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Autore: Melardhoniel    28/01/2017    2 recensioni
Immaginate il 1960.
Un anno cruciale per la storia dei Beatles, un anno di scelte che porteranno i quattro ragazzi di Liverpool a diventare il gruppo che conosciamo. Immaginate Pete Best, Stuart Sutcliffe, le due sorelle di John Lennon e ogni segreto conosciuto solo grazie alle biografie sui Beatles.
Immaginate una ragazza qualunque, Eveline 'Liv' Sparks, che improvvisamente si trova catapultata nel passato con in mano un grande potere: la conoscenza del futuro. Un privilegio che genera un limite, come sa bene chi si interessa di viaggi nel tempo: quanto la sua conoscenza degli eventi influenzerà i destini della Liverpool e della Londra degli anni Sessanta? Quanto sarà cambiata la storia dei Beatles? In meglio o con esiti catastrofici?
[La storia copre gli eventi temporali dal 1960 al 1970]
Dopo 3 anni di assenza sono tornata, per restare. Melardhoniel
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Harrison, John Lennon, Nuovo personaggio, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let it Born, Let it BEatles;'
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Capitolo 15
 
The boy Casanova of Speke
[reale soprannome dato da John a George, originario del quartiere di Speke]
 
 
Martedì 4 luglio 1961
 
D’accordo, niente panico: in fondo ho chiamato Ruth e lei non solo non ha battuto ciglio, come se aspettasse da sempre questo momento – suppongo, anzi, sono certa, che ci sia lo zampino di Thel – ma mi ha anche chiesto se sono totalmente decerebrata. “Rifiutare uno come George!” beh, grazie tante, lo so anche io che sono un’emerita imbecille, ma non è proprio tutta colpa mia. Facile giudicare, per loro che vivono stabilmente negli anni giusti.
Mentre mi gratto la testa cercando di sbrogliare la matassa di pensieri, il cancello di casa mia cigola e mi tuffo sotto il letto.
«Se è George io non sono in casa, eh?»
Mia madre mi guarda con aria compassionevole, quasi pensasse “certo, perché tu alle nove del mattino d’estate solitamente sei fuori casa.”
«È Pete, razza di fifona.» ottimo. Dalla padella nella brace.
«Madre, devo andare al lavoro.» il mio tono solenne lascia comunque trapelare la palese scusa. «Sicuro. Studia che è meglio. So bene che al NEMS lavori solo di pomeriggio…anzi, fammi un favore: non stare tanto a parlare con Pete, eh?»
Dannate madri, capiscono tutto alla prima. «Tanto non abbiamo più un granchè di cui parlare…» mi accascio sul letto appoggiando il mento al mio pugno, mentre mamma sospira e si sposta per lasciare entrare Pete nella stanza.
«Ohilà, Best! Hai ripudiato il fish and chips per i würstel con i crauti?»
«Sei sempre simpatica, Liv, oltretutto dato che non mi vedi da mesi.»
«Hai ragione, scusa…» sentendomi in colpa per il mio comportamento scendo dal letto e corro ad abbracciarlo. «È bello rivederti. E sapervi tutti a casa. Come è andata? Certo, dalle lettere si può sapere molto, ma è diverso sentirselo dire di persona.»
«Tutto a posto, abbiamo suonato anche con gli Hurricanes! Ma sicuro già lo sai…per via di Iris. Peccato per la definitiva perdita di Stu, ma a questo punto è meglio così… tra Paul e Stu sembrava sempre che si fosse su un ring. Poi lui ha Astrid.»
Ach. Pugnalata.
«Oh, sì! Deve essere una ragazza meravigliosa, vero? Molto carismatica e fascinosa, se anche John ne è rimasto colpito. Poi è davvero gentile! Mi ha scritto una postilla nella vostra lettera, sai?» il tragico è che i complimenti su Astrid li penso davvero.
