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Autore: Makil_    30/01/2017    27 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):

Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata. 
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Quando giunse a Werny, del sole non restava altro che il ricordo.
Ad oriente, il cielo era chiazzato da lacrime di porpora che si apprestavano a lasciare spazio alle tenebre della notte. Werny era una cittadina molto ben tenuta, ubicata nel ventre di quelle terre insolitamente fertili che sorgevano davanti alle sinuose alture di Campo Verde. Le fondamenta delle sue mura erano fatte di granito, ma, man mano che si innalzavano, davano spazio alla robusta pietra nera, simbolo di una loro recente restaurazione. La cittadina si estendeva in forma quadrangolare su quelle che un tempo erano state le Terre dei Fiori, ma nessuno aveva dubbi sul fatto che, adesso, di Terre dei Fiori non restava neppure il nome. Il territorio era stato annesso alla Valle del Vespro secoli orsono, e i fiori avevano iniziato a seccare già allora. Ormai, le strade che dalle Terre dei Venti si dipanavano fino alla Valle del Vespro, erano circondante da decine e decine di campi inariditi e disseccati, dove perlopiù crescevano indisturbati rovi ed erbacce. Ma questi erano solo alcuni degli effetti disastrosi della guerra.
Per contro, Bart aveva notato che quel luogo era più fertile di quanto si fosse aspettato. La porta di principale ingresso alla cittadina di Werny era spalancata, pertanto Bart non si fece problemi ad entrare. Dalla sommità di una torretta le campane stavano continuando a suonare, ed il loro era l’unico suono presente in quel luogo. Non c’erano bambini divertiti in giro per quelle stradicciole, né donne intenti a scambiarsi pettegolezzi o a stendere i panni gocciolanti, e neppure uomini chiassosi uniti in chiacchiere inutili.
Dove sono tutti?” si chiese Bart avanzando in quella spoglia e desolata cittadina. Le strade di Werny erano davvero molto strette. Era probabile che quattro cavalli disposti in fila non sarebbero riusciti a camminare senza restare incastrati. Bart continuò ad avanzare osservando i tetti marroni delle casupole stagliate contro il cielo. Scorse qualche luce fievole proveniente dalle finestre sbarrate delle abitazioni, e questo bastò a convincerlo di non essere solo. All’angolo della strada sorgeva una locanda malandata, poco più grande delle abitazioni che aveva scorto lungo la via. Bart spinse con entrambe le mani la porta ed entrò. Perfino ad un ragazzo appena fatto come lui quel luogo apparve poco confortevole. Le pareti erano sporche di salnitro e, insieme a sedie rovesciate e tavoli impolverati, giacevano numerose stoviglie sul bancone principale, bisognose di una giusta lavata. Il locandiere era un uomo goffo, sulla quarantina, con una barbetta ispida e grigia. Era probabile che, date le sue guance paonazze, avesse bevuto qualche calice di birra nell’attesa di un buon cliente. La sua, quella del locandiere e di un anziano uomo, erano le uniche presenze nella locanda.                            
«È libero?» chiese Bart all’uomo seduto alla sua destra, indicando la sedia di fronte a cui era seduto. L’anziano fece cenno di sì col capo. Il suo volto era rachitico e sporco di fuliggine, così come sporca era la barbetta mal rasata che portava sul mento. A giudicare dalla lunga faretra rossa che svettava dalla spalla sinistra, l’anziano doveva essere un arciere, ma non aveva né arco né frecce a dimostrazione di ciò.                                                                                                    
«Buon uomo, sai dirmi per caso dove sono finiti tutti?» domandò insospettito Bart. L’anziano sollevò il capo con un lentezza che lo sorprese, per rivolgergli un’occhiata assonnata e stanca.       
«Me lo chiedo anch’io da qualche mese ormai.» rispose con voce rauca l’uomo. «Spariti, ser, tutti quanti! Da quando la Guerra Grigia ha preso il sopravvento, non un uomo né una donna si vedono più in giro. Vedessi come si accalcano nelle loro case! Molti cavalieri hanno avuto da fare col torneo, ser, e sono partiti.» Poi l’anziano alzò la mano verso l’oste, che si precipitò di fretta verso il loro tavolo, come scosso da un brivido di febbrile eccitazione. «Una pinta di birra» ordinò l’arciere senza distogliere lo sguardo da Bart.
