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Autore: Sophja99    29/01/2017    3 recensioni
Luine è una mezzelfa, cresciuta nella Corte Benedetta, la residenza degli elfi benigni e delle altre creature appartenenti al Piccolo Mondo. Nonostante il mondo incantato in cui vive ogni giorno, Luine si è sempre sentita inferiore agli elfi con cui convive per la sua natura ibrida e, infatti, questi non mancano occasione di ricordarle la sua incompletezza. Ciò che davvero vorrebbe è incontrare i genitori che la hanno abbandonata quando era solo una neonata e farebbe di tutto pur di conoscerli e vivere finalmente insieme a loro come una normale famiglia, ma sarà davvero pronta a pagare il prezzo della sua richiesta e a scoprire chi si cela dietro alle figure dei genitori su cui tanto fantasticava da bambina?
Storia partecipante al contest "La tua carta dei Tarocchi" indetto da Ynis sul forum di Efp.
Genere: Dark, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Salve! Ringrazio chi è entrato a dare uno sguardo, chi leggerà e chi deciderà di lasciare una recensione! Spero che la storia vi incuriosisca e, soprattutto, che vi piacerà.

Devo però innanzittutto avvertire che nella storia saranno presenti molte note, perché ho deciso di scrivere alcune frasi in gaelico scozzese, per rendere la vicenda più realistica, e che i nomi delle città sono tutti nella loro forma in gaelico, ovvero quella originale. Inoltre, non aspettatevi una long, perché è solo una corta longfic di due capitoli.^^

Spero che li apprezzerete!

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Damnata ab omnibus, ad infinitum


1

Luine staccò un fiore dal terreno e rimase a fissarlo con curiosità e invidia. Quella piccola e innocente piantina non aveva nient'altro da fare nella vita se non nutrirsi e riprodursi in altri mirabili e variopinti fiori. Non doveva preoccuparsi di nulla di più; non ne aveva motivo, poiché viveva in tutti gli agi che il mondo poteva donare, ignara del dolore e della solitudine. Era proprio questo che invidiava di quel fiore: non provava alcuna sofferenza, perché semplicemente non sentiva nessuna emozione. Si limitava a sopravvivere per quanto quel mondo le permetteva prima di porre fine alla sua inutile vita. La mezzelfa chiuse la mano a pugno, spezzando e sminuzzando ciò che rimaneva del fiore.

«Luine!» gridò una voce cristallina poco lontano. La mezzelfa si voltò e notò un gruppo di elfe non troppo distanti dalle rocce dove si trovava sdraiata. Una di queste le faceva segno con la mano di andare da loro. «Accompagnaci!»

Lei finse un sorriso forzato e urlò di rimando: «Non ho voglia, ma grazie lo stesso.»

L'elfa che la aveva chiamata fece una smorfia e si rigirò verso le altre, ridendo e andandosene con loro. Luine poteva immaginare benissimo cosa si stessero dicendo quelle pettegole: “Ma l'avete vista? È talmente pigra da non riuscire nemmeno ad alzarsi”, “Non credo che sia pigra, quanto più incredibilmente introversa” e ancora “Ve lo dico io: è solo un'emarginata.”

Poteva chiaramente sentire nella sua mente le risate argentine delle elfe prenderla in giro, come altre innumerevoli volte era accaduto sin dalla sua nascita. I momenti che erano più vividi nella sua mente ricollegati all'infanzia erano proprio le battute che gli altri bambini elfi solevano farle tutte le volte che lei era in loro presenza. Aveva impresso le loro parole derisorie nella testa e, da allora, tutte le volte che aveva cercato un approccio con gli altri, quelle erano sempre tornate a farsi sentire prepotentemente. Sei solo una mezzelfa. Non sei come noi. Non hai la minima idea di chi siano i tuoi genitori. Potrebbero averti abbandonata perché ti odiavano; e forse non avevano tutti i torti a farlo.

Lasciò cadere a terra i resti del fiore e si prese la testa fra le mani, come accadeva ogni volta in cui quei pensieri tornavano a tormentarla, cercando di pensare a qualcos'altro, a qualsiasi altra cosa. Abbassò le mani quando si fu calmata e lo sguardo le cadde sul bracciale che teneva legato al polso, come soleva fare per cercare un po' di tranquillità. Non era nulla di troppo elegante o artificioso: una semplice striscia di cuoio legata con delle minuscole cordicelle. Gli elfi antichi le avevano rivelato di avere trovato solo quello sopra alla leggera coperta con cui il suo corpicino da neonata era stata protetto dal gelido vento del nord. Nient'altro: nulla che potesse ricondurla ai suoi genitori, nessun segno, nessun biglietto. Il nulla più totale. A dire il vero, qualcosa le avevano lasciato oltre al bracciale: una indomabile massa di capelli rossi. Gli elfi della luce avevano tutti chiome di colore chiaro, che andavano dal biondo al bianco; per questo, lei vedeva i suoi capelli come un tratto distintivo, uno dei tanti elementi che la differenziava dagli altri, solo più evidente di due orecchie leggermente meno appuntite. Ormai alla Corte tutti tendevano a riferirsi a lei come alla mezzelfa rossa, a rimarcare la netta separazione tra lei e tutti loro.

Mille volte Luine era arrivata a domandarsi se fosse vero che i suoi genitori l'avevano abbandonata perché la odiavano. Si era chiesta cosa avesse fatto di male un'innocente bambina per meritarsi questo, ma mai la sua domanda aveva trovato una risposta. Sebbene non fosse un'elfa completa, ma solo a metà, e fosse, quindi, frutto dell'unione di un umano, - uomo o donna -, con uno della loro specie, gli elfi della Corte Benedetta, il luogo in cui lei era stata lasciata, la accolsero tra le loro schiere e decisero, non dopo un aspro dibattito, di tenerla con loro e crescerla. Eppure, lei non si era mai sentita a suo agio tra di loro: non era una loro pari, - non lo sarebbe mai stata -, e gli altri elfi non perdevano occasione di ricordarle la sua inferiorità.

