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Autore: imperfectjosie    27/01/2017    0 recensioni
«Ammettiamo per un secondo che tu non sia il Frankenstein di un pazzo omicida» cominciò con calma, notando come gli occhi del rosso si fossero spalancati in attesa. Sulle labbra scarnificate aleggiava lo stesso identico sorriso aperto che i folli della città adoravano.
«Saresti comunque troppo piccolo per me»

| Jerome/Lee |
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S P O I L E R / 3x13
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jerome Valeska, Leslie Thompkins
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Fandom: Gotham
Pairing: Jerome x Lee (Thompeska? Valpkins? Non lo so gente, sto impazzendo HAHAH)
Rating: Pretty orange.
Note: I morti dovrebbero rimanere tali, Lee lo sa bene. E sa anche che alcune cose dovrebbero morire insieme a loro.
Josie's corner:
  Mia Immagine
Penso di avere una faringite coi controcazzi aggiunti.
Non che ve ne freghi qualcosa - almeno non penso - ma comunque rieccomi qui.
Mi era stato chiesto un seguito di "Hellbound", e io apprezzo veramente che vi sia piaciuta, ma si trattava di una "botta e via" perciò niente roseo futuro per Kat! Sorry, sono sadica. Stamattina ritagliavo cuori di carta per gli addobbi del negozio in vista di San Valentino. E sono single. Riuscite a capire quanto fa schifo questa vita? Compatitemi un po'!
HOWEVER!
Prima di avventurarvi nella lettura vi scrivo SPOILER in caratteri da insegna al neon di qualche Motel in cui si paga giusto l'ora di una one night stand squallida come i messaggi di scuse dei miei ex- minchia se divago quando sto male - comunque, se non avete visto la 3x13 NON avventuratevi nella lettura (oppure sì, ma a vostro rischio e pericolo!) 
Per gli amanti di Jerome Valeska, dubito che voi non lo abbiate fatto, in tal caso, buona lettura.
PS: Non so perché scrivo al posto di dormire, ma vi giuro che sto soffrendo. Mi fa male la gola, l'orecchio sinistro, ho la lingua bianca e se penso che domani ho 10 ore di continuato in salone mi sento pure peggio.
PPS: Le recensioni mi piacciono tanto, feel free to farle without nessun rimpianto.
PPPS: PPPPPPPPS PPPPPPPPSSSSS La finisco subito, okay HAHA devo dormire seriamente.
Vi voglio bene - giuro -
Josie.

 

DEAD MEN TELL NO TALES

 

