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Autore: WolfieIzzy    31/01/2017    3 recensioni
Aprile 1795. Eleanor Kenway è su una carrozza diretta a Parigi, dopo aver affrontato un viaggio partito quasi un mese prima da casa, in America. Vuole scoprire di più sulla sua famiglia. Vuole scoprire da dove viene. Vuole diventare un'Assassina come suo padre, Connor. In Francia la aspetta il suo destino, e il Maestro Arno Victor Dorian, che la addestrerà per farla diventare un'Assassina perfetta e con il quale combatterà per il futuro della Nazione. Ambientata dopo gli eventi di Assassin's Creed Unity.
NB: Questa storia cerca di essere il più possibile fedele sia ai fatti storici reali, che a quelli fittizi appartenenti alla storia di Assassin's Creed. Qualsiasi modifica apportata al "canone" storico reale e/o appartenente al mondo di AC è voluta ed è utile ai fini della storia. Buona lettura!
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arno Dorian, Napoleone Bonaparte, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aprile 1795

Non ne potevo più.
Non vedevo l'ora di arrivare a Parigi: quel viaggio mi aveva praticamente distrutta. Era passato quasi un mese da quando ero partita da casa. Quasi due settimane di viaggio in nave da Boston a Londra, dove ero dovuta fermarmi per qualche giorno a ripulire la vecchia villa di famiglia per sistemare le mie cose, e da lí, un'altra traversata verso il porto di Calais, dal quale ora mi stavo dirigendo in una carrozza decisamente più confortevole dei miei ultimi mezzi di viaggio verso la tanto agognata Parigi. 
Personalmente non ero mai stata in viaggio, cioè, per meglio dire, non avevo mai intrapreso un viaggio che fosse più lungo di qualche giorno e soprattutto non ero mai uscita dal continente Americano. Mi ero trasferita qualche volta insieme a mio padre, anche se non ero mai riuscita a passare molto tempo con lui per via del suo "lavoro". Chiamiamolo così.

Perchè io, Eleanor, ero figlia di Connor Kenway, che di certo non era un uomo normale. Mio padre era un Assassino. 

Mi venne da ridere perchè fino ai 12 anni non avevo idea di cosa significasse quella parola. 
Ma avevo iniziato a capire già verso i 10 anni cosa volesse dire, soprattutto perchè mio padre mi aveva affidato sempre a dei tutori di un certo tipo che non erano le balie delle mie compagne di giochi.
Winston Bradford, il mio tutore, mi aveva inquadrata già da piccola, istruita ed allenata in vista di questo viaggio e del mio inserimento nell'Ordine degli Assassini da quando avevo 13 anni, fino ai 21 di adesso. Perchè in Francia, pero'? Beh, la verità era che avevo una lettera di presentazione: una "raccomandazione" per diventare allieva del Maestro Arno Victor Dorian. 

Mio padre fin da piccola aveva voluto proteggermi da tutto ciò che lo riguardava come Assassino, ovviamente non trascurando il fatto che io ricevessi un'educazione adeguata. Ma, un anno fa mi ha presa da parte, e mi ha detto che avrei dovuto continuare la sua missione in Francia, perchè rimanere lí era troppo pericoloso per me. Stava ancora lavorando, infatti, nel ramo degli Assassini di quelli che erano diventati gli Stati Uniti d'America e voleva che io facessi un'esperienza formativa lontano da lì, perchè ormai ero cresciuta e gli dispiaceva e non riteneva giusto tenermi confinata in una casa in qualche paesino in mezzo alle praterie. Per questo mi aveva mandata qui, in Francia, dove la piaga Templare era stata praticamente debellata. Da chi? Dal Maestro Arno Victor Dorian, appunto. Aveva ucciso François Thomas Germain, il Gran Maestro Templare, un anno fa, dopo aver eliminato tutti i suoi subalterni. Un'impresa che da quello che avevo sentito, gli era costata tanto, troppo. 

Ma io ero lì appunto, per iniziare il mio percorso nella Confraternita e ambientarmi, chissà, ad una nuova vita nel vecchio continente. A Londra in teoria, dov'era la mia antica casa di famiglia. Ma papà aveva preferito Parigi perchè, diceva, a Londra è meglio che fino a che non sarai preparata ad affrontarla, certa gente non sappia del tuo arrivo. Io mi ero riproposta di non chiedere altro: stravedevo per lui, e così feci. Partii, entusiasta dell'opportunità che mi era stata offerta.

