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Autore: simocarre83    30/01/2017    2 recensioni
Secondo racconto che parte dopo l'epilogo del primo. quindi se volete avere le idee chiare sarebbe, forse, il caso di leggere anche il primo. Ad ogni modo, una brutta notizia che presto diventano due, due vittime innocenti, loro malgrado, nuovi personaggi e purtroppo nemici che compaiono o RIcompaiono. Ma sempre l'amicizia che ha, come nella vita, un ruolo fondamentale.
Genere: Drammatico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3 - UN PATTO VIOLATO
Il giorno dopo trascorse tranquillamente. Simone lavorò come un pazzo per riuscire, finalmente, a acquistare, con un buon margine di guadagno i computer di cui avevano bisogno. Quei mille computer gli servivano per completare le commesse, e praticamente erano già venduti. Per la prima volta Martina preparò l’ordine per quei computer, e Simone lo firmò. Era veramente una cara ragazza, e lei considerava Simone quasi come uno zio. D’altra parte lo conosceva da sempre. Simone era amico di suo padre, Alessandro, uno dei suoi ex compagni di classe. Quindi l’aveva vista crescere. E per lei era un piacere lavorare in quell’azienda così dinamica ed interessante. Quel giorno Simone tornò a casa in fretta. Maria non c’era, impegnata a teatro con una sua classe. Preparò velocemente da mangiare per suo figlio, poi accolse Giuseppe a casa. Non aspettò neanche che suo figlio finisse di mangiare, perché scappò al lavoro. Giuseppe si lavò il suo piatto, poi filò in camera sua a studiare, dal momento che il giovedì era la giornata più faticosa e quella che richiedeva più impegno per i compiti. E così con Andrea non si vedevano. Come anche il venerdì dal momento che quest’ultimo era impegnato, sin dal pomeriggio, con gli allenamenti di calcio. Giuseppe, invece, il venerdì aveva gli allenamenti di nuoto, a cui andava da solo, dal momento che vi partecipava solo lui. E tornava a casa per le sei. Comunque il venerdì in una mezz’oretta risolveva i compiti che, solitamente, per il sabato erano veramente pochi.
Ritornato in ufficio, Simone accolse l’ultima possibilità di scegliere un responsabile della produzione che potesse permettere a lui e Vito di dedicarsi più alla parte commerciale. Era un bravo ragazzo e ci sapeva fare. Come sempre lasciò detto che gli avrebbe fatto sapere per finesettimana, in quanto sapeva di non poter prendere una decisione così importante da solo e di doverne parlare con Vito, prima.
Erano quasi le quattro e mezzo, quando, dopo essere impazzito per un problema di pagamenti con gli Stati Uniti, riuscì a sistemare la faccenda. E si concesse un caffè. Quel giorno non aveva neanche mangiato, e capì che era quasi ora di tornarsene a casa. Ritornò con il suo bicchierino nel suo ufficio. Non gli piaceva perdere tempo anche per il caffè. E ne aveva comunque ancora per un’oretta.
Gli uffici erano pieni, cioè, mancavano solo Vito e Alessandra. Mentre in laboratorio il lavoro era ancora nel pieno dello svolgimento per quella giornata. I nove operai avrebbero finito per le 17.00, mentre l’orario di lavoro degli impiegati, solitamente, durava fino alle 18. Che poi, a parte Simone, Vito, Alessandra e Martina, in ufficio c’era solamente un altro impiegato, che si occupava dei trasporti e della documentazione per l’importazione e l’esportazione. Ma Simone e Vito, facendoli lavorare su commessa, se avevano finito di lavorare e non c’era altro di urgente, e avevano qualche impegno, li lasciavano andare via. Anche se era raro che accadesse. E comunque, tutti lavoravano veramente al massimo delle loro capacità.
Per intenderci, addirittura Simone e Vito, che erano i proprietari, se c’era veramente tanto lavoro, o tanta urgenza, erano i primi a farsi vedere, salvo impegni commerciali improrogabili, arrivare in laboratorio in jeans e maglietta e mettersi a formattare computer, installare programmi, smontare computer o testare stampanti. E in quell’anno che stava per finire era successo un paio di volte. Era anche per questo che erano riusciti a guadagnarsi la fiducia e la benevolenza di tutte le maestranze.
