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Autore: charly    27/01/2017    0 recensioni
Zaron ha conquistato tutti i regni del continente di Zabad; finalmente anche Issa è caduta. Tuttavia per ottenere da Issa ciò che desidera, la spada non serve: dovrà sposarne la principessa. Pensava sarebbe stato semplice, non immaginava quanto complicata la sua coscienza gli avrebbe reso la cosa.
Deja è la principessa di Issa e con l’abdicazione del padre ne diviene la regina. Il matrimonio con Zaron è impossibile da rifiutare, visto che risparmierà il suo regno e la vita del suo amato genitore. Ma è una proposta difficile da accettare: il matrimonio con un uomo che non conosce, molto più vecchio di lei, che ha conquistato con la forza la sua casa, la riempie di terrore soprattutto perché lei ha solo dodici anni.
Si era sbagliato se aveva creduto che vederla lo avrebbe dissuaso, non aveva preso in considerazione la sua determinazione. […] Lui doveva sposarla, tutti i suoi sogni si basavano su questo.
Lei era impallidita, i suoi occhi si erano fatti grandi, enormi in quel viso non ancora maturo, e si erano spostati dalla spada alla corona e poi al suo viso inflessibile e infine erano scesi, seguendo l’armatura da guerra, soffermandosi sugli avambracci muscolosi e segnati dalle cicatrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il cuore di un drago'
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II. ANCHE UNA NAVE DALLE VELE SCQUARCIATE PUÒ CONDURTI A UN PORTO SICURO

 
 
Con un ordine sussurrato a Bors, il suo generale secondo in comando, dispose che l’esercito occupasse con ordine e seguendo una disciplina ferrea la città, intimando che ogni pattuglia avesse almeno un soldato issiano ad accompagnarla, e che i membri del governo che lo avevano seguito nella sua campagna fossero spostati a palazzo. Poi seguì il re detronizzato per i corridoi.
Aborn aveva mandato via la maggior parte della sua scorta con l’ordine di riferire la resa e di accogliere nel miglior modo possibile i nuovi signori. Accanto a sé aveva tenuto solo il giovane Ostin e altri due consiglieri che reputava anche buoni amici. Aveva condotto Zaron per i corridoi del palazzo fino alla biblioteca, dove Deja si era rifugiata dopo la loro lite.
I corridoi erano deserti, Aborn non poteva biasimare i servitori che erano corsi a nascondersi paventando il peggio in vista dell’occupazione straniera. Giunto davanti alle porte della biblioteca si fece coraggio ed entrò. Era sicuro che khan Zaron avrebbe rinunciato al suo progetto matrimoniale quando si fosse reso conto dell’assurdità della sua proposta.
La grande sala era silenziosa e all’apparenza vuota, ma Aborn sapeva che il dedalo di corridoi formati dagli alti scaffali e le numerose nicchie e sale di lettura potevano contenere una quantità imprecisata di visitatori affamati di conoscenza. Tuttavia in quel momento era probabilmente davvero deserta come appariva, eccezion fatta per la presenza di sua figlia.
- Deja! Deja vieni fuori tesoro. Sono qui con il khan di Rakon. Dobbiamo parlarti.
Da un punto alla sua destra si udì il tonfo inconfondibile di un libro che cade per terra. Dopo pochi attimi da dietro uno scaffale comparve la sua unica figlia.
Era esattamente come l’aveva vista poche ore prima, tranne per il pallore del viso e gli occhi arrossati dal pianto.
Era sempre stato orgoglioso di Deja, quella figlia che tanto lui e la sua adorata moglie avevano desiderato e per cui la sua amata regina aveva dato la vita. Le avevano detto che una gravidanza sarebbe stata pericolosa, che rischiava di morire, ma la sua amata era stata troppo contenta di essere riuscita finalmente a concepire per badare agli ammonimenti dei dottori. La sua morte gli aveva reso ancora più preziosa la sua bambina. Agli occhi paterni Deja aveva tutto: un’intelligenza vivace e fuori dal comune che aveva stupito i suoi tutori, bellezza e grazia, cumulati con un carattere volitivo e caparbio che però non era mai divenuto arrogate o crudele. Ora cercò di vederla attraverso gli occhi di Zaron: era bassa, la sua testa non gli arrivava neanche al mento, i lunghi capelli lisci e castani erano sciolti sulle spalle, tenuti lontano dal viso da un intricato cerchietto fatto di fili d’oro e perline bianche. L’attaccatura dei capelli dava una forma a cuore al viso dal mento appuntito. Leggere lentiggini marroni le coprivano il naso e le gote, sotto gli occhi azzurri, uguali a quelli di suo padre. Le sopracciglia erano sottili e sottolineavano un’arcata delicata. Si stava mordicchiando il labbro inferiore, in segno di nervosismo, davanti a quella strana delegazione. Aborn proseguì la sua spassionata analisi, provando una certa soddisfazione voltandosi a guardare Zaron che non riusciva a nascondere la costernazione che lo aveva colto. L’abito che Deja indossava quel giorno le donava, era bianco con decorazioni a perline e fili d’oro che riprendevano il motivo della coroncina. L’abito era lungo, morbido, le lasciava le braccia magre scoperte e accentuava il petto piatto e i fianchi stretti, da ragazzina dodicenne qual era.