«Due» sottolineò Bart «E qualcosa da mangiare, se è possibile.»                                                                                                                          
«Abbiamo soltanto carne di montone della scorsa battuta di caccia, pane nero e secco e qualche porzione di lenticchie e cipolle.»                                                                                                                                                                                      
«Prendo tutto.» disse Bart stupendo entrambi gli uomini che aveva di fronte.                                                             
«Tutto quanto?» domandò il locandiere sgranando gli occhi. «E sia, ser. Se questo ti compiace.» Poi l’uomo tornò al suo bancone, per scomparire oltre una rampa di scale. Prima di partire da Sette Scuri, Dalton Kordrum gli aveva affidato un’ingente quantità di ori. «Non dissipare la mia eredità» gli aveva detto scherzoso. Ma Bart aveva preferito lasciarne gran parte ad Amisa Witeolm, la vedova di Dalton, per poter esserle vicino in quel momento tanto ostile per lei. Dalton era morto sul suo letto, con le mani strette tra quelle della sua signora, dopo aver sofferto a lungo le peggiori pene del mondo. Il signore di Sette Scuri era stato contagiato dal Fiore Rosso, la spietata malattia che sopraggiunse con l’arrivo delle truppe delle Terre Spezzate, alleate coi comandanti della Punta. Un morbo difficilmente placabile che si saziava delle forze vitali di qualsiasi uomo, forte o debole che fosse, fino a ridurlo a niente poco di meno che un ammasso di pelle asciutta e flaccida. Dalton era stato un giudice estremamente severo, un lupo forte e vigoroso. Lo stesso Lennard Pomsalty, suo alleato, era stato detto Fuoco d’Avorio.  Eppure, il Fiore Rosso non aveva risparmiato né l’uno né l’altro quando si erano alleati per sconfiggere i ribelli alle Colline di Sale, nella Battaglia Rossa.     
Bart portò le mani alle tasche e le tastò a lungo, per poi fare lo stesso con la casacca che pendeva dalla spalla destra. “Se non altro devo ricordarmi di tenere qualcosa per l’armatura” pensò “E per una nuova giumenta”. Entrambe cose che gli mancavano. Se non fosse stato per la siccità, però, una l’avrebbe avuta ancora. «Niente armatura, mia signora, appesantisce soltanto la marcia. La comprerò a Roshby.» aveva detto ad Amisa. In realtà lo aveva fatto per non appesantire la marcia della giumenta, anche se pareva non essere servito a molto. Bart tornò a rivolgersi all’anziano arciere. «Hai menzionato un certo torneo, si tratta di Roshby per caso?»           
«Certamente, ser. Se non di quello, allora di quale?»                                                                                                                                                                                   
«Sai dirmi per caso a quanto dista da qui?»                                                                                                                               
«Roshby? Due giorni a cavallo, pregando le Grazie che tutto vada per il meglio.» rispose l’uomo grattandosi il mento. «Anche mio figlio ne ha preso parte, per gioco direi. Non penso che potrà partecipare. Quel torneo è per signorotti e guerrieri famosi, non per cavalieri erranti o sconosciuti. Lo stesso vale per te, forse». L’arciere portò le mani sul tavolo, le dita intrecciate sotto i guanti marroni.                                                                                                                          
«Oh, no, signore. Suo figlio ha fatto bene. Chiunque può prenderne parte.»                                                                                                
«Chiunque, vero.» ribatté sconfortato l’arciere «Ma non lui.»                                                                                               
A prescindere dal lignaggio o dal titolo, Bartimore avrebbe partecipato al torneo. Dalton aveva delegato lui per farlo combattere in sua vece, e per confermare il tutto gli aveva anche scritto ogni cosa su una missiva vergata. «Dovrai consegnare questa a Wolbert Dorran. A lui e nessun altro.» gli aveva detto dandogliela in mano.
