tristemente nota, ebbe conferma di ciò che più temeva.
«Ciao, bellezza» la salutò Giacomo, avanzando verso di lei con passo baldanzoso.
Irritato da quell’approccio, Gerardo chiuse con un colpo secco il tappo del flacone che aveva in mano e lo gettò su un asciugamano, per poi frapporsi tra la fidanzata e il nuovo arrivato.
«Fischia di nuovo alla mia ragazza e ti ritroverai con qualche pezzo in meno!» lo apostrofò, guardandolo in cagnesco. «Non ti bastano i guai che hai causato a tutta quella povera gente?»
Per nulla intimidito da tali parole, l’altro lo degnò appena di uno sguardo compassionevole, per poi spostare subito tutta l’attenzione sulla ragazza, che lo guardava senza riuscire ad emettere una sola sillaba, incapace di capire cosa avesse fatto di male perché quel depravato venisse a rovinarle una giornata che si annunciava perfetta.
«Non ti scaldare, le stavo solo esprimendo il mio apprezzamento, così, magari, riesco a convincerla a darmi una possibilità...» ribatté Giacomo, con estrema calma, sorpassando Gerardo e avvicinandosi sempre di più a Vittoria, «visto che è davvero sprecata per un cesso come te».
Il giovane si voltò appena, ma non rispose, aprendo e chiudendo spasmodicamente le mani, tremando da capo a piedi; Vittoria, invece, quando realizzò che il suo peggiore incubo stava per diventare realtà, si sentì mancare. Come aveva fatto il suo molestatore a scoprire dove si trovava quella mattina? Si era forse appostato fuori dalla villa per monitorare tutti i suoi spostamenti con l’intenzione di pedinarla non appena fosse uscita?
«Allora, bambola, hai pensato all’offerta che ti ho fatto quando ci siamo conosciuti?» esordì, infatti, subito dopo quello, piazzandosi davanti a lei e osservandola con una brama tale che lei ebbe la spiacevole impressione che la stesse spogliando con lo sguardo.
«Offerta?» ripeté meccanicamente Gerardo, stranito e sorpreso.
«Gerardo, io...» pigolò la ragazza in risposta, senza, però, riuscire a finire la frase.
«Un’offerta da non rifiutare» continuò, infatti, Landi, increspando le labbra in un sorriso sardonico. «Tour completo di Portoferraio, cenetta esclusiva e intrattenimento notturno compreso nel prezzo» snocciolò, con evidente compiacimento.
Disgustato, il ragazzo riservò alla sua compagna un’occhiata carica di rabbia e delusione che la freddò all’istante.
«Tu sì che hai il senso degli affari» affermò, invece, subito dopo, con tono lievemente ironico, rivolgendosi a Giacomo. «Davvero un’ottima proposta per promuovere il turismo, da vero responsabile d’albergo» sottolineò, lasciando intendere che non solo aveva riconosciuto il misterioso interlocutore di Vittoria al porto, ma che si era anche ricordato di ciò che lei gli aveva raccontato quando si era allontanato.
«Gerardo, non è come credi, io...» iniziò lei, tentennante, avvertendo di aver incominciato a tremare da capo a piedi, «p-posso spiegarti...»
«No, hai ragione» la interruppe l’altro, ormai rosso, ma in quel caso di rabbia. «Io credo sempre alle cose sbagliate, a cominciare dal fatto che tra te e me potesse funzionare sul serio!»
«N-No, non...»
«Per te sono solo un sempliciotto che può essere raggirato a piacimento, ecco qual è la verità!» continuò, furibondo, raccattando nel giro di pochi secondi tutti i suoi effetti personali, mentre la giovane avvertiva che il suo cuore, gonfio di dolore, stava per dividersi in due.
«Divertiti, Vittoria» concluse, prima di voltarle sdegnosamente le spalle. Tuttavia, prima di allontanarsi definitivamente, si fermò vicino a Giacomo e gli sussurrò con voce appena percettibile:
«Meglio essere un cesso che un morto di figa come te».
Quest’ultima provocazione lasciò sia il suo destinatario che la ragazza sorpresi, anche se per motivi diversi: il primo perché, probabilmente, non si aspettava una reazione così da parte sua, la seconda perché aveva capito che, per essere arrivato a tanto, il suo fidanzato doveva aver percepito la situazione come un vero e proprio tradimento.
«Gerardo, non mi lasciare sola!» gridò, allora, Vittoria, cercando di corrergli dietro, ma, prima che potesse fare qualsiasi altra cosa, fu prontamente fermata dal Landi.
«
Vuoi andartene proprio ora che nessuno ci disturberà più?» le chiese, stringendole con forza la presa intorno al polso.
«Non mi toccare!» gli ordinò lei, sibilando e cercando di divincolarsi, ma quello non sembrò aver sentito, perché rinsaldò la presa, facendola gemere di dolore. A quel punto, la furia omicida che aveva covato dentro di sé per tutto quel tempo esplose dirompente e la ragazza gli tirò un pugno in piena faccia, esattamente come gli aveva insegnato il signor Nardone, durante le lezioni che le aveva impartito ogni volta che Marcello aveva tardato nel terminare gli allenamenti.
La boxe non è uno sport solo per uomini, anche le ragazze devono essere in grado di difendersi” aveva saggiamente sostenuto più volte il vecchio pugile e Vittoria, dopo quanto accaduto, si ritrovò perfettamente concorde.
L’impatto fu talmente violento che Giacomo lo incassò malamente e barcollò, lasciando il polso della giovane e cadendo all’indietro, rotolando poi su se stesso, gemente.
«Ben ti sta, stronzo!» gli gridò dietro lei, incurante delle nocche dolenti, affrettandosi a ficcare tutti i suoi averi nella borsa di paglia e a riallacciarsi addosso il pareo lilla, per poi lasciare la spiaggia senza curarsi dei bagnanti che avevano assistito a quel grottesco spettacolo.
Sfortunatamente, quando arrivò sulla strada sterrata, la giovane si rese conto che, ormai, di Gerardo non c’era più la più piccola traccia: doveva essere già arrivato alla fermata della navetta e aver preso il bus per tornare a Marciana Marina.
Abbandonandosi ad un sospiro di dolore, allora, Vittoria rimase per qualche istante a fissare il terreno del viottolo, inaridito e spaccato dal sole, così simile alla sua anima in quel momento: il dolore che la stava dilaniando era tale, che non aveva nemmeno la forza di piangere.