Erano quasi le diciassette e trenta e Simone aveva finito il lavoro per quella giornata. Aveva concluso tante cose e ne aveva incominciate molte altre. Aveva in comune la cartella di posta commerciale con Vito, e non gli aveva lasciato molto lavoro. Anche se qualcosa Vito avrebbe dovuto fare il giorno seguente. C’erano i Cinesi che si erano mossi e probabilmente si sarebbe impegnato a passare tutta la giornata con loro. Stava per cliccare su “Chiudi sessione” quando arrivò una telefonata.
“Sono Martina! C’è una persona per te!” disse.
Per un attimo Simone si stupì, poi si ricordò dell’accordo del giorno prima e capì per quale motivo Martina non gli stesse dando del Lei.
“Chi è?!”
“Dice di chiamarsi Michele e che…”
“OK! Fallo passare! Anzi no! Digli di aspettare. Tra due minuti sono da lui, che sto andando a casa!” rispose Simone. Che non vedeva l’ora di incontrare quella persona.
Spense finalmente il computer e uscì dal suo ufficio. In fondo al corridoio vide la reception, con Michele appoggiato al bancone ad aspettare.
Un’occhiata forte passò tra i due. Martina quasi si nascose dietro il bancone. Simone capì che Michele era stravolto, ancora più di come l’aveva disegnato suo figlio due giorni prima.
“Hai dove dormire?”
La non risposta di Michele diceva tutto. Era evidentemente da domenica che non aveva un posto dove stare. Strano per un ufficiale di polizia come lui. Fatto sta che comunque aveva bisogno di dormire, di mangiare e di lavarsi.
“Ho capito! Vieni con me!!” continuò Simone. I due uscirono. E si diressero verso casa.
Mentre erano in macchina riuscirono a parlare e spiegarsi un po’ meglio.
“Sabato pomeriggio, quando Francesco è stato arrestato, ho litigato con il questore, e per tutta risposta, sono stato sospeso. Mentre uscivo dal lavoro sono stato aggredito da dei malintenzionati che hanno cercato di farmi seriamente del male. Non li ho riconosciuti, avevano il volto coperto. Io sono riuscito a scappare e seminarli. Senza neanche passare da casa ho chiamato mio figlio e gli ho detto di prendere sua sorella e correre a Policoro, da mia mamma. Li sarebbero stati al sicuro. Io sono riuscito a rintracciare Giuseppe e arrivare fin qui. Ho provato a pagare un albergo con la carta di credito ma risultava bloccata. Ho capito che dietro la storia di Francesco e Emanuele c’è qualcosa di molto grosso. Qualcosa che rischia di mettermi in pericolo. Qualcosa che rischia di mettere in pericolo tutti coloro che cercano di avvicinarsi a loro due. Giuseppe non l’ha capito ed è per questo che ci ho litigato, quando mi ha detto che ne avrebbe parlato con te!”
Tutto nella testa di Simone era confuso, molto confuso. Ma capì che in quel momento era difficile riuscire a tirare fuori qualcosa di logico dal suo amico. Troppo stanco, troppo stressato. Cercò di cambiare discorso.
“Aspetta che telefono a Maria” disse, componendo il numero.
“Pronto! ciao!”
“Ciao Maria! Ascolta, sto per tornare a casa con il personaggio del disegno di Giuseppe. Puoi, per favore preparare la camera degli ospiti?”
Attaccò immediatamente.
“Finché la situazione non si è calmata puoi rimanere a casa mia. Senza problemi. Ma adesso raccontami un po’ di te. Cosa hai fatto in questi venti anni?” disse Simone, cercando di farlo distrarre.
Ed effettivamente Michele si rilassò.
“Appena diplomato sono entrato in polizia e contemporaneamente mi sono iscritto all’università. Mi sono laureato in chimica, e sono entrato nel settore scientifico della polizia. Due anni fa mi hanno trasferito da Roma a Matera e sono diventato direttore della polizia scientifica presso la questura di Matera”.