«Davvero? Sì, è molto fascinos…ehi, come sai che John ne è rimasto colpito? È uno dei grandi segreti di Lennon, nessuno dovrebbe saperlo, tantomeno voi! Lo sa anche Cyn, eh?» Pete si passa le mani sudate nei capelli.
«Smettila di torturarti il ciuffo ribelle, Pete, non me lo ha detto nessuno e non ho spifferato niente. L’ho capito da sola, semplicemente.» sorrido. «John ama le belle donne affascinanti e bionde alla Brigitte Bardot, per questo Cyn si è tinta i capelli. Astrid è complementare a Stu e Stu è complementare a John. Quale grande dilemma nella testa bacata di Lennon: tradire la legittima fidanzata o rimanere fedele ai sentimenti del migliore amico – l’amico più affine – che esce con il suo sogno di ragazza?»
Pete mi fissa, basito. «Sparks, tu mi spaventi.»
«Lo so» ridacchio alzando le spalle. «Se ripassi stasera posso fare il discorso da capo, al buio e circondata da candele. Ti assicuro, è tutta un’altra cosa.»
Pete mi tira un buffetto sul braccio: «Scema. E dire che sono passato per una cosa importante!»
Spalanco gli occhi da dietro le lenti degli occhiali dalla montatura molto Buddy Holly.
«A proposito di chi?» ti prego, fai che non ci voglia provare con me. Anche perché credo che sappia benissimo di George – anzi, temo che anche Bruno Kochmider da Amburgo potrebbe saperlo. Magari tra poco mi arriverà una lettera in tedesco che mi intimerà di accettare la corte di George, per l’amor del cielo, prima che i Beatles rompano ancora le orecchie a mezza Germania.
Magari è per questo che è qui! Vuole ritentare! Oddio e se picchiasse George? Un Beatle sfigurato e una falla nel tempo: vai così, Liv.
«Si tratta di Stu.»
Fiù.
Ecco, ora picchierà pure lui.
«Ultimamente mi preoccupa. Anche Astrid sembra meno vivace del solito: Stu ha sempre e perennemente mal di testa e mi lascia molto in pensiero il fatto che lui, John e Paul si siano menati da poco.»
«Ti pareva che Lennon e McCartney non avessero da menare le mani.» brontolo. «Sai se hanno dato un colpo in testa a Stu?» domando aggrottando le sopracciglia. «E, soprattutto, perché lo stai dicendo a me? Cosa posso farci?»
Pete sospira pesantemente sedendosi sulla mia scrivania e prende tempo prima di rispondere: «A dire il vero non ne ho idea. Solo…mi ispiri più fiducia di chiunque altro. Non so perché, ma sembri avere sempre una soluzione a tutto, come se conoscessi ogni cosa.»
Non sai quanto sei vicino alla verità, Pete.
Improvvisamente il velo di problemi che fino a quel momento aveva occupato la mia mente si dirada e lascia spazio all’evidenza dei fatti, come un puzzle in cui tutti i tasselli trovano finalmente il loro posto.
Luglio 1961. Stuart accusa forti mal di testa. Probabilmente in precedenza si è preso a pugni con Paul e John.
IO SO COSA STA SUCCEDENDO A STUART!
«Merda!» urlo, portandomi di scatto le mani alla testa e spaventando a morte Pete.
«Sto bene…» sussurro poco dopo per tranquillizzarlo. «Forse hai ragione, so cosa può avere Stuart e so come agire. Pete, hai una vaga idea di dove abiti Astrid oppure conosci il suo numero?»
«Io…no, così su due piedi no. Però forse John ha segnato il numero sul suo taccuino…sai, nel caso avesse bisogno di chiamare Stu.»
Ecco una cosa che non dovrò dire a Cyn. Cosa che comunque passa in secondo piano.
«Pete, ora io devo studiare, pena il non poter uscire. Ma nel pomeriggio mi trovi alla NEMS. Riesci a procurarmi il numero di Astrid? Per favore, è importante.»
Lui esce dalla mia stanza e si avvia alla porta di ingresso, annuendo. «Un giorno mi spiegherai chi sei veramente, Liv Sparks.»
Sorrido. «Un giorno forse sì, Pete Best.»
 