Fu allora che avvertì il senso di colpa prendere il sopravvento sul suo cuore: se solo avesse avuto il coraggio di seguire il consiglio di Beatrice e confessare tutto a tempo debito, forse l’epilogo non sarebbe stato così amaro.
***

Sotto i riflessi rosati dell’aurora, Marcello osservò il sasso che aveva scagliato rimbalzare tre volte sul pelo dell’acqua, prima di affondare tra le onde come un naufrago, similitudine con la quale trovava una certa affinità. Infatti, era proprio così che si sentiva in quel momento, spaesato e sconsolato, in balìa di eventi sui quali non aveva potuto avere pieno controllo.
Per questo, dopo la seconda notte insonne trascorsa a rimuginare senza sosta nella stanza degli ospiti, non appena il cielo aveva assunto le tinte dell’indaco, il giovane aveva deciso di scendere in spiaggia e fare quattro passi accompagnato dalla brezza mattutina. Tuttavia, nemmeno l’aria mite era riuscita a lenire la mancanza di Beatrice e, così, l’unica cosa che gli era rimasta era starsene seduto sui ciottoli a guardare l’eterno infrangersi delle onde sulla battigia, deplorando il comportamento che aveva avuto nei confronti della ragazza. Infatti, sapeva di non aver tenuto una condotta esemplare, lasciandola sola per gran parte della giornata, mentre dava la caccia agli indizi per inchiodare i due Landi: si era lasciato prendere la mano, accecato dal desiderio di vedere quelle due piaghe marcire in galera per il resto dei loro giorni.
Ripensando a quei deficienti, il ragazzo sbuffò e raccolse da terra un altro sassolino, scagliandolo lontano con tutta la rabbia che aveva in corpo, anche se presto si rese conto che sfogarsi in quella maniera non giovava affatto al suo umore, poiché l’unica cosa che davvero l’avrebbe reso felice sarebbe stato fare pace con sua moglie.
Si chiedeva continuamente come stava, se anche lei stava soffrendo, se sarebbe stata incline a perdonarlo. Dal canto suo, Marcello
l’aveva già fatto, perché era più che certo che ciò che gli aveva urlato contro era stato dettato dalla rabbia e dalla delusione, esattamente come era successo a lui, che aveva permesso al suo orgoglio di avere la meglio su tutti i buoni, forti sentimenti che provava per Beatrice.

Sospirando, ad un certo punto il ragazzo si alzò in piedi e si scrollò la polvere dai pantaloni, senza, però, interrompere le sue riflessioni. Anzi, si ritrovò a pensare a quanto gli sarebbe piaciuto telefonare a suo padre per chiedergli consiglio, mentre la sua coscienza, invece, gli suggeriva che, quella volta, avrebbe dovuto cavarsela da solo.
In fondo, il signor Giancarlo gli aveva preannunciato, in maniera più o meno velata, che ci sarebbero state incomprensioni e bisticci, perché lo conosceva bene, senza contare che aveva alle spalle parecchi anni di matrimonio, per giunta con una donna che avrebbe fatto esaurire la pazienza del più mite degli uomini.
All’improvviso, però, un gemito soffocato lo distolse dai suoi pensieri, facendolo sobbalzare. Allarmato, si guardò intorno per cercare di capire la fonte di quel suono inquietante, ma fu solo aguzzando la vista che scorse in lontananza una figurina bianca che vagava senza meta nella pineta: sembrava in tutto e per tutto un fantasma e, se Marcello fosse appena meno coraggioso e razionale, sarebbe scappato a gambe levate. Invece, rimase immobile a fissare con curiosità quell’entità poco definibile, finché, quando quella inciampò e cadde rovinosamente a terra, svelando una cascata di capelli ricci, capì che si trattava di una persona in carne ed ossa e che somigliava tremendamente a...
«Vittoria!» esclamò il ragazzo, nel riconoscere l’amica, per poi affrettarsi a raggiungerla per aiutarla a rialzarsi dal suolo inumidito dalla rugiada notturna.
A quel richiamo, però, lei non si mosse e quando Marcello le fu abbastanza vicino si rese conto che era avvolta in un lenzuolo leggero e stava tremando.
«Per la miseria, che cosa ti è successo?» le chiese, prendendola per le braccia e sollevandola di peso per rimetterla in piedi, mentre la giovane alzava la testa e lo guardava inespressiva, sul volto i segni di un recente pianto. Dal canto suo, quella non rispose subito alla domanda, anzi, fece passare diversi istanti prima di decidersi ad aprire bocca.
«Gerardo non vuole più vedermi» sussurrò, infine, trattenendosi visibilmente dallo scoppiare in lacrime di nuovo.
«E perché mai?» domandò il giovane, stupito. «Avete litigato anche voi, per caso?»
«Sì, è successo ieri e...» Vittoria, però, si interruppe improvvisamente e fissò l’amico tra l’interrogativo e l’incredulo. «Come sarebbe a dire “anche voi”?»
A quel punto, il giovane sospirò rumorosamente e ammise: «Ho avuto una... piccola discussione con Beatrice».
In risposta, l’altra lo fissò, stralunata.
«Ah» si lasciò sfuggire.
«Oltre ad essere la villa degli esuli, allora questa è anche la dimora della discordia» commentò il biondo, concedendosi una stizzita alzata di spalle.
«Villa degli esuli?» ripeté l’amica, confusa, sbattendo le palpebre.
«Lascia stare, ti spiegherò tutto dopo» tagliò corto, però, il ragazzo. Poi, notando che l’altra stava ancora tremando, anche se era fine agosto, aggiunse: «Dai, vieni con me, hai bisogno di un tè per scaldarti, così mi potrai raccontare tutto».

Nonostante il forte desiderio di fare pace con i rispettivi partner, né Marcello, né Vittoria si sentivano emotivamente pronti ad affrontare Beatrice e Gerardo, così i due decisero di andare a fare colazione in un grazioso bar con gli ombrelloni verde scuro situato in piazza Vittorio Emanuele, poco distante dal litorale.
Essendo gli unici due clienti, ebbero anche la possibilità di scegliere il tavolino, optando per quello più vicino alla chiesa di Santa Chiara, che, con la sua facciata contornata da marmo rosa, dava allo slargo prospicente un’aria molto elegante.
«Comincia tu» fece la ragazza, tenendo le mani a coppa intorno alla tazza, dopo essersi rifocillata con qualche focaccina al miele e diversi sorsi di tè nero caldo.
