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Autore: Sacapuntas    29/01/2017    0 recensioni
Sin dal giorno in cui il suo sangue si è mescolato agli scoppiettanti carboni ardenti, Eric Coulter ha la reputazione di essere il ragazzo più spietato, rude, indifferente e gelido della suo nuova Fazione. La sua fama lo precede, ma la cosa non sembra disturbarlo minimamente, e si gode i suoi vantaggi da Capofazione in completa solitudine. Ma a volte basta solo una parola di troppo, un profumo particolare e due grandi occhi ambrati per stravolgere e riprogrammare la mente di qualcuno.
Sentitevi liberi di aprire, leggere e, se la storia vi appassiona, lasciare una recensione, mi renderebbe davvero felice!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9 - Non sospetteranno niente





Ieri, dopo la prima prova della Simulazione, non ho più visto Elizabeth in giro. Non era in palestra stanotte, ed io ho sorvegliato l'uscita di sicurezza per diverse ore, aspettandomi di vederla schizzare fuori dalla Residenza da un momento all'altro come l'ultima volta. Ma ovviamente non è successo. Non si è presentata neanche in mensa dopo il modulo e, con una leggera punta di amarezza, ho notato che neanche Samuel era lì, all'ora di pranzo. Ho scacciato lo sgradevole pensiero di loro due insieme.
Di solito i due Candidi, la Pacifica, e tre Eruditi (fra cui il Richard accusato del furto del coltello) siedono allo stesso tavolo, e molto spesso Quattro fa loro compagnia. O meglio, si limita a mangiare a sguardo basso, intervenendo rare volte per spiegare qualcosa o per rispondere alle poche domande che gli vengono poste.
Nella giornata di ieri, invece, al loro tavolo c'erano soltanto Alice, Quattro, un certo Gabe -uno degli Eruditi- e Richard, che discutevano sulla loro prova e si confessavano le loro paure più grandi. Alice ha rivelato loro che teme di non poter avere figli, un giorno. Io ero lì quando, nella simulazione, il medico le ha rivelato l'orribile realtà. Mi è sembrata una paura talmente stupida, in confronto a quelle agghiaccianti di Elizabeth, che ho persino rinunciato a prestare attenzione al resto del suo Scenario. Quando la Pacifica era poi uscita dalla stanza, mi sono dovuto affidare alla mia memoria per elencare le sue paure nel database. Oltre a quella di essere sterile, c'era anche la fobia degli insetti -nella simulazione era chiusa in una bara piena di falene- e dei serpenti. Paure così banali, ripetute così tante volte in altri Scenari che ormai mi sorprendo solo nel caso qualcuno non le abbia.
Sono rimasto piacevolmente sorpreso, però, quando ho scoperto che Blackmount ha paura di fallire nelle competizioni, o che Samuel non riesce a sopportare i rumori troppo forti, o che Jonathan è terrorizzato dall'idea di restare da solo, senza nessuno su cui poter contare.
Jonathan. Il suo nome si ripete nella mia testa come un disco difettoso, e non riesco a non pensare alla sua faccia disgustosamente compiaciuta quando era impegnato a strappare la camicia di Elizabeth. So perfettamente che era soltanto una simulazione, ma l'idea che qualcuno possa toccare in quel modo la mia pseudo-fidanzata mi manda su tutte le furie.
Mi avvicino al tavolo dove sono seduti i soliti iniziati e Quattro. Aggrotto la fronte, ma non sono sorpreso: Elizabeth e Samuel non sono in mensa neanche oggi. Non voglio sapere cosa stanno facendo insieme, da soli, da qualche parte, fuori dal mio campo visivo. Voglio solo sapere dov'è lei. Voglio sapere dove sono i suoi occhi felini e che cosa stanno studiando, voglio sapere dov'è il suo sorriso tagliente e a chi lo sta rivolgendo, voglio sapere dove stanno ondeggiando i suoi lunghi capelli e chi stanno ipnotizzando.

Mi lascio cadere rigidamente sulla panchina  di legno accanto a Quattro, impegnato a tagliare un pezzo di bistecca eccessivamente cotto. Il nostro cuoco non è uno dei migliori, ma ci si accontenta. Inoltre, l'altra alternativa è quella di restare a digiuno. Ignoro lo sguardo spaventato di Alice o degli Eruditi con cui stava discutendo -che ora hanno chiaramente smesso di parlare-, e mi volto verso il Rigido, sfoggiando uno dei sorrisi più falsi del mondo. Soltando quando Quattro si gira per degnarmi di uno sguardo infastidito ma cauto, realizzo che mi sono davvero seduto al tavolo di Elizabeth. Non so neanche perchè mi sono seduto qui. O forse lo so.
Insomma, so soltanto che non voglio stare troppo lontano da Elizabeth, specialmente dopo quello che ha passato nella simulazione. Le hai promesso che non avresti assistito. Lo so, ma io sono uno dei supervisori responsabili del secondo modulo, ho dovuto farlo. Ma le hai mentito comunque. Sì, l'ho fatto. Ma mi sento di aver fatto la cosa giusta: se lei non lo scopre, non avrà motivo di arrabbiarsi. Ma lo scoprirà, dimentichi che parli di Elizabeth? Taci.
Mi stanno guardando tutti, ora. Devo trovare una scusa valida per essermi seduto qui, o cominceranno a sospettare di me e a dubitare della mia autorità in quanto Capofazione. Devo trovare un argomento che riesca a convincere gli altri che questa mossa non era calcolata. Mi rivolgo a Quattro, che mi guarda ancora truce.