Avrebbe dovuto pensarci prima.
Avrebbe dovuto pensarci - nello specifico - non appena varcata quella soglia, quando i suoi occhi si erano posati confusi sul cadavere del poliziotto steso a terra, in un mare di sangue.
E invece l'idea non l'aveva sfiorata neppure per un breve secondo. La morte doveva essere l'unica cosa certa e duratura su cui fare affidamento.
Ma quelle mani macchiate di rosso, intente a stringerle il collo, sembravano più vive che mai.
Non le pesava neppure l'idea di rischiare la pelle per rispondere alle domande deliranti di un pazzo. Forse - e di questo non ne aveva parlato neppure a Jim - dipendeva dal fatto che Jerome Valeska la incuriosiva. C'era qualcosa di tremendamente magnetico nel suo modo di essere.
Come una canzone che sai non dovrebbe in alcun modo piacerti, eppure la ascolti con un sorriso.
Di fronte a lei, se ne stava seduto sul tavolo delle autopsie, le gambe a penzoloni, una pistola tra le mani, il volto assente, rimpiazzato da una maschera di bende e sangue.
Era stata brava, aveva risposto a tutte le domande senza irritarlo in alcun modo, almeno finché non si era alzato con uno scatto. I denti bianchi risaltavano di più, senza la morbidezza delle labbra a nasconderli.
«Ti conosco, non è vero?» domandò retorico, spalancando gli occhi verdi e inclinando la testa di lato.
Lee sospirò.
«Già» proferì, guardandolo attentamente.
«Hey» iniziò, drizzando la schiena «Io e te abbiamo mai...?» cantilenò allusivo, spostando lo sguardo verso il basso, dove la pistola faceva bella mostra di sé oscillando oscenamente, poggiata tra le sue gambe.
Le mancò il respiro per qualche secondo, servito a seguire gli occhi accesi del rosso, finché non mise le mani avanti.
«Oddio, no!» ribatté immediatamente, immaginando tuttavia come sarebbe stata quella notte, se solo fosse esistita.
Jerome scattò in avanti, afferrandola per la gola, fino a sfiorarle il naso con una benda sporca.
«Cosa? I rossi non ti piacciono?» la stuzzicò divertito.
Una mano della dottoressa si alzò veloce ad arpionargli una spalla per non cadere all'indietro. Deglutì pesantemente. Sentiva l'odore di sangue scorrere leggero verso i polmoni e la cosa - inspiegabilmente - la rilassava.
«V-Vacci piano, mi stai facendo male» snocciolò a fatica, strizzando le palpebre quando la risata del rossino prese vita. Spalancò gli occhi chiari, aprendo quello che era rimasto della bocca in una smorfia inquietante e ipnotica allo stesso tempo.
Lee ricordava il viso di Jerome. Lo ricordava bene.
E sapeva che se lo avesse avuto in quel momento, sarebbe sicuramente stato più difficile resistere all'impulso di fare qualcosa. Qualcosa per cui avrebbe perso il posto, qualcosa di estremamente stupido e non necessario.
«Era proprio la mia intenzione, pasticcino. Mi stai stritolando una spalla tesoro, ti piace quello che tocchi?» la provocò allusivo, avvicinandosi di qualche millimetro e tirando fuori la lingua, che passò lentamente sulle labbra della donna.
Lee si irrigidì appena, alimentando la stretta sul folle, che ridacchiò, liberandola con un movimento rapido del corpo.
Gesticolava senza sosta, la pistola ancora stretta tra le dita della mano destra.
«Sai» cominciò pensieroso, voltandosi nuovamente verso di lei.
Per un secondo, le sembrò stesse parlando da solo. Non che la cosa potesse stupirla.
«Io non vi capisco a voi donne! Non capivo neppure mia madre, ma capivo che era una puttana. Beh, questo è-» si fermò di colpo, sollevando l'arma in alto e portandosela sopra alla testa. Due secondi dopo, la stava usando per grattarsi il cuoio capelluto.
Lee si rilassò.
Guardava un punto imprecisato davanti a lui. Lo sentiva ansimare piano con una voce di cui non ricordava l'esatta impostazione, ma sapeva essere stata decisamente meno gracchiante.
Le corde vocali dovevano giocargli brutti scherzi.
«Non mi ricordo cosa stavo dicendo» concluse con una scrollata di spalle, scoppiando a ridere subito dopo, piegato a cercare sostegno sul mobile dei medicinali.
La dottoressa inarcò un sopracciglio vagamente divertita.
Quel ragazzo era fuori di testa.