*
 
Con il numero di Astrid in mano mi avvio alla più vicina cabina telefonica, carica di una miriade di gettoni. I miei genitori mi diranno di tutto quando scopriranno che ho praticamente dilapidato lo stipendio per telefonare ad Amburgo!
Compongo il numero e pazientemente aspetto. Speriamo che Astrid risponda! Oh, ti prego, ti prego!!
«Hallo?» una voce sensuale e leggermente roca risuona nella cornetta. «Hallo? Astrid, sei tu?» la ragazza comincia a parlare inglese, molto scettica. «Sì. E tu saresti?»
«Giusto, scusa…sono Liv Sparks.»
«LIV! Finalmente posso associare una voce ai mille racconti dei ragazzi!» eh, la miseria. Mille racconti. Come se non avessero avuto nient’altro di meglio da fare.
«Come mai mi chiami e non mi scrivi una lettera? Mi spiace farti spendere soldi…» tiro un lungo respiro e mi preparo all’inevitabile: «Astrid, volevo dirti una cosa molto urgente e non potevo aspettare i comodi delle poste. Ho parlato con Pete e ho saputo che siete tutti molto preoccupati per Stu. Ehm…lo so che sono giovane, inesperta e probabilmente mi sbatterai la cornetta in faccia perché non vedrai il motivo per stare a parlare qui con me, ma credo che Stu dovrebbe davvero farsi visitare da un medico. Perché, vedi…» interrompo il discorso per cercare di costruire una menzogna decente «Non molto tempo fa ho seguito un corso di medicina e mi è rimasta impressa proprio una lezione sui traumi cranici: i sintomi di Stu sembrano molto simili. Lo so...» continuo il mio sproloquio temendo di essere interrotta.
«Lo so che non sono affidabile e forse sono paranoica. Ma ti prego, ti prego, convincilo ad andare al Pronto Soccorso. Trascinacelo, non mi importa niente se dall’alto del suo essere bohemien non vorrà portarci il suo didietro, mal che vada avrà perso un pomeriggio. Ma ben che vada si sarà salvato la vita.» Negli attimi in cui riprendo fiato Astrid mi risponde, con un tono che sta a metà tra lo spaventato e il compassionevole.
«Liv, io…davvero non saprei. Mi sembra esagerato parlare di traumi cranici o addirittura ipotizzare cose peggiori. Vero è che Stu mi preoccupa sul serio e anche io vorrei si facesse visitare. Non sei un medico, ma il tuo tono è deciso e sembri sapere quanto sostieni. Inoltre, so quanto ti sta a cuore Stuart.» Non credo volesse alludere alla mia cotta per lui, ma l’affermazione mi strappa un sorriso amaro.
«Vedrò comunque cosa posso fare. Ci si sente, Liv. Grazie per il tuo interessamento, sei una ragazza preziosa. Auf Wiedersehen.» conclude lei.
Provarci non è abbastanza, Astrid.
Riaggancio la cornetta e mi avvio affranta verso casa di Nanny, dove sono attesa per portare al cinema Julia e Jackie insieme a Cyn, Mo e le altre ragazze.
Julia e Jackie, raggianti nei loro vestitini estivi a fiori, al mio arrivo piroettano su loro stesse per farmi osservare le gonne che ondeggiano ad ogni movimento. Come stanno crescendo bene.
Avverto subito gli sguardi di Cynthia, Maureen e Thelma su di me. Sanno che ho rifiutato George. Lo so. Loro lo sanno. Fiutano nell’aria ogni possibile storia d’amore. Dannazione.
Con un sorrisetto di circostanza prendo per mano Jackie e mi avvio verso il cinema: almeno per due ore sarò al sicuro da discorsi che non vorrei mai affrontare.
 
Non so nemmeno che film stiamo guardando, perché la mia mente è impegnata in pensieri più grandi di lei. Passato, presente, futuro si fondono insieme. Futuro alternativo, passato alternativo, presente alternativo. Continuum spazio-temporale, viaggi nel tempo. Arrivo persino ad accostare Doc a Doctor Who, il che avrebbe potuto benissimo essere plausibile. Cosa dovrei fare? Perché sono qui? Non è più un sogno, sono stata catapultata davvero negli anni Sessanta e sto crescendo in quest’epoca, esattamente come avevo sempre desiderato. Certo, non è proprio piacevole sapere che nel 2011 – cinquant’anni dopo il 1961 – avrei una discreta età, ma non mi lamento.
Attenta a quello che desideri… i genitori lo ripetono sempre, persino nelle fiabe è scritto. A me sarebbe bastato respirare nell’aria la Beatlemania, poter sfiorare gli LP appena usciti e saccheggiare le edicole alla ricerca di giornali dedicati ai Beatles, godendomi ogni singolo attimo della loro maturazione musicale. Chi si sarebbe mai aspettato di entrare nella loro compagnia e addirittura di poter condizionare le loro scelte.
Condizionare… basterebbe una mia parola per innescare una falla nel tempo e rischiare di modificare il futuro, non solo loro ma purtroppo del mondo intero. Sono d’accordo con il Dottore quando afferma: “ho viaggiato per 900 anni nel tempo e nello spazio e non ho mai incontrato una persona che non fosse importante”, ma in questo caso sarei la ragazza che ha impedito al mondo intero e alle successive generazioni di conoscere i Beatles. Avrei giusto un filino di responsabilità.
Anche adesso, come mi devo comportare con Stuart e George? So che Stuart morirà, devo lasciar correre gli eventi così come si svolgeranno oppure provare a salvarlo? Dovrei accettare la corte di George o così facendo precluderei le sue relazioni con altre ragazze che potrebbero rivelarsi importanti?
Mi viene in mente il terzo libro di Harry Potter, quando lui e Hermione vengono rimandati indietro nel tempo da Silente per salvare Fierobecco e Sirius: non una vita, ma due, in quanto ineluttabilmente legate l’una all’altra. Se non fosse una frase dedicata a Harry e Voldemort direi quasi che potrei sintetizzare tutta la situazione con “Nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive”.
Forse mi è stata data la possibilità di cambiare in meglio la storia?
 