"Alcuni risultati delle Simulazioni non sono chiari." intavolo un discorso abbastanza convincente sotto gli occhi increduli di Alice, che non ha smesso di fissarmi da quando mi sono seduto di fronte a lei. Mi volto di scatto e la fulmino con lo sguardo, facendola impallidire. "Dovresti assicurarti di svolgere meglio il tuo lavoro, Quattro." mormoro, appoggiando gli avambracci sul tavolo di legno.
"Lo farò." risponde lui laconico. Posso sentire la rabbia scorrere nelle sue vene, prendendo il posto del sangue. Sapere che sono un Capofazione lo costringe ad avere un comportamento rispettoso nei miei confronti, sono rare le volte in cui si lascia andare e mi tratta come un suo pari. Ed in quei casi gli rinfaccio che sono un suo superiore. Io non sarò mai sullo stesso gradino di un Rigido. Non uno come lui, soprattutto.
"E assicurati anche di..."
"Elizabeth!" esclama la Pacifica mentre si alza dal suo posto e corre attraverso la Sala, facendo lo slalom fra i tavoli della mensa. Elizabeth indossa un maglione di lana nero che le arriva poco più sopra delle ginocchia e, a giudicare dalla grandezza dell'indumento, capisco che non appartiene a lei, ma a Samuel. Il Candido ha una mano poggiata sulla sua spalla ed ha uno sguardo rilassato, come se non avesse dovuto affrontare le sue quindici paure terrificanti appena un giorno prima.
Samuel la sta accompagnando al "nostro" tavolo e, appena incrocia il mio sguardo, le sue dita si stringono sulla pelle di Elizabeth, come se volesse reclamare una sua proprietà. Se mi alzo ora, finirò per pestarlo davanti a tutti, penso. Quindi mi costringo a rimanere immobile, la forchetta che penzola a mezz'aria dalla mia mano, lo sguardo fisso su quello guardingo di Elizabeth. Ha gli occhi cerciati da due profondi solchi neri, non deve aver dormito molto, stanotte. O quella precedente. O quella prima ancora. Sembra che lei non dormi mai. Effettivamente, non l'ho mai colta in un sonno profondo.

La Candida ricambia l'abbraccio di Alice con molta più debolezza, ma riesce comunque a sorriderle in modo convincente. Io so cosa c'è che non va, cosa le sta passando per la testa, in questo momento. Certo, per quanto io possa comprendere Elizabeth. Sono convinto che non abbia ancora superato il dover essere messa faccia a faccia con le sue peggiori paure. Lo dimostrano i suoi movimenti misurati e le occhiate guardinghe che lancia in giro. Alice le mormora qualcosa, indicando il tavolo con un movimento appena percettibile del dito, e non ci vuole un genio per capire che si sta riferendo a me. Vedo lo sguardo di Elizabeth irrigidirsi appena incrocia il mio, ed io mi sforzo per non salutarla anche  solo con un piccolo cenno del capo.
Ci raggiungono, la Pacifica prende posto accanto a me -"accanto" vuol dire ad almeno un metro di distanza- sulla panchina, mentre Samuel ed Elizabeth si siedono al lato opposto del tavolo. Me la ritrovo proprio di fronte, ma lei non sembra volermi degnare di uno sguardo. Di nuovo. Cerco di ignorarla, per quanto umanamente impossibile sia ignorare Elizabeth, dato che la sua presenza annulla qualsiasi altra cosa intorno a me, e cerco di discutere con Quattro della classifica degli iniziati per quanto riguarda il secondo modulo. Pensa che ci sia molto lavoro da fare, perchè la maggior parte di loro non avrebbero mai superato un ipotetico test finale, dal momento che hanno preferito scappare di fronte alle proprie paure, piuttosto che affrontarle. Per una volta, concordo con lui.
Lancio un'occhiata distratta ad Elizabeth, che sta osservando di sottecchi qualcuno alle mie spalle. Per un momento di disperato sollievo, ho pensato che stesse guardando me, che stesse reclamando i miei occhi, la mia attenzione. Poi, però, mi ricordo che Elizabeth non ha bisogno dell'attenzione di nessuno, anzi, preferisce restare isolata dal mondo.
Faccio cadere volontariamente la forchetta, in modo da girarmi per prenderla. Ad un tavolo abbastanza lontano c'è Jonathan, anch'egli visibilmente scosso, suppongo dalla Simulazione. Se mi alzo ora, finirò per pestare anche lui, penso ancora. Mi rivengono in mente le sue mani ossute e affusolate sopra il piccolo corpo di Elizabeth, e al suo mancato tentativo di violentarla. Quando ritorno a guardare la Candida, noto che lei ha già lo sguardo su di me, e mi fissa come per ammonirmi. Sospira, alzando gli occhi al cielo, e beve un sorso d'acqua dal bicchiere di metallo. Ha capito che ho notato che stava guardando proprio Jonathan, e noon le è piaciuto. A quanto pare, non le piace che qualcuno scopra le sue intenzioni. Be', buon per me che ora so qualcosa in più su Elizabeth.