Zaron era senza parole, deglutiva a vuoto e non riusciva a capacitarsi di quanto madornale l’errore da lui commesso fosse stato. Non si era informato sulla figlia di Aborn, nelle rare volte in cui aveva pensato a lei se l’era immaginata alla peggio brutta o vecchia, dato che Aborn aveva ormai passato i sessanta anni d’età. Come poteva sua figlia, la sua unica figlia, essere così giovane? Eppure gli occhi che lo guardavano incerti e un po’ spaventati dai lineamenti della bambina erano gli stessi del genitore. Si sentì nauseato. Per tutti gli dei, quanti anni aveva? Perché lui doveva sposarla, tutti i suoi sogni di gloria si basavano su questo. Se voleva conquistare i cuori e le menti degli issiani doveva fare sua la loro regina, per quanto rivoltante fosse il pensiero.
Aborn si era sbagliato se aveva davvero creduto che vederla lo avrebbe dissuaso; non aveva preso in considerazione la sua determinazione. Si fece avanti risoluto e si comportò come se l’età della sua interlocutrice non fosse un problema, preparandosi a fare appello all’onore della principessa e ai suoi doveri verso il suo popolo.
Tolse la spada dal fodero, impugnandola con la sinistra assieme alla corona del padre di lei e appoggiò la punta della lama sul palmo destro, tenendo il piatto perfettamente orizzontale. Chinò il capo per guardarla negli occhi, cercando di vincere l’inquietudine che la loro differenza d’altezza e di corporatura gli procurava, lei era così minuta che era sicuro di poterle spezzare le braccia come ramoscelli secchi. Cercò di ricacciare quello spiacevole pensiero, concentrandosi solo sull’obbiettivo. Doveva pensare a Issa e ai vantaggi che quel matrimonio gli avrebbe procurato.
- Principessa, tuo padre ha rinunciato al trono del suo regno piegandosi davanti alle mie armate e arrendendosi incondizionatamente. Da oggi Issa entra a far parte dell’impero di Rakon. Ebbene, io propongo una soluzione che permetterebbe a Issa di mantenere la sua individualità e non essere fagocitata dal mio impero. Se accetterai di sposarmi, diventando la mia regina, io restituirò a te la corona di tuo padre. Tu mi sposerai da regina di Issa e tale resterai, mantenendo sul tuo regno la tua autorità. Non sarà un’annessione ma un congiungimento tra regni di pari dignità e valore. I cittadini di Issa avranno la cittadinanza rakiana e tutti i diritti che essa comporta. Ma questo solo se tu acconsenti a divenire la mia regina. Non ti forzerò, se dirai di no rispetterò la tua volontà. Ma il mio esercito, che ha per il momento pacificamente occupato il tuo regno, riceverà l’ordine di attaccare. Della città di Issa non rimarrà nulla. A te la scelta.
Non era veramente una scelta e Zaron se ne rendeva perfettamente conto, tuttavia non aveva nessuna intenzione di trascinare all’altare la sua sposa di peso, urlante e piangente. Lei sarebbe dovuta venire a lui di sua volontà, anche se costretta dalle circostanze. Come di sua volontà avrebbe dovuto seguirla tutto il regno, seppur recalcitrando un po’.
Lei era impallidita, i suoi occhi si erano fatti grandi, enormi in quel viso non ancora maturo, e si erano spostati dalla spada alla corona e poi al suo viso inflessibile e infine erano scesi, seguendo l’armatura da guerra, soffermandosi sugli avambracci muscolosi e segnati dalle cicatrici prima di chiudersi per lo sconforto e l’impotenza. Si portò una mano alla gola, come se facesse fatica a trovare la voce per dare la sua risposta.
- Ma… ho solo dodici anni… come posso sposarti?
Il khan cercò di rassicurarla meglio che poteva.
- La tua età non conta, il nostro sarà un matrimonio politico.
Dopo secondi interminabili in cui Zaron temette di dover alla fine dare l’ordine di distruggere tutto, lei acconsentì con un filo di voce.
- Sì, ti sposerò, per il mio popolo, per la mia città…
Il suo viso si animò improvvisamente e i suoi occhi si indurirono.
-… per la vita di mio padre.
Da dietro Zaron provenne la voce angosciata di Aborn.
- No Deja! Non farlo, non puoi! Te lo proibisco!
La principessa si rivolse a guardare il genitore, sollevando il mento e assumendo un’espressione cocciuta.
- Non sei più re, padre, non puoi proibirmi nulla.
Poi il suo sguardo e il suo tono si ammorbidirono.
-Ti prego padre, permettimi di salvarti, è in mio potere salvare tutti noi. Devo farlo, vogli farlo.
Zaron ammirò la determinazione della ragazzina e il modo in cui teneva testa al padre. Fu divertito dalla costatazione che entrambi avevano pensato che lui avesse avuto intenzione di uccidere Aborn. L’eliminazione del sovrano era una prassi consolidata nelle sue conquiste ma Zaron aveva ritenuto che presentare come dono di nozze alla sua sposa la testa mozzata del padre fosse un pessimo inizio per un matrimonio e aveva già messo in conto l’idea di risparmiare il precedente re, se quest’ultimo non avesse commesso troppe sciocchezze forzandogli la mano in senso contrario. Quindi per lui fu facile accondiscendere su quel punto con la sua futura sposa.
- Avete la mia parola, principessa, a meno che vostro padre non commetta qualche follia, non morirà per mia mano o per mio ordine.
La ragazzina ne sembrò sollevata mentre il padre cadeva in ginocchio e si copriva il volto in preda alla disperazione, pensando a quanto la propria vita fosse costata alla sua bambina.