«Be’, la mia situazione è molto semplice» cominciò lui, osservando una coccinella che correva sul tavolo di legno bianco. «Beatrice si è arrabbiata perché l’ho trascurata. Io le ho dato della bambina e lei mi ha rinfacciato di averla sposata solo per portarmela a letto».
«Sintetico fino all’osso, come sempre!» sbuffò Vittoria, incrociando le braccia e lanciando all’amico un’occhiata indispettita. Poi, però, si ammorbidì e commentò: «Comunque, non credo che lo pensi veramente».
Non del tutto convinto da quella risposta, il giovane inarcò un sopracciglio.
«Come fai ad esserne sicura?»
«In questi giorni, visto che eravamo da sole, ho avuto modo di conoscerla ancora meglio. Si capisce che ti ama moltissimo, ma è rimasta delusa dal tuo atteggiamento, che, per inciso, non è stato certo dei più affettuosi» spiegò lei, facendo una piccola smorfia.
«Sai bene perché mi sono comportato così» ribatté subito Marcello, convinto che non avrebbe potuto fare altrimenti. Tuttavia, quello che replicò l’amica lo fece tentennare.
«Ciò non toglie che avresti potuto organizzarti diversamente, perché il viaggio di nozze è importante per una coppia: è il momento per eccellenza in cui ci si scambiano coccole e tenerezze!» osservò, infatti, l’altra. «Per come la vedo io, Beatrice si è sentita ferita ed ha voluto, in un certo senso, vendicarsi, colpendoti nel tuo punto debole: l’onore».
A quel punto, ci fu un lungo silenzio, durante il quale il ragazzo si soffermò a pensare a quanto appena udito, finendo per concordare con l’amica: anche se non l’aveva fatto con cattive intenzioni, aveva anteposto il lavoro a sua moglie, lasciandola sola per troppo tempo.
«Voleva solo che reagissi e che le dimostrassi quanto l’ami» continuò, infatti, quella, inclinando la testa da un lato.
«Be’, tutto quello che ho fatto, è stato solo per lei... è ovvio che la amo...» borbottò lui, sempre più consapevole delle sue mancanze verso la consorte.
«Oh, Marcello, sei così inesperto di ragazze che mi fai tenerezza!» rincarò, allora, la dose Vittoria, trattenendo a stento un sorrisetto. «Sai, a quasi tutte piace che il partner riservi anche un altro tipo di attenzioni, come ad esempio, passare del tempo insieme. Beatrice non pretende chissà cosa, quindi potresti anche cercare di impegnarti un po’ di più» gli spiegò poi, lanciandogli un’occhiata eloquente.
«Se mi darà l’opportunità di rimediare ai miei sbagli, volentieri» sospirò lui, abbattuto. «Chissà che sarà di noi...» aggiunse, poi citando inconsciamente Battisti2.
«...lo scopriremo solo vivendo!» ribatté l’altra, canticchiando il verso successivo della nota canzone. «Sposarsi non è un punto di arrivo, ma solo l’inizio di tutto, di un nuovo percorso di crescita a due».
Colpito dalla semplice veridicità di quell’affermazione, Marcello comprese la vera natura del suo sbaglio e quale insegnamento prezioso ne avesse tratto; mentre faceva propria quella nuova consapevolezza, lasciò vagare per qualche istante lo sguardo sulla piazza, per poi tornare a concentrarsi sulla sua interlocutrice.
«Già, hai ragione» ammise.
«Una storia siamo noi, con i miei problemi e i tuoi, che risolveremo e poi...3» intonò, allora, Vittoria, facendo finta di avere in mano un microfono ed imitando Tiziana Rivale. Di fronte a tanta teatralità, il giovane alzò gli occhi al cielo.
«Quasi quasi ti propongo per condurre la prossima stagione di Discoring4» le fece. «Almeno canalizzeresti meglio il tuo estro canoro».
«Quanto sei antipatico!» ribatté subito lei, mostrandogli la lingua. «Prendimi pure in giro, ma ricordati che, senza i miei consigli, molte volte saresti stato perso!»
Non potendo negare, ma non essendo nemmeno disposto a dargliela vinta, il biondo si limitò a fissarla inarcando un sopracciglio ed increspando le labbra, mentre lei scoppiava a ridere. Tuttavia, di punto in bianco, il riso si trasformò in lacrime.
«Ed ora, perché stai piangendo?» domandò, sconcertato da
un cambio d’umore così repentino.
«Perché i fatti hanno dimostrato che i buoni consigli so darli solo agli altri!» gli rispose l’altra, disperata. «Nonostante il mio lavoro, non sono stata capace né di proteggermi dai miei ex, né di tenermi stretto l’amore della mia vita... che ora mi odia!»
E fu così che, incapace di trattenersi oltre, Vittoria raccontò a Marcello quello che era successo, dal nefasto incontro con il giovane Landi a Portoferraio, fino alla lite che aveva avuto in spiaggia con Gerardo il giorno prima.
Nella foga, parlò molto velocemente, mangiandosi anche qualche parola, ma lui non la interruppe nemmeno una volta, poiché non faticò ad immaginare come fossero andate le cose, essendoci Giacomo di mezzo. Alla fine, dopo aver ascoltato il doloroso racconto dell’amica, si alzò immediatamente e, facendo il giro del tavolino, la raggiunse, cingendole le spalle e stringendola affettuosamente.
«Gerardo non ti odia» le sussurrò, asciugandole una lacrima con il dorso della mano. «Non sarò uno psicologo, ma io penso che se la sia presa perché gli hai mentito, non per le avances di quella chiavica».
«Come se io fossi contenta di attirare l’attenzione di soggetti disturbati!» sbottò lei, tirando su col naso e spostandosi un ricciolo dalla fronte. «Sai bene quanto ho sofferto quando le nostre compagne del liceo mi chiamavano Vittroia, perché convinte che mi mettessi in mostra con i ragazzi».
«Già» mormorò lui, ricordando perfettamente le cattiverie che la ragazza aveva subito dalle coetanee fin dai tempi della scuola. In effetti, a pensarci bene, Marcello si rese conto che l’unica sincera amicizia femminile che aveva Vittoria era quella nata con Beatrice e lui, da uomo, si accorse che non riusciva davvero a comprendere come alcune donne potessero trarre piacere da pettegolezzi e maldicenze senza fondamento ai danni di altre esponenti del loro sesso.
«Quando ho sentito Giacomo parlare della fuga in Corsica, avrei dovuto far finta di niente!» esclamò la giovane, scuotendo la testa e richiamando l’attenzione di Marcello, che mise da parte i suoi pensieri per concentrarsi su quel nuovo indizio.