"...Allora, Liz, vogliamo sapere cosa c'era nel tuo Scenario della Paura." continua Samuel, spostando lentamente gli occhi dall'Erudito alla sua sinistra per rivolgersi a lei. Liz. Non mi piace questo diminutivo, non le si addice. In realtà, non penso che il suo nome abbia bisogno di ridicoli diminutivi. È il nome della Prima a Saltare, dopotutto. Deve essere conservato intero, così com'è.
Elizabeth sussulta e le scivola il bicchiere di mano, che cade sul tavolo con un tintinnìo delicato e il suo contenuto si riversa sul legno. Tutti quelli seduti al nostro tavolo si sono voltati ora verso di lei, sorpresi dalla sua reazione. Perfetto, ora la stanno fissando tutti, penso, e deve averlo pensato anche lei, perchè ora sembra anche più agitata di prima. È davvero così difficile capire che non vuole avere tutti gli occhi puntati su di lei? Probabilmente sì, stiamo parlando di Elizabeth, alla fine. Tutto è difficile, se si parla di lei. Io abbasso lo sguardo, sperando di darle un minimo di sollievo Mi accorgo che Quattro le ha rivolto soltanto un'occhiata curiosa, sono sicuro che vuole vedere come reagirà la ragazza, ora che una versione meno terrificante del suo Scenario della Paura si è ripresentata nella realtà. La paura di essere fissata e giudicata.
"Gli aghi." dice lei, dopo essersi schiarita la gola per ricomporsi. Si passa una mano fra i capelli. Le tremano le mani, e per non farlo notare agli altri appoggia i gomiti sul tavolo.
"E poi?" continua Gabe, l'Erudito dai capelli di un acceso color verde. Non ho mai condiviso la passione di tingersi i capelli. I tatuaggi e i piercing? Volentieri. Avere un colore tanto ridicolo in testa? Mai.

Elizabeth gli lancia un'occhiata gelida ed una ciocca di capelli le ricade sul viso, quando la sposta intravedo il tatuaggio che tanto si ostina a nascondere sotto i capelli. Perchè farsi disegnare qualcosa sulla pelle, se poi la si vuole tenere coperta? Questa è una domanda che potrei rivolgere anche a Quattro, che ha avuto la brillante idea di tatuarsi la schiena. E di non togliersi mai la maglietta in pubblico. Forse perchè è un Rigido, un sorriso si forma sulle mie labbra, certe abitudini non si perdono.
Elizabeth ha lo sguardo fisso sull'Erudito, ed è come guardare una macchina in funzione. Sta cercando qualcosa di convincente da dire, ma che non riveli ciò che sta cercando di nascondere, ovvero le sue paure più segrete e profonde. Come se negarle potesse in qualche modo mandarle via. Lo fai anche tu, è inutile che te la prendi con lei. Io non ho paura di nulla. E non penso che qualcuno cambierebbe idea sul suo conto, se si venisse a sapere che ha paura dell'altezza, ad esempio. Lei sì. Io no.
"Poi basta." sibila lei, versando dell'acqua nel suo bicchiere e avvicinandolo alle labbra. Quando toccano il metallo si inumidiscono, ed io non posso fare altro che pensare a quella notte, quando ci siamo baciati sotto il grande albero di quella radura erbosa. Sembra passato un secolo, eppure la sensazione del suo corpo contro mio è così vivida che mi pare di sentirla anche adesso.
"Basta?" ripete incredulo Gabe dopo una flebile risata, gesticolando pericolosamente con la forchetta "Mi vuoi dire che hai soltanto una paura?"
"No." dice lei, sbattendo con eccessiva forza il bicchiere sul tavolo, lo sguardo fisso sul suo piatto vuoto. Le sue dita si stringono sul metallo, le nocche diventano bianche. "Intendo dire basta con le domande."
Il suo tono di voce è talmente severo e fermo che persino io alzo lo sguardo, aggrottando la fronte. Elizabeth sta guardando Gabe in cagnesco, e lui risponde alzando le mani in segno di resa. Mi chiedo come non si possa avere paura dopo una risposta del genere, o davanti a uno sguardo che tradisce talmente tanto odio. Mi chiedo come non si possa avere paura di lei in generale. Non mi sorprenderei se ora, nello Scenario di Gabe, ci fosse anche un'Elizabeth con lo stesso sguardo ostile che ha adesso. La tensione si stempera dopo qualche secondo, ed Elizabeth ritorna ad avere la sua solita espressione passiva di sempre, il suo sguardo ritorna sul vassoio.