Luine sfiorò il bracciale e lo rigirò sul polso, per osservare tutta la sua superficie, sebbene ormai conoscesse a menadito ogni più piccola piaga del cuoio e imperfezione dovuta all'usura. Il tempo non aveva fatto altro che peggiorare la sua situazione, poiché, man mano che i giorni e gli anni passavano, Luine non faceva altro che allontanarsi dalle poche conoscenze che aveva con fatica stretto e isolarsi sempre di più dalla società e dalla vita cittadina della Corte Benedetta. Sapeva benissimo di non essere ben accetta dagli elfi solo perché le sue orecchie non erano perfettamente a punta; aveva preso atto di ciò e aveva agito di conseguenza, ignorando i commenti e le frecciate che spesso le venivano rivolte e reagendo con diffidenza. Aveva imparato a controllare il dolore e la rabbia e a nascondere abilmente le sue vere emozioni agli occhi degli altri, per non mostrare punti di debolezza che quelli avrebbero subito sfruttato per scalfirla.

Non poteva fargliene una colpa; in fondo, non si comportavano così con tutti e con la maggior parte delle persone tenevano anche un atteggiamento gentile, in quanto elfi della luce, ovvero portati per loro natura a compiere azioni giuste, o, almeno, quasi sempre. Con lei, tuttavia, era diverso: la loro circospezione verso di lei, che spesso sfociava in vero e proprio disprezzo, era per certi versi giustificabile. Luine era spuntata fuori da non si sapeva dove, lasciata davanti alle porte della Corte Benedetta. Non si conoscevano i suoi genitori, né si poteva sapere con certezza la loro natura. Avevano solo potuto ipotizzare che dovessero essere un elfo, sebbene fosse impossibile appurare se della luce o dell'oscurità, e un mortale. Non era possibile sapere altro del suo passato e il bracciale che doveva essere appartenuto ai suoi genitori non era di alcun aiuto in questo. Più volte aveva tentato di chiedere agli elfi più influenti della Corte se fosse possibile sfruttare quell'oggetto per localizzare almeno uno dei suoi genitori, ma quelli avevano sempre evitato l'argomento in modo molto brusco. Un giorno, dopo tante insistenze da parte della mezzelfa, uno di loro si spazientì e le rivelò che ciò che cercava era pericoloso e oscuro. Luine comprese che dovesse trattarsi di magia nera, ma, nonostante ciò, la risposta dell'elfo aveva ottenuto l'effetto opposto alle sue intenzioni: aveva riacceso in lei la speranza di poter incontrare la sua vera famiglia.

Si alzò e scese dalle rocce in cui spesso negli ultimi vent'anni si era seduta, appartata dal resto della Corte, alla ricerca di un po' di pace, che, tuttavia, non era mai riuscita a trovare pienamente. Si affrettò a ripercorrere a ritroso la strada che portava dal bosco alle abitazioni della Corte Benedetta. Aveva già atteso troppo tempo; non poteva ritardare oltre la sua partenza.

Entrò nella piccola casa che da pochi anni le era stato permesso di possedere dopo lunghe richieste. Non le era mai piaciuto vivere insieme agli altri elfi bambini e, non appena era diventata abbastanza grande, aveva subito chiesto il trasferimento. Aveva sempre pensato che ci fosse troppo chiasso per i suoi gusti; lei amava il silenzio e la solitudine. O era stata indotta a preferirli, da quando gli altri avevano iniziato ad escluderla da ogni attività e iniziativa. Di certo gli elfi non si erano lamentati quando era andata a vivere da sola; anzi, erano contenti di non averla più tra i piedi per tutto il tempo.

Prese una sacca e vi radunò dentro gli oggetti a cui era più attaccata: rimase quasi delusa quando si accorse di quanto pochi questi fossero. Non aveva mai tentato un contatto un poco più profondo con il mondo e le persone che la circondavano e, isolandosi, era arrivata a distaccarsi da tutto e tutti. Di sicuro nessuno avrebbe sentito la sua mancanza: con ogni probabilità, non si sarebbero nemmeno accorti che se ne era andata.

Si richiuse dietro la porta della casa che l'aveva accolta per un lasso di tempo tanto breve e si incamminò per la strada affollata da elfi della luce, silvani, pixie e ogni altro tipo della loro specie, tutti allegri e pieni di vita, intenti a parlare concitatamente tra loro e a ridere. In lontananza, poteva sentire canti elfici alzarsi e permeare l'intera Corte, che appariva per certi versi come uno dei tanti villaggi umani di cui spesso parlavano gli elfi più anziani, e ancora più distante riusciva a distinguere lo scroscio dell'acqua proveniente dalla cascata poco fuori il centro abitato e dal fiume che vi passava attraverso. Tutta quella gioia non faceva che accrescere la sua tristezza al pensiero di quello che si lasciava alle spalle. Aveva avuto la possibilità di trascorrere una vita felice in mezzo agli elfi, ma, già svantaggiata di suo per la sua natura incompleta, si era totalmente allontanata da loro. Si era autoesclusa e di questo non poteva incolpare altri che se stessa.

Si lasciò alle spalle i canti e la spensieratezza della Corte Benedetta, per imboccare la via che la avrebbe condotta verso il mondo umano, a lei totalmente sconosciuto, guidata solo da un incerto suggerimento. Per caso, pochi giorni prima aveva sentito un elfo pronunciare il nome di un individuo che, secondo lui, possedeva poteri del tutto fuori dal comune. Il Druido Seumas.

«Dicono che costui abbia la capacità di mettersi in contatto con gli spiriti e usare la magia, proprio come un elfo delle stelle» aveva affermato l'elfo.

«Ho sentito di persone che affermano di avere tali poteri, ma sono tutti degli imbroglioni» aveva ribattuto un altro.