«Corsica?» ripeté, sorpreso.
«Sì, quell’idiota stava prendendo accordi con un pescatore per il trasporto, suo e di altri soci» spiegò subito l’altra, voltandosi appena per guardarlo negli occhi. «Anche se, in base a quanto ha riferito Fiammetta a Beatrice, i Landi, in realtà, stanno progettando una vacanza in Andalusia».
Animato da quelle interessanti rivelazioni, Marcello si tirò su di scatto, la mente già intenta a mettere insieme, una volta per tutte, le tessere di quel complicato puzzle. Prima di riappacificarsi con sua moglie, perciò, doveva trovare tutte le prove che le avrebbero consentito di riappropriarsi della tenuta, così, forse, sarebbe stata più incline a perdonare le sue mancanze.
«Credo sia arrivato il momento di andare a parlare con il dottor Costa» disse, lentamente, sempre più convinto che quell’uomo fosse l’unico in grado di fornire gli ultimi dettagli mancanti. D’altra parte, anche se non ne era certo, c’erano anche buone probabilità che il medico, indagando per proprio conto, avesse scoperto qualche altro misfatto di Pierpaolo e suo figlio e che, proprio per questo motivo, quei due si erano decisi a far ricadere su di lui i sospetti.
«Il dottor Costa?» domandò Vittoria, perplessa, alzandosi a sua volta.
«Sì, te ne parlerò strada facendo» gli rispose il biondo, sbrigativo, togliendo due banconote da diecimila lire dal portafoglio per metterle sotto al piattino del suo cappuccino.
«Sai dove abita?»
«Me l’ha detto Leonardo».
Dall’occhiata stralunata che gli rivolse l’amica, Marcello capì che Gerardo non le aveva raccontato molto e che sarebbe stato compito suo ovviare a quelle lacune.
«Ti racconterò anche di lui» si affrettò ad aggiungere, prendendola per mano e trascinandola dietro di sé. «Ora, però, andiamo!» la incitò, prima di correre via.
***

La casupola in cui viveva il dottor Costa sorgeva ai limiti della frazione abitata di Marciana Marina, un po’ in disparte rispetto ai complessi residenziali; era circondata da una recinzione arrugginita e un orto ben coltivato, ricco di piante ed alberi da frutto, tra i quali spiccava un grande castagno che sovrastava la piccola aia, dove passeggiavano indisturbate alcune galline.
I due giovani si avvicinarono al cancello malandato, ma, nonostante fosse aperto, esitarono nel procedere oltre.
«Non c’è il campanello» notò Vittoria, soffermandosi ad osservare la targa di legno su cui era stata pirografata la dicitura Dott. Mattia Costa - medico chirurgo, unica presenza su quei pali di metallo consumato. «Credi che dovremmo entrare e bussare direttamente alla porta?»
«Tecnicamente, è violazione di proprietà privata» rispose Marcello, spostandosi per verificare se l’uomo fosse nei paraggi, «ma non credo che abbiamo alternative» aggiunse, già con un piede dentro il cortile.
«Forse avremmo dovuto telefonare» osservò giudiziosamente la ragazza. «È un medico, qualcuno dovrà pur avere il suo numero!»
«La buona educazione è un lusso che, in questa situazione, non possiamo permetterci» sentenziò, però, l’altro, asciutto, avanzando deciso. Tuttavia, venne bruscamente fermato dall’amica, la quale lo trattenne con forza per un braccio.
«Vittoria, mi vuoi spiegare cosa ti prende?!» le domandò, sorpreso.
«Non puoi entrare in casa di uno sconosciuto senza sapere da che parte sta effettivamente.
In questo posto, io non mi fido più di nessuno» mormorò lei, lanciando alla casetta un’occhiata carica di sospetto. «Doveva essere la prima vacanza con Gerardo e, invece, è diventata un incubo!»
«Be’, ti ho raccontato quello che so sul dottor Costa, per cui...» iniziò lui prima di essere bruscamente interrotto con un gesto della mano.
«Certo, certo! Da quel che mi hai raccontato, sembra anche a me una brava persona, ma come fai ad essere certo che non sia in combutta con i due Landi? O, peggio, che non sia tutta opera sua?»
«Come prova, temo di avere solo la mia parola, signorina» rispose una voce. «Quindi, sta lei decidere se credere a me o alle calunnie di quelle serpi».
Immediatamente, i due si voltarono e, sotto il castagno, scorsero il medico che li fissava, reggendo in mano un cestino pieno di melanzane e peperoni gialli e rossi.
«Buongiorno, dottor Costa» lo salutò Marcello, mentre Vittoria, invece, gli riservava uno sguardo torvo. L’uomo, però, non si scompose, anzi, appoggiò il raccolto sul davanzale della finestra per andare loro incontro.
«Cosa posso fare per voi?» domandò gentilmente, guardando prima uno e poi l’altra.
«Avremmo bisogno di parlarle» rispose subito il biondo, pronto.
«E di cosa?» lo incalzò il medico, socchiudendo appena gli occhi.
«Vorremmo chiederle di darci alcuni chiarimenti riguardo... la rogna degli ulivi».
Nell’udire ciò, quello sollevò un sopracciglio e la sua espressione si indurì, scrutandoli a fondo, come se stesse valutando se assecondarli o meno. Rimase in silenzio per qualche secondo, poi, alla fine, scuotendo la testa, cedette.
«Venite in casa. È meglio discuterne dentro».
Così, dopo essersi scambiati un’occhiata d’intesa, Marcello e Vittoria oltrepassarono il cancelletto sconquassato.

L’interno della casetta era costituito da un unico grande ambiente comprensivo di una cucina in muratura, un tavolo con quattro sedie di legno scuro e due sofà posti accanto al caminetto. Le finestre semiaperte erano coperte da tende a motivi alpini bianchi e rossi, dettaglio che, assieme alla targa e al mobilio, rafforzò in Marcello la convinzione che il dottor Costa non fosse originario dell’Isola d’Elba, come sospettava dalla prima volta che aveva sentito il suo accento, che non era certo quello della zona.
«
Siete stati fortunati a trovarmi, il giovedì di solito sono in ambulatorio solo nel pomeriggio» spiegò, avvicinandosi al lavabo. «Accomodatevi pure» li esortò poi, indicando loro i divani, mentre svuotava il cestino nella vasca d’acciaio, già piena d’acqua.
I due non se lo fecero ripetere e presero posto l’uno accanto all’altra, in modo da poter seguire entrambi i movimenti del medico.