"...Voglio dire, se hai paura degli orsetti di pezza non c'è nulla di cui vergognarsi." farfuglia divertito l'Erudito mentre mastica, scambiando l'espressione di Elizabeth per un lasciapassare ad un'altra battuta. Alzo di scatto lo sguardo verso di lei, preoccupato, e dal suo volto contratto in una smorfia indescrivibile capisco che sta per esplodere. Anche Quattro lo nota, e si prepara al peggio. Sono sicuro che adesso Elizabeth sia pensando a tutto quello che ha dovuto passare nella simulazione. Il tentativo di stupro di Jonathan, la crudeltà della madre ed il dolore che le ha inflitto. Sta ripensando a tutte le sue paure, e a tutte le emozioni che ha dovuto provare. Tutto il terrore, l'angoscia, l'ansia, lo sgomento e la rabbia di essere crudelmente forzata ad affrontare una cosa tanto spaventosa. Il suo Scenario è uno dei più terrificanti mai registrato nel database, e lei lo sa. E ritrovarsi difronte ad un idiota come Gabe, che lo sminuisce paragonandolo ad uno stupido orsacchiotto di pezza, la manda in bestia. Posso già vedere il coltello da burro accanto ad  Elizabeth che vola diretto verso l'occhio dell'iniziato.
"Stai attento a quel che dici, Gabriel, o potrebbe anche sfuggirmi dalla bocca che hai paura del buio. Cos'è, hai paura che l'Uomo Nero ti afferri per la gola? Non ti preoccupare, nessuno si avvicinerebbe a te, sapendo che bagni il letto quasi ogni notte." sibila lei, sfoggiando un sorriso tagliente. Mi chiedo come faccia a sapere tutte queste cose. Poi mi ricordo che Elizabeth passa la maggior parte della giornata a studiare le abitudini delle persone, e penso che Gabriel -a quanto ho capito, è questo il suo vero nome- dev'essere stato uno dei tanti bersagli degni del suo interesse.
"Stai cercando rogne, Candida?" ringhia Gabe, stringendo la forchetta che ha in mano "Perchè posso metterti al tappeto in un secondo, qui, davanti a tutti i presenti."
"Vuoi dire come ha fatto Alice con te qualche giorno fa?" raddrizza la schiena e continua imperterrita, premendo bottoni sempre più delicati. Alice non impallidisce, al contrario, la sua piccola bocca si curva in un sorriso divertito. È vero: durante il primo modulo, la Pacifica ha steso Gabe con un calcio secco al fianco. Ma nonostante ciò, ho classificato l'Erudito al quinto posto, mentre Alice al nono. Non mi è mai stata simpatica e non mi sentivo in dovere di farle scalare la classifica di qualche posto. Ma non dirò che non mi sono divertito quando Gabe è caduto a terra, stramazzando e implorando la ragazza di smetterla.
Ritorno a guardare la Candida, che ha le labbra morbide ancora sollevate in un sorriso affilato. Quando Elizabeth si comporta così, sembra che danzi leggiadra come una foglia sui carboni ardenti. Sul bordo di un dirupo. Con in fondo cani rabbiosi che non aspettano altro che lei cada per farla a pezzi. Ed io non posso fare a meno che ammirare quella danza tanto delicata quanto terribilmente pericolosa.