In quel momento, la porta della locanda si aprì di colpo lasciando entrare una figura tarchiata e piuttosto bassa. L’uomo, anch’egli abbastanza avanti con gli anni, aveva una lunga barba grigia lunga quasi fino all’ombelico, ed in perfetto contrasto con la pallida tunica bianca che vestiva. Si trattava di un devoto, Bart non ebbe dubbi su questo. Qualche capello aveva resistito alla forza del tempo, e non era caduto via. Ma per il resto, l’uomo era quasi totalmente stempiato. Il devoto si avvicinò al tavolo, dunque afferrò una sedia vicina e sedette insieme a loro. La sua tunica svolazzava da un lato all’altro ogni volta che egli si muoveva.                   
«Benvenuto, ser, che le Grazie ti benedicano!» enunciò. Mera formalità, quella dei devoti, rivolgere ad ognuno lo stesso augurio. Non credeva affatto che avrebbero detto lo stesso se si fossero trovati a baciare la guancia del nemico. Bart gli sorrise e ricambiò l’augurio.                                                                                                    
«Qui per riposare in vista del torneo?» chiese l’uomo palesemente incuriosito dalla sua presenza. Dal tono di voce pomposo e fuori luogo, a Bart sembrò che quell’uomo fosse nervoso.                                                                                            
«Esattamente, mio signore.» rispose Bart. «E un po’ di ristoro mi sarebbe d’aiuto in giornate come queste. La mia giumenta è morta sulla strada e ho avuto da fare con lei. Credo di meritarmi un po’ della misericordia delle Grazie in vista dei combattimenti.»                                                                                                                       
Il devoto si rizzò sulla sedia. «Combattimenti… so che per noi devoti la questione dovrebbe essere indifferente, ma… posso sapere per chi combatti?». L’espressione dell’uomo si fece rude. Il suo volto incartapecorito e dello stesso colore della pergamena ingiallita si curvò. In tempi oscuri come quelli che correvano questa domanda segnava il confine tra il voler vivere e il voler morire. L’unica via di scampo, a volte, era non rispondere. Se si fosse trovato dinanzi ad un’altra figura, Bart non avrebbe certo rischiato. Ma quello che aveva di fronte era un devoto, un uomo del cielo inviato a divulgare la parola delle Grazie, scelto dalla Torre dei Fiori e dal giudizio della Grazia Madre. Se gli uomini non potevano fidarsi di una figura del genere, allora di chi dovevano fidarsi?
Bart si guardò intorno comunque. Era meglio diffidare, anche solo per un momento. Poi, poggiando i gomiti sul tavolo e spingendosi in avanti, disse:                        
«La mia spada è e sarà sempre al servizio dell’Accademia.»                                                                                                                                              
Il devoto sorrise consolato. «E allora sarai sempre il benvenuto qui a Werny, ser. Il mio nome è Baricald.»                                              
Anche Bart si presentò: «Ser Bartimore di Fondocupo». Di certo un cavaliere non poteva vantare di essere nato in quel luogo. Ma Bart, per quanto fosse nato proprio a Fondocupo, non aveva mai conosciuto quel luogo, a detta di tutti, tanto ostile. A pochi mesi dalla sua nascita era stato condotto in fasce a Sette Scuri dalla madre Wanda, la quale aveva ottenuto il grado di incantatrice di Dalton Kordrum. Una malattia, però, aveva stroncato la sua vita, almeno secondo i resoconti di Amisa Witeolm, e lui era stato cresciuto dalla signora e dal signore di Sette Scuri. Avrebbe potuto dire di essere originario di Sette Scuri, dopotutto era vero in parte, ma perché rinnegare le proprie origini?  
In quel momento, il taverniere giunse nuovamente nell’atrio della locanda, portando goffamente con sé tre vassoi di legno scuro. Tra pinte di birra, boccali, stoviglie e piatti di cibo, Bart si chiese come riuscisse a camminare. L’oste posò tutto sul tavolo e riscosse il denaro dai commensali. Nel farlo, alcuni rotoli di grasso gli fuoriuscirono dal grembiule.