“Ah! E mi hai detto che hai due figli! Quindi sei sposato!?” chiese Simone, tentando di continuare quel discorso.
“No! Lo ero. Ho conosciuto Antonella in università. Ci siamo innamorati praticamente subito. Appena laureati ci siamo sposati. Due anni fa un tumore se l’è portata via, lasciandomi solo con due figli da crescere. E cerco di farlo come posso. Roberto ha 16 anni e Francesca ne ha 15. Sono bravissimi ragazzi e molto responsabili. Ma non so come potranno gestire questa situazione. Non riuscendo più a vivere a Roma, i miei superiori mi hanno proposto questo spostamento e sono ritornato a Matera”.
Intanto erano arrivati a casa ed erano usciti dalla macchina. Entrarono.
“Permesso!” fu la richiesta di Michele, pienamente accolta dalla padrona di casa.
“Ciao! Da quanto tempo!” disse Maria, abbracciandolo. “Se vuoi andare su a sistemarti fai pure. Sul letto ci sono gli asciugamani puliti!” disse.
Simone la osservò soddisfatto e sorridente.
“Gli do una mano a sistemarsi, metto a fare la lavatrice con i suoi vestiti e arrivo a spiegarti!” disse Simone “Giuseppe dov’è?”
“Come! C’è anche Giuseppe qui?” chiese Michele.
I due si misero a ridere. “Non il Giuseppe che pensi tu. Nostro figlio si chiama Giuseppe!”
“Ah! Scusate!” disse, diventando tutto rosso. E un leggero sorriso comparve sul suo viso.
In realtà la camera degli ospiti era un mini appartamento che occupava la soffitta. Un open-space con un piccolo bagnetto che aveva tutto e occupava un angolo. Maria aveva dovuto solo accendere il calorifero di quel piano e far cambiare un po’ l’aria, ma poi era tutto pronto per ospitare una coppia di persone. Michele quasi si commosse quando vide tutto quello. E per la prima volta dopo quattro giorni, riuscì a concedersi una doccia decente. Chiese a Simone se gli poteva prestare la schiuma, così si poteva fare anche la barba.
Passò qualche minuto da quando erano arrivati e Simone spiegò gli ultimi avvenimenti a Maria.
“Credi che sia giusto scendere a Policoro a natale?” chiese lei, preoccupata per la situazione che avrebbe potuto crearsi.
“Non lo so! Vedremo come procedono le cose in questi ultimi dieci giorni!” disse Simone.
Alle 19 Giuseppe aveva finalmente finito di studiare. Una full immersion di cinque ore. Ma quello di Matematica aveva avvisato per un compito in classe e quella di Storia faceva domande a sorpresa, praticamente a tutti. Quindi non aveva scampo. Però era giunto alla fine di quelle ore di studio. E a parte una pausa di un quarto d’ora per farsi un panino, non si era concesso molto riposo. E ne era venuto a capo.
“Eccomi! Ciao Papà!” disse entrando in cucina.
In quel momento scese anche Michele. E si diresse in cucina. Appena Giuseppe si voltò, e vide quella persona, rasata e riordinata, ma inevitabilmente riconosciuta come quella vista il lunedì precedente mentre litigava con Giuseppe, si rivolse verso i suoi genitori.
“Chi è quello e che cosa ci fa qui!?” chiese molto agitato.
Simone guardò immediatamente Giuseppe fisso negli occhi. E questo capì quasi immediatamente di essersi comportato male.
“Scusa! Hai visto per caso tua madre urlare ed io prenderlo a botte?” chiese severamente Simone.
“N-No!” rispose suo figlio.
“Allora significa che lo abbiamo invitato noi! Hai qualcosa da dire al riguardo?” gli chiese Simone.
“N-No!” rispose Giuseppe. E sapeva di averla combinata grossa.
“Allora cosa ne dici di chiedergli scusa?!” fu ciò che Simone incoraggiò cordialmente Giuseppe a fare.