"Okay, Liz, l'hai voluto tu." sbotta Gabe mentre si alza rumorosamente dalla panchina, battendosi una mano sul petto una volta in piedi, come per sfidarla. Parecchie persone si sono voltate, attirate dal gesto irritato del ragazzo. Anche se non hanno sentito la conversazione fra loro due, tutti i presenti hanno lo sguardo su Elizabeth, perchè è ormai non c'è una sola persona nella Residenza degli Intrepidi che non conosca la piccola Candida e la sua passione per le risse e le provocazioni.
"Oh, davvero?" risponde lei ridendo, ma nella sua risata posso sentire una punta di sarcasmo e irritazione. Fa per alzarsi, ma la voce di Quattro la blocca.
"Finitela, tutti e due. Mi sono stancato di dover interrompere inutili litigi in continuazione. Gabe, vai a sederti con gli interni." dice, indicando col mento il tavolo dov'è seduto Jonathan. Non ho mai visto Quattro comportarsi così, come un padre che ammonisce i propri figli. E ne sono infastidito, perchè avrei voluto vedere Elizabeth fare a pezzi quell'Erudito da quattro soldi.
Gabe sembra esitare, ma cede allo sguardo gelido di Quattro. Dopo un ultimo insulto che non sembra neanche sfiorare Elizabeth, si allontana, sparendo in fondo alla grande sala sotto gli occhi delusi di molti iniziati. Penso di non essere l'unico che voleva assistere alla loro rissa. Sul volto di Elizabeth sembra si sia accesa una scintilla di divertimento che prima non c'era, e i suoi occhi sembrano aver ripreso colore. Ha le labbra curvate in un sorriso soddisfatto, ed io non riesco a non sorridere a mia volta. Samuel ed Alice si guardano lievemente divertiti, credo che ormai si siano abituati al comportamento della Candida, e che ora stiano cercando di trovarne i lati positivi. Gabe non era particolarmente simpatico, a quanto mi è parso di capire, almeno ora non si siederà più al loro tavolo.
"Devi smetterla. Non ce n'era nessun bisogno." la riprende con severità Quattro, lo sguardo severo e deluso.
"Avresti potuto accoltellarlo direttamente alla prima provocazione." intervengo, indicando con un cenno il coltello nella sua mano. Lei sorride lievemente.
"Così si sarebbe prenotata un posto in fondo allo Strapiombo." mi risponde Samuel. È la prima volta che mi rivolge la parola. Quando lo guardo, mi vengono in mente le labbra di Elizabeth che si posano sulle mie, in un bacio dapprima delicato, poi sempre più passionale. Rido, perchè credo che lo stia pensando anche lei, a giudicare dal suo sorriso imbarazzato. Invece Samuel non può neanche immaginare una cosa simile, e pensa ancora di avere una chance con la Candida. "Lo trovi divertente?" chiede Samuel.
"Spassoso." mormoro protendendomi verso di lui, come se gli stessi rivelando un segreto.
Lui fa una smorfia contrariata e continua a mangiare a sguardo basso. Sento qualcosa che mi tocca la scarpa da sotto il tavolo ed alzo lo sguardo, confuso. Guardo Elizabeth e lei mi sorride, facendomi l'occhiolino. E soltanto quando mi guarda in quel modo capisco. Capisco che il mio segreto è proprio lei. E che io sono il suo.

                                                                                             ***

È notte inoltrata, ed Elizabeth è nel letto con me, la testa appoggiata sul mio petto. Non so neanche come ci siamo finiti, qui. So solo che, dopo la seconda prova delle Simulazioni, lei mi ha detto che voleva passare del tempo con me, dopo essere sparita per una giornata intera. E quindi siamo finiti nel mio appartamento, come se fosse una scelta scontata, ma non abbiamo fatto nulla se non parlare e baciarci, finchè non è scesa la sera. Parlare con Elizabeth è piacevole, ovviamente, ma baciarla è di gran lunga più allettante.
Ricordo la prima volta che l'ho fatta entrare qui dentro, ed i pensieri che mi erano passati per la testa quando si è seduta sul mio letto. Avrei voluto ignorare il vero motivo per cui era venuta e spingerla sul materasso, ma mi sono sforzato di non farlo. Non avrei mai immaginato che, ad appena una settimana di distanza, avrebbe potuto farlo lei con me. Le accarezzo i capelli, lasciandomi travolgere dal loro dolce profumo, come di fiori primaverili e qualcos'altro. Qualcosa di terribilmente sensuale.
"Vuoi parlarmi del tuo Scenario?" le sussurro all'improvviso, alzandole il mento con l'indice. Ancora non sa che in realtà non ho bisogno che lei me ne parli, per sapere di che cosa ha paura. Ma voglio chiederglielo, perchè voglio sapere se lei si fida a confidarmi cose tanto privante. E perchè dovevo in qualche modo stroncare i pensieri poco innocenti che il contatto con il suo corpo mi provoca. Lei mi guarda, e la dolcezza nei suoi occhi sparisce, lasciando spazio al vuoto più totale. Alza la testa dal mio petto e si solleva sui gomiti, i capelli tutti spostati da un lato. Indossa una canotta nera, ed ora posso chiaramente vedere parte del suo tatutaggio. Ancora non capisco perchè non voglia mostarlo a nessuno.
"Perchè dovrei farlo? So benissimo che hai assistito alla Simulazione, Eric. Ieri ed oggi. Sapevo già che non avresti mantenuto la promessa." risponde lei ostile, ma non come mi ero immaginato. Ed ecco che immagine ha di me adesso, di un ragazzo di cui non ci si può fidare. Ha sempre saputo che avrei mentito riguardo al non guardare le sue simulazioni, ma me l'ha fatto promettere comunque. Probabilmente perchè voleva vedere se avrei avuto il coraggio di dirle la verità, ovvero che non potevo prometterglielo. Ma non l'ho fatto. E ancora una volta mi sento stupido perchè l'ho capito solo adesso. Al mio sguardo sorpreso, lei sospira infastidita, ma parte della sua avversione è già svanita. "A mensa, oggi, quando mi hanno chiesto cosa di cosa avessi paura, mi stavano fissando tutti. Tranne te e Quattro. Gli unici ad aver assistito alla Simulazione, gli unici a conoscenza del fatto che non mi piace essere osservata." spiega in tono infastidito, alzando le sopracciglia come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Per lei probabilmente lo è.
"So che te l'avevo promesso." sospiro affranto, dopo qualche secondo di silenzio "Ma non potevo non essere presente durante le Simulazioni, è una mia resposabilità."
"Ed eri curioso." aggiunge lei, irritata dal fatto che abbia omesso quel particolare.
"Ed ero curioso. Anche." mormoro accarezzandole la guancia. Lei sospira, e mi sfiora le nocche con le dita, chiudendo gli occhi.