- Mia signora, ora devo lasciarvi, per comunicare la lieta novella al mio stato maggiore e al vostro popolo, il nostro futuro popolo. So che l’avviso è breve ma entro sera desidero che sia preparata la cerimonia per la vostra incoronazione come regina di Issa. Vostro padre ha già abdicato, confido che non ci saranno problemi.
Con queste parole si accommiatò da lei, rinfoderando la spada e mettendole tra le mani tremanti la corona che era stata di suo padre. Poi girò su sé stesso e se ne andò con passi misurati, seguito dal suo entourage.
Una volta che le porte della biblioteca si furono richiuse alle loro spalle la principessa si lanciò tra le braccia spalancate del genitore ancora a terra. Aborn strinse a sé la figlia tremante, che una volta rifugiatasi sul suo grembo si era messa a singhiozzare.
- Oh, papà, ho tanta paura!
Aborn cullava la sua bambina e intanto cercava una via d’uscita.
- Shh, non ti preoccupare tesoro mio. Troveremo un modo, sono sicuro che ci deve essere qualcosa che ti salvi da questo matrimonio.
Ma Deja era inconsolabile.
- No, papà. Se sposandolo risparmierà il regno e te lo farò. Ma lui… oh, è così vecchio! E io non posso, ho solo dodici anni, la legge…
Il padre era anche lui spaventato, ma ancor di più arrabbiato.
- La legge, cosa vuoi che importi a quel barbaro della legge issiana. E tu non dovevi sacrificarti per noi, non dovresti prendere una simile decisione. Sei solo una bambina, io sono tuo padre, io sono il re. Io dovevo pagare per i miei errori, non tu. Ti prego Deja, considera la possibilità di una fuga. Sono sicuro che riusciremmo a farti uscire dal palazzo e dalla città. Se tu riuscissi a fuggire potresti organizzare una resistenza, qualcosa che possa dare speranza al nostro popolo!
La principessa scattò all’indietro, liberandosi dalla stretta del padre e si rialzò in piedi.
- No! Assolutamente no! È fuori discussione che io ti abbandoni. Hai sentito cosa ha minacciato khan Zaron: se rifiuto distruggerà tutto, ucciderà te e schiavizzerà il nostro popolo. Non fuggirò. Mai!
Aborn era orgoglioso di lei, della sua principessa, della sua regina dato che ormai lui aveva abdicato. Ma aveva paura per sua figlia, quella bambina che presto sarebbe andata in sposa a uno sconosciuto, a uno straniero. Non era giusto! Non era quello il futuro che aveva immaginato per lei! Aveva sperato che, in un giorno ancora lontano, Ostin avrebbe potuto corteggiarla e se lei lo avesse accettato, lui sarebbe diventato il suo principe consorte. Gli piaceva Ostin: era fedele, generoso, intelligente, aveva solo dieci anni più di Deja e sapeva che lei lo trovava simpatico. Lungi da lui forzarle la mano, ma aveva sperato. Ora quelle speranze erano infrante e i suoi sogni si stavano realizzando in un incubo. Il suo paese sottomesso a una potenza straniera e la sua unica figlia… Aborn si sentiva fisicamente male al pensiero di ciò che quell’uomo le avrebbe potuto fare. Aveva parlato di parità, di dignità ma quanto onore può avere un uomo che si appresta a prendere in moglie una bambina? Quale rispetto le può tributare se pretende che una bambina faccia le veci di una donna? Per le leggi issiane i matrimoni combinati erano proibiti, anche se nelle famiglie nobili non era raro che le ragazze subissero pressioni per sposare uomini scelti dai genitori. Tuttavia era illegale contrarre matrimonio sotto i quindici anni e a venti i cittadini issiani, maschi o femmine, nobili o plebei, per legge potevano sposare chiunque desiderassero senza il consenso delle famiglie. Quindi per Aborn era inconcepibile, barbarico e al di fuori di ogni legge che ora sua figlia fosse costretta a sposare quell’uomo. Deja era intelligente e molto matura per la sua età, ma c’erano cose per cui non era pronta, per cui la sua intelligenza non l’avrebbe aiutata. Come poteva spiegarle ciò che Zaron avrebbe voluto, preteso da lei? La sua mente rifuggiva il solo pensiero. Doveva esserci un modo per salvarla, per impedire che lui le facesse del male, che la forzasse a qualcosa che non era ancora abbastanza grande da affrontare.
- Parlerò ancora con lui. Forse può essere convinto a posticipare il matrimonio di qualche anno, forse si accontenterà di un fidanzamento…
Lei sembrò abbracciare l’idea e riacquistare un po’ di speranza.
- È una buona idea padre, ma gli parlerò io, non tu.
Anche Aborn si alzò e sorrise tra le lacrime a Deja e poi le poggiò le mani sulle spalle.
- No, lasciami fare questo per te, come padre dato che come re non posso fare più nulla. Lasciami parlare a lui, da uomo a uomo. Su questo fidati di me, ti prego, permettimi di fare almeno questo per te, se non posso fare altro per difenderti.
La principessa prese tra le proprie mani la mano del padre e la baciò con affetto.
- Io mi fido di te, padre. Solo ti prego, non adirarlo. Le nostre vite e le vite dei nostri sudditi dipendono da lui. E da me.
Lui annuì e la strinse ancora al petto.
- Ti prometto che sarò diplomatico e ti giuro che farò il possibile per dissuaderlo. Ma ora, abbiamo la tua incoronazione a cui pensare. Mia regina.
