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Autore: EcateC    28/01/2017    7 recensioni
La vera storia di Harleen Frances Quinzel, la rigida dottoressa newyorkese che si lasciò sedurre da Joker per diventare la famigerata Harley Quinn, la pagliaccetta bella e simpatica che tutti conosciamo.
Ma da lasciarsi alle spalle una vita di privazioni a conquistare il cuore del super criminale di Gotham c'è una bella differenza, ed è qui che riposa la vera inversione dei ruoli. Provare per credere.
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn, Joker, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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KNOW BETTER

 

 

 

Harleen Frances Quinzel è sempre stata una ragazza molto educata e disciplinata.

Alle elementari era la classica bambina tranquilla che non disturbava, quel tipo di bambina che durante la ricreazione stava seduta a colorare e a fare i braccialetti con le perline.

Alle medie il suo carattere dolce e remissivo rimase lo stesso, ma la sua autostima cominciò a vacillare. Dapprima a causa degli occhiali, e poi a causa delle sue compagne, che presero a prenderla in giro a casua del suo aspetto poco curato e troppo composto. Harleen non indossava i vestitini modaioli, non usciva alla sera, non si truccava come una baby squillo, la sua famiglia di professionisti intellettuali non glielo permetteva. Iniziò a sentirsi sbagliata, fuori luogo, mai all’altezza della situazione e delle sue compagne, che le sembravano tutte più simpatiche, più belle e più sofisticate di lei. Complici il suo carattere insicuro, gli occhiali che gli avevano diagnosticato a soli undici anni e il rigidismo famigliare, Harleen già da bambina venne etichettata come la classica nerd della scuola, da evitare come la peste e prendere in giro. E si sa che le etichette sono peggio di un marchio infamante, se te le affiabbiano da bambino rischi di tenertele per tutta la vita.

Al liceo la situazione infatti non cambiò, anche se la sua bellezza cominciò timidamente a sbocciare. Il senso di inadeguatezza che provava verso se stessa non diminuì, e anzi la metteva nella condizione di dover sempre dimostrare di valere, di essere brava e di non deludere le alte aspettative che tutti serbavano su di lei.

In classe stava sempre in primo banco, i suoi voti erano altissimi, la condotta era impeccabile e quando non stava nelle aule scolastiche, spendeva i pomeriggi tra i corsi di ginnastica ritmica, quelli di spagnolo e i compiti da fare in biblioteca. D’altronde i suoi genitori pretendevano da lei solo il meglio, non potevano accettare errori dallo loro figlia perfetta. Suo padre, Humbert Quinzel, era infatti il rinomato primario di cardiologia nell’ospedale maggiore di New York, famoso in tutto il mondo per i suoi delicatissimi interventi a cuore aperto, mentre sua madre Margaret era solo un neurochirurgo che viaggiava da uno stato all’altro, indaffarata e sempre assente.

Harleen quindi passava maggior parte delle sue serate con Consuelo, la governante latino americana con cui doveva, obbligatoriamente, parlare in spagnolo per esercitarsi. 

Una giovinezza molto triste quella di Harleen. Lei era bella ma non si sentiva tale, era dolce e simpatica ma non aveva mai occasioni di dimostrarlo, e nessuno si rendeva conto di quanto soffrisse e si sentisse profondamente sola.

Un giorno però, durante i suoi diciassette anni, Harleen vide al telegiornale una notizia destinata a cambiare per sempre il corso della sua esistenza.

 

“Un nuovo mostro terrorizza Gotham City”  lesse la scritta in sovrimpressione “Si fa chiamare Joker, allertati Batman e Superman”

 

-Mira qué loco!- gridò Consuelo, indicando col dito la TV accesa.

Harleen le sorrise e guardò meglio lo schermo. Un giovanissimo Joker, con i capelli verdi sparati in alto e qualche tatuaggio di meno, seminava il panico con un enorme bazooka in braccio e un paio di uomini mascherati alle sue spalle, ridendo e salutando verso la telecamera della banca che aveva appena rapinato.

-Ma ha i capelli verdi?- domandò Harleen con voce tremula, talmente incantata da dimenticarsi di palare in spagnolo -Hai visto? Quello ha i capelli…-

-Senorita, più dei suoi capelli io mi preoccuperei dei poveretti che ha appena derubato!- le rispose Consuelo in americano, ma con un accento spiccatamente spagnolo.

