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Autore: hexleviosa    29/01/2017    5 recensioni
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Il terremoto sta colpendo il The Glades, Felicity resta al covo per aiutare il team. E' sola e crede di essere al sicuro, ma quando si rende conto che le scosse si stanno facendo più forti e il Verdant sta crollando su se stesso è ormai troppo tardi per scappare. Ferita e senza alcuna possibilità di comunicazione, si crede spacciata. Capiranno Oliver e Diggle che lei è ancora là sotto? Riusciranno a salvarla o sarà già troppo tardi?
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dinah 'Laurel' Lance, Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen, Quentin Lance
Note: Missing Moments, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo originale: The Cavalry

Di: lilgizzy1983

Tradotto da: Hexleviosa

 

 

 

 

The Cavalry

parte I

 

 

 

<< I danni sembrano concentrati… nella zona est... dopo la dodicesima
strada >> comunicò Felicity a fatica, la voce soffocata dal pianto, dalla paura e dal dolore.

Lo disse perché sapeva esattamente dove Oliver doveva focalizzare l’attenzione. I danni che il Verdant stava subendo in quel momento non erano tanto severi quanto quelli arrecati all’area del CNRI. Inoltre era stata una decisione di Felicity quella di restare nel The Glades per dare una mano. Non avrebbe lasciato che un po’ di stucco che che si staccava e di scintille la spaventassero tanto da chiedere aiuto, quando sapeva che Laurel era terribilmente in pericolo. Sentì Oliver saltare sulla moto, poi spense il microfono così da non farlo distrarre dai crescenti rumori che avrebbe sentito di sottofondo.

Felicity sapeva che Diggle non ne era uscito benissimo, e che probabilmente avrebbe avuto troppi problemi a tornare al covo tra le scosse di terremoto e le ferite. Gli messaggiò di andare a farsi medicare, in caso non fosse riuscito a tornare indietro. Digg le rispose di essere solo a mezzo miglio dall’ospedale, e che avrebbe provato ad entrare e uscire prima che fosse innondato di gente. Non voleva essere d’impiccio in un momento di crisi del genere. Tirò il telefono sul tavolo e si prese la testa tra le mane, tentò di rimanere in sé mentre attraverso gli auricolari ascoltava tutto quello che stava accadendo. Aveva deciso che restare al covo era più sicuro che tentare di uscire, e quindi l’unica cosa che poteva fare era star seduta ad ascoltare quello che accadeva dall’altra parte della comunicazione. Sentì tutto, finché non percepì che Tommy stava morendo, allora scoppiò a piangere e, non volendo intromettersi in quel momento, interruppe completamente la comunicazione e rimase semplicemente seduta. Osservò il computer, che era stato danneggiato e aveva lo schermo completamente nero. Fu solo allora che si rese conto che le scosse sotto i suoi piedi non si erano fermate e che, invece, erano diventate più forti.

Cominciò a preoccuparsi davvero per la propria incolumità. Felicity ruotò la sedia per poter constatare l’entità dei danni. Aveva sentito le macerie cadere, ma prima era troppo distratta per capire veramente quanto fosse grave. Larghe porzioni di soffitto di erano screpolate ed erano cadute sul tappetino degli allenamenti. Anche i muri presentavano una grande quantità di enormi crepe.

<< Questa non è una cosa buona >> disse a nessuno in particolare, mentre riconsiderava immediatamente la sua idea di restare nel covo.

Quasi troppo in fretta anche per realizzarlo, il rumore crebbe e diventò assordante. Scintille sprizzavano ovunque e quasi tutte le luci si spensero, lasciando solo la lieve illuminazione proveniente dall’area che avevano allestito per il primo soccorso. Il suo breve strillo si interruppe quando una grande parte di soffitto crollò sulla sua scrivania, facendola sbattere violentemente a terra. Un dolore lancinante le si sprigionò alla testa e alla gamba destra. Quando alzò una mano a tastarsi la fronte la sentì bagnata di sangue. Cercando di allontanare il dolore per pochi secondi, tentò di alzarsi. Doveva assolutamente uscire da lì, la situazione era ovviamente peggiore di quanto aveva teorizzato. Sembrava che la macchina che generava il terremoto diventasse più forte mano a mano che restava accesa, e molta parte del The Glades ne sarebbe stata vittima. Non poteva fare a meno di sperare che Diggle fosse al sicuro all’ospedale, e che questo fosse rimasto intatto.

Come cominciò a balbettare nel suo monologo interiore, si riscosse dai suoi pensieri. La testa cominciò a girarle a quel punto e aveva l’impressione che il suo cervello si stesse rivoltando nella scatola cranica.

<< Merda, una concussione >> pensò.

<< Concentrati, Felicity >> si disse ad alta voce.

Le sue parole sembravano deboli e frammentarie. Odiava che suonassero così. Mentre si perdeva nuovamente tra i suoi pensieri, alzò lo sguardo verso l’uscita. Era lontana, ma agibile. E la bolla in cui le sembrava di essere rinchiusa era sopportabile. Sperò solo che la sua gamba non fosse ferita troppo gravemente.