E Aborn, che quella mattina era stato il re di Issa, si inchinò difronte alla sua nuova sovrana, seguito da Ostin e dai suoi consiglieri.
- Non fare così padre, ti prego!
Aborn le sorrise, triste e rassegnato.
- Tu sei la mia regina ora, e io a te mi inchino con gioia. Sono fiero di chiamarti mia signora e ogni tuo ordine sarà da me eseguito. Sono orgoglioso di te, lo sarò sempre, qualunque cosa accada. Non riesco a immaginare di lasciare la corona in mani più degne e capaci.
Deja era incerta e nervosa.
- Ma io non sono pronta a regnare, non posso farlo!
Suo padre era invece di tutt’altro avviso.
- Nessuno è mai pronto, figlia mia, ma tu sei preparata a questo compito, sarai una regina straordinaria. E una parte di me è lieta di poter assistere alla tua ascensione.
La principessa scoppiò nuovamente in lacrime quando si rese conto cosa stava dicendo il padre: la morte del suo amato genitore avrebbe dovuto avvenire prima della sua incoronazione. E invece suo padre era ancora vivo e, se il khan rakiano avesse mantenuto la sua promessa, avrebbe continuato a vivere ancora a lungo, aiutandola e consigliandola nel suo nuovo ruolo. Se non per niente altro, almeno di questo sarebbe stata riconoscente al suo futuro marito: risparmiando la vita di suo padre le aveva fatto un regalo insperato e prezioso e per quello, più che per qualsiasi altra cosa, Deja era ansiosa di non rompere la promessa fatta.
Lo avrebbe sposato, anche se la prospettiva la riempiva di timore e sgomento, anche se quell’uomo così imponente e minaccioso le incuteva un terrore viscerale. Avrebbe preteso che lei assolvesse ai compiti di una moglie anche nei fatti oltre che nella forma? Aveva detto che il loro sarebbe stato un matrimonio politico ma non aveva detto che sarebbe stato un matrimonio solo di nome.
Con la pubertà Deja aveva cominciato a guardare con un misto di curiosità e disgusto i rappresentanti del sesso opposto. Non aveva mai avuto problemi a relazionarsi con uomini più vecchi di lei a livello intellettuale. Sedeva con suo padre durante le riunioni del consiglio, anche se restava rispettosamente in silenzio, e sapeva che suo padre prendeva seriamente i suoi consigli e le sue opinioni; era cosciente che la sua giovane età spiazzava molti ma una volta che il suo interlocutore si rendeva conto della sua intelligenza e della sua maturità, la sua età passava in secondo piano. Aveva notato le relazioni che si intrecciavano tra i membri più giovani della corte e tra le sue amicizie più mature. A livello intellettuale riconosceva l’esistenza dell’amore e dell’aspetto fisico che una relazione con un rappresentante dell’altro sesso implicava. Ma la sua reazione istintiva era di imbarazzo e rifiuto all’idea che una simile circostanza fosse applicabile a sé stessa. Ne era incuriosita, ma non attratta. Faceva fatica a stringere amicizia con le sue coetanee e, a parte un’unica eccezione, le sue amiche erano tutte più vecchie di lei, alcune erano addirittura già sposate. Quando qualche sua amica si lasciava sfuggire informazioni sulla sua vita privata e sulla sua relazione con il fidanzato o marito, arrossiva e si rendeva perfettamente conto che se sul piano mentale era loro pari, su quel particolare piano era ancora indietro. Semplicemente non era interessata. Era conscia delle speranze che suo padre nutriva per Ostin ma era un’idea vaga e nebulosa e ancora lontana nel tempo. Ostin era simpatico, divertente e arguto, ma non riusciva a immaginarsi una vita con lui, aveva cercato di immaginarsi cosa si provava a baciarlo e l’idea l’aveva lasciata … vagamente disgustata, non tanto all’idea di baciare Ostin quanto l’idea dei baci in generale.
E ora quell’uomo, più vecchio di Ostin, di cui lei non sapeva virtualmente nulla, tranne che era uno straniero, un invasore, un assassino che aveva pavimentato la strada verso la sua Issa con i cadaveri dei nemici sconfitti, che aveva spietatamente conquistato, mettendoli a ferro e fuoco, i regni vicini, ora quell’uomo si aspettava che lei diventasse sua moglie, la sua compagna per il resto della vita, la madre dei suoi figli. Non riusciva a immaginarsi di provare piacere a baciare Ostin, figuriamoci quel guerriero dall’aria truce, più vecchio di lei, più grande e forte di lei.
Mentre suo padre l’accompagnava nelle sue stanze e cominciavano i preparativi affrettati per la sua incoronazione, il timore che aveva provato in biblioteca si tramutava in terrore e tutta la determinazione e sicurezza che aveva dimostrato davanti al sovrano straniero e davanti al genitore veniva erosa dai dubbi e dalla sua immaginazione in preda al panico.