«Sono tredici argenti, ser, per la cena. La birra non è nel conto» gli disse. Bart afferrò il denaro dalle tasche e glielo posò nella mano. Sul vassoio che gli era stato poggiato davanti c’era un piatto colmo di carne di montone filamentosa e secca. Il pane era davvero nero come aveva predetto il locandiere. L’unica cosa invitante sarebbe stata la birra, se Bart non avesse avuto la stessa fame di un facocero a digiuno da mesi. L’ultima volta che aveva mangiato qualcosa risaliva a quattro giorni prima che la giumenta s’accasciasse lungo la strada. Aveva trovato quella locanda a due giorni di marcia da Sette Scuri, che, rispetto a quella in cui si trovava, era molto più invitante, grande e popolata.                                                                                                                                                                                      
Bart afferrò il boccale e ne sorseggiò il contenuto. La birra era buona, non si poteva negare.                                                   
«Oh, ser. Il pane è duro, certo. Ma immergilo nella birra, vedrai che verrà meglio.» gli suggerì il vecchio arciere che pareva essersi svegliato dal suo sonnecchiare. L’uomo stava facendo proprio ciò che suggeriva.                                          
«In tempi come questi, sfido chiunque a trovare una birra migliore.» disse il devoto Baricald che stava bevendo qualcosa di molto chiaro all’interno di un calice più grande. A giudicare dalla consistenza non doveva essere birra.
«Vieni dalle Terre dei Venti, non è così?» domandò il devoto inarcando le sopracciglia.                                                                   
«Come fai a saperlo?»                                                                                                                                                                                    
«Oh, una questione d’orecchio. So riconoscere le cadenze nei modi di parlare delle varie regioni di Pantagos. Sono stato a lungo nelle Terre dei Venti, per gli studi religiosi alla Torre dei Fiori. Be’… davvero molto, ora che ci penso. Poi mi fu dato il compito di viaggiare per le Terre Spezzate.»  
«Nelle Terre Spezzate?» domandò Bart incuriosito. «Così lontano?»                                                                            
«Talvolta, pur di portare la pace tra gli uomini, i devoti devono raggiungere terre ostili. La Torre dei Fiori cercava di fare da tramite per il benessere comune. Come immaginerai, però, in quel luogo, a Caantos, dove fui inviato, non una sola persona voleva ascoltarmi. Quegli uomini hanno usanze troppe ambigue per noi e sono troppo diversi. Parlano e scrivono in un altro modo, e in molti sono neri come il carbone. Se in secoli di storia nessuno ha mai avuto la capacità di congiungere il nostro mondo con il loro, come avrei dovuto farlo io? Durante quegli anni conobbi Agabbo Nobb, il Ciclone Nero, il quale aveva preso in ostaggio alcuni membri della mia piccolissima scorta, additandoli come traditori. Ero così debole, ser Bart, che non seppi reagire. Avrei dovuto riferirgli di ridarmi indietro i miei amici, quei poveri ragazzini innocenti e deboli, ma non ne ebbi il coraggio. Quando fui chiamato a rispondere del mio arrivo a Caantos, piuttosto che affrontare il Ciclone Nero, scappai a bordo di una galea e tornai a Pantagos. Prego ogni sera, dico davvero, affinché le Grazie mi perdonino per questo mio atto di spregevole disumanità. E prego affinché prendano la mia vita piuttosto che quella dei ragazzi che ho lasciato nelle Terre Spezzate, se ancora è possibile.»                                                           
«È per loro che suonavano le vostre campane? » domandò Bart portando un’altra volta la birra alle labbra.  Il devoto scosse il capo. «Suonavano per Werny. Tu credi nelle Grazie, cavaliere?»                                                                                
«Sì» confermò Bart. Le cinque Grazie erano le uniche a cui Bart poteva rivolgersi quando tutto sembrava andare male. Da piccolo, era stata la balia Reyanne ad indirizzarlo verso le braccia calorose ed accoglienti della Grazia Madre. «Lei, insieme a le sue quattro figliolette, ti difenderà per sempre. Bartimore, non rinnegarle mai!» gli diceva l’esperta. E a Bart, l’idea di essere difeso da loro non dispiaceva affatto. Né gli dispiaceva pregarle.    