Si mosse per alzarsi e urlò nel tentare di reggere il peso con quella gamba. Non riusciva a vedere bene, ma poteva assumere che fosse rotta o sanguinasse… o entrambe le cose. Toccandola lievemente, sentì la familiare sensazione di bagnato, ancora, ed anche un grande blocco di cemento.

<< Dannazione >> Felicity mormorò a se stessa, mentre provava a divincolarsi da quel peso senza usare troppo la gamba.

Ci mise un po’, non sapeva quanto, ma nel mentre l’edificio aveva continuato a cadere a pezzi. In quel momento desiderò di non aver tirato il cellulare e gli auricolari sulla scrivania, che era ora brutalmente distrutta dietro di lei.

Con un urlo strozzato in mezzo alla polvere, Felicity riuscì ad alzarsi. Appoggiò la gamba destra e con le mani avanti, provò a muovere costantemente dei passi facendosi strada attraverso le macerie che coprivano pavimento. Se anche nelle sue condizioni non fosse riuscita a salire gli scalini, almeno le scale le avrebbero offerto una protezione maggiore. O avrebbero retto o sarebbero stata la prima cosa a crollare.

<< Dannazione, vorrei essere stato un architetto migliore >> pensò tra sé e sé.

In ingegneria informatica e fisica andava forte, ma quando si trattava di costruire, a meno che non avesse studiato dei progetti, era un’incapace. Non aveva idea di dove si trovassero le travi di supporto in un edificio così vecchio.

Quando finalmente riuscì a raggiungere il muro vicino alle scale, il tremore aveva raggiunto il suo apice. Non era neanche in grado di pensare con il rumore dei detriti che cadevano e del suo battito che le rimbombava nelle orecchie. Il dolore alla testa e alla gamba pulsava ad ogni colpo. I capogiri erano definitivamente molto più forti ora che si era sforzata fisicamente. Sorreggendosi al muro, avanzò a tentoni fino alle scale, lentamente ma in sicurezza. Quando le raggiunse, stavano oscillando, probabilmente perché erano state separate dal muro. Non c’era possibilità che riuscisse a farcela mentre le scosse continuavano. Felicity rimase perplessa. Si sentiva intrappolata, e terrificata all’idea che sarebbe stata lasciata morire lì, sotterrata, sotto il club dove nessuno l’avrebbe trovata. E come se il fato avesse ascoltato i suoi pensieri, il muro dietro di lei si screpolò rumorosamente per lo sforzo di reggere il peso, facendo piovere pezzi di calcinacci su di lei. Provò a proteggere la testa già fluttuante, ma i suoi tempi di reazione erano incredibilmente lenti e alcuni pezzi la colpirono.

Le vertigini crebbero esponenzialmente, mentre il dolore alla testa diventava da terribile a insopportabile. Ondeggiò e, incapace di tenersi in piedi, cadde all’indietro contro il muro rotto e crollò per terra.

Altri calcinacci del muro continuarono a cadere su di lei. Ad un certo punto, pensò di aver sentito un dolore lancinante alla spalla, ma la sua testa era troppo confusa. Riusciva a malapena a respirare con tutta quella polvere spessa, e ora stava quasi soffocando. Mentre la sua vista cominciava a essere tempestata di puntini bianchi, non poteva fare a meno di pensare che era tutto finito. Sarebbe stata sepolta viva nella fonderia. Il luogo in cui si era sentita più al sicuro. Non c’era nessuno a salvarla, né a consolarla. Non aveva neanche mai detto ai suoi amici cosa provava per loro. Quanto li considerasse la sua famiglia. Che erano la cosa più simile ad una famiglia che avesse mai avuto. Che si era sentita a casa con loro.

Era buio pesto ora, l’ultimo lieve bagliore di luce si era spento qualche minuto prima. Proprio prima di svenire, si rese conto di uno squillo acuto.

<< È… è il mio telefono? >> pensò tra sé e sé, non essendo in grado di parlare.

Ricordò di aver pensato, miracolosamente, che forse il suo telefono era sopravvissuto alla distruzione della scrivania. Il trillo si fermò, e sorrise lievemente quando ricominciò subito dopo. La stavano cercando. Poteva farcela. Aveva una possibilità. Se sarebbero riusciti a trovarla abbastanza in fretta, forse allora non sarebbe stata completamente spacciata. Fu questo il suo ultimo pensiero prima di svenire.