-Oh… Sì, giusto-

-Tutto ok, cara? Sei rossa in viso-

La giovane Harleen si girò verso di lei per rincuorarla, ma invece di trovarsi davanti Consuelo, incontrò il viso sorridente di Joker a due centimetri di distanza dal suo.

-Tutto ok, Harley?-

 

 

La dottoressa Quinzel si svegliò di soprassalto, col cuore che batteva a mille.

Si guardò subito intorno, con suo grande sconcerto era in ufficio nell’Arkham Asylum, seduta nella sua poltrona. Si prese il viso tra le mani e fece un lungo, profondo respiro. Si era addormentata con la faccia premuta sopra i referti che doveva analizzare, ma va bene, si disse, niente di grave.

Guardò l’orario, erano già le 18:30 e il suo orario lavorativo finiva alle 17. Alzò le spalle e si alzò in piedi, sentendosi fastidiosamente intorpidita. Tanto non le importava di andare a casa presto, non c’era mai nessuno ad aspettarla… Anzi, più stava ad Arkham e più si sentiva vicina a lui, l'uomo più pazzo del mondo che le aveva rubato il cuore.

“Chissà cosa sta facendo adesso” pensò, mentre radunava le sue cose “Povero amore mio, chiuso in quel buco da dieci metri quadri, sempre con la luce accesa, senza un minimo di privacy… Sfido chiunque a non impazzire”

Scosse la testa sconsolata e si girò verso la finestra per chiudere le imposte, ma come lo fece notò il pudding che aveva appoggiato sul davanzale la mattina stessa.

“Il pudding!” pensò sgomenta, destandosi completamente “Oddio, che stupida! Dovevo darlo a Mr. J!”

Harleen si prese la testa tra le mani, guardando il dolce placidamente abbandonato sulla finestra.

“E adesso come faccio?” pensò impanicata, per la seconda volta in un giorno “Penserà che mi sono scordata di lui, che non lo penso, che non so cucinare, che sono una pessima fidanzata… Devo andare da lui, glielo devo portare”

Prese il dolce e, sicura come un pompiere, iniziò a marciare verso il padiglione di massima sicurezza. Sfrecciò per i corridoi ospedalieri, intossicandosi del tipico puzzo di lattice, mentolo e medicine, cercando di nascondere sotto il camice il budino verde.

“Oddio, mi stanno guardando tutti. Respira, Harleen,va tutto bene, Tra poco rivedrai Mr. J. Pensa a quanto sarà contento di avere il pudding…” sorrise all’idea di vederlo sorridere “Sarà felice per merito tuo”

Uscì come se niente fosse dal padiglione e attraversò il giardino per dirigersi nell’altra palazzina adibita alle celle d’isolamento. Davanti ai portoni blindati c’erano però due guardie armate.

Harleen sorrise e mostrò loro il tesserino di riconoscimento che aveva appeso al camice

-Quinzel- disse con finta disinvoltura -Devo un attimo raggiungere il mio paziente-

Si stava già precipitando dentro, ma la presa possente della guardia la fermò.

-L’autorizzazione, prego- esclamò questa, aprendo in modo esigente il palmo della mano.

-Quale autorizzazione?- chiese lei, col viso falsamente sorridente.

-Quella necessaria ad accedere. Mi dispiace dottoressa, ma senza autorizzazione non possiamo farla entrare-

-Come sarebbe, scusi?- ribatté Harleen, cercando di essere un minimo intimidatoria -Sono una psichiatra, lavoro qui, non potete impedirmelo-

-Noi no, ma il regolamento sì. In questo padiglione si accede solo con autorizzazione firmata dal direttore. Non sono ammesse eccezioni-

Harleen avrebbe voluto urlare -Ma io sono l’affidataria del Joker, non so se vi rendete conto…-

-Mi dispiace, dottoressa- gli rispose il gorilla, risoluto -Qui si accede o con autorizzazione del direttore o al limite con decreto motivato del PM-

“Rogers!” pensò subito Harleen, e il suo cuore riprese a battere -Va bene, allora ci vediamo fra dieci minuti con il decreto firmato-

Le guardie si scambiarono un sorriso d’intesa -L’aspettiamo, dottoressa-

 

————————————-


 

-Rogers! Mi deve aiuta…-

La ragazza era piombata come una freccia nello studio del magistrato ma, appena lo vide si bloccò all’istante, ammutolendo. L’uomo infatti era piegato sulla scrivania, con la testa protesa su una sottile striscia di polvere bianca…

-Dottoressa Quinzel!- sussultò con un sorrisone, colto nel fatto -Non si usa bussare a New York, per caso!?-

Harleen era senza parole.