Le luci si riaccendono in sala e sullo schermo scorrono i titoli di coda: sono rimasta per circa un’ora a fissare immagini che si susseguivano senza guardare per nemmeno un secondo il film, persa come ero nel mio monologo interiore.
Molly Bloom, tu ed il tuo flusso di coscienza siete nessuno.
 
«Liv, aspetta. Non puoi fuggire per sempre! Siamo tue amiche e non vorremmo mai che ti tenessi tutto dentro.» Maureen mi afferra la mano costringendomi a rimandare i miei tentativi di fuga. Non mi piace evitarle, ma non voglio nemmeno affrontare il discorso: sto soffrendo per motivi più grandi di me e di loro, non posso permettermi di distruggere il tempo per una mia debolezza.
«Sappiamo che ti imbarazza parlare con noi, ma non ti giudicheremo. Non devi evitarci solo perché hai rifiutato George e per qualche strano motivo te ne vergogni. Sai cosa pensiamo, che tu abbia torto, soprattutto perché si vede che ti piace e per Ruth non sarebbe un problema; ma abbiamo sbagliato a darti della cerebrolesa. Per favore, non andare via.» rivolgo lo sguardo verso Iris e mi convinco a rispondere: «Ragazze, per prima cosa mi dispiacerebbe essere felice con un ragazzo che ha fatto soffrire Ruth, poi George è uno dei migliori amici di John e Paul – che mi odiano – di Stu, per il quale ho avuto una cotta, nonché di Pete, che si è dichiarato mesi fa e che io ho rifiutato. Con che coraggio potrei uscire con lui?»
Thelma spalanca gli occhi: «Ma sei matta? Cosa fai, la crocerossina di turno? Non devi niente a nessuno, la vita è tua e come tale hai il diritto di essere felice. John e Paul sono diffidenti nei riguardi di qualsiasi cosa o persona sia nuova, lasciali nel loro brodo perché prima o poi ne riemergeranno da soli, Stu sta con Astrid e non cambierà mai niente, per cui svegliati e cambia rotta, Pete non ti piaceva e se avessi accettato di uscire con lui ora sareste entrambi infelici e probabilmente separati. Ruth sta benedicendo questa storia dall’alto di Birmingham, non capisco dove stiano i tuoi problemi!»
Sospiro. So benissimo di apparire ai loro occhi come una ragazzina capricciosa, mentre la domanda che vorrei urlare al mondo sarebbe “potrei in qualche modo compromettere il corso degli eventi?!”
Se io iniziassi una relazione con George e lui conoscesse, per dire, qualche ragazzina che avrebbe potuto in futuro avere un ruolo importante nel formare il suo carattere o nell’influenzare le sue decisioni, cosa farebbe? Rimarrebbe con me o seguirebbe il naturale corso degli eventi? Forse addirittura toccherebbe a me spingerlo tra le braccia di chi potrebbe cambiargli la vita; una su tutte Pattie Boyd.
Decido di rivelare parte della verità: «Sono spaventata! Mettiamo il caso che, per esempio tra tre anni, George incontri una ragazza che potrebbe diventare l’amore della sua vita; oppure si trovi costretto a dover scegliere tra me – e quindi Liverpool – e la sua carriera di musicista a Londra. Non vorrei mai impedirgli di compiere delle decisioni importanti.»
 