«Credo che stavolta questo sia un vero e proprio mago esperto delle arti magiche» aveva continuato. «È stato avvistato da alcune pixies a nord della Scozia, nei pressi di Diùranais.»

Appena sentito questo discorso, era corsa subito a casa per scriversi da qualche parte i nomi citati, per evitare di scordarli. Anche ora osservava quello stesso foglio, su cui era scritto in una calligrafia un po' storta Diùranais, nord della Scozia. Mentre camminava nella foresta che costeggiava la Corte Benedetta, un pensiero occupò tutta la sua mente, costringendola a fermarsi. Lei non era mai uscita. Non sapeva dove fosse la Scozia, dove si sarebbe ritrovata una volta varcato il portale della Corte, come fosse il mondo là fuori e da quali creature fosse abitato. Non aveva visto altro che elfi nella sua vita e conosceva “gli umani” solo di nome e per alcune loro usanze che aveva studiato. Le era stato detto che uno dei suoi genitori era un mortale, ma lei non sapeva nemmeno come questa specie fosse d'aspetto. E questo Druido, con la sua strana magia... Il solo nome bastava a farle montare la paura e lo sconforto. Eppure, tanto valeva tentare pur di sapere la verità sui suoi genitori. In fondo, era una mezzelfa: avrebbe trovato un modo per sopravvivere, sarebbe riuscita a trovarlo, chiedendo aiuto alle persone del posto, e così avrebbe finalmente conosciuto la posizione dei suoi veri famigliari.

Ripartì con maggiore ardore di prima e continuò il suo viaggio tra gli alberi del bosco, attraverso i quali filtravano spiragli di luce che illuminavano la strada verso il portale. Questo era un enorme arco di pietra, decorato dalla natura che lo circondava e con grandi rampicanti che si attorcigliavano intorno alle colonne fino a raggiungere la sommità della porta. Dall'arco partivano grandi mura che circondavano l'intera Corte; non servivano a molto, dato che la terra degli elfi era già invisibile alle altre razze, in particolare agli uomini, e non c'era alcun pericolo che qualcuno tentasse di attaccarlo o entrarvi con la forza, poiché nessuno ne aveva motivo. Per miliardi di anni, gli elfi erano vissuti là nel benessere e nella pace.

Guardò per l'ultima volta dietro di sé, prima di prendere un grande respiro e attraversare il portale, conscia del fatto che stava abbandonando la casa che l'aveva vista crescere e che con ogni probabilità non avrebbe più rivisto. Venne attraversata da una folata di vento, che le scompigliò i fluenti e lunghi capelli rossi. Era fatta: aveva oltrepassato le mura. Si voltò, ma non vide altro che una normale foresta: il portale e la Corte Benedetta erano scomparsi. Quindi, il suo sguardo cadde a terra; quello era l'esatto punto in cui, molti anni addietro, era stata depositata e abbandonata dai suoi genitori.

A malincuore si girò verso la direzione opposta e continuò a percorrere la strada. Avrebbe camminato fin quando non avrebbe incontrato altre creature a cui avrebbe potuto chiedere aiuto.


Una volta uscita dal bosco, il paesaggio si era rivelato sempre uguale: miglia e miglia di erba verdeggiante e colline a vista d'occhio. Era ormai da un'ora che camminava e non aveva ancora incontrato nulla di diverso dalla brulla natura: nessun segno di esseri viventi. L'abito blu scuro iniziò a darle fastidio nei movimenti e i piedi le dolevano da impazzire, a causa delle scarpette di pelle con cui non era abituata a percorrere tante iarde. Pensò che il mondo esterno non era poi tanto differente dalla Corte: alla fin fine, entrambi erano circondati da boschi, alberi e natura incontaminata e coperti da un meraviglioso cielo azzurro. Luine, guardando alcuni nuvoloni in lontananza che si stavano avvicinando pericolosamente, pensò che doveva sbrigarsi se voleva proteggersi dalla pioggia, che le avrebbe reso più arduo il cammino, e affrettò il passo, nonostante i piedi dolenti. Finalmente, ridiscesa una collinetta, vide all'orizzonte una piccola costruzione. Senza riflettere, iniziò a correre, poiché le nuvole avevano già riempito tutto il cielo e promettevano una tempesta. In pochi minuti, si ritrovò davanti all'edificio, che, tuttavia, come suggeriva il nome sull'insegna poco leggibile Reul na maidne1, intuì che non fosse una comune abitazione, bensì una locanda. Poco prima di entrare, si sistemò bene i capelli sopra le orecchie per evitare di mostrare il tratto distintivo dei mezzelfi. Fece il suo ingresso proprio mentre le prime goccie di pioggia iniziavano a scendere e a bagnarle il mantello.

Comprese subito di averci visto giusto, dato che la stanza in cui si ritrovò era piena di tavoli e sedie tutti vuoti e vi era un grande bancone, dietro il quale stava un uomo intento a pulire alcuni bicchieri con uno straccio. Quando quello sentì la porta d'ingresso richiudersi con un tonfo, alzò lo sguardo, accorgendosi della presenza di Luine. Subito posò il panno sul banco e le disse in una lingua tagliente e sconosciuta: «Halò. Dè tha sibh ag iarraidh?2»

Luine rimase interdetta. Tutto si era aspettata tranne che gli esseri di quelle terre avrebbero parlato una lingua diversa dalla sua. In fondo, quella locanda si trovava a pochi chilometri dalla Corte e agli elfi bambini veniva insegnata sia la lingua elfica, sia quella umana, vivendo a un passo da loro, come anche quelle delle altre specie, come i folletti, le fate e gli gnomi. Essendo la vita degli elfi immortale, questi dedicavano gran parte del tempo alla ricerca di una conoscenza totale del mondo, nel tentativo di sapere ogni cosa di esso e delle razze circostanti. Se lei fosse rimasta alla Corte e avesse continuato gli studi, probabilmente sarebbe arrivata anche lei ad imparare tutte le lingue esistenti, ma il suo destino aveva deciso diversamente.