-Sì… Scusi, è che avevo un bisogno urgente di parlargli- esclamò lei con voce imbarazzata, guardando incredula la partita di droga che svettava sul legno -Riguarda Mr. J, cioè… Il Joker, io…-

-Che è successo a J?-

-No, niente, è che io ho bisogno di… Aspetti- Harleen socchiuse gli occhi -Come l’ha chiamato? J?-

L’uomo trattenne un sorriso e sbuffò, togliendosi gli occhiali per stropicciarsi gli occhi.

-Rogers, lei mi sta nascondendo qualcosa, non è vero?- lo incalzò, sentendosi sempre più trepidante e agitata -Lei lavora per Mr. J, è uno dei suoi uomini?-

-Alleluja!- ridacchiò, facendole infine un sorriso storto -Ormai avevo perso ogni speranza. E dire che di segnali te ne avevo mandati… Perché credi che ti abbia difeso di fronte alla Waller? Perché mi stavi simpatica? No, perché me l’ha chiesto lui-

Harleen era sbiancata, ma non per la paura. Era ufficialmente coinvolta in una situazione talmente illegale che il suo cervello faticava perfino a elaborarla. Ma invece di essere terrorizzata e di correre subito dalla polizia, si sentiva viva, parte integrante di un gruppo talmente proibito, talmente pazzo da renderla euforica.

-D’accordo, quindi tu sei uno dei suoi uomini, sì-

-No, bella, non sono uno dei tanti, io sono l’uomo, il suo uomo…- esclamò compiaciuto, per poi correggersi subito alla vista della sua espressione scioccata -No, non in quel senso, purtroppo, nel senso che Joker a me serba più fiducia che a chiunque altro. Chi credi che abbia guidato la sua Lamborghini l’altra sera? Chi credi che abbia spedito gli SMS sul tuo cellulare? Chi credi che abbia convinto Arkham a farti assumere? Io, Gagsworth Gagsworthy- esclamò, alzandosi in piedi e facendole un inchino dal sapore teatrale -Braccio armato del Joker, suo consigliere in tempo di guerra, palo ufficiale per le rapine in banca nonché…- fece una pausa tattica per enfatizzare il momento -Suo affezionato e instancabile barzellettiere e perditore di fiducia-

-Perditore?- ripeté Harleen, talmente scioccata che quasi faticava a respirare.

-Lei vincerebbe una partita contro il Joker?-

Harleen non dovette neanche a pensarci -No…-

-Brava-

Ma Harleen era rimasta alla seconda frase, con una stretta allo stomaco -Ma quindi non me li ha scritti lui? I messaggini sul cellulare, intendo, non li ha scritti lui?-

L’uomo la guardò e scosse la testa con fare compassionevole. La dottoressa era più cotta di quello che credeva… E Joker sempre più affascinante. “Un quarto d’ora” gli aveva detto sghignazzando, il giorno in cui era andato ad informarlo di questa Harleen Quinzel “Dammi un quarto d’ora e la piccola psichiatra cadrà ai miei piedi”

“È una in gamba, capo, non sottovalutarla così”

“Lascia fare a Joker, Gaggy, lascia fare a Joker…”

L’uomo si disincantò e tornò sulla terra -No, li ho scritti io- rispose ad Harleen -Ma l’ho fatto su suo ordine, è lui che mi ha dettato le parole, cuoricino compreso-

-Ah, okay- esclamò la ragazza, con un sorriso sollevato -No, perché mi piaceva l’idea di poter comunicare con lui anche al di fuori delle sedute psichiatriche, sa com’è-

-So com’è-

-Quindi, in definitiva lei non è il Pubblico Ministero Rogers?- continuò eccitata, e anche se sapeva già la risposta, voleva sentirselo dire nuovamente.