Giuseppe a testa bassa si rivolse verso l’ospite sconosciuto.
“Mi scusi, mi sono comportato da maleducato!” disse.
“Oh! Scuse accettate. Ogni volta che rivedo tuo padre dopo tanto tempo c’è sempre uno che si chiama Giuseppe che mi tratta in questo modo!” disse, sorridendogli. E porgendogli la mano. Che stretta tra i due sancì definitivamente il patto di non belligeranza.
“Comunque anche io non sono stato proprio educato con te. Mi dovevo presentare prima. Piacere, mi chiamo Michele!” disse.
Giuseppe si voltò verso suo padre, alquanto confuso.
“Ma Michele sarebbe quel Michele?” chiese ai suoi.
“Si! Quel Michele!”
“Ah! Mi scusi!” disse ancora più pentito della figuraccia che aveva fatto pochi secondi prima. “Mio padre mi ha raccontato tantissime cose di voi. Praticamente tutto!” disse sorridendo per stemperare ancora di più la tensione. Uno sguardo di intesa fra Michele e Simone gli fece capire che Simone non aveva comunque infranto il patto stipulato tra di loro.
“Mi fa piacere, allora non mi dispiace se ci diamo del tu. In fondo ho la stessa età di tuo padre!” disse sorridendo.
“Ok! Grazie! Scusami ancora!” disse Giuseppe, chiudendo il discorso quasi definitivamente.
“Direi che te la sei cavata bene, e per stavolta mi accontento di farti apparecchiare da solo” disse Simone, guardandolo ancora per qualche secondo severamente.
Giuseppe capì l’antifona e sospirò per essersela cavata con poco.
“Scusalo sul serio!” aggiunse Simone “è che mio figlio è molto affezionato a Giuseppe e vedervi litigare l’altro giorno l’ha colpito parecchio!” disse, mentre Giuseppe stava apparecchiando. Salì poi un attimo in camera sua, per ritornare subito dopo.
“Posso dartelo?!” chiese al loro ospite. Era il disegno di due giorni prima.
“Ma è bellissimo! Complimenti! Disegni molto bene!” disse Michele “Devo farglielo vedere a mia figlia che si diletta anche lei a disegnare!”.
Avrebbe voluto chiedergli dove fossero i suoi figli, e sua moglie, ma Simone li interruppe e mandò Giuseppe in cantina a prendere il vino.
“Maria, come è ovvio, sa tutto di questa storia, ma direi che è meglio non raccontare, per il momento, certe cose a Giuseppe, d’accordo?!” chiese Simone.
E Michele fu d’accordo tanto che quella sera parlarono di tutt’altro.
Il giorno dopo, Michele passò in posta e ritirò dei soldi che gli erano stati mandati da sua madre. E poté acquistare dei vestiti e sistemare un altro po’ le cose. E, insistendo parecchio, pagare anche il disturbo a Simone e Maria e acquistarsi un biglietto del pullman per Matera per la sera seguente.
Simone invece andò al lavoro, da dove comunicò a Giuseppe che la sera stessa la sua famiglia DOVEVA essere ospite a casa sua, e Giuseppe non poté fare altro che accettare.
Intanto parlò con Vito delle ultime novità e della cosa più importante, cioè che la persona a cui aveva fatto il colloquio gli sembrava veramente un bravo ragazzo e molto esperto. Allora, mediante Martina, comunicarono a quel ragazzo, che si chiamava Daniele, che volevano sentirlo tutti e due i padroni dell’azienda e fecero la stessa cosa con un altro ragazzo.
La sera, verso le sette, Simone tornò a casa dal lavoro e vi trovò Anna e Maria impegnate a cucinare e Simone e Giuseppe che stavano guardando la televisione. Non gli ci volle molto per capire dove era l’altro ospite di quella serata. Bussò alla porta della camera degli ospiti e, come era logico, ottenne accesso immediato.
“Buonasera! È la prima volta che vi vedo insieme dopo ventitré anni!” disse Simone, certo di essere entrato nella discussione in un momento cruciale.