Le ragazze sono ammutolite, temo che mi considerino una pazza che si costruisce castelli mentali alti venti metri.
Poi Thel scoppia a ridere «Liv! Hai davvero la presunzione di poter durare tre anni con George? Goditi il momento, non si può sapere cosa riservi il domani. Tu sii felice. Lo diceva anche Orazio, Carpe Diem!»
Cynthia mi prende sottobraccio e mi rassicura, temendo che mi sia offesa per la schiettezza di Thelma. In realtà lei mi ha aiutato molto di più di quanto non si possa credere: ha ragione. Chi sono io per pensare di poter stare tre anni con George Harrison?
 
*
Due giorni dopo, mentre ripongo i soldi nella cassa, Brian trionfante lancia sul bancone un giornaletto ripiegato. Vedendo la mia occhiata interrogativa si apre in un sorriso sornione e mi esorta ad aprire la seconda pagina.
La testata recita – What’s on Merseyside: Mersey Beat, giovedì 6 luglio 1961. Eh vedi, oh. Mica pizza e fichi.
Con le mani un po’ tremanti dall’emozione (non capita certo a tutti di aprire la primissima copia del Mersey Beat!!!) giro a pagina due, trovandomi davanti…
 
Being A Short Diversion
On The Dubious Origins Of Beatles
        
Translated From the John Lennon
 
«No, un momento. Lei sta scherzando.» guardo Brian da sotto in su. John Lennon, quel matto!
«Proprio no, Liv cara. È davvero lui! Il fratello delle ragazzine che porti in negozio ogni volta, l’amico del ragazzo che è venuto a trovarti qualche giorno fa…» lo guardo sbigottita: Brian non era nemmeno presente quando George è passato a salutarmi!
Lui mi fa l’occhiolino – perfetto, è una congiura ai miei nervi.
Sorrido di circostanza e aspetto che prosegua. «Uno dei ragazzi che suona in My Bonnie, oh, non è un articolo estremamente umoristico? Quel ragazzo ha carisma da vendere, te lo dico io!» Brian non sbaglia un colpo.
«Oh, sì. Molto spiritoso. Maaa, signor Epstein, dunque quali sono i suoi progetti per il futuro?» sono una pessima attrice.
«In tutta onestà, madama, sto aspettando che la mia fidata informatrice Patricia sappia dirmi qualcosa di più su questo gruppo. Vorrei riuscire ad ascoltare qualche loro pezzo dal vivo, non solo sul vinile, per rendermi conto se oltre alla bravura hanno anche la presenza scenica. Se possiedono il talento, se potrei mai pensare di investire su di loro.»
Patricia. Ancora quel nome. Mi domando se Brian sappia della relazione clandestina tra lei e John; anzi, a dirla tutta mi domando se conosca John. Oh, quello che è certo è che vorrei essere presente al loro primo incontro, per vedere le scintille dell’attrazione sprizzare da entrambi.
«Signor Epstein, mi permetta. Suo fratello la pensa come lei?» lo sguardo di Brian si indurisce, ma la mia domanda non avrebbe potuto non essere rivolta: io lavoro nel negozio di entrambi e non posso né voglio agire nell’ombra per compiacere uno dei due. Sono d’accordissimo sulle intenzioni di Brian, ma vorrei che ne parlasse anche con Clive, per evitare ripercussioni.
«Le uniche cose che ti devono importare riguardano la vendita dei dischi, signorina Sparks.»
Chino la testa in segno di scuse e torno al mio lavoro, mentre Brian si ritira nel retro, lasciandomi sola con il giornale ancora sotto gli occhi. Forse vuole che lo legga e cambi idea.
Senza neanche averlo programmato mi trovo a leggere il racconto di John:
 
[Nd.A: la traduzione è mia, perché non ne ho trovate in giro. È quasi letterale e ho cercato di mantenere l’umorismo di John e i giochi di parole, spero di aver fatto un buon lavoro]
 
C’erano una volta tre piccoli ragazzi chiamati John, George e Paul, dato che era il loro nome di Battesimo. Decisero di mettersi insieme perché erano i classici tipi da stare insieme. Quando erano insieme, loro si domandavano “a che scopo, dopotutto, a che scopo?” Quindi all’improvviso ottennero delle chitarre e formarono rumore. Per un motivo abbastanza strano, nessuno era interessato, a parte i tre piccoli ragazzi. Qui-i-i-indi dopo aver scoperto un quarto piccolo uomo chiamato Stuart Sutcliffe che correva qua e là attorno a loro dissero una cosa tipo “Figliolo, comprati un basso e andrai bene” e lui lo fece – ma non andava bene perché non sapeva suonarlo. Quindi loro lo ignorarono comodamente finché non seppe suonarlo. Ma ancora non c’era ritmo e un vecchio gentile uomo disse, riporto, “Voi non avete una batteria!” Noi non avevamo una batteria! Farfugliarono loro. Quindi una serie di batterie vennero e andarono e vennero.
 
