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Autore: BellinianSwan    26/01/2017    0 recensioni
"Posò poi lo sguardo su di un ritratto che lo attrasse magneticamente con cieca irrazionalità. Vide due occhi neri fieri, apparentemente impregnati di uno scopo, di un mordente per cui vivere, allargò lo sguardo all'intera figura e si sentì ancora più solo al mondo, lei, chiunque fosse sembrava esperta dell'arte del vivere, quell'arte che era sempre stata refrattaria ad adattarsi alle sue sgradevoli sembianze. Eppure, uno sguardo più attento mise in luce gli angoli della sua bocca, carnosa e ben disegnata, leggermente piegati verso il basso, in un vano sforzo di resistere. [...] Sentì quella figura nel ritratto vicina, dannatamente vicina eppure distante anni luce, a causa di quella vaga luce che le ardeva negli occhi. Lei nonostante tutto aveva trovato un mordente, o forse indossava una maschera oramai divenuta un tutt'uno con il suo volto fiero."
- Gertrude Degl'Innocenzi è stata ispirata al personaggio protagonista del manga "La Rosa di Versailles", Lady Oscar -
Genere: Azione, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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"Se ami qualcuno, lascialo libero. Se torna da te, sarà per sempre tuo, altrimenti non lo è mai stato."

Anonimo

 

 

Passarono i mesi e verso la fine dell'ottobre del 1828, Giacomo Leopardi fu costretto a rifare i bagagli e tornare a Recanati, perché gli era giunta notizia che uno dei suoi fratelli, il minore, Luigi, fosse spirato a causa della tisi. Dopo un fugace saluto, partì alla volta delle Marche. La noia, il lento consumarsi di tre lunghi anni aveva scavato segni di desolazione sul suo scarno volto, del colore della tanto amata luna, che ogni sera baciava per ore. Recanati era l'inerzia d'un esistenza che sgusciava via con le sue fatue ed effimere promesse, con i suoi quotidiani sberleffi. La sua salute era andata peggiorando, e ora non poteva più permettersi che Recanati gli inghiottisse quei miseri brandelli di vita che madre natura gli dispensava, avaramente. Prima d'aver lasciato Firenze, al gabinetto Viesseux aveva avuto modo di conoscere Il Montani, il Capponi ed il Colletta, intellettuali che ruotavano attorno all' "Antologia", persone che oltre al Ranieri gli erano molto care, nonostante il suo crescente e prorompente "pessimismo" l'aveva condotto ad allontanarsi dall'ideologia liberale. Due anni prima, nel 1828 Giacomo aveva tentato una fuga da quel "vivere di morte" confidando nel premio di mille scudi bandito dall'Accademia della Crusca, affidando il suo futuro nelle mani delle tanto care Operette Morali, che tuttavia non conquistarono la giuria al punto da incoronarlo vincitore. La malattia del corpo e la straziante malattia dell'anima che tanto torturava il suo debole cuore lo spinse a chiedere aiuto a Viesseux, il quale, d'accordo con gli intellettuali dell'Antologia, si premurò d'inviargli un sussidio per lasciare Recanati. Se ne occupò Colletta e Giacomo accolse questa possibilità come una benedizione. Salutò fugacemente il padre, con lo strazio nel cuore, quasi presentendo che fosse l'ultima volta che i suoi occhi si posavano su di lui, essere a lui tanto simile e tanto ostile. Non si voltò nemmeno mentre il tramonto offuscava i contorni di quel luogo tanto amato e tanto odiato, che gli aveva dato la vita togliendogliela, consapevole di non tornarvi mai più sentì solo una lacrima rigargli furtiva la guancia pallida e la brezza primaverile che scostava lievemente le tende della carrozza profumava di infanzia, quell'infanzia che da quel momento, insieme Recanati in lui sarebbe morta per sempre.

 Arrivò a Firenze ch'era sera. Gertrude aveva l'ordine di far scortare tutte le carrozze che entravano nella città. Dopo giorni e giorni di viaggio, il Conte era oramai stremato, nonostante le soste. Una figura incappucciata si avvicinò, in groppa ad un cavallo nero come la notte. Le strade erano illuminate da qualche lampione e le mattonelle luccicavano sotto i raggi lunari, umidi dalla pioggia del pomeriggio.

- Chi trasportate? 

Chiese al cocchiere, reggendo saldamente le redini. Sul suo petto spiccava cucito lo stemma del Granducato di Toscana.  

- Conte Giacomo Leopardi di Recanati, signore.

- Dove siete diretti?

- A Firenze città.

Rispose quello, sbadigliando. Gertrude, a sentire quel nome, ebbe un tuffo al cuore.

- Abbiamo ordine di scortarvi. 

Disse poi, girando il cavallo e affiancando la carrozza.

- Chiedete il motivo di ciò, ve ne prego.

Disse Giacomo al cocchiere, egli fece come gli fu chiesto e l'uomo incappucciato avvertì delle precauzioni prese da Sua Grazia il Granduca, in presenza di due casi di aggressione.

- State tranquilli e procedete con calma. 

Giacomo si scorse a fatica dalla carrozza, c'era qualcosa di dannatamente familiare in quell'ordine perentorio impartito dal soldato.Il cappuccio copriva quasi completamente il volto dell'uomo ed era impossibile cercare di scorgerne le sembianze. Nel frattempo la carrozza aveva ripreso il suo cammino. Giunse dinnanzi al palazzo che gli era stato indicato nella lettera, pagò il cocchiere e si fece aiutare con i bagagli. Sentì lo sguardo del soldato che li scortava seguirlo, era troppo stanco per chiedersi la cagione di ciò, così scrollò le spalle e iniziò faticosamente la salita della ripida rampa di scale. Si sentiva vuoto di tutto fuorché dell'inganno d'una piccola latente illusione.

- Cocchiere, state allerta durante il rientro, troverete delle guardie, in giro, se siete in difficoltà, urlate. 

Disse l'incappucciato prima che i due entrassero, poi impennò il cavallo e partì al galoppo, tornando indietro. Giacomo osservò l'incappucciato allontanarsi, invidiò la sua determinazione, il suo ideale la sua salute persino. Si sdraiò sul sofà che trovò nel piccolo soggiorno e a fatica posò lo sguardo sulle grosse travi che sostenevano il soffitto, sembrava il costato di un enorme animale, uno di quelli che popolavano le sue fantasie infantili. Solo allora si rese conto che l'incappucciato emanava un soave profumo di lavanda.

Gertrude s'infilò in un vicolo e scese da cavallo, poi si tolse il cappuccio e fissò la luna che riusciva ad intravedere tra i palazzi. 

- Siete tornato...

 

   
 
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