Mi avvicino e appoggio le labbra sulle sue, ma lei sembra esitare. La guardo perplesso, lei ricambia alzando gli occhi scuri sui miei.
"Scusami, sto ancora pensando a..." fa un gesto vago con la mano e scuote la testa, lasciando la frase a mezz'aria.
"...Jonathan." concludo per lei. Raddrizzo la schiena e mi appoggio sui cuscini, spostando Elizabeth su di me. Le accarezzo i capelli, cercando di tranquillizzarla, per quanto un tipo come me possa tranquillizzare qualcuno.
"...Quindi hai visto anche quello." si morde ll'interno della guancia e annuisce debolmente, senza guardarmi negli occhi. Sembra quasi che si stia vergognando.
"Mh-hm." mormoro affermativamente, cercando di apparire quanto più neutrale possibile "È una paura comune, quella."
Lei si abbandona con tutto il suo peso su di me, come se fosse esausta a seguito di un grande sforzo. Forse è proprio così.
"Sembrava così reale." commenta, giocherellando nervosamente con un filo della mia maglietta. Nel suo tono di voce ci dovrebbe essere terrore, disperazione, invece riesco solo a sentire il sollievo di aver concluso anche questa prova senza lasciarci la pelle.
Ripenso a lei legata sulla sedia e a sua madre che la torturava con gli aghi, al suo volto angosciato quando veniva trascinata nell'abisso da quel grosso pesce, o a come gridava atterrita nel momento in cui il Jonathan della simulazione la gettava oltre il cornicione del grattacielo. Penso alla mia indiscrezione nel guardare le parti più profonde della sua mente quando lei mi aveva chiesto di non farlo, e non riesco a non sentirmi una persona schifosa, soprattutto perchè so che io non le parlerò mai del mio Scenario. Ormai non mi sottopongo a una simulazione da circa un anno, e non ho intenzione di scoprire se le mie paure sono cambiate oppure no. Non è una cosa che affronti a cuor leggero, dopotutto.
Le accarezzo le braccia nude, e sento sotto i palmi che le è venuta la pelle d'oca, dovuta a quel mix di sensazioni spiacevoli. Faccio risalire la mano verso il suo viso e, quasi per errore, le sfioro il collo con il pollice. Indugio su quel pezzo di pelle, ricordandomi di un particolare che da qualche giorno a questa parte mi incuriosice. Un particolare fatto di inchiosto nero come la pece.

"Perchè ti ostini a nascondere il tatutaggio?" le chiedo, e rinuncio al tentativo di non far sembrare la mia domanda un rimprovero. Non penso che riuscirò mai a dare un altro tono alla mia voce. Elizabeth continua a rigirarsi il filo di cotone di dito in dito. Qualcosa, però, nei suoi movimenti delicati, mi fa pensare che non siano automatici, spontanei, ma che siano piuttosto studiati, calcolati. Aggrotto la fronte appena percettibilmente e mi concentro di più su quel particolare così strano.
"Non è ancora finito. Tori è particolamente impegnata, in questo periodo." risponde in fretta, accorgendosi che la sto osservando incuriosito. "Hai parlato troppo veloce", la sua voce mi ritorna alla mente come una verità che viene a galla. Riporto la memoria al momento in cui mi ha detto quelle parole. Eravamo in palestra, ed io le avevo appena detto una menzogna. Una menzogna, mi ripeto. Ma non può essere. Elizabeth non può aver mentito. Eppure i suoi movimenti, il suo tono di voce... Tutto mi fa pensare che l'abbia davvero fatto.
"Stai mentendo." dico, con un certo tono di sorpresa nella mia voce. Lei si alza dal mio petto e mi guarda infastidita, gli occhi socchiusi a fessura, lo sguardo indagatore.
"Stai migliorando, Eric." mi fa notare. Il suo non è un complimento, ma un'amara osservazione. "Una settimana fa non saresti stato capace di riconoscere il bianco dal nero."
"Una settimana fa non pensavo neanche che avresti avuto il coraggio di baciarmi, se è per questo." farfuglio, indicandola col mento.
"Una settimana fa le tue aspirazioni erano molto basse." continua, enfatizzando le prime parole come se fossero insulti.
"Non hai risposto alla mia domanda."
"E non ho intenzione di farlo, se ti interessa saperlo."