All’improvviso, in Scozia, durante un tour con Johnny Gentle, la band (chiamata “The Beatles”, chiamata) scoprì di non avere un gran bel suono – perché non avevano amplificatori. Ne ottennero alcuni.
 
Molte persone chiedono: “cosa sono i Beatles? Perché ‘Beatles’? Ugh, ‘Beatles’. Come è arrivato questo nome?” quindi ve lo diremo. È arrivato con una visione – un uomo apparve su una torta fiammeggiante e disse loro: “da questo momento voi siete i Beatles con la ‘A’ ”. “Grazie, signor uomo”, dissero ringraziandolo.
 
E poi un uomo con la barba rasata disse – “andreste in Germania (Amburgo) e suonereste ai paesani molto rock in cambio di soldi?” E noi rispondemmo che avremmo suonato molto qualsiasi cosa per soldi.
 
Ma prima che potessimo andare dovevamo procurarci un batterista, quindi ne trovammo uno nel West Derby in un club chiamato “Casbah Qualcosa” e il cui problema era Pete Best. Lo chiamammo: “Ciao Pete, parti per la Germania!” “Sì!” Zooooom. Dopo qualche mese Peter e Paul (che si chiama McArtrey, figlio di Jim McArtrey, suo padre) incendiarono un Kino (cinema) e la polizia tedesca disse: “Cattivi Beatles, dovete tornare a casa e incendiare i vostri cinema inglesi!” Zooooom, metà gruppo. Ma ancora prima di questo, la Gestapo aveva portato via il mio piccolo amico George Harrison (di Speke) perché aveva solo dodici anni ed era troppo giovane per votare in Germania; ma dopo due mesi in Inghilterra crebbe e ne compì diciotto e i Gestapi [nd.t. in inglese è proprio scritto “Gestapoes” e sarebbe da tradurre “i membri della polizia segreta tedesca” ma toglierebbe tutta l’ironia] dissero “puoi tornare”. Perciò all’improvviso tutti erano tornati nella cittadina di Liverpool e vi erano molte band che suonavano in vestiti eleganti di colore grigio e Jim disse: “perché voi non avete vestiti eleganti grigi?” “Non ci piacciono, Jim”, dicemmo, parlando a Jim.
 
Dopo aver suonato per un po’ nei club, tutti dissero “Andiamo in Germania!” e ora siamo qui. Zooooom Stuart è andato. Zoom zoom John (di Woolton) George (di Speke) Peter e Paul zoom zoom. Tutti andati. Grazie membri del club, da John e George (che sono amici).
 