 
Mentre l’unica cameriera che non aveva voluto fuggire ma restare al fianco della sua signora, la fedele, gentile Larissa, l’aiutava a vestire l’abito che aveva avuto intenzione di indossare alla festa che celebrava l’anno nuovo, appena due mesi più tardi, Deja si sentì grata che il padre l’avesse convinta a lasciare a lui le trattative con il khan di Rakon. Era combattuta tra il desiderio infantile di piangere e nascondersi fino a che l’uomo nero non se ne fosse andato e la consapevolezza delle sue responsabilità come prossima regina di Issa e che un matrimonio con khan Zaron non l’avrebbe uccisa anzi, avrebbe portato notevoli vantaggi a tutta la sua gente e migliorato le prospettive di Issa all’interno dell’impero. Ma mentre la ragione le ripeteva che quella era la soluzione migliore e più favorevole per loro e che Issa ne avrebbe avuto solo vantaggi e Zaron invece avrebbe guadagnato unicamente una moglie bambina da cui non avrebbe potuto neanche aspettarsi un erede, il suo cuore le batteva impazzito di terrore nel petto e lamentava la morte di ogni fantasticheria romantica. Quando la scelta è tra un matrimonio combinato con un uomo che non conosci e che avresti in qualsiasi altra occasione rifiutato comunque e l’annientamento, non è una vera scelta, ma una terribile coercizione.
Non solo Deja trovava difficile immaginarsi con lui, ma la logistica stessa del loro matrimonio le sembrava assurda: la cerimonia si sarebbe svolta a Issa o a Halanda? Avrebbero vissuto insieme o no? Se no, lui le avrebbe permesso di rimanere a Issa e di regnare indisturbata, oppure avrebbe preteso che deferisse a lui ogni autorità? Se pensava di renderla una regina fantoccio e di regnare sul suo popolo attraverso di lei avrebbe dovuto ricredersi: Deja avrebbe difeso la sua posizione e la sua gente a ogni costo e su quel particolare non avrebbe ceduto, per nulla al mondo. Una volta che la corona fosse stata sul suo capo avrebbe regnato e fatto valere la sua autorità, scevra da ogni influenza esterna. Se invece i suoi timori peggiori si fossero realizzati e lui avesse preteso che il loro matrimonio fosse un matrimonio vero e reale e l’avesse portata con sé a Halanda… Deja non sapeva cosa avrebbe fatto. Isolata in un paese straniero, a regnare su una corte sconosciuta di cui ignorava le usanze e le leggi. A dividere la vita e il letto di un uomo di cui non conosceva nulla. La sola idea la ripugnava.
- Larissa ti prego, metti un po’ di musica. Qualcosa di vivace.
La sua ancella smise di pettinarle i capelli e andò al fonografo e selezionò, dopo una leggera esitazione, uno dei sette cilindri a disposizione che poi inserì nella macchina che azionò facendo girare la manovella. Una musica dalla cadenza veloce si diffuse nella stanza e Larissa si mise a canticchiare sottovoce la melodia mentre intrecciava i capelli della sua principessa. Il fonografo era un’invenzione recentissima e in tutta Issa ce n’erano forse solo una dozzina di esemplari.
La musica era piacevole e Deja si costrinse a seguirne le note per non pensare, almeno per un po’, a quello che si prospettava come la sua vita futura. Davanti allo specchio guardò la sua stanza, chiedendosi per quanto ancora avrebbe occupato quegli appartamenti che erano stati i suoi per tutta la vita.
Le sue stanze si trovavano nel cuore del palazzo e, pur essendo sprovviste di finestre, erano all’ultimo piano ed erano dotate di lucernari ampi, secondo le richieste specifiche della principessa. Lei amava avere le proprie stanze inondate di luce e solo nei mesi estivi, quando il sole picchiava e scaldava gli ambienti, permetteva che si tirassero le tende da una parte all’altra del soffitto, per fare penombra e fresco. Di notte le tende erano sempre aperte cosicché lei potesse vedere il cielo stellato dal proprio letto e addormentarsi alla pallida luce della luna. Le tende erano gialle, il suo colore preferito, come gialla era la tappezzeria del salotto e le cortine del letto. Le pareti e il pavimento erano rigorosamente bianchi e a Deja piaceva immaginare di entrare in una stanza fatta di sole e di luce quando entrava in camera sua. C’erano molti libri, perché quando veniva presa da un progetto Deja saccheggiava la biblioteca e si circondava di tutte le informazioni che riusciva a trovare e poi non restituiva i libri così da poter andare in cerca di un riferimento letto anche di sfuggita magari mesi prima. Frequentava a tempo perso l’Accademia, assistendo a tutte le lezioni che catturavano il suo interesse. Ciò che la incuriosiva di più era capire come funzionavano il mondo e le cose, così seguiva corsi di scienze della terra, ingegneria e meccanica, interessandosi delle nuove invenzioni e discutendo con gli scienziati su come applicarle per migliorare la vita di tutti i giorni della popolazione. Con meno interesse si era avvicinata anche alla filosofia, che appassionava suo padre, per sentirsi più vicina a lui e perché suo padre giurava che lo studio del pensiero l’avrebbe aiutata a regnare. Sparsi ovunque, sul comodino e sotto il letto e ammucchiati sulle sedie, c’erano libri di storia, la sua seconda passione, ingegneria, astronomia e persino botanica, c’erano copie dei suoi saggi di politica e di studi sociali preferiti, tutto quello che potesse aiutarla nel suo ruolo di principessa a prepararla a guidare il paese. Più volte si era ripromessa di organizzare la sua collezione in una biblioteca personale, in modo da mettere ordine nelle sue stanze e da rendere più facile la consultazione dei libri, ma non l’aveva mai fatto, rimandando sempre a domani. Ora forse non ne avrebbe più avuto l’opportunità. Cupamente si chiese se il suo futuro marito avrebbe cercato di impedirle di continuare gli studi e si ripromise di non lasciarglielo fare: in nessun caso avrebbe smesso di studiare.