La guardo, sorpreso da quell'atteggiamento così ostile in risposta ad una domanda così semplice e innocua. Lei non sembra pentita di quello che ha detto, perchè ha un'espressione determinata e quasi vuota, come se non avesse neanche detto una parola, come se quella freddezza fosse calcolata. Ora che non ha risposto alla domanda, ardo ancora di più dalla voglia di vedere il suo tatuaggio, di seguire le linee marcate dell'inchiostro nero che corrono sulla sua pelle nuda. Elizabeth ruota la gamba e si sposta sul materasso, io rabbrividisco per il freddo dovuto allo spostamento d'aria. Sarà anche primavera, ma le temperature di notte sono tremendamente gelide. Si rimette gli scarponi e si alza, camminando con passo deciso verso la sedia sulla quale sono ammassati mucchi di vestiti rigorosamente neri. Non ho un armadio, in questo appartamento, o meglio, ce l'avevo. L'ho rotto involontariamente perchè pensavo che potesse essere una buona alternativa al sacco da boxe. Non lo era.
Elizabeth prende un lungo maglione di lana nero dalla pila di robe e se lo infila. Le arriva poco sopra le ginocchia, le maniche sono troppo lunghe per le sue braccia e penzolano nel vuoto, superando la punta delle dita di parecchi centimetri. La guardo confuso.
"Lo prendo in prestito. Le felpe di Samuel sono tutte sudate." spiega lei, tormentando il bordo del maglione. "O sporche di sangue." aggiunge.
"Non che sia contrario, ho parecchi maglioni, dopotutto..." sentire il nome di Samuel mi provoca ancora un certo fastidio. Mi metto a sedere e mi massaggio la nuca. "...Ma non hai vestiti di tua esclusiva proprietà? Non penso che tu vada in giro a prendere in prestito maglioni."
"Ho le canotte. Ma fa troppo freddo per quelle." risponde. Sembra una domanda parecchio scomoda, per lei. Ed ancora una volta, non capisco perchè.
"Puoi usare i tuoi punti per comprarti i vestiti di cui hai bisogno, lo sai. Sei fra i primi dieci in classifica, perciò ne hai parecchi. Eppure non li hai ancora spesi." le faccio notare, ma penso che non ce ne sia bisogno.
"Lo so." dice lei, inclinando la testa da un lato. Con quello sguardo sospettoso e quella postura esile mi ricorda molto i piccoli passeri che ogni tanto volano davanti alla mia finestra. Però so perfettamente che un piccolo e fragile uccello non rappresenterebbe mai la ferocia di Elizabeth. Piuttosto un coccodrillo. Con le ali. Che brandisce una motosega alimentata a sarcasmo. Molto più appropriato, decisamente.

Elizabeth mi sorride debolmente, ed io muoio dalla curiosità di sapere a cosa sta pensando in questo istante. Con lei non si è mai sicuri, potrebbe star pensando alla simulazione di domani, oppure alle prossime battute pungenti da utilizzare in casi di emergenza. Probabilmente la seconda.
Chissà se anch'io ero come lei, quando ero un iniziato. O meglio, chissà se gli altri mi vedevano come io vedo lei. Schivo, curioso, sempre pronto ad una rissa. Terrorizzato dalle simulazioni. Ecco, se c'è una sola cosa al mondo che Elizabeth teme sono proprio le simulazioni. Forse queste stesse potrebbero essere inserite come ottava paura."Devi controllare la tua respirazione" la voce di Amar, roca e rassicurante, mi ritorna alla memoria, accompagnata da una sensazione decisamente poco piacevole. L'ho ucciso. È morto per colpa mia.
Era Divergente. Era un pericolo. Continuo a ripetermelo finchè non me ne convinco, però una parte di me si chiede come sarei cambiato se lui fosse ancora vivo. Sarei più altruista, sicuramente, più disponibile e meno temuto. Il nome "Eric" non sarebbe più associato alle punizioni esemplari, come quando ho obbligato un iniziato -che aveva avuto il coraggio di lamentarsi della durezza degli allenamenti- a stare davanti al bersaglio mentre gli altri sparavano con i fucili intorno a lui, o quando mi sono rifiutato di portare Jonathan in infermeria perchè messo al tappeto da una Candida. Non sarei più conosciuto come il Capofazione che non tollera i ribelli, il Capofazione che deve avere tutto sotto controllo. Sarei conosciuto, forse, come un Eric amichevole che dà le pacche sulle spalle agli iniziati meritevoli. Il solo pensiero mi fa star male. Forse potrei ancora diventare quella persona. Quattro è riuscito a cambiare, dopotutto, anche se in minima parte. Ma io non sono come lui. Io non sono un Rigido.
Forse non riuscirò a cambiare mai più.