«Ah!» sembrò illuminarsi, tornando in posizione di attacco. Lee drizzò la schiena, sollevando il mento quando lo vide avvicinarsi nuovamente.
Non era legata, avrebbe potuto allontanarlo in ogni momento, ma non respinse la mano pallida premuta contro al proprio petto.
«Andate in giro alla ricerca di uomini pericolosi... ma poi, quando ne trovate uno, lo scartate» la informò con tono lamentoso, stringendole un seno nel palmo e facendole soffocare un gemito.
«E non si fa così!» soffiò, fingendo un'offesa inesistente.
Aveva piegato la testa di lato, ghignando euforico.
«Non credi?»
Lee sapeva che la sua opinione era irrilevante, ma si sentì in dovere di rispondere, forse un misero tentativo di nascondergli quei maledetti battiti del cuore impazziti.
«Io credo che tu sia completamente squilibrato» lo informò decisa, sfidandolo con lo sguardo.
Jerome incamerò una breve quantità d'aria e rimase saldo in quella posizione, prima di ridacchiare tornando a fissarla.
«Io credo che tu non sia completamente sincera con te stessa» le fece il verso, arricciando la bocca in una smorfia di finto disappunto «Possiamo continuare fino a domani, sai?» terminò ironico, annuendo da solo davanti al volto spaesato della donna, che imprecò mentalmente.
Ancora non riusciva a spiegarsi come una persona morta da un anno, potesse emanare tanto calore. Il cuore batteva, ma era convinta che le cose non funzionassero proprio a dovere là dentro.
Lo osservò, serrando le labbra per scacciare via quella sensazione di tepore alle costole. La mano di Jerome era ancora lì.
«Ammettiamo per un secondo che tu non sia il Frankenstein di un pazzo omicida» cominciò con calma, notando come gli occhi del rosso si fossero spalancati in attesa. Sulle labbra scarnificate aleggiava lo stesso identico sorriso aperto che i folli della città adoravano.
«Saresti comunque troppo piccolo per me»
Jerome rise a bassa voce, liberandole il seno e drizzandosi, per riuscire ad allargare le gambe con l'intenzione di arrivarle praticamente addosso. Si mise seduto sul grembo della dottoressa, in maniera scomposta e del tutto priva di pudore.
I gomiti poggiati sulle ginocchia, un'espressione euforica stampata tra le bende sporche.
«Quindi ci hai pensato, doc!» commentò estasiato, piegando la testa e muovendo il bacino in avanti.
Lee fece appello a tutto il proprio autocontrollo per evitargli una testata su quel ghigno insopportabile. Come medico, trovava i comportamenti del ragazzo davvero interessanti.
Sembrava avesse bisogno del sesso, per colmare la lacuna lasciata dalla mancanza di una madre amorevole. Per un secondo, l'idea di un bambino abusato le fece venire nausea.
Una parte nutriva un moto di pietà verso Jerome, ma dubitava che qualcuno avrebbe ascoltato le sue teorie in merito. Per tutti era un serial killer. E lo era, lo era davvero. Ma nessuno sembrava scorgere il dolore nascosto dall'orrore di quel sorriso malato e contagioso.
Aveva carisma, non era in grado di scindere il bene dal male in alcun modo e Lee era certa che fosse un narcisista senza vie d'uscita. Niente e nessuno avrebbe mai potuto curare una persona del genere. Nemmeno lei.
Sospirò, abbozzando un lieve sorriso.
Compassione. Jerome la notò immediatamente e si irrigidì, tornando serio.
«Sì. L'idea mi ha sfiorato la mente per un po'» proferì sottovoce, sollevando lo sguardo per riuscire a fissarlo negli occhi.
Non si muoveva, continuava a guardarla nella stessa posizione, facendo oscillare la pistola in mezzo alle gambe aperte. Poteva sentire la canna dell'arma strusciare contro alla gonna del vestito.
«Ti ho finalmente zittito?» lo interrogò ironica.
Quando vide il braccio fasciato dalla tuta aderente piegarsi e il palmo della mano posizionarsi contro al mento bendato del rosso, inarcò un sopracciglio davanti al sorriso chiuso che ebbe in risposta.
«Ti piacerebbe, dolcezza» annuì con un sorriso «Mh... stavo pensando» sospirò vago, agitando la pistola per enfatizzare il concetto.
«Sai» continuò poi, puntandogliela addosso di colpo.
Lee scattò sul posto, deglutendo in attesa.
«Sono curioso... cosa ti ha attirato di me, tanto da portarti ad avere idee così poco pure?» ridacchiò divertito, avvicinandosi al viso impassibile della dottoressa.