Si lisciò lo splendido abito lilla che si era fatta preparare per una ben diversa occasione e ridendo tra sé e sé considerò che possedeva più libri che vestiti.
La moda issiana negli ultimi decenni aveva cominciato a tendere sempre di più verso il pratico a dispetto del maestoso. Per le donne la differenza era più vistosa che per la moda maschile: gli abiti erano diventati comodi, morbidi e non fascianti e rigidi come erano stati nei secoli passati; si erano accorciati fino alle caviglie e anche le scollature si erano fatte più modeste. I vestiti avevano le spalline unite da bottoni e spille colorate e vistose a lasciare le braccia nude d’estate e le maniche lunghe fino ai polsi non troppo strette durante gli inverni miti di Issa. Le spille e le cinture erano gli unici elementi decorativi e su quelli le donne issiane puntavano per differenziare i loro abbigliamenti. Le stoffe erano tinte in monocromi ma, per chi poteva permetterselo, erano impreziosite da ricami fatti a mano con fili metallici e perline.
Gli abiti tradizionali invece, che la nobiltà preferiva per le cerimonie e le occasioni di festa, rispecchiavano ancora la moda antiquata del secolo precedente, per cui l’abito che Deja avrebbe indossato alla sua incoronazione le fasciava il torso lasciandole le spalle e le braccia nude e prevedeva un fastidioso corsetto; la gonna si allargava come la corolla capovolta di un fiore in strati di seta lilla che le coprivano la punta delle scarpette e si allungavano in uno strascico di circa un metro dietro di lei. Le decorazioni dorate sul corpetto avevano un motivo floreale, accentuando l’impressione che Deja stessa fosse un fiore. Le era piaciuto il vestito quando l’aveva ricevuto, perfettamente rispondente alle sue direttive, ma ora se lo sentiva strano addosso e le pareva inadeguato per la solenne occasione. Avrebbero dovuto esserci delle decorazioni per i capelli in accordo con l’abito, che ne riprendevano i motivi ricamati e il colore, ma Larissa non aveva potuto applicarle alla capigliatura che, secondo la tradizione, avrebbe potuto essere solo acconciata con piccole trecce strette attorno al capo per sostenere la corona. L’ancella aveva fatto un bel lavoro: i suoi capelli erano tirati indietro e lasciavano libero il viso e poi, dalla nuca, tornavano a cadere sciolti e liberi fino a metà schiena. Deja aveva deciso di non indossare nessun gioiello, neanche la catena con il pendente in topazio blu che era stata di sua madre e che portava sempre sotto gli abiti.
 
Con il passare delle ore, mano a mano che la notizia dell’incoronazione di una nuova regina si diffondeva in città, accompagnata dalla costatazione che il precedente re non era morto ma aveva semplicemente abdicato, un cauto ottimismo si era diffuso tra la cittadinanza. Certo, c’erano pattuglie di soldati rakiani ovunque, ma non si avevano notizie di saccheggi, né di uccisioni. La popolazione anzi era stata invitata, caldamente, a presentarsi nella piazza dei proclami, antistante alla terrazza del palazzo da cui il re si sporgeva per annunciare importanti avvisi ai suoi cittadini, per acclamare la nuova sovrana e apprendere una felice notizia. Di che notizia si trattasse nessuno ancora lo sapeva, i consiglieri di Aborn erano stati giudiziosamente silenti riguardo alle pretese avanzate dal sovrano rakiano in cambio della pace e quelli rakiani non erano certo in tale confidenza con la popolazione vinta da lasciarsi sfuggire qualche indiscrezione. Deja aveva ricevuto caute felicitazioni dalle sue conoscenze e dalle poche amicizie strette che aveva. I suoi amici chiedevano come stava e si auguravano che il padre fosse ancora in salute e, i più coraggiosi, chiedevano se potevano passare a trovarla per offrirle appoggio e conforto. Deja era stata grata di quelle dimostrazioni di sostegno, anche se aveva dovuto intimare a tutti di restare a casa propria e di presentarsi a corte solo se richiesto espressamente, dato il clima di sospesa trepidazione che serpeggiava in città. La condanna di Issa era stata evitata per il momento, ma i conquistatori potevano essere capricciosi e sarebbe bastato poco a far precipitare la situazione, soprattutto se lei avesse avuto un ripensamento e si fosse tirata indietro.
Sapeva che la notizia dell’accordo di pace avrebbe fatto tirare a tutti un sospiro di sollievo, anche se le condizioni imposte avrebbero sicuramente fatto inorridire molti. Si stava preparando alla pietà e al ribrezzo della corte alla notizia del suo prossimo matrimonio, e anche al sollievo perché una simile sorte era toccata a lei e loro erano salvi. Deja si faceva forza ripetendosi che una simile reazione era pienamente logica data la natura umana, che se la simpatia per la sua situazione avrebbe naturalmente commosso i suoi sudditi, era anche normale e comprensibile che il sollievo l’avrebbe accompagnata. Ciononostante si sentiva come in una favola dal finale fosco, come un sacrificio fatto per placare la bestia e al pensiero dovette sedersi mentre portava entrambe le mani alla bocca, sentendo lo stomaco ribellarsi. Si sforzò nuovamente di scacciare quell’idea: quel giorno diventava regina, non moglie, e forse suo padre sarebbe riuscito a migliorare la sua situazione, in qualche modo.