“Ciao! Ci siamo chiariti. E su tutto ha vinto la nostra amicizia!” disse Michele. Poi si rivolse a Giuseppe.
“Volevo chiederti scusa per averti messo in piedi questa situazione non capendo fino in fondo quanto avessi bisogno di parlarne con Simone. D’altra parte, anche io, quando ne ho avuto l’opportunità gli ho detto tutto!” disse.
“Bene! mi fa piacere che sia riscoppiata la pace tra di voi! Ma adesso dobbiamo fare il punto della situazione” aggiunse Simone. “Quindi, per favore, Michele, raccontaci tutto daccapo!”
“Le cose stanno esattamente come vi ho detto. Quello che non vi ho detto è che, da un’analisi più approfondita della ferita, risulta che qualcuno ha ucciso Emanuele con un altro coltello, più affilato e meno spesso. E che solo successivamente alla sua morte, quel coltello è stato sostituito con il coltello trovato veramente sul cadavere. Visto però che non è stata trovata alcuna traccia dell’altro coltello, fanno comunque affidamento sulle impronte trovate su quello. Quelle di Francesco. Io ho provato a parlarne con il questore. Ma per tutta risposta, questo mi ha sospeso. E di conseguenza anche la carta di credito che mi sono portato dietro, che non era la mia personale ma quella dell’ufficio. Ho provveduto, appena l’ho scoperto, a spedirla nuovamente a Matera. Ad ogni modo, a seguito della mia aggressione, sabato sera, ho preferito scappare e mettere al riparo anche i miei figli. Ho avuto paura. Ma non so proprio per quale motivo sia accaduto tutto questo!” disse Michele. Adesso, effettivamente, il quadro era un po’ più chiaro.
“Hanno voluto farti fuori. Il problema è che non sappiamo per quale motivo. Comunque le cose stanno evidentemente così” Concluse Giuseppe. E anche Simone non aveva dubbi su questo.
“Francesco si è sempre dichiarato innocente! Ma non ha mai voluto dare una spiegazione credibile di quello che aveva fatto. E così sta rimanendo in prigione” aggiunse Michele.
“Un momento! Giuseppe mi aveva detto che lui ha confermato di essere stato tutto il tempo a Policoro. Perché avrebbe dovuto mentire?!”
“Lui l’ha detto ma non ha mai portato delle prove dei suoi movimenti precisi. Inoltre sembra che avesse un movente!”
“Un movente? Francesco per uccidere suo fratello? Non ci credo neanche se me lo dici”
“Eppure le cose stanno così!” aggiunse Michele “I loro vicini di casa li hanno sentiti litigare di brutto, la sera prima. Volare anche qualche bicchiere, e spesso questo vale più di una prova. A conferma di questo, nelle vicinanze di un tappeto in casa di Emanuele abbiamo ritrovato delle tracce di vetri rotti!”.
“Tutte prove indiziarie!” rispose Giuseppe.
“Già! Ma al magistrato sono bastate per confermare il fermo. Almeno avesse richiesto un avvocato!” concluse Michele.
“Ho capito! Direi che l’avvocato posso procurarglielo io!” disse Simone.
“Tu! Ne conosci qualcuno?” chiese Michele.
“Non dirmi che hai già parlato con lui!?” chiese Giuseppe, ricevendo in tutta risposta un sorriso di Simone.
“Sta scendendo da Parigi. Secondo me appena lo vede, Francesco accetta subito di essere rappresentato da lui” rispose Simone.
“Scusate ma mi sono perso un passaggio! Chi sarebbe l’avvocato?!” chiese confuso Michele.
“L’unico che sia riuscito ad atterrarti con un colpo di karate!” aggiunse Simone.
“NOOOO!!!”
“Si!”
“Non vedo l’ora di vederlo!” disse Michele.
“Sabato mattina, ti verrà a prendere alla stazione dei pullman a Matera. Stamattina gli ho scritto una lunga lettera. E fidati, se ti dico che è un mostro. E secondo me in meno di un paio di giorni sistemerà anche la tua situazione!” concluse Simone.