Inizio a ridere da sola, appuntandomi mentalmente di comprare una copia del giornale e inseguire John per ottenere un suo autografo. Penso che ora Brian si aspetti un mio giudizio a riguardo, come se non avessi capito che stravede già per loro e soprattutto per John, e che i suoi discorsi sul “vendere bene” sono una mera misura di protezione.
Il campanello suona, rivelando Iris che saltella euforica fino al bancone.
Ti prego, fai che non sia venuta fin qui per parlare di George e per raccontarmi dei tempi andati in cui lei aveva 14 anni, lui 15 e si erano frequentati per un periodo. Anche se teoricamente io non dovrei saperlo.
Mi devo comprare un diario.
Sorrido e rivolgo la mia attenzione a Iris, pronta al peggio: «Se non ti conoscessi penserei che sei qui per acquistare il nuovo disco di Elvis, ma ti conosco e so che se potessi dormiresti con il suo cartonato accanto, ergo…cosa ti spinge in questo luogo di rock’n’roll e brutte compagnie?»
«EHI!» esclama Brian, piccato, dal retro del negozio.
«Mi scusi, signor Epstein! Scherzavo!»
Iris ridacchia senza smettere un secondo di saltellare. «Per l’amor del cielo, Caldwell, mi stai facendo venire il mal di mare. Contieniti e racconta!»
La risposta che giunge è inaspettata, persino a una persona che viene dal futuro e dovrebbe essere preparata a questo genere di uscite. «Sono stata presa in una compagnia di ballo!» eh? Come? Cosa? Sapevo che amava ballare, specie il twist, e il suo talento evidente era stato messo in mostra alle varie feste degli scorsi mesi, ma non pensavo minimamente che volesse costruirci una carriera sopra.
«Tu…cosa? Favoloso! Dove?»
Iris mi racconta di aver fatto un’audizione e di essere stata selezionata insieme ad altre ballerine per una dimostrazione di Twist al Liverpool Dance Hall, di cui presto sapremo la data e alla quale siamo tutti invitati.
Sono davvero contenta per lei, ballare le illumina gli occhi ed è uno spettacolo; inoltre, sono curiosa di sapere come questo punto nella storia dei Beatles li influenzerà: è la prima volta che mi trovo in una situazione quasi pari a quella dei liverpudliani degli anni sessanta.
«Quindi indosserai quelle gonne enormi piene di pizzo e le scarpette argentate? Un po’ Moulin Rouge e un po’ varietà?» Iris annuisce alla mia domanda. «Caspita. Avrai gli sguardi di tutti i ragazzi puntati addosso! Forse sarebbe meglio che i Beatles non venissero, o potresti avere sulla coscienza relazioni scoppiate. Inoltre, come faresti a gestire tutti gli appuntamenti che fioccheranno? Ti servirà una segretaria. Sono disponibile!»
«Oh, Liv, quanto sei sciocca» ride Iris «E poi,» aggiunge con un sorrisetto malizioso «sappiamo bene che George ha occhi solo per te»
Mi prenderei a ceffoni da sola per averle offerto l’imbeccata su un piatto d’argento.
«Sapete anche che io, strega cattiva, ho osato rifiutarlo per paura di fare del male a me stessa, a lui e agli altri».
«Novella Florence Nightingale»
«Simpatica»
Iris si sporge sul bancone «Ad ogni modo, non sai cosa ti perdi. Ovviamente non devi avere paura di me, tra me e George c’è stato qualcosa tre anni fa, ora è un mio caro amico ma non provo nulla per lui. Liv, ascolta: nella mia vita ho ricevuto dei baci, ma mai emozionanti e perfetti quanto quello che George ha dato a me. Lui è…è… fenomenale, dolcissimo, si prende cura di te anche se può sembrare chiuso e scontroso. Insomma, hai presente quello che si dice del primo bacio?»
Yuk, eccome. Ricordo il mio primo bacio, dato a 14 anni (l’anno prima, o forse 49 anni dopo) a un compagno di classe: sì, emozionante ma no, decisamente non come quello che ci avevano fatto credere i libri e i film.
Devo avere assunto un’espressione schifata al ricordo, perché Iris mi sta osservando sorniona, questa volta seduta sul bancone.
«Ecco. Quello di George è stato uno dei migliori». E mamma mia, che sarà mai. Un amatore uscito dai romanzi rosa.
«Apprezzo il tuo entusiasmo e la tua approvazione, ma ti ricordo che i baci sono soggettivi»
«Come sai che George non bacia bene se non ti sei fatta baciare?» strabuzzo gli occhi e inizio a sfogliare le pagine del Mersey Beat, temendo che la gente lo abbia scritto anche lì e che lo sappia tutta Liverpool. «Dov’è? Dov’è la scritta “George Harrison, il ragazzo Casanova di Speke, ha provato a baciare Liv Sparks, aspirante Florence Nightingale, che si è scostata”?»
Iris alza gli occhi al cielo: «Paul e John hanno chiesto a George come fosse andata e lui lo ha raccontato a loro, che lo hanno detto alle loro ragazze, che lo hanno riferito a me» Memento: non esisterà mai privacy nel mondo dei Beatles.
Caro Paul, caro John, io so di voi cose che non potreste nemmeno sospettare. Vipere, tenete a freno la lingua!
Iris guarda l’orologio del negozio e mi saluta: «Liv, devo andare, ma mi aspetto di vederti la settimana prossima al primo concerto dei Beatles post-amburgo. Non usare scuse, non provare a fuggire da noi o da George. St. John’s Hall, puntuale. Buon weekend!»
 
Mi accascio sul bancone. Sarà una lunga settimana.
 