«N-non capisco cosa ha detto» disse con voce leggermente tremante. I modi burberi dell'uomo la mettevano a disagio.

L'uomo la guardò senza sembrare afferrare le sue parole. «Cò as a tha sibh?3» continuò.

«Gavyn, dè tha dol?4» urlò una voce femminile e potente da una stanza adiacente. Pochi attimi dopo, sbucò un donna anch'essa forzuta come l'oste, che lanciò uno sguardo a Luine, prima di girarsi di nuovo verso l'uomo. Scambiò con lui qualche parola, per poi volgersi nuovamente verso la mezzelfa. «Dè an t-ainm a th’ort?5»

«Io... Non capisco...»

«Oh, non comprendi il gaelico» esclamò quella finalmente nella lingua conosciuta anche da Luine. «Si vede che non sei di qui. Devi scusare Gavyn, ma lui è ignorante e non sa parlare altra lingua oltre questa.» Indicò verso l'uomo, che ora aveva ripreso a pulire i bicchieri e i piatti. «Cosa vuoi?»

«Devo chiedere un'informazione» iniziò, sperando con tutta se stessa che quella donna avrebbe potuto aiutarla. «Sapete dove si trova la Scozia del nord?»

La donna, come sentì la sua domanda, scoppiò in una fragorosa risata, tanto da attirare l'attenzione dell'oste, che sollevò impercettibilmente la testa verso di lei. «Caileag6, ti trovi nella Scozia del nord.»

«Oh, e dove precisamente?»

L'altra la guardò con un'espressione di pura curiosità; evidentemente doveva considerare assurde le domande che le stava ponendo, ma non c'era altro modo per saperlo.

«Davvero non ne hai idea?» chiese, stupita. «Strano, perché sembri parlare benissimo lo scots.»

Luine fece cenno di no con la testa. Non sapeva nemmeno che la lingua con cui stava parlando e che le era stata insegnata da bambina fosse propria di quella zona.

«Beh, allora, se non hai intenzione di prendere niente da bere, credo proprio che questa informazione ti costerà qualche moneta.»

La mezzelfa rimase incredula davanti a quella richiesta: davvero gli umani erano disposti a far pagare per così poco? Però, non aveva altra scelta che dargli ciò che quella donna chiedeva, se voleva sapere dove si trovasse Diùranais. «Quanto?»

«Voglio essere magnanima: mi bastano cinque sterline.»

Gli elfi non avevano soldi alla Corte, poiché a loro bastava ciò che riuscivano a reperire in natura, senza comprarlo da altri, ma era venuta a sapere di quanto le altre specie vi fossero attaccate, come, appunto, gli umani, i nani, i folletti e molte altre. Era però riuscita a trovare, o, meglio, rubare, diversi oggetti preziosi, come anelli e orecchini d'oro, spesso messi dalle elfe in occasione delle feste in cui venivano fatti innumerevoli canti e danze che duravano interi giorni.

Luine tirò fuori dalla sacca un piccolo rubino staccato da un anello e lo passò alla donna, che, come lo vide, spalancò gli occhi per lo stupore. «Questo può bastare?»

«Naturalmente» affermò l'altra, rigirandosi tra le mani il rubino. Anche l'uomo, come lo vide, lo fissò con espressione incredula. «Allora, la locanda si trova in prossimità di Am Parbh, sulla punta della Scozia e vicino al mare.»

«Dove si trova Diùranais

«È a qualche ora di viaggio da qua.Ti basterà rimanere vicino alla costa, poco lontana da qui, e in men che non si dica ti troverai lì.»

«Grazie mille» disse Luine, sorridendo alla donna.


Fece come le era stato indicato dall'umana della locanda e camminò spedita nella direzione che le aveva detto di seguire, fermandosi solo una volta per mangiare un pezzo di pane. I mezzelfi avevano ereditato dagli elfi la capacità di riuscire a rimanere anche per due giorni interi senza riposarsi. Naturalmente sentiva la stanchezza del viaggio, ma non l'impellente bisogno di dormire e riprendere le forze, tale da impedirle di continuare, né di mangiare. Poteva resistere un intero giorno senza toccare cibo e senza sentire i crampi della fame. Nel cammino le capitò di incontrare piccoli laghi e brevi corsi d'acqua, che le permisero di pulirsi il viso, darsi una rinfrescata e bere un po' d'acqua, ciò che davvero le serviva per recuperare le forze. Vedere il mare e avere la possibilità di rimanervi accanto durante il viaggio fu per lei un'esperienza totalmente nuova. Non aveva mai visto prima di allora qualcosa di tanto magnifico e immenso: nella corte vi erano solo piccoli laghetti, cascate e stagni, ma affatto comparabili allo stupefacente panorama che le si presentava davanti agli occhi.

Proprio come aveva detto la donna, imphiegò quattro ore ad arrivare al villaggio, poiché era costretta a fermarsi ad ogni centro abitato che incontrava per accertarsi se si trattava o no di Diùranais e vi mise almeno un'ora per aggirare una lunga rientranza nella costa, chiamata proprio, come scoprì grazie agli abitanti vicini, Kyle of Diùranais, per la vicinanza del paese.

Finalmente arrivò a Diùranais, che si presentò come un minuscolo villaggio alle pendici di un dirupo che sprofondava a picco nel mare, composto da poche casette di legno. Provò a bussare in una qualsiasi di esse, dato che, nonostante la bella giornata, sembrava che nessuno fosse uscito fuori, e le venne aperto solo dopo pochi secondi. «Tha?» domandò un'anziana dai radi capelli bianchi e dai denti gialli, che si intravedevano attraverso la bocca aperta in una smorfia di curiosità per l'arrivo inaspettato di Luine.

La mezzelfa pensò che la domanda della donna fosse una sorta di “Sì?” e, nonostante non sapesse bene la sua lingua, questa era simile alla lontana a quella conosciuta da Luine, e questa provò a formulare una breve frase. «Cerco il Druido Seumas.»