Ero un'ottima spadaccina, diceva Winston. E la considerava un'abilità rara, probabilmente ereditata da mio nonno. Avrei dovuto secondo lui coltivare il mio talento, oltre allo studio della lingua francese. Credevo che in realtà fosse stato di più lui a volere la mia partenza, e che successivamente avesse convinto mio padre sul fatto. In effetti passavo quasi più tempo, anzi sicuramente più tempo con Winston che con mio padre, e tra noi si era creato un rapporto bellissimo. Mi mancava già molto, infatti. Mi mancavano le sue storie, anche quelle che mi raccontava su mio nonno Haytham. 
Non sapevo molto su mio nonno, ma sapevo chi fosse, e sapevo quello che aveva fatto mio padre. Ed era uno dei motivi per cui avevo deciso di venire in Europa: volevo scoprire di più sul suo operato, ed ero sicura che qualcuno in questo mi avrebbe potuto dare una mano.

Mentre la carrozza rallentava, io guardai fuori dal finestrino. Stavamo arrivando a Parigi. Il traffico intorno a noi di veicoli e persone di qualsiasi genere me lo fece notare subito.

Spostai lievemente il mio cappello, dono ricevuto da mio padre prima del viaggio, e controllai di avere tutto a posto. La spada corta che portavo al fianco, anche quella affidatami prima della partenza, riflettè la luce bianca che passa dal finestrino. La rinfoderai, anche se mancava ancora un po' prima dell'arrivo. 

Dopo qualche decina di minuti arrivammo in città: era un'esperienza nuova per me, che fino a quel momento non avevo mai visto una città veramente Europea. Era molto diversa da Londra, ed era decisamente l'opposto di Boston. Non era grigia come la capitale inglese, nè fresca e marina come la città in cui ero nata. I palazzi erano enormi, dai tetti blu, ed ebbi la sensazione di trovarmi a casa. Era molto accogliente. Appena la carrozza imboccò la strada che portava alla Locanda dove avrei dovuto alloggiare per qualche tempo, ebbi l'opportunità di ammirare la vita che animava quei meravigliosi viali: banchetti con ogni genere di merce, e decine di persone che li percorrevano. All'apparenza la città sembrava abbastanza tranquilla rispetto a tutti gli episodi che avevano attraversato quelle strade da non molto tempo. In effetti, si respirava aria di libertà. 

La carrozza si fermò e io scesi. Mi guardai intorno, captando il maggior numero di informazioni che potei. L'aria era fresca, tiepida, era ormai primavera. Diversa. Feci portare i miei bagagli all'interno della locanda, e la simpatica signora dietro al bancone mi fece aiutare a portarli nella mia stanza da un ragazzo più o meno della mia età. 

'Benvenuta a Parigi, Mademoiselle'. Mi disse cordialmente, dopo aver sistemato il mio ultimo bagaglio all'interno della stanza.

Io gli sorrisi. 'Grazie mille, ..' 'Sono Pierre.' 'Allora grazie, Pierre.' 

Uscì e chiuse la porta, e io mi lanciai malamente sul letto. Ero davvero distrutta, e infatti mi addormentai poco dopo, vittima della stanchezza del viaggio. 

Non so quanto tempo passò dopo, ma mi svegliai di colpo. Sentivo un leggero mal di testa, e avevo decisamente fame. Andai alla finestra per rendermi conto di che ora fosse: primo pomeriggio. In effetti aveva senso, considerando che ero arrivata in mattinata. Sbadigliai e mi misi leggermente a posto davanti allo specchio. Mi pettinai i lunghi capelli castano scuro, per poi legarli in una coda alta, e mi sciacquai il viso con l'acqua che avevo riscaldato sulla fiamma.

Mi infilai la giacca e scesi al pian terreno per mangiare qualcosa. Quando ebbi finito ringraziai Madame Louise, la locandiera, e approfittai per chiederle dove fosse la residenza De La Serre, dove alloggiava Il Maestro Dorian.

Lei rispose che non era lontano dalla Locanda, qualche boulevard più in là. La ringraziai di nuovo e uscii, sperando di trovare sia la casa che il signor Dorian dentro.

Mi avviai per il boulevard illuminato dal sole del pomeriggio verso la residenza dei De La Serre, e nel frattempo mi godevo quell'atmosfera così diversa da quella a cui ero abituata. Prima di tutto, non avevo mai girato liberamente per una città come avevo fatto da due mesi a questa parte. E se mi trovavo a camminare in mezzo a delle persone, soprattutto, ero stata educata a tenere la testa bassa e camminare il più velocemente possibile. Inutile dire che non avevo mai girato per luoghi pubblici da sola. 