«Preferite un tè freddo al limone o un caffè?» domandò quello, preparando sul tavolo un vassoio e appoggiandovi sopra un piatto colmo di cantucci e amaretti.
«Per me niente, grazie» rispose secca Vittoria, che continuava a squadrarlo con diffidenza.
«Se volessi ucciderla, signorina, non si preoccupi, non l’avvelenerei in maniera tanto maldestra!» replicò subito il dottor Costa, voltandosi verso la credenza per prendere tazze e bicchieri.
Indispettita, la ragazza incrociò le braccia e sbuffò, mentre il giovane si lasciava scappare un sorriso divertito.
«Il tè freddo andrà benissimo» rispose, «anche per la mia amica».
Non passò molto che l’uomo li raggiunse nuovamente, portando i dolci, una brocca piena di un liquido ambrato e tre bicchieri di vetro decorati con disegni di frutti vari, poggiando il tutto su un tavolinetto coperto da un centrino color crema.
«Lei deve essere il marito della contessina Beatrice Tolomei» disse, rivolto al giovane, mentre si sedeva sul divano di fronte a loro.
«Sì, esatto, sono Marcello Tornatore» confermò lui.
«L’ho intravista l’altro giorno, alla villa dei Neri» proseguì l’altro, versando il tè ad entrambi. All’improvviso, però, alzò lo sguardo sulla giovane e rimase a fissarla finché lei, con estrema riluttanza, non si decise a presentarsi.
«Vittoria Farnese» borbottò a mezza voce.
Tuttavia, al medico dovette bastare, perché non fece alcuna osservazione sulla palese ostilità della ragazza nei suoi confronti; anzi, passò oltre.
«Cosa volete che vi dica di preciso?» chiese, guardando alternativamente i ragazzi, mentre si metteva più comodo, sprofondando tra i cuscini.
«Ecco, dottore, in realtà... vorrei sapere quando è cominciata tutta questa storia» avanzò Marcello, ponderando bene la scelta delle parole, visto che la possibilità di tirare le somme sulle sue indagini dipendeva dalle informazioni apprese durante quell’incontro.
«Lo ricordo come fosse ieri» cominciò l’altro, «era la seconda domenica di gennaio quando Pierpaolo Landi si è presentato da me chiedendomi di comunicare agli abitanti di Marciana Marina la pericolosità dell’epidemia che aveva colpito gli ulivi della tenuta dei Tolomei, espandendosi poi anche alle piante dei poderi limitrofi».
«E lei?»
«Ovviamente, non l’ho fatto, sia perché non avevo le prove, sia, soprattutto, perché Landi e suo figlio non mi sono mai piaciuti» spiegò, facendo una smorfia di disgusto.
Quelle nuove rivelazioni, che cozzavano con ciò che l’amministratore aveva sempre detto a Guido, suggerirono al biondo che, in realtà, Pierpaolo e suo figlio stavano tramando alle spalle di Beatrice e della sua famiglia da parecchio tempo.
«Un’altra cosa: che lei sappia, la proprietà di mia moglie era in difficoltà, prima che cominciasse questa vicenda?» domandò, allora, il giovane, sentendo che quella era la direzione giusta verso cui procedere.
«Affatto» rispose senza esitazione l’uomo, socchiudendo le palpebre. «Dopo ogni raccolto, il Landi riportava dal frantoio una quantità d’olio che tutto il paese avrebbe potuto farci il bagno per un anno intero».
Quella risposta appianò definitivamente qualsiasi perplessità, facendo, però, esplodere nella mente del ragazzo un’infinità di spiegazioni alle menzogne di Pierpaolo, prima fra tutte la volontà di appropriarsi indebitamente di gran parte della rendita annuale di Villa Paolina, approfittando dell’inettitudine di Guido. Tuttavia, ogni ragionamento venne prontamente interrotto da un’inattesa richiesta del dottore.
«Ora, invece posso farle io una domanda, signor Tornatore?» esordì, infatti, di punto in bianco, osservandolo severamente. «Come mai è venuto da me a chiedere queste informazioni accompagnato da una... amica, anziché da sua moglie, la legittima proprietaria?»
«Dottor Costa, non le permetto di fare simili insinuazioni!» insorse immediatamente Vittoria, indignata, scattando in piedi. «Noi non siamo amanti, io sono innamorata di un altro uomo e Marcello non potrebbe mai tradire Beatrice!»
«Sì, è così» confermò il ragazzo, notando il repentino imbarazzo del suo interlocutore, segno che quel rimprovero era stato più che sufficiente a mettere in chiaro le cose; pertanto, prese l’amica per un braccio e la costrinse a sedersi di nuovo.
«Sono certo che il dottore non voleva essere scortese» le disse, con dolcezza, cercando di placarla, ben sapendo quanto, in quel momento, fosse suscettibile a qualsiasi allusione alla sua infedeltà verso Gerardo.
«No, no, assolutamente. Anzi, scusate l’invadenza, in fondo non sono affari miei» ammise, infatti, subito dopo l’uomo, scuotendo nervosamente il capo e lasciando intuire quanto si fosse pentito di essersi eccessivamente sbilanciato nei giudizi.
«Appunto!» convenne lei con veemenza, agitandosi sul posto. «Io non potrei tradire il mio uomo nemmeno sotto minaccia!» continuò, alzandosi di nuovo in piedi, così che il biondo dovette costringerla a riaccomodarsi una seconda volta.
«Non tutti sono devoti come lei, signorina Farnese» commentò, allora, Mattia Costa, assumendo un’espressione addolorata e Marcello ebbe l’inspiegabile, ma istintiva sensazione che si stesse riferendo a Giacomo.
«Comunque, tornando a noi, credo che io e lei siamo arrivati alla stessa conclusione: gli ulivi sono in perfetta salute» intervenne lui, per cercare di riportare il discorso sul motivo principale della loro visita. «L’ho vista giusto qualche giorno fa, mentre staccava un rametto da un albero».
Di fronte a tale affermazione, il medico non sembrò affatto stupito, perché si limitò ad osservare attentamente Marcello; poi, si alzò e si diresse verso la mensola del camino per prendere la scarsella e la pipa. La preparò con grande cura e solo quando fu pronta tornò a rivolgersi ai suoi ospiti.
«Ho fatto alcune analisi sulle piante che dovrebbero essere infette e i risultati hanno confermato tutti la stessa cosa: non c’è la più piccola traccia di malattia» disse, con il cannello tra i denti, mentre si frugava nelle tasche per cercare la scatola con i fiammiferi.