-Non so manco cosa sia un Pubblico Ministero- le rispose con semplicità, facendola ridere -Il povero John Rogers è passato a miglior vita, pace all’anima sua-

-Allora mi presento ufficialmente anch’io, sono Harleen e sono una vera psichiatra ma…- arrossì e sorrise al solo pensiero -Beh, forse è un po' prematuro per dirlo, ma credo di essere la fidanzata di Mr. J-

Al barzellettiere gli si cristallizzò il sorriso sulle labbra.

-Ah- disse solo, annuendo forzatamente come si fa davanti a un matto -La sua fidanzata. Certo. Congratulazioni, e ora che abbiamo terminato le presentazioni, posso sapere cosa è successo al mio capo per averti fatto accorrere in questo modo nel mio finto ufficio?-

-Ah, giusto- esclamò Harleen, che si sentiva davvero troppo felice per ragionare -No, in  realtà niente di grave, è che ho una cosa da dargli, solo che le guardie non mi permettono di accedere senza un decreto motivato dell’autorità-

-Che sarei poi io l’autorità, vero?-

-Esatto-

-Sì, ecco, Dottoressa…-

-Harleen- lo corresse la ragazza, con un sorriso dolce.

-Harleen, lascia che ti spieghi una cosa. Il nostro capo- esordì, aprendo le mani in un cinque -È un soggetto un po' particolare, bisogna avere qualche accortezza quando si ha a che fare con lui. Una di queste è non fargli mai, ma proprio mai, delle sorprese. Egli non ama ricevere visite inaspettate, ama farle, ma non riceverle. E questo vale sia quando è in galera che quando è fuori, mai fare sorprese al Joker se non vuoi diventare trippa per iene, e te lo dico col cuore in mano, davvero-

“Come immaginavo. È fuori controllo e cerca di colmare questa mancanza di stabilità con comportamenti ossessivi” pensò l’Harleen psichiatra, compiaciuta “Povero il mio amore… Lo aiuterò io, con me guarirà completamente”

-È ancora il mio paziente, so com’è fatto- gli rispose sicura -Ma ti assicuro che con me sarà diverso-

-No, Harleen, lui non è diverso con nessuno-

-Con me sì. La prego, Gagsworth-

-Chiamami Gaggy-

-Gaggy, ho davvero bisogno di vederlo-

-Te lo consiglio come amico, lascia perdere-

-No, non lascio perdere, non questa volta- gli rispose risoluta, sull’orlo delle lacrime -Ho sempre lasciato perdere, ho sempre lasciato che gli altri decidessero per me, che mi imponessero di vivere una vita che non era la mia e di essere una persona diversa da ciò che mi sono sempre sentita in realtà… Ma ora basta, io voglio andare da lui e ci voglio andare subito, è stato l’unico al mondo ad avermi capito e… accettato per quella che sono. Io lo amo-

-Emozionante, ma no. Ci sono delle regole che vanno rispettate, perfino da te che sei la sua ‘fidanzata’- sentenziò duro, facendo le virgolette con le dita -Ora se vuoi scusarmi, ho una partita di eroina che attende di essere sniffata-

-Come vuoi. Sappi solo che sniffare droga può provocare un infarto del miocardio, un arresto cardiaco e anche un ictus cerebrale: dopo soli sessanta minuti dall’assunzione il rischio di infarto aumenta di ben ventiquattro volte- gli disse con un sorriso forzato, annuendo di fronte alla sua espressione annoiata -Scusami ma sono un medico, certe cose sono tenuta a dirle per contratto-

-Lascia il pudding qui, glielo porto dopo- le disse sbrigativo -E, dottoressa, datti una sistemata. Hai il rossetto completamente sbavato-


 

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Come ogni secondo giovedì sera del mese, Gaggy usava la scusa del mandato di perquisizione per informare Joker di tutte le novità che stavano succedendo durante il suo soggiorno forzato ad Arkham.

Costui, dopo essere stato sottoposto a tutti i controlli col metal detector e alle perquisizioni fisiche, poté accedere nel padiglione di massima sicurezza, dove erano detenuti i dieci criminali più pericolosi al mondo. Pur non avendo la chiave tattile e la password per aprire la porta delle camere blindate, poteva comunque interloquire con i detenuti, anche se, di fatto, l’unico con cui interloquiva era sempre e soltanto uno. E mentre tutti gli altri detenuti deliravano e si comportavano da pazzi, costui stava facendo le flessioni sulle braccia.