«I tuoi occhi»
Lo disse senza pensarci, senza esitazione alcuna nel tono di voce. Lo disse, perché li stava guardando proprio in quel momento e non poteva - nessuno sano di mente avrebbe potuto - negare che fossero incredibilmente belli. Dal taglio, al colore.
Ironico che fossero l'unica cosa rimasta sana nel viso.
Jerome li socchiuse appena, arricciando gli angoli insanguinati della bocca all'insù.
E Lee, in quella frazione di secondo, comprese quanto il lato infantile del rosso fosse rimasto immutato negli anni. L'infanzia rubata non lo aveva mai abbandonato, rendendolo - col tempo - un bambino alla costante disperata ricerca di attenzioni.
«Perché?» gracchiò, euforico.
Lee sbuffò, scuotendo la testa per staccare dalla fronte una ciocca di capelli.
«Ma tu ti guardi mai allo specchio, Valeska?» domandò retorica.
La vena ironica alimentò la risata di Jerome, che inarcò la schiena, ridendo al soffitto.
«Cominci a pesare. Hai intenzione di alzarti, o rimaniamo così a confessarci ancora a lungo?» continuò, infastidita dal comportamento folle del rosso, che tornò a guardarla piantando la bocca della pistola sulla sua guancia destra.
Con il volto piegato a sinistra, Lee non aveva ancora sciolto il contatto visivo.
«Datti una calmata bellezza, o il muro accanto a te prenderà una bella sfumatura di rosso intenso!» sussurrò con voce roca, facendola rabbrividire.
Per un attimo, si era completamente dimenticata con chi avesse a che fare.
«Cosa vuoi ancora da me? Non dovresti andare a ripescare la tua faccia?»
Quel gioco cominciava a stancarla.
«Vorresti rivederla?»
«Che cosa?» domandò esasperata. Stava varcando il limite della sopportazione.
L'espressione di Jerome si illuminò. Avvicinò il petto a quello ansimante della donna, facendolo aderire con studiata perfezione.
«La mia faccia!»
«Sei pazzo» concluse, raschiando la voce dal fondo di un pozzo completamente costruito con paura e brividi d'eccitazione.
Rise leggero al suo orecchio.
«Cosa ti da tanto fastidio? Il fatto che ti piaccia uno psicopatico, o il fatto che ti piaccia un ventenne?» la stuzzicò, lasciando scivolare una mano sul suo fianco e muovendola con carezze lievi, appena sotto alla stoffa bianca del camice.
Lee gli bloccò il polso.
«Smettila» riuscì a proferire sibilando tra i denti, maledicendosi da sola perché il suo corpo - completamente ignaro della natura del maschio che lo aveva stimolato - si era risvegliato a quel tocco.
«Smetterla?» rimbeccò scandalizzato, mentre la mano continuava a scendere rapida, fino all'orlo della gonna. Lee trattenne il respiro per una manciata di infiniti secondi.
Si era liberato in fretta dalla sua presa, ricordandole di essere sì giovane, ma comunque uomo.
Quando una mano lentigginosa trovò la propria strada in mezzo alle sue gambe, la dottoressa staccò il cervello da tutto ciò che la circondava. Sentiva solo quelle dita bruciare sulla pelle e l'insistente - impertinente - ridacchiare di una voce in lontananza.
Abbandonò la schiena contro alla sedia, allargandosi inconsciamente.
«Oh, questo sì che è divertente!» fu il commento raggiante di Jerome a quella reazione.
Si era piegato per tracciare la propria strada, ma riusciva a guardarla dal basso, la testa leggermente incrinata a destra.
«J-Jerome»
«Sì, doc?» ribatté ironico, trovando la barriera degli slip e sfregando lascivo l'indice contro al tessuto ormai umido.
Lee strozzò un gemito all'altezza della gola.
Appena la pelle del rosso si scontrò con la sua, tornò in sé e con una forza di cui ignorava l'esistenza, lo scagliò lontano, alzandosi in piedi ansimante.
Il corpo di Valeska cozzò violentemente contro l'armadietto di metallo, facendo crollare un paio di flaconi pieni di disinfettante e una copiosa quantità d'acqua che si rovesciò sulla testa rossa ancora ridacchiante.
«Il tuo carisma è pericoloso! Nemmeno lo voglio sapere quante te ne sei scopate così, non provare mai più a toccarmi.» scandì seria, posando un piede saldo contro alla pistola ormai persa sul pavimento e piegandosi giusto in tempo per raccoglierla.