«Come spiega, allora, la morte di quel bracciante?» gli chiese, allora, il biondo, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo.
«Mio nonno era un medico condotto5 e mi ha insegnato a familiarizzare con gli assistiti» rispose quello, aspirando e soffiando per alimentare la combustione del tabacco, mentre nell’aria cominciava ad espandersi un odore pungente. «Conoscevo bene Ivano Berti, spesso ci ritrovavamo al bar a fine giornata assieme agli altri lavoratori. Inoltre, meno di un mese fa, la figlia più piccola ha avuto una severa bronchite, perciò negli ultimi tempi mi sono recato a casa loro quasi ogni sera, per accertarmi che la bimba si stesse riprendendo».
A quel punto, fece una pausa per concedersi alcune boccate di fumo più profonde, mentre i due giovani aspettavano in silenzio, senza osare muovere nemmeno un muscolo.
«Durante la mia ultima visita, mi ha chiesto un consiglio per un male che lo affliggeva, un dolore tremendo alla schiena, caratterizzato, inoltre, dalla comparsa di vescicole sulla pelle del dorso» riprese, poi, il dottor Costa, con calma, rimettendosi seduto.
«E... quindi?»
lo incalzò il giovane, impaziente di vederci chiaro una volta per tutte.
«Ovviamente, non è stato contagiato da nessun ulivo» affermò l’altro. «Ciò che penso, invece, è che Ivano Berti sia morto per un’encefalite da herpes zoster».
Per qualche istante si udì solo il chiocciare delle galline che razzolavano nell’aia.
«E sarebbe..?» domandò Marcello, corrugando la fronte.
«Oh, certo...» fece il dottore, togliendosi la pipa dalla bocca e scuotendo la testa, consapevole del suo eccessivo tecnicismo. «Ecco, avete presente il fuoco di Sant’Antonio
«Se non sbaglio, è una specie di recidiva che può colpire chi ha avuto la varicella6, presentandosi dopo diversi anni dalla malattia» intervenne, inaspettatamente, Vittoria, che da quando si era difesa non aveva aperto più bocca. Sorpreso, Marcello si voltò e la fissò, inarcando un sopracciglio, ma lei, in risposta, si limitò ad alzare le spalle, così il giovane arrivò alla conclusione che doveva aver appreso quelle informazioni in qualche corsia dell’ospedale dove lavorava.
«Esatto!» confermò l’uomo, annuendo. «È davvero raro che il virus si estenda fino al cervello, tuttavia è possibile. E, in tal caso, può casuare un’encefalite, che si manifesta con disorientamento, alterazione della personalità, allucinazioni. Ho sentito io stesso Ivano mentre vaneggiava».
Ci fu un altro momento di silenzio, durante il quale i ragazzi rielaborarono ciò che avevano appena sentito, prendendo coscienza di cosa significasse.
«In poche parole, ci sta dicendo che i Landi hanno lasciato senza cure quell’uomo, sfruttandone la morte a proprio vantaggio?» riprese il biondo, lentamente, orripilato, dando voce ai pensieri di entrambi.
«Purtroppo... sì».
In realtà, Marcello sapeva già da prima come stavano davvero le cose, ma era come se, dopo averne ottenuto la conferma, ai suoi occhi il crimine di Pierpaolo e Giacomo risultasse ancora più efferato.
Destabilizzato, fu riportato alla realtà solo dalla voce di Vittoria che, tremante, chiedeva al medico: «E se, invece... l’avessero portato in ospedale... avrebbe potuto salvarsi?»
«Su questo non mi posso pronunciare con certezza, signorina» rispose, però, l’altro, con una debole alzata di spalle, «ma Ivano avrebbe sicuramente sofferto meno. I Landi lo hanno isolato solamente per fomentare la paura nelle persone ed evitare un contagio di varicella tra i braccianti che avrebbe smascherato il loro piano».
Tuttavia, quella risposta non alleviò affatto l’angoscia dei due ragazzi, che non riuscirono a trovare parole per esprimere il loro stato d’animo.
«Dottore, lei ha riferito tutto questo alla polizia, dopo essere stato accusato?» domandò, infine, Marcello, riuscendo a malapena ad articolare la frase.
«Non ancora, ma non credo sia fondamentale, visto che il commissario ha richiesto l’esecuzione dell’autopsia» rispose quello, molto lentamente, incerto se aggiungere altro o meno e decidendo solo dopo qualche tentennamento di proseguire.
«Per giunta, Giacomo Landi sa cosa ho scoperto e mi ha minacciato: se avessi parlato, avrebbe fatto del male alla signora Neri, come se non l’avesse maltrattata abbastanza da quando l’ha sposata!» ringhiò, stringendo forte il fornello della pipa.
«E non trova, invece, che sia proprio questo il motivo principale per cui dovrebbe dire tutto quello che sa?» intervenne, allora, Vittoria, piegando appena la testa e rivolgendogli un’occhiata critica. «Quei due stanno rovinando la vita di quella povera ragazza e di un intero paese, senza contare che stanno organizzando una fuga all’estero e vanno fermati! Quando arriverà quel referto, potrebbe essere troppo tardi!»
Sorpreso da quelle informazioni, l’uomo sembrò combattere una breve battaglia interiore, che si concluse con un sospiro.
«Se le cose stanno così, non posso indugiare» acconsentì. «Spero solo che non accada niente alla signora Neri, altrimenti non potrei mai perdonarmelo».
Improvvisamente, complice l’insistente preoccupazione del medico per Fiammetta, Marcello colse il vero significato di ogni gesto e parola dell’uomo nei confronti della ragazza, a cominciare dal fatto che si ostinasse a chiamarla con il suo cognome da nubile: aveva un debole per lei. E il marito della giovane doveva esserne a conoscenza, visto che doveva averlo minacciato proprio quando gli si era avvicinato sull’aia, scatenando la violenta reazione dell’altro.
«Forse, dovrei raccontare alla polizia anche della dependance...» mormorò, poi, il dottor Costa, soprappensiero.
«Dependance?» ripeté Vittoria, sbattendo le palpebre, perplessa, mentre Marcello veniva richiamato nuovamente alla realtà.
«Sì, ogni volta che vado a trovare il signor Neri per sapere come sta dopo le trasfusioni, vedo Giacomo e suo padre che portano cassette piene di viveri in quella catapecchia che hanno dietro casa» le spiegò l’uomo, sospirando. «Poiché i magazzini sono da tutt’altra parte, ho sospettato che stessero tramando qualcos’altro e che... nascondessero qualcuno».