-Buonasera, capo, porto buone nuove- esordì il barzellettiere appoggiandosi alla porta di vetro, ma il clown continuò imperterrito col suo allenamento.

-196, 197, 198… Fatti questa carrozzeria, Gaggy- boccheggiò dallo sforzo, continuando a pompare i muscoli -Quanto sono… figo… le pollastre…-

-Cadranno tutte ai tuoi piedi, capo, come sempre-

-199 e… 200!-

Joker si accasciò per terra e rotolò supino per fronteggiarlo, con un sorriso esausto e un po’ ebete. Era a torso nudo e lucido di sudore, ma la prima cosa che Gaggy notò erano le sue labbra, di nuovo e minacciosamente tinte di rosso.

-Prima ne ho fatte altre duecento- continuò, ammirandosi compiaciuto gli addominali e i bicipiti tesi -Le signore faranno la fila per farsi un giro su questo carro armato-

-Assolutamente, non fanno altro che chiedermi di te- gli rispose Gaggy per compiacerlo, con le mani dietro la schiena come un maggiordomo -Irina minaccia perfino di scioperare se non ritorni al più presto-

-HAHAH, una puttana che sciopera! Irina è sempre stata la mia preferita…- poi si bloccò, come se fosse colto da un malore improvviso. I suoi occhi si persero nel vuoto e la sua bocca si aprì leggermente.

-J? Tutto bene?-

Il clown agitò la mano come per scacciare una mosca fastidiosa e si alzò in piedi.

-Voglio un carro armato- sentenziò, allargando le potenti braccia -Segna: Giallo canarino con dodici mitragliatori interni, un lancia fiamme sul davanti e quattrocentododici motoseghe nella stiva. Se sono quattrocentoundici, sopporterò… Ma solo se mi danno il portachiavi a forma di Pikachu-

Gaggy ormai era diventato più paziente di un monaco buddista. Prese il tablet dalla tasca e segnò i soliti e improvvisi capricci del re di Gotham City.

-Carro armato, giallo canarino, motoseghe… Sì- concluse, annuendo -I cinesi ne avranno senz’altro uno. A proposito di cinesi- ghignò, ammiccando verso il suo capo -Qual è il colmo per un pasticcere cinese, J?!-

Joker si animò e gli fece un piccolo applauso, preparandosi già a ridere -Non lo so Gaggy!-

-Sicuro?-

-Sì, sì, dimmelo tu, ti prego- gli rispose fremente, impaziente come un bambino irrequieto.

-Il colmo per un pasticcere cinese è… Avere una moglie glassa!-

Boom.

Il super criminale quasi si buttò per terra. 

Iniziò a ridere come un matto, in modo esagerato e totalmente incontrollato, blaterando cose senza senso come “Musi gialli”, “r” e “cicciona”, non per forza in quest’ordine. Quando si riprese e tornò serio, Gaggy gli fece un sorriso spontaneo.

-Passando agli affari, J, ieri ha chiamato Monster. Ti augura di uscire al più presto e non vede l’ora di incontrarti di persona. Gli affari con le sue petroliere stanno andando a gonfie vele e gli Emirati Arabi ci sono apertamente riconoscenti. Inoltre il ricettatore siciliano ha appena venduto metà degli ori che abbiamo rubato nella rapina 213. Se i miei calcoli sono esatti, abbiamo diritto al 70% per dei ricavi-

-80- precisò Joker severamente, e subito l’altro corresse.

-Poi che altro, abbiamo ammazzato l’ubriacone che proclamava di essere Batman, io ho parlato con la psichiatra, Jonny Frost ha finalmente…-

Ma Joker alzò la mano e si girò a guardarlo, con gli occhi che baluginavano. -Ah, sì?- domandò, con un sorriso disumano -Hai parlato con il mio angioletto? E cosa dice il mio piccolo angioletto?-

Gagsworth si schiarì la voce -Solite cose. Ti aveva preparato un pudding e ci teneva molto a dartelo- esclamò, guardando perplesso Joker che gongolava -Te l’ho messo nel tubo, ti arriverà un po' spiaccicato-

-È adorabile…- esclamò il detenuto con un sorriso aperto -Quanto è adorabile, Gaggy?-