Con sua fortuna vide il volto dell'anziana illuminarsi e questa le afferrò il braccio con incredibile forza per la sua età. «Seumas

«Tha» rispose Luine, che ormai aveva intuito che significasse “sì”.

«In an Smoo Cave.»

Smoo Cave? si chiese Luine. Che cos'era?

L'anziana sembrò aver compreso la sua perplessità, poiché uscì dalla casa, richiudendosela dietro e la trascinò lontano dal villaggio, verso lo strapiombo. Proprio quando Luine iniziava a dubitare della donna e a credere che avesse intenzione di buttarla giù, si accorse che in realtà ai piedi del dirupo non c'era il mare, o, almeno, non era attaccato alla rupe, ma vi era una stradina che portava alla spiaggia sottostante. Esattamente sotto vi era una rientranza della roccia, che probabilmente era una grotta, sebbene lei non riuscisse a vederla bene da quella posizione.

«Smoo Cave» ripeté l'anziana con un sorriso che mostrava tutti i denti gialli e anche i punti in cui questi erano caduti, lasciando solo uno spazio vuoto.

«Grazie» disse Luine, ricambiando il sorriso prima di lasciarla e avviarsi lungo la via scoscesa. La percorse tutta correndo, ansiosa di fare la conoscenza del Druido e, quando arrivò alla fine, si trovò davanti un enorme buca all'interno della parete rocciosa che la lasciò stupefatta. Mai aveva visto qualcosa di tanto imponente e stupendo, eccezion fatta per l'oceano.

Seguì un piccolo fiumiciattolo che si addentrava nella caverna e in un attimo si ritrovò all'interno, ricolmo del suono incessante dell'acqua che doveva scorrere all'interno della grotta, mentre la luce diminuiva sempre di più man mano che entrava maggiormente. Si voltò solo una volta per osservare il mare sempre più lontano: così facendo, le parve di scorgere una figura ammantata di nero in piedi sulla spiaggia. Ebbe l'impressione che quell'individuo stesse guardando proprio lei e Luine, invasa da uno strano presentimento, si affrettò a girarsi e inoltrarsi maggiormente nella grotta.

Imboccò un corridoio, saltando da una pietra all'altra per evitare di bagnare ulteriormente le scarpe, dato che nel pavimento passava uno scarso corso d'acqua proveniente dal mare.

Quindi, si accorse che, laddove il livello del fiume iniziava a salire, erano state costruite delle scale di legno che si reggevano tramite un ingegnoso sistema simile a quello delle palafitte, solo che in quel caso il tetto veniva offerto dalla caverna stessa. Attraverso piccoli buchi tra le tavole di legno su cui stava camminando, poteva vedere l'acqua scorrere sinuosa sotto la piattaforma.

Alla fine del corridoio, questo si aprì in un'enorme camera; la pedana si interrompeva esattamente alla metà di essa, poiché dall'altra parte vi era una piccola cascata. Il piano in legno era arredato come se fosse una vera e propria casa: mobili e armadi ricolmi di libri, un tavolo e tre sedie dall'aria molto antica e un po' malconcia. Si avvicinò ad una delle librerie e fece scorrere un dito sulle copertine dei libri, alcune molto rovinate.

 «Cò thusa?7» domandò una voce imperiosa, facendola sobbalzare e scattare indietro. Si voltò e vide che nel corridoio da cui lei era venuta era apparso un uomo all'apparenza assai attempato per il corpo gracile e la barba e i capelli bianchi. Eppure, mostrava anche un'innaturale forza nel portare un'alta pila di libri, che depositò sul tavolo. Però ciò che davvero riusciva a trasmetterle un'incredibile acutezza d'ingegno e intelligenza erano i suoi occhi, che ora erano puntati su di lei.

Luine balbettò un «Cosa?», sia perché non aveva capito nulla di ciò che le aveva chiesto, sia perché era ancora scioccata per il suo arrivo improvviso.

L'anziano comprese la lingua in cui parlava la mezzelfa e ripeté: «Chi sei e cosa vuoi qui?»

«Mi chiamo Luine. Cerco il Druido Seumas.»

«L'hai trovato» affermò quello. «Cosa devi chiedermi?»

Luine, senza riflettere, si portò una ciocca di capelli rosso fuoco dietro all'orecchio, mentre iniziava a spiegare il motivo per cui era partita ed era giunta fin lì: «Ho sentito che tu hai dei poteri magici e speravo che potessi aiutarmi a trovare i miei genitori. Loro... mi abbandonarono quando ero solo una bambina e...»

«Una mezzelfa» disse Seumas, interrompendola. Nonostante il modo in cui aveva pronunciato la sua specie, non sembrava particolarmente stupito che creature come lei esistessero davvero. A Luine era sempre stato detto che gli umani non credevano nell'esistenza della Corte, degli elfi e del resto del Piccolo Mondo, sebbene fossero a conoscenza dei nomi delle loro razze. Il druido, invece, a differenza degli altri uomini, sembrava avere grande familiarità e conoscenza del mondo di Luine. «Chissà che tipo di elfo fu tuo padre o tua madre...» rimurginò tra sé e sé, per poi dire: «E così vuoi trovare i tuoi veri genitori. Mi serve un oggetto appartenuto a uno di loro.»

Lo sguardo corse subito al bracciale che portava al polso. «Qual è il prezzo?»

«Tranquilla, non mi interessa il denaro. Faccio pagare i miei servizi con qualcosa di... diverso. Una parte della tua anima.»

«La mia anima?» trillò Luine, che tutto si sarebbe aspettata tranne quella richiesta stravagante.

«Una parte. La magia ha sempre un prezzo alto e questo è quello da pagare se vuoi rivedere i tuoi genitori. In quanto mezzelfa, la tua anima è come spezzata in due tra la tua essenza elfica e quella umana. Io voglio che tu mi dia la parte umana, quella che da sempre ti fa sentire incompleta e isolata dagli altri elfi.»