Gliela puntò addosso senza esitazione.
Jerome si drizzò a fatica, il corpo ancora scosso dalle risa e lentamente la raggiunse, fino a toccare col petto la canna dell'arma.
Aveva le mani sopra alla testa, in un gesto di ironica resa.
Fu troppo veloce, Lee non riuscì a capire quando esattamente la pistola finì nelle mani candide del killer e come diavolo ci fosse arrivata schiacciata tra il muro e il suo corpo.
Le respirava addosso. La donna soffocò un gemito di sorpresa allo scontro violento con la parete, ma non smetteva di fissarlo. E non riusciva ad ignorare in alcun modo l'evidente erezione che premeva bisognosa sul suo ventre.
«Questa scenata di gelosia da dove l'hai tirata fuori, zuccherino?» la interrogò sarcastico, spostando la testa per dare un'immagine dettagliata al concetto.
Sentiva la pistola puntata sul fianco, ma non si mosse.
«Gelosia? Cosa diavolo stai blaterando?» rimbeccò acida, cercando di allontanarlo.
Inutile, ovviamente.
Jerome rise, allargandole le gambe quel tanto che bastasse da intrufolarsi in mezzo con un ginocchio.
Lee soffocò un respiro strozzato.
«Oh, andiamo...»
L'arroganza di quel ragazzo avrebbe potuto riempire l'intero dipartimento di Polizia. Il suo ego ne sarebbe stato senza dubbio il degno Capitano.
«Sei una persona malata, sei tossico e del tutto fuori di testa. Non mi interessano i tuoi giochetti erotici, non mi interessa niente che non sia vedere il tuo sedere lentigginoso e cadaverico di nuovo poggiato sul mio lettino delle autopsie!» decretò sicura, scandendo ogni singola parola agli occhi verdi e attenti del rosso, che inarcò un sopracciglio divertito, alimentando la stretta sul suo polso, facendola gemere.
«Cerca di stare bene attenta a quello che sto per dirti» cantilenò roco, avvicinandosi all'orecchio ormai rosso della donna e leccandone i contorni, per poi soffiarci dentro.
«Non sono abituato a lasciare le cose in sospeso, né tanto meno a perdere di vista quello che voglio. Perciò tornerò. E quando lo farò, l'unico lettino su cui poggerò il mio sedere lentigginoso, sarà quello del tuo appartamento!» concluse con tono beffardo e cantilenante.
Lee trattenne il respiro.
Per qualche strana ragione, trovava la nuova voce del rosso particolarmente magnetica. Strinse forte il pugno, fino a conficcarsi le unghie nella carne.
«Le mie erano solo idee momentanee, non montarti la testa ragazzino» decretò ironica, ruotando il polso nel vano tentativo di liberarsi.
Jerome si spostò nuovamente, fino a sentire il suo respiro caldo addosso. Per Lee era come trovarsi in trappola, nella gabbia di un predatore attento, che famelico studiava la propria preda.
Continuava a sorridere, strizzando gli occhi alla ricerca della prossima mossa.
Voleva ribattere con qualcosa di altrettanto graffiante, ma il rumore di alcuni passi costrinse entrambi a spostare l'attenzione verso la porta.
Poi Jerome strozzò una risata, tornando a guardarla.
«Sembra proprio che sia arrivato il momento di andare, pasticcino» gongolò, lasciandola libera.
Si massaggiò i polsi infastidita, nella testa un fiume di confusione e rabbia.
«Beh» cominciò, aprendosi in un teatrale inchino «Grazie per la compagnia... oh, e per le interessanti rivelazioni, tesoro! È stato un vero piacere!» concluse, ruotando il busto appena, per poi scoppiare a ridere, prima di raggiungerla con un violento scatto e intrappolarla nell'abbraccio più soffocante che Lee avesse mai ricevuto.
Stupendo persino sé stessa, lo ricambiò, notando con occhio professionale quanto quel gesto venisse difficile al rosso. Si domandò se ne avesse mai ricevuto uno in tutta la sua vita.
Il naso della dottoressa percepì forte l'odore di agrumi e morte.
Aveva paura. Paura perché la certezza che non sarebbe riuscita a fermarlo, si stava insinuando come un tarlo dentro ad ogni cellula del suo corpo, dandole dolorosamente ragione.
L'ultima cosa che vide, prima di lasciarsi scivolare sconfitta contro al muro bianco che l'aveva ospitata negli ultimi minuti, furono due occhi verdi - velati di pazzia e malizia - abbandonare la stanza.


 


END

 
  
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