-È bellissima- concordò l’altro, più freddamente -Un po' rigida ma bellissima-

-Non è rigida, è solo un po' bloccata. Mi chiedo solo perché me l’abbia portato tu e non lei. Perché non c'è lei, qui? -

Gagsworth deglutì. Joker gli si avvicinò come una tigre in gabbia e un sorriso mefistofelico. -Ti ho fatto una domanda, Gaggy love-

-Perché so che… Ecco, mi avevi detto che non volevi ricevere visite inaspettate o improvvise, eri stato molto chiaro sul punto, credevo…-

-Cosacosacosa?- lo interruppe con gli occhi chiusi, porgendogli l’orecchio con la mano.

-J…-

-Cosa ODONO le mie orecchie!?- ringhiò brutale, dando tre manate contro la porta -La ragazza voleva parlarmi e tu non gliel’hai permesso?-

-Capo, per piacere…- balbettò spaventato, indietreggiando -Sei tu che mi avevi detto…-

-COLPA MIA, VERO? COLPA DI JOKER SE HA UN CRETINO TRA I PIEDI!?-

-Vi vedete domani mattina…-

-NO, GAGSWORTH, OGGI! NON DOMANI MATTINA, OGGI- gridò furioso, dando un pugno così forte alla porta da far tremare il vetro rinforzato -Ora tu chiami la ragazza e la porti qui. La voglio qui, ora, ora, ora-

-Non è possibile, è già andata via… La Waller la controlla a vista, e anche lui…- Il clown chiuse gli occhi e digrignò i denti, l’altro continuò -Batsy la sta spiando J, presto capirà tutto. Dovresti smetterla di flirtare con lei, attiri le attenzioni degli sbirri e la poveretta si illude inutilmente-

Joker inspirò dal naso e espirò con la bocca, profondamente. 

-Punto uno- cominciò con gli occhi chiusi, facendo l'uno con l’indice -Basty in queste cose non ci arriva e non capirà un accidente di niente, come sempre. Punto due, non dirmi che cosa devo o non devo fare, perché posso farti esplodere il culo anche da qui dentro. Punto tre…- concluse, aprendo gli occhi chiari -Che cosa ti ha detto lei di preciso su di me?- 

La paura che stava provando il barzellettiere in quel momento non è descrivibile a parole. Le sbarre di vetro che li separavano erano, senza esagerare, provvidenziali.

-Ha detto che ti ama e che è convinta di essere la tua fidanzata-

Ma il clown, invece di reagire male come si sarebbe aspettato Gagsworth, scoppiò a ridere e si mise una mano sul petto -Oh, la mia fidanzata! Ma quanto è carina?! Mi piace da impazzire, non posso negarlo. Se penso che non potrò portarmela a letto mi si spezza il cuore, anche se… Mmmh, a Parigi c’è quel bel museo d’arte, vero? Potremmo sempre farci un salto e prendere in prestito la Gioconda- ghignò da solo, apparentemente senza motivo.

-La ucciderai?- gli chiese gravemente Gaggy, ignorando le sue elucubrazioni

-La Gioconda?-

-No, Harleen Quinzel. La ucciderai alla fine di tutto questo, vero?-

Il criminale cessò di sorridere. Alzò lo sguardo su di lui e poi lo ribassò lentamente.

-Ovvio- rispose freddo, ma senza entusiasmo.

-Capo? Non è che…- ma vedendo il suo sguardo feroce, Gaggy tacque. Di errori ne aveva commessi fin troppi per quella sera.

 

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Chiusa a chiave in casa, anche Harleen stava facendo ginnastica.

Aveva appeso un nastro da acrobata sulla tromba delle scale, ed ora era appesa per il bacino con le gambe e le braccia abbandonate nel vuoto, la testa ribaltata e i capelli sparsi in aria come le fronde di un salice.

E mentre era appesa lì, pensava a lui e a quanto fosse incredibile il fatto che lei gli piacesse.

“Harleen, smettila. Sei intelligente, sei bella, certo che gli piaci…- ma dopo neanche trenta secondi -No, è impossibile. Chi vuoi prendere in giro, Harleen? Ci prova solo perché è disperato. Ma io ora lo amo, chiedo solo di stare con lui, come faccio se non… ”

L’ansia l’agitò e le fece perdere l’equilibrio. Cadde al suolo con un tonfo e per non sbattere forte fece perno con i piedi sul laccio e ribaltò il tavolino, con annessi vaso di fiori rinsecchiti da una settimana e foto di famiglia.