 


 

Dopo che Tommy era morto tra le sue braccia, Oliver fu inconsolabile. Riuscì a destreggiarsi tra le macerie, ad uscire fuori da CNRI e allontanarsi da quel luogo. Il trucco in qualche modo era colato via per le sue inusuali lacrime. Aveva bisogno di restare solo. Si vergognava si se stesso, di quello che era diventato. Tommy aveva ragione: era solo un assassino. E come ciliegina, le ultime parole al suo migliore amico erano state una bugia. Finalmente raggiunse la Queen Consolidated e ad arrampicarsi sulla cima del grattacielo. Non poteva fare nulla a parte contemplare il The Glades crollare su stesso. Con gli occhi offuscati dalle lacrime continuò a guardare verso il CNRI. Poteva a malapena vederlo da lì, ma sapeva dov’era. Anche al buio, senza alcuna elettricità in quell’area della città. Sapeva sempre dove guardare quando i suoi amici stavano morendo. Dopo quella che sembrava un’eternità passata a fissare il vuoto, sentì la suoneria che aveva impostato per le chiamate da Diggle. In un primo momento lo ignorò, ma poi quando Digg chiamò per la seconda volta, pensò che poteva essere importante. Dopotutto il danno era stato più esteso di quanto avevano pensato e Diggle era rimasto ferito.

<< Digg, tutto bene? >> disse in tono incolore.

<< Sì amico, sono all’ospedale, le persone si stanno riversando dentro, ma io sono arrivato presto e sono già stato ricucito. Stavo per tornare alla fonderia, ma non penso di poter camminare fino a lì ora, e non riuscirò mai ad arrivarci in macchina >> accennò.

<< Vuoi che vada a controllare Felicity >> sospirò, realizzando che ad un certo punto ,dopo l’incidente al CNRI, Felicity aveva interrotto le comunicazioni. Era stato grato di stare un po’ solo.

<< Sì, l’ho chiamata un paio di volte, ma non ha risposto, né ha ignorato le chiamate. Suonava a vuoto. Non è da lei, sono preoccupato e voglio essere sicuro che sia riuscita ad uscire e che stia bene. Ha salvato metà città, ma non è riuscita a fare nulla per l’altra metà.
Probabilmente non dovrebbe stare sola >> ragionò Diggle, consapevole che Felicity si sarebbe incolpata per non aver capito che c’era una seconda macchina.

Oliver alzò lo sguardo verso l’orizzonte, verso dove si stagliava solitamente la linea del Verdant. Ma…

<< Digg… >> cominciò prima che le parole gli si bloccassero in gola. Non poteva essere.

<< Cosa c’è Oliver? Cos’è successo? >> la preoccupazione di Diggle crebbe quando Oliver non gli rispose subito.

<< Digg, è… sono… non c’è >> Oliver non riusciva a comprendere quello che stava accadendo abbastanza in fretta. Prima di capire cosa stava facendo le sue gambe si erano già precipitate verso la sua motocicletta e vi saltarono sopra.

<< COSA SIGNIFICA CHE NON C’È? DI COSA STAI PARLANDO? >> urlò Diggle, tentando di ottenere una risposta chiara da Oliver. La sua preoccupazione stava raggiungendo picchi mai provati prima.

<< OLIVER! >> urlò nuovamente.

<< Digg, sono per strada. Ero sul tetto della Queen Consolidated, ho guardato verso il club e… non c’era >> sputò tra i denti, dopo essere già saltato sulla moto e essere sgommato via. Il suo respiro si era già fatto pesante.

<< Arriverò in qualche modo, non aspettarmi, solo tirala fuori da lì! >> disse Diggle, cercando un modo per arrivare là intero e velocemente.

Oliver non sarebbe stato contento della soluzione ideata da Diggle, ma non c’era tempo per pensare ai sentimenti di Oliver. La sua migliore amica si trovava letteralmente sepolta viva sotto un edificio, probabilmente morente. Doveva arrivare da lei, non importava il resto.

Diggle compose velocemente il numero sul suo telefono, avevano dovuto aspettare che le scosse finissero prima di poter offrire una qualsiasi ricezione. Il tremolio si era ormai completamente dissipato a quel punto.

<< Il dado è tratto >> si disse come il telefono cominciò a suonare.

<< Pronto. Chi è? >> rispose il detective Lance, per niente in vena di scherzi. Laurel stava piangendo tra le sue braccia ed erano per strada seduti nella sua macchina di servizio, mentre le persone si disperdevano nella frenetica ricerca dei propri cari.

<< Detective Lance, sono John Diggle… un’amica comune è nei guai, mi serve il suo aiuto >>.


 


 


 


 


 


 

*** SPAZIO AUTRICE ***

Eccomi qua con una nuova traduzione, che ormai vi avevo promesso da tempo.

Noterete che questo è solo la prima parte,

infatti anche se si tratta di una oneshot ho deciso di dividerla in tre capitoli
perché è davvero lunghissima.

Con questa ff si torna un po’ indietro nel tempo, addirittura alla prima stagione,

cioè al dopo la prima stagione ma a prima della seconda..

Ma andiamo, le vero Oliciters all’epoca già c’erano!

Non temete, questo lavoretto di traduzione non rallenterà
Ricordati che ti amo.

Sarà solo un di più, breve ma intenso (spero).

Grazie a tutti per la lettura

e soprattutto grazie di cuore a chi troverà un minutino del suo tempo
per lasciarmi una recensioncina-ina-ina.

Un bacione a tutti e ci vediamo presto
col quattordicesimo capitolo di Ricordati che ti amo!

Hexleviosa

   
 
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