Luine rimase a bocca aperta: come faceva quel druido a sapere così tante cose sul suo conto? Era forse in grado di entrarle nella mente? Tuttavia, non poteva negare che l'offerta fosse allettante e anche a suo favore, poiché da essa non avrebbe ottenuto altro che guadagni: da un lato avrebbe raggiunto e finalmente conosciuto i suoi genitori, dall'altro si sarebbe liberata della parte di lei che la teneva ancorata al mondo umano e che l'aveva fatta sempre sentire a disagio nella Corte. «Accetto.»

«Bene» affermò l'anziano, sorridendo. Iniziò a muoversi per la stanza alla ricerca degli oggetti che gli sarebbero stati utili al rito: un bastone, delle pietre, una mappa. Posizionò tutto sul pavimento, i sassi in circolo e al centro la cartina leggermente logora che mostrava il regno degli umani. Luine notò che si trovavano in un'isola, divisa tra Regno di Scozia al nord, in cui capì di trovarsi in quel momento, Regno di Strathclyde e Regno di Northumbria, che si collocava a sud. Mentre osservava l'uomo disporre gli oggetti sul pavimento, chiese: «Perché hai bisogno di una parte della mia anima?»

«La magia funziona in un modo molto particolare: si rinnova tramite i sentimenti, le anime e gli spiriti, a qualsiasi persona, genere e razza essi appartengano. È un circolo vizioso: gli uomini o le altre creature sovrannaturali richiedono i miei incantesimi e in cambio mi lasciano una parte di loro, con cui alimento la mia magia per sfruttarla a sua volta nel compiere altri incantesimi.»

Luine annuì proprio mentre il druido si rialzava, sorreggendosi ad uno strano bastone interamente bianco. «Dammi l'oggetto.»

La mezzelfa si slacciò il bracciale e lo passò al druido, che lo posizionò al centro della mappa. Quindi, Seumas tirò fuori dalla tasca della casacca un coltellino. «Ora devi tagliarti.» Notando lo sguardo allibito di Luine, si affrettò ad aggiungere: «È necessario per l'incantesimo di localizzazione. Basta anche una piccola goccia di sangue.»

Luine prese tra le mani l'arma e applicò una leggera incisione sull'indice. Come la lama tagliò la pelle, apparve un puntino rosso. Su indicazione del druido, la fece ricadere esattamente al centro della cartina, macchiando il bracciale. Seumas si sedette davanti al cerchio di pietre, con il bastone appoggiato sulle ginocchia, e iniziò a cantare una nenia con voce profonda e intonata in una lingua sconosciuta, ma molto simile al gaelico in cui tanto aveva sentito parlare in quel giorno. Luine si accorse che la goccia di sangue si stava iniziando a muovere e ad allontanare dal centro della cartina, avvicinandosi al territorio su cui capeggiava la scritta Regno di Scozia e fermandosi nella zona centrale, dove si andò a coagulare.

«Sruighlea» affermò il druido, che guardava con le sopracciglia aggrottate la zona in cui dovevano trovarsi i genitori di Luine. «Potrai trovarla nel castello sulla sommità del villaggio. Non sono in grado di vedere e dirti altro.»

«Sono là?» domandò la mezzelfa, espirando tutto il fiato che aveva tenuto sospeso durante l'intero processo.

«Sì. Ora devi darmi ciò che mi spetta» disse, alzandosi.

«Farà male?» chiese Luine, temendo ciò che l'anziano le avrebbe fatto. In fondo, doveva sempre privarla di una parte della sua anima.

«Un po'» affermò, mentre scostava la mappa con sopra il bracciale. «Devi entrare nel cerchio.»

Luine fece come le era stato indicato e socchiuse gli occhi, troppo spaventata per guardare. Sentì il druido cantare nuovamente la stessa melodia, solo stavolta leggermente diversa dalla precedente nelle parole che venivano pronunciate. Quindi, percepì una lieve pressione, forse ad opera della punta del bastone, poco sotto il seno, nel punto in cui si trovava il cuore, seguito da un'impercettibile scossa. Dopo pochi istanti, la punta del bastone iniziò a provocarle un leggero prurito e fastidio, seguito dall'impressione che il suo corpo stesse inspiegabilmente venendo prosciugato da esso. Il prurito divenne puro dolore nella zona toccata e, anche quando Seumas allontanò il bastone, Luine continuò a sentire la sofferenza che da lì si andava dipanando nel resto del corpo, come una terribile malattia. Portò una mano al cuore; le sembrava che si fosse spaccato in due per quanto le faceva male. Ma un pensiero si fece strada nella sua mente, più forte di qualsiasi dolore: Sono libera. Non era più inferiore agli altri elfi. Una volta eliminata la sua parte umana, era diventata completamente una di loro e ormai non aveva più nulla da invidiargli. Ora si sentiva finalmente completa.

«Ho finito. Puoi riprendere il tuo bracciale e ti offro anche la mappa: ti servirà per non perderti, dato che non sembri essere molto esperta di queste terre.» Mentre Luine si piegava per riprendere gli oggetti dal pavimento, sentì Seumas aggiungere, con aria grave: «Sulla tua anima aleggia un'aria oscura. Attenta a scegliere con senno e cura le tue azioni future e non lasciare mai che la follia prenda il possesso delle tue facoltà.»


La prima cosa che da lontano notò di Sruighlea fu l'enorme e imponente castello che svettava sopra una collina, ai cui piedi si trovava il villaggio, minuscolo se paragonato alla grandezza dell'edificio. Aumentò il passo per raggiungere prima Sruighlea, sebbene avesse i piedi in fiamme e fosse stanchissima. Aveva impiegato tre giorni per percorrere tutta la Scozia, senza fermarsi quasi mai, animata dall'eccitazione al pensiero che di lì a poco avrebbe conosciuto i suoi veri gentiori e dal desiderio di vederli.