Lo schianto fu notevole, ma per fortuna la ragazza non si fece niente di grave.

Ogni volta era la stessa storia, non appena tornava a casa si lasciava assalire da mille dubbi e il suo pessimismo patologico l’aggrediva come un mare in tempesta.

Ma d’altronde una vita passata a sentirsi sbagliata e a auto punirsi non si poteva cancellare così, in un batter d’occhio. Solo quando stava col Joker non si preoccupava più della sua imperfezione, era come se entrasse in una bolla e tutti i suoi ricordi fossero archiviati in una scheda remota del suo cervello. C’era solo lui, il suo viso e il senso di attrazione e pericolo che esso incuteva. Desiderare toccarlo era come desiderare accarezzare la criniera di un leone: le probabilità di sopravvivere erano pari a una su un milione, ma quando ci si riusciva il senso di vittoria era elettrizzante e totalizzante. 

Perché Joker si era lasciato toccare da lei, le aveva dato un bacio mozzafiato che andava al di là di ogni sua più ardita speranza… E quello che le diceva, il modo in cui la guardava, i suoi sorrisi, i nomignoli fantasiosi che le affibbiava ogni volta che la vedeva “Fragolina, Cuoricino, Zuccherino, Pumpkin pie, Harley…”

“Dovrei trovargli un nome carino anch’io…” pensò sorridendo, ma all’improvviso qualcuno bussò alla porta. Harleen si catapultò in piedi e col cuore in gola dall’entusiasmo corse ad aprire, senza curarsi di essere praticamente in vestaglia. Aprì la porta piena di aspettativa, sperando di trovare Gaggy, il famigerato Frost o qualche altro alleato di Mr. J, ma davanti a lei si palesò un rigido ma rassicurante signore sulla trentina, molto alto, molto muscoloso e con la mascella prominente.

-Buonasera, signorina- esclamò costui, cordialmente -Perdoni il disturbo, ma ho appena sentito un tonfo notevole proveniente dai suoi appartamenti, volevo solo accertarmi che andasse tutto bene-

Harleen arrossì -Sì, scusi è che… Stavo facendo ginnastica e sono caduta, chiedo scusa per il baccano, di solito sono più silenziosa-

-Capisco…- lo sconosciuto guardò un attimo dentro la casa di Harleen: era talmente a soqquadro che sembrava fossero entrati i ladri, con tanto di nastro ginnico che penzolava in salotto.

-Lei abita qui?- gli domandò Harleen, insinuandosi tra lui e la porta in modo che non vedesse -Non l’ho mai vista nel condominio-

-Ehm…Sì, mi sono appena trasferito- esclamò con un sorriso, tendendole la mano -Bruce Wayne, molto lieto-

-Harleen Quinzel-

-È un vero piacere, dottoressa Quinzel. E mi raccomando, per qualsiasi cosa non esiti a contattarmi. Gotham è piena di brutta gente che si finge amica, bisogna stare molto attenti-

-Grazie, ma so riconoscere la brutta gente quando la vedo- disse sbrigativa, forzando un sorriso -Ora se vuole scusarmi, torno al mio casino. Buona serata-

Harleen chiuse la porta, seccata. Scavalcò il mobiletto e ciò che rimaneva del vaso come se niente fosse, gettandosi sul divano.

“Come fa a sapere che sono una dottoressa?” pensò stranita, prendendo il pupazzo di un gattino e stringendolo forte “Quel tizio è inquietante… Voglio Mr. J…”



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La mattina seguente, Harleen e Joker ridevano divertiti nell'ambulatorio delle sedute psichiatriche.

-MA COME MI ASSOMIGLIA!- esclamò il clown, ridendo a perdifiato -Ma è un pudding, è brutto!-

-Non è vero che è brutto, è carino- ribatté Harleen, mettendosi le mani sopra la bocca per coprire le risate

-No, dottoressa, è brutto. Lui è brutto ma buono, io sono bello ma cattivo. Scusa ma c’è una bella differenza-

Harleen rideva e gli faceva gli occhi dolci, era incredibile quanto Joker la facesse divertite e stare bene. Erano nel loro solito tavolo, seduti uno di fronte all’altra con un orso di peluche come centro tavola. Se non ci fosse stata la telecamera costantemente accesa, Harleen sarebbe corsa a baciarlo.