La sera calò, lasciando il crepuscolo a tingere di azzurro pallido e rosa il cielo. Quando suo padre venne a prenderla per scortarla nella sala del trono, dove con una cerimonia solenne lui stesso le avrebbe posato in capo la corona, Deja era all’apparenza serena e distesa, la mano destra appoggiata con leggerezza sul braccio del genitore e l’altra portata al ventre e mollemente chiusa, con il gomito in fuori, in una posa studiata per sembrare rilassata e composta. Il padre le carezzò fugacemente la mano e poi assunse anche lui quella che amava definire la sua “espressione da stato”, severa ma aperta, serenamente neutra e l’accompagnò nel tragitto fino alla sala del trono, scortati da un gruppo di soldati rakiani che, pensò con stizza Deja, erano stati probabilmente appostati davanti alla sua porta, ufficialmente per proteggerla, in realtà per assicurarsi che non si desse alla fuga.
Padre e figlia entrarono nell’ampia sala accolti da un tripudio di trombe, suonate dalla banda che si trovava sul parapetto al di sopra della porta d’ingresso ufficiale e che accompagnava tutte le funzioni pubbliche della corte.
I cortigiani si erano disposti in due ali, lasciando libero lo spazio tra la porta e il trono dorato assiso su un piedistallo, in fondo alla sala. Molte volte Deja era stata in piedi alla destra del padre, mentre lui prendeva posto su quella che definiva la più scomoda sedia del mondo; oggi sarebbe stata lei a sedervisi sopra. Camminando eretta al fianco del genitore non guardò i nobili che chinavano rispettosamente le schiene al loro passaggio e non degnò di un’occhiata neanche le macchie rosse che poteva vedere con la coda degli occhi e che sapeva essere gli onnipresenti soldati rakiani. Strinse convulsamente il braccio del padre, tradendo la sua sorpresa e il suo disappunto nel vedere disposti attorno al piedistallo un gruppo di uomini e soldati dai tratti stranieri che componevano la corte di Zaron. Era presente anche il khan, con addosso un’armatura dall’aspetto cerimoniale, la mano poggiata su una spada che sicuramente non era solo cerimoniale, l’unico a non inchinarsi, dato che al suo avvicinarsi anche i suoi uomini avevano, con evidente riluttanza, chinato il capo in un’inaspettata dimostrazione di rispetto.
Almeno quell’arrogante assassino non aveva la faccia tosta di sorridere. Il suo viso era corrucciato e serio, come lo era stato anche in biblioteca, quando si erano conosciuti quella mattina. Si fissarono per un attimo negli occhi, poi lo sguardo di lui scese lungo la sua figura e Deja si aggrappò con forza al braccio del padre, non essendo in grado di interpretare quello sguardo. Sembrava di disapprovazione, come se quello che vedeva non gli piacesse, ma d’altra parte l’aveva guardata nello stesso modo poco prima di fare la sua proposta di matrimonio.
Arrivati davanti ai tre gradini che l’avrebbero condotta al suo trono il padre si fermò, le prese entrambe le mani e poi padre e figlia si voltarono, fronteggiandosi e mostrando il profilo alla corte. A voce alta e con fermezza Aborn annunciò la sua abdicazione. Poi, com’era tradizione nelle cerimonie d’incoronazione, prese da un cuscino dorato portogli da un bambino un sottile cerchio di platino, identico ma di dimensioni minori rispetto a quello che aveva indossato lui e che era evidentemente stato ideato per un capo femminile, e pronunciò la formula di rito. Solitamente essa veniva detta dal Gran Sacerdote della dea Lona ma in quell’occasione, particolare perché il precedente sovrano era ancora in vita, lui stesso la declamò. Con un’ultima richiesta di benedizione per la dea che gli issiani veneravano con devozione al disopra di ogni altra divinità, Aborn posò quella corona all’apparenza sottile e leggera sul capo di sua figlia e, facendo un passo indietro, chinò la testa e si inginocchiò in un atto di sottomissione e rispetto. Tutta la corte issiana lo seguì, persino i nobili rakiani chinarono il capo, abbassando lo sguardo. Poi i suoi nobili esplosero nel doveroso grido di giubilo, augurando lunga vita e salute alla loro nuova regina. Aborn fece per riprendere la mano della figlia, per accompagnarla alla terrazza che dalla sala del trono si affacciava alla piazza sottostante gremita di gente in attesa, ma il khan rakiano fu più veloce di lui, prese la mano di Deja nella propria e quasi la trascinò verso la porta a vetri che dava all’esterno. La regina per poco non inciampò nello strascico dell’abito per la sorpresa, lanciò uno sguardo costernato e spaurito al padre prima di riacquistare l’equilibrio e assumere una posa dignitosa e serena, come se fosse lei a permettere a quell’uomo di scortarla e lui non se ne fosse semplicemente arrogato il diritto.
Zaron la portò fuori, sulla balconata, e la folla vociante si zittì vedendo il conquistatore al fianco alla loro nuova sovrana. Poi lei sorrise e alzò la mano che lui le aveva lasciato libera in un gesto di trionfo, il mento sollevato e orgoglioso e il popolo esplose in un possente boato di ovazione, acclamando a gran voce la loro regina, così altera e maestosa, che non si lasciava turbare neanche da quella dimostrazione d’arroganza da parte dell’uomo più potente del continente.