«Ebbene, Werny ha bisogno di tanta fede per ora. Qualcuno si è accanito contro i più deboli, contro di noi. E solo la speranza di credere potrà darci la forza di rialzarci da terra.» Il devoto ingollò un altro sorso di quel che stava bevendo. «Sai, qualche notte fa Werny è stata attaccata aspramente. Ribelli coi forconi hanno appiccato il fuoco per ben sei volte, infiammando questa locanda e tante altre strutture. La nostra cittadina è impoverita da carestie e sommosse. Non abbiamo più alcun sussidio da nessuno. Un tempo, quando patres Gareth governava la cittadina in qualità di castellano, di Werny si poteva dire tutto meno che fosse vuota. Ma adesso che io ho dovuto prendere in mano le redini del suo governo, le cose sono cambiate. Che sia forse la mia incapacità politica? Arriverà il giorno in cui Werny sarà abbandonata da ogni abitante, e prima che sia dannatamente tardi anche io dovrò lasciarla. C’è già chi ha iniziato a farlo.»     
Bart lo aveva notato. Afferrò un pezzo di pane e lo accompagnò in bocca con entrambe le mani. La birra era terminata e adesso non gli restava che darsi da fare per saziarsi con il montone e il pane. Bart era abbastanza ignorante in fatto di politica, ma sapeva bene come funzionasse quel genere di cose. Le cittadine, possedimenti terrieri di regni più grandi di loro, dipendevano esattamente dal signore del regno stesso. Solitamente, il governo dei possedimenti di un regno veniva affidato a persone capaci come signorotti meno nobili o esperti inviati dall’Accademia. Ma mai in vita sua Bart aveva conosciuto una cittadina retta da un devoto.                   
«E dove sta il vostro signore in tutto questo?» chiese ai due uomini seduti insieme a lui.                                                       
Il devoto prese nuovamente la parola: «Samwal Wotor? Un bambino di soli otto anni che si diverte con bambolotti e soldatini di legno. Non ha pugno né capacità di governo. Come potrebbe aiutarci? E l’Accademia si interessa ben poco di questi avvenimenti, al momento. I patres e le matres sono stati richiamati in riunione all’Accademia per indire il torneo di Roshby, e pochi di loro hanno fatto ritorno alle loro sedi.»                                
A quel punto fu l’arciere a parlare, gli occhi socchiusi e il tono nuovamente pacato. «A noi chi ci pensa, ser? Alla nostra bocca che si affama e ai nostri stomaci che brontolano? Oh, di certo non il nostro signore. Di certo non Samwal Wotor il Re Fanciullo. Dovrebbero chiamarlo il Re Fannullone, altroché!»                                        
Il devoto gli rivolse un rapido sguardo pungente, che bastò per sedarlo un’altra volta e farlo tornare quieto.                    
«Dunque, cosa dovrei farmene io della vittoria di quella o dell’altra fazione nella Guerra Grigia? Quei nobili uomini che si fanno chiamare signori, che si fregiano di quel titolo in ogni angolo della strada, si stanno massacrando a vicenda. Ha avuto inizio per una richiesta, quella fastidiosissima richiesta del Cavaliere Rosso! E ora ecco dove siamo arrivati!»        