Come entrò nel villaggio, venne accolta da un'atmosfera festosa: tutti gli abitanti erano usciti dalle loro case e si erano radunati per le strade, chi per andare a lavorare, chi per comprare qualcosa da mangiare, chi semplicemente per passare il tempo a spettegolare e parlare con i propri conoscenti. Tuttavia, la mezzelfa intuì che dovesse esserci un altro motivo per cui quelle persone erano tanto gioconde. Non sapeva se quella gente avrebbe compreso la sua lingua, ma provò a fare un tentativo: forse in quella zona avrebbe avuto la fortuna di trovare persone che la avrebbero capita. Fermò un uomo, chiedendogli cosa il villaggio stesse celebrando. Quello le rispose che era appena arrivata al castello di Sruighlea la famiglia reale e che questa avrebbe trascorso là un'intera settimana. Per gli abitanti poter ospitare il sovrano e la sua famiglia nel loro villaggio era motivo di grande gioia e onore.

Luine venne travolta dall'allegria delle persone e si avviò con rinnovato vigore verso il castello di Sruighlea. Percorse il breve tratto in salita che collegava questo con il villaggio; passò, quindi, su un grande ponte, seguendo il flusso di persone anch'esse dirette al castello, e oltrepassò le mura che lo cingevano e difendevano, attraversando un maestoso arco. Non aveva mai visto una struttura architettonica tanto grandiosa e armoniosa, resa ancora più incantevole dallo sfondo delle verdeggianti pianure scozzesi.

Sia le guardie che si trovavano accanto all'entrata dell'edificio, sia quelle nelle torri ai lati dell'arco, pronte ad avvistare eventuali minacce da una visuale più alta, la lasciarono passare senza preoccuparsi di controllare il motivo per cui fosse lì. Si lasciò trascinare dalla folla proveniente dal villaggio e, quando entrò nel cortile interno del castello, si accorse che questo era già gremito di persone, radunate intorno a qualcosa che ancora non riusciva a scorgere. Andò avanti a spintoni, senza curarsi delle lamentele e degli insulti dei popolani. Finalmente, dopo tanta fatica, riuscì a superare l'enorme massa di persone e a raggiungerne il margine, potendo in questo modo vedere quale fosse il motivo di quella adunanza. Davanti, ad ustruirle parte della vista, si ritrovò una guardia che, insieme ad altre accanto, tentava di contenere la folla e farla indietreggiare. Tuttavia, mettendosi in punta di piedi, riuscì a scorgere oltre le spalle dell'uomo le persone su cui si era focalizzata l'attenzione dell'intero villaggio: la famiglia reale. Si poteva facilmente comprenderlo dagli abiti incredibilmente sfarzosi e raffinati che indossavano, quanto Luine non aveva mai visto. Gli elfi avevano anch'essi vestiti molto eleganti, ma neanche minimamente paragonabili a quelli che possedevano il sovrano e la regina.

La mezzelfa notò che in realtà la famiglia reale era composta da soli tre membri: il sovrano, il figlio, che doveva avere circa dodici anni, e la moglie. Ciò che, però, colpì maggiormente Luine non furono gli abiti del sovrano, ma la figura della regina: si distingueva dal resto della famiglia per i capelli di un rosso talmente vivo da sembrare puro fuoco, ben più appariscente dell'ordinario castano del marito e del figlio.

Il cuore di Luine perse un battito quando si mise ad osservare con più attenzione la regina: i capelli, i lineamenti del viso, l'aspetto e le fattezze del corpo. Era come guardare il proprio riflesso sulla sponda di un lago. Mamma pensò, con il fiato sospeso.

La regina salutò la folla e, seguita dal re e dal principe, fece rientro nel castello: evidentemente avevano appena pronunciato un discorso, ma era arrivata troppo tardi e se l'era persa. Le guardie iniziarono a spingere per far uscire la folla dal palazzo; molti cittadini si voltarono e se ne andarono di loro spontanea volontà, mentre altri tentarono di opporre resistenza per avere la possibilità di vedere ancora il re e magari parlare con lui.

Luine provò a fermare un ragazzo più o meno della sua età, anche lui impegnato a farsi spazio per uscire, e gli chiese: «Come si chiama la regina?»

Quello la guardò come se fosse pazza e se quello che gli stava domandando fosse la cosa più ovvia del mondo. «Eithne.»

Eithne si ripeté nella mente, mentre si sforzava di riavvicinarsi al castello e al punto in cui l'aveva vista l'ultima volta. Cercò un modo per oltrepassare la barriera costituita dai soldati, ma quelli continuavano a sospingerla verso l'uscita e la porta in cui era passata sua madre si allontanava sempre di più. «Madre!» tentò di urlare, invano.

Sono una mezzelfa si disse improvvisamente. Anzi, ormai sono un'elfa completa. Sono più agile e forte di un qualsiasi essere umano.

Si lasciò trascinare dalla spinta delle persone fino a poca distanza dalla porta di uscita e dalle mura; quindi, fuoriuscì dalla massa e con uno scatto si allontanò, prendendo una via laterale e infilandosi nella prima porta trovata aperta. Dal forte odore che la investì immediatamente appena mise piede nell'edificio, capì di essere capitata nelle cucine. Su un camino un allegro fuoco ardeva e veniva attizzato da alcuni servi perché arrostisse più rapidamente la carne posta su uno spiedo davanti alla fiamma. Altre persone erano impegnate a mescolare intrugli che da lontano sembravano minestre e a preparare altri piatti elaborati, proprio perché destinati al sovrano. Attraversò la stanza, stando attenta a non urtare nessuno e a non creare disastri, per poi rispuntare in un'enorme sala piena di personaggi nobili e alcune guardie. Fortunatamente erano tutti impegnati a parlare animatamente tra di loro e nessuno notò la sua presenza; si appiattì lungo la parete di pietra e scivolò su di essa fino a raggiungere una porta laterale, che aprì cercando di fare il minimo rumore, ma allo stesso tempo di affrettarsi, e vi entrò. La porta dava su delle alte scale; non vedendo nessuno, le percorse tutte fino ad arrivare a un ampio corridoio su cui si affacciavano due porte. All'improvviso sentì uno scricchiolio e una di esse aprirsi senza alcun preavviso: Luine, stupita, non ebbe il tempo di nascondersi, né riuscì a trovare un rifugio adatto prima che la ragazza che uscì dalla stanza la notasse.