Arrivai alla residenza De La Serre, dove in teoria dovrebbe esserci stato il Maestro Dorian. Bussai tre volte alla porta e feci un passo indietro. Mentre aspettavo scrutai la facciata principale: un bellissimo palazzo. I balconi pero' erano chiusi al piano superiore, e ce n'erano solo due aperti a quello inferiore.

'Chi è?' sentii chiedere da dietro la porta. 

'Eleanor Kenway. Cerco il Maestro Dorian.' dissi.

La porta si aprí lievemente e una figura maschile apparve. 

'Sono io.' disse, e quando vide che probabilmente non avevo un'aria minacciosa aprí di più la porta e mi squadrò da capo a piedi.

'Kenway, avete detto?' chiese. Probabilmente, anzi sicuramente aveva sentito il mio nome in passato.

'Si, Signore. Sono la figlia di Connor Kenway, e nipote di Haytham Kenway.' dissi, guardandolo negli occhi.

Credevo fosse più grande. Grande nel senso di età: rimasi stupita dal fatto che sembrava leggermente più vecchio di me. Era decisamente bello, un viso dai lineamenti estremamente graziosi, ma comunque virili. Aveva una cicatrice sotto l'occhio e la barba lievemente accennata. I capelli castani, un po' più chiari dei miei, erano legati in un codino. Era vestito in modo ordinario, camicia, gilet, fazzoletto rosso e coulottes, i pantaloni sotto al ginocchio che andavano di moda in Francia, da quel che avevo sentito.

Nel frattempo mi stava ancora guardando, ma la sua espressione era cambiata: non più diffidente, ma incuriosita. Mi fece segno di entrare e seguirlo nel salotto del palazzo: era tenuto piuttosto bene, si vedeva che era stato rimesso al fresco da non molto. Mi sedetti su un divanetto e lui fece la stessa cosa su una poltrona di fronte a me. 

'Mademoiselle Kenway, come mai siete qui?'

'Vedete, signore, mio padre desiderava che io partissi per la Francia per concludere il mio addestramento da Assassina. E ha voluto che intraprendessi il mio percorso nella Confraternita qui, a Parigi, presso di voi.'

Arno distolse lo sguardo per un attimo, poi si riconcentrò su di me. 
'A Parigi, come mai?'

'Ecco, mio padre mi ha sempre voluta proteggere dalle sue attività negli Stati Uniti, lo vedevo poco, e quasi nessuno sa che sono sua figlia. Ha voluto mandarmi qui perchè, in seguito al mio bisogno di essere iniziata al Credo, ha considerato la Confraternita Francese come una delle migliori al Mondo, e Parigi una città adatta alle mie esigenze. Finito l'addestramento, dovrei tornare alla vecchia casa di famiglia a Londra.' 

Lui sorrise lievemente. 'Capisco. Posso vedere la lettera?'

'Certamente.' Gliela passai. 

Lui la lesse attentamente, e si fermò due o tre volte per scrutarmi meglio sopra il bordo del foglio di carta. Avrei dovuto spiare quella lettera prima, pensai. Chissa cosa c'era scritto.

Finito di leggere la ripiegò e la ripose nel taschino del gilet.

'Benissimo, Mademoiselle Kenway. Vostro Padre ha già provveduto a raccomandarvi a me. Vi aspetto domani sera, alla Confraternita degli Assassini di Parigi. Fatevi trovare alla Sainte Chapelle alle otto di sera. A domani.'

Wow. Già finito? Pensai. Si vede che mio padre aveva saputo bene cosa scrivere. 'Grazie mille, Monsieur Dorian. A domani.' Mi accompagnò all'uscita, si inchinò leggermente sorridendomi e chiuse la porta. Io sospirai: era fatta. Il giorno successivo sarei stata probabilmente nominata Iniziata.

Tornai alla Locanda dopo aver fatto un giro in città, godendomi la vista della Parigi serale. I boulevards erano già molto meno popolati, le persone erano già tornate alle loro case. Parigi di sera era ancora più bella, accarezzata da un vento fresco. Una musica leggera proveniva da una piazzetta. Mi avvicinai, cullata dalle note. Un uomo stava suonando il violino. Dopo essermi goduta ancora per un po' la melodia, rientrai alla Locanda.

Mi fiondai a letto il prima possibile, avevo ancora la stanchezza del viaggio addosso dopotutto. Lanciai la giacca e mi tolsi gli stivali e i pantaloni, infilandomi a letto solo con la camicia, e caddi in un sonno profondo.
  
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