Il devoto alludeva chiaramente al motivo per cui la Guerra Grigia aveva preso il sopravvento. Era nato tutto per uno stupido pretesto, probabilmente solo per avanzare pretese di possesso su terre o castelli. O forse per rancori mai totalmente affievoliti tra due partiti con origini differenti. Sta di fatto che il Cavaliere Rosso, Renegar Redrock, aveva chiesto all’Accademia che fosse ridata alla Punta la possibilità di condannare a morte i giustiziati tramite l’ingollo, l’antica tecnica di uccisione che si serviva del fuoco di Ghysa per bruciare dall’interno i condannati. Senza alcun ripensamento, il Supremo Patres Polwyr aveva rifiutato quella folle richiesta, facendo insorgere contro l’Accademia stessa, e contro il proprio governo, la furia del Cavaliere Rosso. E, malgrado la morte di Renegar Redrock, la Guerra Grigia non era ancora terminata. Il suo piano facinoroso aveva continuato a vivere, guidato questa volta dalla spietata mente di Roger Wyndwat.                                                                                                                                 
«Vedi, tra i partecipanti al torneo di Roshby e i suoi spettatori, tra i fuggitivi per le oscenità delle scorse sere e i paurosi che si nascondono dentro le loro case, di Werny è rimasto solo uno scheletro spoglio.» Il devoto Baricald portò il pugno sulle labbra e ruttò sonoramente. Poi, dopo aver svuotato tutto il calice in bocca, si voltò per riempirlo nuovamente.
«Mio signore, bere in questo modo ti ucciderà.» lo avvertì Bart.            
«Sono vecchio ormai. Se anche non dovesse uccidermi l’idromele, credi che vivrei tanto a lungo da vedere concludersi questa guerra? Neppure i bambini vivono quanto dovrebbero vivere. E io che diritto ho di vivere più di un innocente ragazzino?» Il devoto ricadde sulla spalliera della sedia, piegandola leggermente all’indietro. «Oh, ti starò annoiando! Tu sei qui per riposare e io ti sto disturbando più del dovuto. Adesso ti prego di scusarmi soltanto un momento.» L’uomo si alzò e uscì fuori dalla locanda rantolando qualcosa sottovoce e trattenendo al petto la lunga veste bianca.        
Bart era fin troppo impressionato da quei suoi discorsi sulla Guerra Grigia. «A Roshby c’è un torneo. Un torneo indetto dall’Accademia per far ricongiungere le due fazioni ribelli e legarle con l’indissolubile fermaglio della pace» gli aveva detto Amisa. «Fa’ di tutto per far valere la voce dei deboli, Bart. Fa’ di tutto!» “La voce dei deboli” pensò Bart. Poi il cavaliere alzò la mano richiamando l’attenzione del locandiere.
Ancora una volta, questi si precipitò verso di lui esibendo gli strati di grasso flaccido che gli pendevano dalle vesti. Bart prese tra le mani il piatto di lenticchie e cipolle e lo alzò.                                               
«Quante altre porzioni te ne restano?» gli domandò.                                                                                                                                                 
Il locandiere inarcò le sopracciglia, incuriosito non poco dalla sua domanda.          
«Umh, eh …» Si fece qualche conto sui polpastrelli e poi rispose «… una cinquantina, circa. Vuoi anche quelle? Per le Grazie! Sarai pure giovane, ma mangi più di tutti i miei figli!»                                     
«Esatto.» rispose Bart «Più una stanza per la notte. A quanto?»           
«Facciamo sessanta argenti per tutto, d’accordo?»
Bart tornò a tastare il contenuto delle sue tasche, poi alzò lo sguardo verso l’oste. «Solo se mi prometti di distribuire cipolle e lenticchie ad ogni abitante di questa cittadina. Oh, e di’ che le manda Dalton Kordrum.»
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Note d'autore:
Rieccoci qui, cari lettori! In questo periodo ho ricevuto un paio di recensioni, per le quali ringrazio calorosamente ognuno di voi. Purtroppo il testo non ha un'impaginazione particolarmente accattivante (non riesco proprio a fare di meglio), ma spero che la trama, i personaggi e le azioni possano colmare questa mancanza. Come promesso, ecco qui il secondo capitolo della mia storia. Dunque, che ne pensate del gesto di Bart? Cosa credete che si celi dietro la figura del devoto Baricald e cosa ne pensate del suo comportamento? Ha parlato in quel modo per far compiere volutamente quel gesto a Bart o ha soltanto agito spinto dal suo animo caritatevole? Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ci vediamo alla prossima pubblicazione (settimana seguente) e nelle recensioni (per cui mi prendo la briga di leggerle e rispondere). 
Un saluto, Makil_ 

 
   
 
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