La mezzelfa pensò che, se non avesse trovato qualche scusa plausibile per la sua presenza lì, probabilmente la giovane sarebbe corsa a chiamare le guardie e allora Luine non avrebbe più avuto alcuna speranza di incontrare sua madre.

Quella la guardò accigliata.

«Io... sto cercando la regina» le disse, sperando che questo le bastasse per lasciarla stare.

«Per quale motivo?» chiese quella, incrociando le braccia.

Luine si prese qualche secondo per pensare a cosa dire, tentando di non rendere troppo palese che stesse riflettendo su una giustificazione da darle. «Devo portarle un messaggio importante» affermò con sicurezza. Per evidenziare l'urgenza con cui doveva incontrare la regina, aggiunse: «Su ordine del re.»

Quella si mostrò sorpresa, ma durò solo un attimo. Il secondo successivo riacquistò tutta la severità che aveva mostrato anche prima. «Avverto la regina.» La ragazza si rintornò e bussò alla stessa porta da cui pochi secondi prima era uscita. Qualcuno all'interno rispose e quella fece il suo ingresso, mormorando un «Vostra grazia...»

Luine non riuscì a sentire altro, poiché la serva si era richiusa la porta dietro di sé. Dovette aspettare solo pochi istanti prima che quella si riaprisse e la giovane apparisse nuovamente, facendole segno di avvicanarsi ed entrare.

La mezzelfa ebbe un tuffo al cuore quando, affacciandosi, riconobbe i selvaggi capelli rossi della madre, gli stessi che lei aveva ereditato. Era girata e seduta su un tavolo che doveva fungere da scrittoio, su cui era impegnata a scrivere qualcosa. «Puoi andare, Moyra» disse, riferita alla serva, che uscì, lasciandole sole.

Luine sentì i battiti del cuore accelerare mentre osservava la figura della madre alla luce del sole e ascoltava la sua voce, che non aveva mai avuto la possibilità di sentire prima. «Mi chiedo quale sia questo messaggio tanto importante da inviare un messaggero anziché venire mio marito di persona» esclamò, mentre riponeva sul tavolo il calamo e si voltava per guardare in faccia il suo interlocutore.

Quando vide Luine, tuttavia, si immobilizzò. Sarà stato per i capelli o per l'incredibile somiglianza fisica, ma dal suo sguardo la mezzelfa comprese subito che aveva capito chi fosse.

«Madre» mormorò Luine, mentre le lacrime premevano per uscirle dagli occhi.

Eithne si alzò, barcollando e reggendosi al tavolo. «Non è possibile...» sussurrò, per poi domandare a voce alta, con un'espressione di sconcerto in viso: «Chi diavolo sei?»

«Mamma, sono io, Luine. Sono tornata.»

«No, tu non sei mia figlia. Non lo sei mai stata. Ti ho diseredata, abbandonata. Non puoi essere tornata...» continuò la regina, incapace di realizzare che Luine fosse lì davanti a lei.

La mezzelfa aprì la bocca per dire qualcosa, per poi richiuderla di scatto. Lei non la voleva. Aveva fatto tutta quella strada convinta che, una volta incontrata sua madre, avrebbe ritrovato l'ordine nella sua vita e ogni pezzo sarebbe andato a posto, ma quello era esattamente il contrario di ciò che stava accadendo. Le sembrava quasi che la madre, dicendo quelle parole, l'avesse pugnalata a tradimento. Esatto, si sentiva proprio in questo modo: ferita, tradita e abbandonata una seconda volta.

«Tu non dovresti nemmeno esistere; sei il frutto di qualcosa che non sarebbe mai dovuto accadere e che ogni singolo attimo della mia vita ho tentato di dimenticare. Se solo avessi avuto il coraggio di ucciderti, anziché abbandonarti soltanto, forse oggi non sarei stata costretta a ricordare. Non avrei visto il passato bussare di nuovo alla porta.»

«Perché mi hai abbandonata?» ora la voce di Luine era divenuta dura e quasi atona. Tuttavia, sebbene stesse cercando di non far trasparire alcuna emozione e di non mostrarsi debole, non riusciva a coprire la nota di dolore, vedendosi ancora una volta respinta dalla madre, da colei che l'aveva creata e che ora la stava distruggendo solo con la forza delle parole, taglienti come lame.

«Ho dovuto» disse, socchiudendo gli occhi, mentre una lacrima scolcava il suo bel volto. «Non potevo abbandonare tutto. Non potevo.»

«E così hai deciso di abbandonare me» sibilò Luine. Ormai nel suo cuore non c'era più spazio per la gioia che aveva provato quando aveva visto per la prima volta sua madre. «E per cosa? Perché volevi essere una regina, servita e reverita da tutti? Avresti potuto benissimo tenermi con te, anziché lasciarmi a morire in una foresta.»

«Devi andartene» disse Eithne di punto in bianco, senza dare una risposta alle mille domande che affollavano la testa di Luine.

La mezzelfa la guardò con uno sguardo pieno di rabbia e sofferenza.

«Vattene» ripeté la madre, sedendosi ai piedi del letto a baldacchino della sua camera. Luine, dopo un attimo di esitazione, si girò per non mostrare alla madre le lacrime che sgorgavano senza freno e corse fuori.




1 Stella del mattino in gaelico scozzese.

2 “Ciao. Cosa vorresti?” in gaelico scozzese.

3 “Da dove vieni?”

4 “Gavyn, cosa sta succedendo?”

5 “Come ti chiami?”

6 Ragazzina, bambina.

7 “Chi sei?”

   
 
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