Qualche minuto dopo aver salutato e ringraziato il dottore per la sua disponibilità, i due giovani lo lasciarono con la sua rassicurazione che sarebbe andato immediatamente dal commissario. Marcello e Vittoria si ritrovarono, così, sulla strada di casa, intenti a tirare le fila del discorso.
«Dobbiamo scoprire chi si nasconde nella dependance della villa dei Neri!» concluse lui, infervorato dai fruttuosi risvolti che aveva avuto l’incontro appena concluso.
Tuttavia, Vittoria scosse il capo, per niente allettata da quella proposta.
«No, Marcello!» fece, ferma. «Lascia fare al dottore e alla polizia, noi ci siamo esposti fin troppo».
«Se tu non vuoi venire, non sei obbligata, ma io sento di doverlo fare» ribatté con forza l’altro, senza rallentare la propria andatura, mentre lei faticava per riuscire a stargli dietro.
«Sento che è pericoloso. Ti prego, lascia stare!» insistette ancora, ma invano.
«No, non posso, sono troppo vicino alla verità per tirarmi indietro» replicò di nuovo lui, sempre più determinato a scoprire a tutti i costi chi fossero i complici di Giacomo e Pierpaolo, anche perché aveva l’impressione che ci fosse un qualche collegamento con qualcuno che conosceva da ben prima di approdare sull’isola, ma che continuava a sfuggirgli. «E poi, si tratta solo di dare un’occhiata, senza contare che per i Landi è ormai finita: non appena Guardalupi ascolterà il dottor Costa, li farà arrestare immediatamente».
Davanti a tanta sicurezza, Vittoria si fermò in mezzo al campo che stavano attraversando e assunse un atteggiamento meditabondo, sfregando la punta della scarpa di tela blu sul terreno polveroso.
«Be’, forse hai ragione...» mormorò. Poi, alzò di scatto la testa e sorrise, lasciando intendere che aveva cambiato idea e che la curiosità aveva avuto la meglio sulla prudenza. «Siamo arrivati fin qui, sarebbe un peccato lasciar perdere ad un passo dalla fine, no?»
Marcello ricambiò il sorriso e, con un cenno del capo, la invitò a seguirlo ancora una volta.
«Allora andiamo!»
E così, entrambi ripresero la marcia con passo sostenuto, ignari, però, dell’ombra nascosta tra i cespugli di ginepro che li seguiva da lontano.
***

Erano appena le dieci di mattina, ma già Alberto Molinari non ne poteva più del sole ustionante, degli schiamazzi dei bambini, delle pietre che gli perforavano la pelle e della salsedine che gli si era depositata addosso.
Quando aveva accettato il consiglio di portare la consorte in vacanza a Marciana Marina, ascoltando i consigli del questore che glielo aveva descritto come un paesino tranquillo, non avrebbe mai immaginato che avesse una spiaggia così caotica.
«Qualcosa ti infastidisce, caro?» gli chiese, infatti, con dolcezza la moglie, richiamata dai continui borbottii di lui, alzando appena la testa dal lettino.
In risposta, l’uomo emise un grugnito e strinse ancor di più le braccia contro il petto, non cercando nemmeno di celare il suo disappunto, cosicché la donna sospirò e tornò ad occuparsi della sua tintarella.
Tuttavia, proprio quando la noia sembrava che stesse raggiungendo il culmine, un grido d’allarme richiamò l’attenzione dei presenti: «Al ladro! Al ladro!»
Immediatamente nell’abbacchiato commissario si risvegliò il senso di giustizia e questi scattò in piedi, guardandosi intorno per scorgere il potenziale furfante, individuandolo poco dopo in un ragazzo che correva nella sua direzione, stringendo contro il petto un oggetto piccolo e rosso, che, aguzzando la vista, non tardò a riconoscere.
«Un portafoglio!» esclamò. Poi, in una frazione di secondo, elaborò la strategia migliore possibile per fermare quel piccolo delinquente e la mise in atto: intercettò la sua traiettoria e gli fece lo sgambetto nel preciso istante in cui quello gli passò davanti.
Come aveva previsto, nella fretta della fuga, il ragazzo non notò il tranello ed inciampò, finendo dritto per terra, mentre il portafoglio rosso volava in una buca in prossimità della riva, spaventando i due bambini che la stavano scavando.
«Angela, vai a recuperare la refurtiva!» ordinò, imperioso, Molinari alla moglie come avrebbe fatto con i suoi sottoposti, mentre torceva malamente le braccia dietro la schiena del giovane e lo spingeva a terra, facendolo gemere.
Nel frattempo, dall’ammirato capannello di gente che si era riunito intorno a lui, qualcuno gli fornì dei lacci da scarpe con cui legare provvisoriamente le mani del ladruncolo.
«Adesso io e te andiamo a fare una bella visita al commissariato!» gli intimò, completata l’operazione, prendendolo per le spalle e tirandolo su con poca grazia, ignorando le sue proteste.
«Ecco qui, tesoro» gli disse la signora Angela, sopraggiungendo in quell’istante con in mano la refurtiva, proprio mentre arrivava anche la proprietaria della stessa.
«Grazie, grazie mille, signor...» annaspò quella, una donnina molto magra e dai corti capelli neri, senza fiato per la corsa.
«Sono il commissario Molinari, signora» la interruppe l’uomo, con tono fermo e risoluto, «e sarebbe il caso che ci seguisse anche lei, così da poter sporgere denuncia» le suggerì, torcendo ancora un po’ i polsi del malcapitato, facendolo ululare dal dolore.

Non appena Molinari entrò nel piccolo commissariato di Marciana Marina7, ebbe subito l’impressione che sarebbe stato il posto ideale in cui lavorare, poiché, nonostante fossero solo in servizio solo tre poliziotti, l’ordine e la diligenza con cui lavoravano costituivano un ottimo biglietto da visita: un agente, infatti, era impegnato a battere a macchina alcuni fogli, mentre un altro stava rimettendo a posto dei faldoni sugli scaffali ed un terzo, dai capelli biondo cenere, in borghese, era impegnato a studiare una cartina. Tuttavia, non appena si rese conto della presenza dei nuovi visitatori, quest’ultimo non esitò ad alzarsi per accoglierli.
«Buongiorno, sono l’ispettore Baccari» si presentò, con fare gentile. «Cosa posso fare per voi?»