Guardo l'orologio dal vetro crepato appeso al muro sulla mia sinistra -ci ho lanciato contro talmente tanti oggetti che mi sorprendo sia ancora intatto-. Sono le due di notte ed io non ho voglia di andare a dormire. Ma non per mancanza di sonno, ma perchè so che finirei per impazzire, tormentato da pensieri e rimpianti. Mi passo una mano sul viso e mi massaggio le tempie, e non mi accorgo che intanto Elizabeth si è avvicinata, l'espressione preoccupata ma contenuta. Tutte le sue espressioni sono contenute, mai troppo esplicite. Scaccio qualsiasi pensiero negativo, o meglio, è lei a scacciarli. A volte faccio fatica a interpretare i suoi sguardi, da quant'è brava a camuffarli dietro quell'espressione neutra e passiva. Si piega verso di me e mi da un bacio sulla fronte, poi un altro appena più delicato sulle labbra. Mi guarda con quei suoi enormi occhi castani e mi accarezza la guancia con il pollice. Mi sorprendo che sia capace di una tale delicatezza e gesti così affettuosi e delicati. Dio, quant'è bella.
"Ci vediamo domani, lo sai, vero? Anzi, tra esattamente..." si volta verso l'orologio e assottiglia gli occhi per vedere la posizione delle lancette "Undici ore e sette minuti."
"Ti dovrò guardare in mensa da lontano, da un altro tavolo, lo sai." dico, allontanando la sua mano dal mio viso. Il fatto di non poterla neanche fissare per troppo a lungo in pubblico, quando fino a poco fa eravamo stesi sul letto insieme, mi provoca un forte senso di amarezza. Perchè non posso essere considerato un ragazzo normale, anche solo per una volta? È così che lei mi fa sentire. Normale. Non un istruttore da temere, non una persona senza cuore. Un ragazzo di diciassette anni come tutti gli altri. Un ragazzo terribilmente attratto da una piccola Candida. Un ragazzo che vorrebbe baciarla o anche solo cingerle la vita con un braccio davanti a tutti. Ma non posso. Perchè io non sono un ragazzo come gli altri. Io sono Eric. E per gli altri, Eric non ha emozioni.
Elizabeth mi guarda pensierosa, poi spalanca gli occhi come se avesse avuto una grande idea. Schiocca la lingua e sfoggia un sorriso radioso. Quando sorride, se possibile, è ancora più bella, perchè i suoi occhi si assottigliano e le sue iridi si illuminano di una luce umana. Come se anche lei fosse una ragazza, e non Elizabeth. Fremo dalla voglia di sapere cosa le ha attraversato la mente.
"Siediti accanto a me, domani." dice mentre mi prende il mento fra il pollice e l'indice. Appoggia delicamente le labbra sulle mie e sorride ancora.
"Mi sono seduto oggi al vostro tavolo, e hai visto come mi hanno guardato." alzo gli occhi al cielo. Ripenso allo sguardo spaventato di Alice e a quello gelido di Samuel. Senza contare, poi, l'evidente fastidio che ho provocato a Quattro -ma questo, diciamocelo, è stata una cosa che non mi è dispiaciuta poi tanto-. "Se mi siedo con voi anche domani... Accanto a te, poi. Cominceranno a sospettare qualcosa."
"Non sospetteranno niente." dice lei, stampandomi un altro bacio sulle labbra "Fidati di me."
"Va bene." sospiro, dopo qualche istante di esitazione nervosa -celata, ovviamente, dietro un'espressione distaccata-. "Mostrami quello che sai fare, Candida." 



 

Angolo dell'autrice:

Ciao! È da parecchio che non scrivo qua, vero?
Mi prendo soltanto poche righe per ringraziare
tutti quelli che visualizzano questa storia, e chi
è stato così gentile da metterla fra i preferiti!
Significa molto per me, grazie! Avete suggerimenti
per migliorare questa fanfiction? Sentitevi liberi 
di lasciare una recensione quando ne avrete voglia!
   
 
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