“Grazie! Sapere di avere dalla mia parte Nicola in questa storia mi fa stare molto meglio” disse Michele.
“Ad ogni modo, tra una decina di giorni arriviamo anche noi due con le nostre famiglie per le vacanze a Policoro!” aggiunse Giuseppe.
Michele sgranò gli occhi, rivolgendosi verso Simone.
“Si! È arrivato il momento di ritornare dalle mie parti!” Disse Simone, sorridendo.
Qualcuno bussò alla porta. Era Simone.
“È pronto!” annunciò, mentre dietro si vedeva la sagoma, nascosta nell’ombra, di Giuseppe.
“Arriviamo Simone!” rispose il suo omonimo mentre tutti e tre si alzavano per andare a mangiare.
“Scusate!” aggiunse Michele. “Prima vi devo dire una cosa importante!”
Pochi minuti dopo, scossi, scesero a mangiare.
Poco prima di andarsene, Giuseppe chiamò ancora in disparte Simone e Michele. “penso che, visto che Simone sta ritornando a Policoro, e vista la situazione, non ci sia nulla di male a infrangere il patto che abbiamo stipulato noi tre ventitré anni fa, per parlarne con i nostri figli! E, almeno nel mio caso anche con mia moglie! Siete d’accordo?!” chiese.
La risposta affermativa di entrambi, sancì definitivamente l’ingresso degli ignari adolescenti nella storia dei loro genitori.
Verso le dieci e mezza, Giuseppe e famiglia andarono via. Il giorno dopo c’era scuola e avevano già fatto uno strappo alla regola. Michele si congedò ritirandosi in camera sua. Simone sottrasse Maria dai lavori di cucina e le propose di collaborare con suo figlio per mettere tutto a posto.
“Perché?” chiese sua moglie.
“Devo infrangere un patto!” disse Simone, triste ma pronto, preparato a quella che sarebbe potuta essere la reazione di suo figlio.
Maria si rendeva conto del fatto che scendere nei particolari di quella storia avrebbe potuto colpire la sensibilità di suo figlio, ma capì anche che probabilmente era stata proprio questa cosa, in fondo, ad impedire a Simone di fare ritorno a Policoro. Ed ora che Giuseppe aveva quasi l’età di Simone, quando aveva affrontato tutte quelle cose, gli concedeva un po’ più di libertà di farlo. E sopra ogni altra cosa, si rese conto che l’ingresso nella loro vita di Michele, aveva dato il via ad una nuova fase della sua vita, nella quale, inevitabilmente, Simone si sarebbe dovuto scontrare con Policoro e i suoi ricordi.
Giuseppe, quella sera, ritornò in camera sua barcollando. Era incredibile quante cose ancora non sapeva di Policoro. Era incredibile come venire a sapere quelle cose quella sera l’aveva scosso a tal punto da fargli seriamente pensare di dire ai suoi genitori che non aveva più tanta voglia di andarci. Quella notte non riuscì a dormire. E fortunatamente la giornata successiva, non aveva molte cose da fare a scuola. Anche se, per quel motivo, gli allenamenti in piscina furono massacranti. Più del solito. Tornò a casa e prima di cena salutò Michele che venne accompagnato da Simone al terminal dei pullman.
Tornato a casa, Simone vide Giuseppe e capì che moriva dalla voglia di parlargli, per dirgli qualcosa. Ma che non aveva il coraggio di farlo. Allora, appena Giuseppe fu in camera sua, sentì bussare alla porta.
“Avanti!”
“Posso!?” esclamò la testa di Simone affacciatasi all’uscio.
La risposta affermativa mimata da Giuseppe, fece capire a Simone che aveva proprio bisogno di parlargli.
Simone si avvicinò e si sedette al letto di suo figlio, che era appoggiato alla spalliera del letto e stava leggendo un giornale di auto, sua altra grande passione.
“Prima mi è parso che volessi dirmi qualcosa!” esordì Simone.
“E che non avevo il coraggio di dirtela?!” chiese Giuseppe.