-Ti è piaciuto almeno?- gli domandò con voce speranzosa, allungando una mano verso di lui.

-Molto, quasi quanto questo orsacchiotto. Che bel regalo, grazie pumpkin pie-

-Prego, tesoro- gli disse dolcemente, incantata dal suo sorriso. Chissà se poteva chiamarlo anche ‘amore’… Forse avrebbe osato troppo, pensò, d’altronde lui era sempre il sadico e crudele Joker, anche se a lei pareva più dolce del budino che gli aveva preparato.

-Ma dimmi, come mai mi hai portato Teddy Bear e non i biscotti?-

-Quali biscotti?- gli chiese Harleen, ridestandosi subito.

-Ti avevo chiesto dei biscotti, non ti hanno mandato il biglietto ieri sera?-

-No, non mi è arrivato niente- gli rispose preoccupata, senza tirare indietro la mano -Perché mi avevi spedito un biglietto?-

-Sì, baby, te l’avevo spedito- annuì lui vigorosamente, con i denti stretti dall’ira -Si vede che c’è qualcuno là fuori che mi sta boicottando…-

-Chi può essere?- gli chiese lei, ma lui non le rispose.

Il criminale abbassò la testa e si mise a ridere, e poi, di punto in bianco, diede una forte testata contro il banco. Harleen scattò in piedi, e neanche il tempo di dire una parola che Joker l'aveva rifatto, talmente forte che fece muovere il tavolo. La dottoressa sapeva che in quei casi bisognava mantenere la lucidità e il sangue freddo, nelle aule di psichiatria criminale gliel'avevano ribadito mille volte, ma lei si precipitò da lui in preda al panico, tutt’altro che lucida.

-No, ti fai male, ti fai male- lo fermò tremante, mettendogli una mano sulla fronte e un’altra sulla guancia, per impedirgli di sbattere di nuovo la testa -Calmati- gli sussurrò vicino, più dolcemente che poteva -Va tutto bene, ci sono io qui, amore... Calmati-

Joker la guardò dritta negli occhi, e in quel momento intenso Harleen colse in lui un bagliore di profonda tristezza. 

-Oh- esclamò sorpreso, come se la vedesse per la prima volta -Sei uguale a…-

-A chi?-

-A Jeannie- rispose lui, perso a contemplarla.

-E chi è Jeannie?-

-Lei era… Oh, lei era…- ma Joker non completò la risposta, allontanò lo sguardo da lei e assunse nuovamente un’espressione dura, seppur segnata dal dolore -Dobbiamo sbrigarci, Harley. Entro questa settimana si fa il colpo-

-Questa settimana?- domandò, scossa dal suo repentino cambiamento di umore

-Sì, baby, entro questa settimana liberiamo paparino- le sussurrò con un sorriso malato -Sei contenta?-

-Sì… Certo che sono contenta, però tu prima mi stavi dicendo…- 

-Shh!  Non pensare, non parlare. Ora facciamo di nuovo il giochino delle lettere, eh, dottoressa cuoricino? Non è così male come credevo-

Harleen annuì, bruciante dal desiderio di amarlo e di conoscerlo meglio.

 

 

“Ma chi è Jeannie?”

 

 

 

 

 

 

Note

Già, chi è Jeannie? ;)
Scommetto che la conoscete… E anche Gagsworth non è frutto della mia fantasia, era il ‘Robin’ di Joker prima che arrivasse Harley Quinn. Sappiate comunque che questo sarà l’ultimo momento di debolezza di Mr. J (o forse il penultimo? Non lo so), anche se la bomba è stata sganciata e la psichiatra è molto, molto sveglia…
Niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non abbia deluso le vostre aspettative. Chiedo scusa per il grave ritardo, cerco almeno di scrivere capitoli più lunghi… Grazie in anticipo a tutti e ringrazio in anticipo per ogni eventuale osservazione, sia positiva che negativa, che vorrete fare alla storia. Un bacio

P.s come avrete notato, ho mandato a quel paese gli asterischi che erano sempre impaginati storti e ho messo le linette, così vado sul sicuro xD
   
 
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