«Buongiorno, sono il commissario Molinari» rispose in maniera distinta l’uomo, indicando la donnina e spingendo in avanti il ragazzo. «Qui ci sono la signora Ricci e questo farabutto che avrebbero qualcosa da raccontavi».
«Un collega!» esclamò Baccari, subito cordiale. «Molto bene. Prego, signora, si accomodi» aggiunse, mostrando alla donna una sedia vuota di fronte alla sua scrivania.
«Grazie mille» trillò quella, accomodandosi immediatamente.
«Pacini, occupati del ragazzo finché non avremmo capito cosa ha combinato» ordinò, poi, il poliziotto all’agente che stava rimettendo in ordine i faldoni, il quale, senza fiatare, eseguì prontamente, ammanettando il giovane e prendendolo in custodia, mentre quello, ormai rassegnato, non provava nemmeno a protestare.
Tutta quell’efficienza piacque moltissimo a Molinari, che si ritrovò a desiderare che Saverio avesse almeno un briciolo della diligenza del metodico ispettore.
«Chi è il commissario qui?» domandò, dando un’occhiata in giro, compiacendosi anche per come era ben tenuto l’ufficio, pulito e ricco di piante verdi.
Baccari, che si stava preparando a stendere la denuncia della signora Ricci, alzò la testa dalla macchina per scrivere e, prima di rispondere, si sistemò meglio gli occhiali.
«Vede, è il...» iniziò, interrompendosi subito. «Commissario, già di ritorno?»
Intuendo che già di ritorno non potesse essere certo il cognome del suo fortunato collega, Molinari si voltò verso la porta, scorgendo due uomini sulla trentina, di cui uno con un’aria molto familiare.
E fu proprio lui a parlare per primo: «Sì, a quanto pare, il dottor Costa stava venendo a trovarci di sua volontà».
«Giorgio?» domandò Molinari, incredulo, squadrando l’altro ufficiale di polizia da capo a piedi.
Quello, a sua volta, ricambiò con uno sguardo indagatore, socchiudendo le palpebre.
«Commissario Molinari?» chiese, infine, spalancando gli occhi, attonito.
«Che sorpresa trovarti qui!» commentò l’uomo, piacevolmente stupito. «Non sapevo che ti avevano già assegnato un commissariato tutto tuo... d’altra parte, già in accademia promettevi molto bene».
«È piccolino, ma ha il suo daffare» affermò Guardalupi, senza nascondere una certa soddisfazione. Poi, si rivolse al dottor Costa e lo invitò ad accomodarsi, sostenendo che sarebbe tornato da lui molto presto, quindi assegnò a ciascuno dei suoi sottoposti un ordine, per poi tornare a rivolgersi a Molinari.
«Commissario, se non le dispiace, potrei chiederle un parere su un caso abbastanza recente e piuttosto... complicato?»
«Certamente» rispose l’altro. «Di che cosa si tratta?»
«Mi segua nel mio ufficio, è una faccenda lunga da spiegare che sta mettendo a soqquadro tutto il paese» replicò Guardalupi, facendosi improvvisamente serio. 
Incuriosito e allettato da quelle premesse, Molinari lo seguì, certo di aver trovato un’interessante e fortuita alternativa ad un’altra tediosa mattinata sulla spiaggia.




***
Per la revisione di questo capitolo, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la grafica del titolo è opera mia.
Grazie anche alla mia Anto per aver letto in anteprima.
***
[N.d.A]
1. Redinoce: è una piccola località situata sul versante nord dell’Isola d’Elba, a pochissima distanza da Marciana Marina. Ha una bellissima e piccola spiaggia, oggi dotata di stabilimenti balneari (anche se non molti), ma, all’epoca del racconto, era molto meno frequentata;
2. citando... Battisti: citazione di Con il nastro rosa di Lucio Battisti, appartenente all’album Una giornata uggiosa (1980);
3. Una storia... poi: citazione di Sarà quel che sarà di Tiziana Rivale, vincitrice del Festival di Sanremo del 1983; Vittoria canticchia questa canzone perché il titolo ed alcuni versi fanno assonanza con quelli di Battisti;
4. Discoring: si tratta di un programma musicale, andato in onda dal 1977 al 1989, durante il quale c’erano esibizioni di cantanti e classifiche dei brani più ascoltati della settimana;
5. medico condotto: fino alla legge del 1978, l’assistenza sanitaria di base non era appannaggio del cosidetto medico di famiglia, bensì del medico condotto, il quale aveva diverse competenze oltre a quella strettamente medica e, in taluni casi, poteva rivelarsi una vera e propria figura di riferimento per gli assistiti;
6. complicanza della varicella: l’herpes zoster non deve essere confuso con l’herpes comune, in quanto causato da un virus diverso (Varicella Zoster Virus vs Herpes Simplex Virus). La famiglia di appartenenza, però, è comune (sono tutti virus herpetici). In alcune persone, tra quelle che hanno già avuto la varicella, - per diversi motivi che che qui ometto per semplicità - può verificarsi la riattivazione del virus e, quindi, la comparsa di quello che viene popolarmente chiamato Fuoco di Sant’Antonio (molto doloroso e non scevro da possibili complicanze gravi, tra le quali, appunto, l’encefalite);
7. commissariato di Marciana Marina: ovviamente si tratta di un luogo di fantasia, visto che l’unico commissariato dell’Elba si trova a Portoferraio. Perdonate la “licenza poetica”, ma ho immaginato il commissariato di Guardalupi talmente nei dettagli da volerlo inserire a tutti i costi.
***


Innanzi tutto, buon inizio 2017 a tutti.
Come promesso, sono riuscita a pubblicare il nuovo capitolo e vi avviso che siamo ufficialmente a meno tre dalla fine. Vi anticipo che, nonostante cercherò di fare il possibile per fare prima, il prossimo aggiornamento cadrà a Marzo, visto che sono nel pieno della sessione invernale. Mi scuso con tutti voi, ma gli esami hanno sempre la priorità, purtroppo.
Ringrazio sempre chi legge in silenzio, chi con grande pazienza segue ancora il mio racconto, chi mi ha lasciato un parere allo scorso capitolo (Aven, Anto), chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite, chi mi fa sapere cosa pensa di ciò che scrivo attraverso altre vie.
In ultimo, vi lascio come da routine la mia pagina facebook, dove presto troverete una piccola anticipazione del prossimo capitolo oppure potete usarla per tenermi semplicemente d’occhio, accertandovi che non sparisca nel nulla (come è accaduto troppo spesso).
Alla prossima!
Halley S.C.
  
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