Simone guardò suo figlio e si rivide in quel ragazzino. Se solo lui avesse avuto il coraggio e la voglia di parlarne con suo padre, di quelle cose che gli erano successe. Ma in quel momento della sua vita suo padre era troppo impegnato con la nuova famiglia per seguire quelle vicissitudini della vita di suo figlio. E Simone finì per dimenticarsi di parlargliene.
“E che non avevi la voglia di chiedermela! Penso che tu saresti stato abbastanza coraggioso per farlo! Sbaglio?”
“No! Non sbagli!” un leggero sorriso comparve sulle labbra di Giuseppe.
“Beh! se ti può aiutare sappi che io ho sempre voglia di ascoltarti. Anche quando puoi dirmi delle cose che mi dispiacciono. Anche se poi le cose che mi dici mi fanno arrabbiare, perché magari hai fatto qualcosa di sbagliato, per me la cosa più importante è sempre ascoltarti! Ok!?”
“Ok! Grazie! Allora posso farti una domanda?!”
“Sai che non c’è neanche bisogno di chiederlo?!” rispose solerte suo padre.
“Perché proprio ieri mi hai raccontato una cosa che è successa tanti anni fa? Nei minimi particolari? Facendomi anche soffrire?!” chiese. Gli tremava la voce. Aveva paura della risposta di suo padre. Aveva paura della reazione di suo padre, perché immaginava che suo padre avesse capito che ce l’aveva con lui per quello che gli aveva raccontato, mentre lui si sentiva solamente solo e dispiaciuto per quello che aveva sentito.
Simone guardò suo figlio. Quanto gli assomigliava. Anche lui, a quell’età era così insicuro e sfiduciato nei confronti degli altri. l’unica cosa che poteva fargli fu mettergli una mano sulla spalla.
“Giuseppe, vedi, il problema è che ieri sera Michele ci ha detto una cosa. Il motivo per cui ha spedito i suoi figli a Policoro e ha lasciato Matera. Quando è stato aggredito da quel gruppo di persone a cui, per miracolo, è riuscito a sfuggire, non li ha completamente riconosciuti. Almeno non tutti. Ma uno si! Uno l’ha riconosciuto! Era Amaraldo!”
Quel nome rimbombò nelle orecchie di Giuseppe. Soprattutto dopo quello che aveva sentito in quegli ultimi due giorni.
“Ecco perché le prime volte che l’ho visto, Michele mi sembrava così spaventato da quello che era successo!” esclamò Giuseppe.
“Esattamente! E capisci che se scendiamo a Policoro, questa situazione potrebbe in qualche modo evolversi al peggio. È per questo che vi abbiamo raccontato queste cose. Io l’ho fatto con te. Giuseppe l’ha fatto con Simone. E domani, una volta ricongiunto con i suoi figli, Michele lo farà con loro. È perché, se scendiamo a Policoro, vogliamo che sappiate tutto quello che ci è successo per avere la saggezza necessaria per fare le scelte giuste. E per questo io ho la massima fiducia in te!” rispose Simone.
“Allora cosa avete intenzione di fare?!” chiese Giuseppe.
Fu allora che Simone guardò negli occhi suo figlio, gli si avvicinò, e gli disse qualcosa con tutto l’affetto che provava per lui.
“Non lo sappiamo ancora, io e la mamma. Ma ti prometto che qualsiasi cosa faremo io e lei, faremo tutto quello che è in nostro potere ed anche di più per proteggerti. Capito?” e un abbraccio si scatenò tra i due.
“Pensa a dormire, adesso, che è tardi. Vedrai che, come sempre, una buona notte di sonno ti schiarirà le idee!” disse alzandosi e rimboccandogli le coperte.
“Vabbè! Ma adesso non esageriamo! Non ho mica cinque anni!” gli rispose Giuseppe sorridendo. Una linguaccia del padre suggellò quella serata e gli fece chiudere la porta della sua camera.

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NdA: Buongiorno a tutti! Spero che la storia vi stia piacendo, e vi ringrazio sempre di cuore per le recensioni e le opinioni che mi trasmettete. alla prossima!
  
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