*
 
Questa volta sono così puntuale che sorprendo me stessa: il St. John’s Hall si erge davanti a me e sulla strada non c’è nessuno, segno che sono addirittura in anticipo sulla folla, ben 40 minuti prima dell’esibizione.
Sento vociare all’interno, sento John che sbraita comandi e Paul che tenta di tenergli testa, tipico, sento la chitarra di George che suona rabbiosa ma nessuna voce femminile. Respira, Liv, passo dopo passo entra nel locale.
La sala è fredda e vuota ma le voci sono amplificate di volume. Mona Best fuoriesce da una porta carica di festoni, seguita a ruota da Pete che riesce a malapena a rivolgermi un saluto. Scuoto la testa meravigliata: Mona Best, qui? Ancora? Ma in quanti luoghi lavora? Avrò le allucinazioni, starò sicuramente impazzendo.
Un urlo più forte degli altri mi riporta alla realtà: John e Paul stanno decisamente discutendo e sono passati a strillarsi in faccia.
«Macca, pezzo di idiota! Segui questi accordi e non mi scassare!»
«Non lo farò mai, John! La mia idea è migliore e io e te siamo un duo, quindi le mie idee valgono quanto le tue»
«Sei una testa di minchia!»
«Mi avete rotto!» si erge improvvisamente George, smettendo di suonare. «Io vado a fumarmi una sigaretta fuori, chiamatemi quando l’aria sarà di nuovo respirabile». Sbatte la porta della saletta ed entra nella sala principale, per uscire dal portone. Mi vede, si ferma: il suo sguardo passa da stupito ad arrabbiato e, senza proferire una sola parola, tira fuori dalla tasca una sigaretta, si alza il bavero della giacca di pelle ed esce, ignorandomi.
 
Sono rimasta ghiacciata al centro della sala. George ha tutte le ragioni per avercela con me: mi ha confessato i suoi sentimenti e ha provato a baciarmi senza forzarmi, e tutto quello che ha avuto in cambio è stato un “porca miseria!” esclamato in faccia sommato a un silenzio di 10 giorni. George, perché non puoi capire? Perché non posso confessarti chi sono e quale penso sia la mia missione?
«George!» lo chiamo, uscendo nel cortile.
Lo trovo seduto sul muretto, appoggiato ad un tronco d’albero, che fuma tenendo lo sguardo fisso davanti a sé e le sopracciglia aggrottate.
«George… parlami, ti prego» mi avvicino a lui e ancora fa finta che io non esista. «Geo, hai ragione. Sono stata vigliacca! Sono passati 10 giorni e non mi sono fatta sentire. Ma lo sai qual è la verità? Avevo paura.» George sbuffa e si alza, iniziando a camminare verso l’uscita del cortile. «Paura di noi, di ferire Ruth, di ferire Pete. Tutto questo non c’entra con te, perché tu sei bellissimo!» gli urlo dietro.
George si ferma, esita, la mano che tiene la sigaretta trema ma lui non si gira. Riprende a camminare, più lentamente.
Lo rincorro: «Per l’amor del cielo, George!» lo raggiungo e lo afferro per un braccio, tentando di aggrapparmi alla convinzione che si volterà.
 
Non appena rivolge i suoi occhi su di me il tempo scorre in un attimo: gli metto una mano dietro la nuca, mi alzo in punta di piedi e lo bacio. Dopo un iniziale sbigottimento lo avverto rilassarsi e ricambiare, le sue mani sono posate sulle mie guance.
Iris aveva ragione. Dannata Iris! George bacia stupendamente, non lo si crede possibile finché…beh…non ti bacia. E mi sta baciando! STO BACIANDO GEORGE HARRISON! Beccati questa, Mersey Beat! Come la vedi nei panni di notizia del giorno? Stringo George a me con più foga.
 
«Liv.» sussurra lui, appoggiando la sua fronte sulla mia. Sorrido. Si fruga nella tasca dei jeans ed estrae un sacchettino di carta colorata.
«Volevo consegnartelo quella volta al negozio ma ho avuto un contrattempo.»
Apro il pacchetto che rivela contenere una stupenda collana di corda con un ciondolo d’argento a forma di sole. Un regalo per me da Amburgo.
«George, ma cosa…?» non voglio che spenda tutti i suoi soldi per me. Lui alza le spalle con noncuranza. «Il sole simboleggia la vita, la conoscenza e l’allegria. È perfetto per te. L’ho visto, ti ho pensato, avevo in mano il mio ingaggio di una serata e te l’ho comprato.» Sono sinceramente sbalordita: «Accidenti, Harrison! Devo dedurre che ti sei studiato il significato del nome Liv?» George fa un sorriso sghembo e mi allaccia la collana. Lo bacio a tradimento e lui ride sotto le mie labbra. Non durerà più di tre anni, ma saranno anni felici.
Maledetto George Harrison, così affascinante, così Casanova.
  
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