Zaron lasciò che le urla crescessero di volume, fino a far tremare l’aria stessa e poi anche lui alzò le braccia, mostrando che la sua mano era stretta intorno a quella della fanciulla al suo fianco. Questo ammutolì velocemente la folla, permettendogli di parlare.
- Popolo di Issa,
La conformazione della piazza permetteva alla sua voce di rifrangersi, aumentandone la potenza e arrivando chiara anche a coloro che si trovavano ai margini.
- Io sono Zaron, khan di Rakon e imperatore di tutto il continente di Zabad. Il vostro re, Aborn, questa mattina mi ha presentato la resa incondizionata del suo regno e io l’ho accettata. Ha abdicato, consegnando a me la sua corona e io oggi stesso la restituisco alla sua stirpe, facendo della sua legittima erede, Deja, la regina di Issa. Perché ho fatto una cosa simile? Perché intendo congiungere il regno di Issa a quello di Rakon, unendo la mia casata alla sua. Questa mattina, dopo aver accolto la resa, come condizione di una pacifica unione al mio impero ho chiesto la mano della regina Deja in matrimonio e …
Deja fece un passo avanti, sporgendosi leggermente dal balcone, posizionandosi più avanti rispetto a Zaron. Non avrebbe permesso a quell’invasore di farla apparire debole e sottomessa, soprattutto non gli avrebbe permesso di parlare al posto suo.
- E io ho accettato, prendendo in considerazione il bene del mio regno e i vantaggi che tutta Issa deriverà da questo matrimonio. Quindi oggi è un giorno doppiamente fausto per tutti noi. Issa non solo ha una nuova regina ma guadagna anche un nuovo re. Acclamate quindi anche Zaron, khan di Rakon che da conquistatore straniero ora si presenta di fronte a voi come legittimo sovrano.
Detto questo si voltò verso di lui, non sapendo cosa aspettarsi, rabbia forse, ma il viso di Zaron sembrava disteso e sereno e Deja pensò che forse era un politico più abile di quanto l’apparenza lasciasse supporre. Chinò leggermente il capo, in una dimostrazione inaudita e senza precedenti, perché in quanto sovrana assoluta non avrebbe dovuto chinarsi di fronte a nessuno. Ma lui non sarebbe stato un semplice principe consorte, era un re, un imperatore e in quel delicato momento di transizione aveva ancora il potere di distruggerli tutti; gli sarebbe bastato un cenno e i suoi soldati, che per ora si limitavano a costeggiare la folla, garantendo la sicurezza, avrebbero potuto lanciarsi su quelle stesse persone con le lame sguainate, come lupi famelici su un gregge inerme.
Dopo qualche attimo di incertezza, accompagnato da un teso silenzio e mormorii di sorpresa, il popolo di Issa sembrò rendersi conto che ci si aspettava una qualche dimostrazione di gioia a quell’annuncio, che quella era la felice notizia di cui si era andato parlando e mentre le grida salivano, inizialmente incerte per poi prendere via via vigore, la popolazione sembrò rendersi conto di quello che le parole della loro giovane regina implicavano, del sacrificio personale che ella faceva per garantire la loro sicurezza e la loro prosperità e fu il suo nome a essere gridato con forza, tra le lacrime, e non quello di Zaron.
Il khan non sembrò prendersela a male, anzi si concesse un sorriso di soddisfazione prima di ricondurre la sua regina all’interno, lasciandole la mano solo quando fu fuori dalla vista del popolo festante.
Vedendoli rientrare, un pallido Aborn fece un cenno secco nella direzione dell’orchestra che cominciò a suonare e quello fu il segno che la sua corte attendeva per mettersi a parlare tra di loro, discutendo di quello che era successo, mentre i camerieri cominciavano a passare tra i nobili distribuendo calici pieni di freddo vino frizzante.
Aborn si fece innanzi all’imperatore, inchinandosi profondamente e lanciando una veloce occhiata allarmata alla figlia che, ignorando sia lui che Zaron, aveva continuato a camminare lentamente ma con decisione fino al trono e vi si era seduta senza nessuna esitazione, componendo le membra e il viso in un’espressione neutra e rilassata che sapeva mascherare bene il tumulto e l’agitazione che l’affliggevano. Rifiutò con un pigro gesto della mano il calice che le venne offerto, e che non le era mai stato offerto prima d’allora, e guardò fisso davanti a sé, a segnalare che non desiderava che le fosse rivolta la parola.



NOTE DELL’AUTRICE: Adesso, quelli di voi che sono arrivati fino a questo punto e SPERO stiano leggendo le note, saranno armati di lanciafiamme, pronti ad arrostirmi. Trattenete a freno i forconi e le torce: non succederà NULLA tra Zaron e Deja finché lei sarà minorenne. Nulla, nada, zero. Al massimo qualche baciamano. Zaron NON è un pervertito, e spero risulti chiaro dai prossimi capitoli. Ma perché così piccola, vi chiederete (o forse no). Be’ volevo scrivere di una difficile storia d’amore, nata da un matrimonio politico ma mi sono detta: se finiscono a letto nei primi capitoli, non è più interessante, devono conoscersi gradualmente e così mi è balenata l’idea di scrivere la sposa giovanissima (a dodici anni può ritenerla una bambina graziosa senza provare nessuna attrazione) in modo da costringere i protagonisti a prendersela comoda e conoscersi bene prima di innamorarsi, per questo non ho messo la spunta a “romantico” per il primo libro della mia storia: perché finché lei è così giovane non ci sarà nulla di romantico.
  
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