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Autore: Inganno    31/01/2017    0 recensioni
Cosa faresti se potessi provare una sola emozione per volta? E se questa fosse inevitabilmente negativa?
Evelyn lo sa bene, perché è proprio questa la condizione in cui vivono lei e gli abitanti della sua città.
Ogni pillola un’emozione diversa.
Ogni pillola una durata diversa.
Anche Jenny comprende cosa significhi essere una prigioniera, poiché vittima delle brutalità degli adulti senza cuore che lavorano nell’orfanotrofio in cui vive da quasi diciott’anni.
Solo l’intreccio delle loro vite sarà capace di permettere loro di affrontare un lungo e pericoloso viaggio, colmo di insidie ma anche di amore, al termine del quale poter finalmente trovare la libertà da sempre agognata…
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

La solitudine dell’eroe

 

J

enny fissava l’orrenda poltiglia nella sua ciotola senza muovere un muscolo. Sembrava incantata dalla sequenza casuale di bollicine di quel pasto disgustoso e per nulla omogeneo, ma in realtà la sua mente era concentrata su ben altro. 

“Vuoi rimanere davanti a me tutto il giorno, stupida ragazzina?” domandò acidamente la cuoca ultrasessantenne, riportando l’orfana alla realtà. Questa non rispose, si limitò semplicemente a spostarsi dirigendosi verso il solito tavolo. 

“Piccoli ingrati… Non solo preparo loro un cibo da leccarsi i baffi, ma per giunta si lamentano!” sbuffò lei, cercando di nascondere un sorriso compiaciuto. Neanche la cuoca, infatti, si discostava dai canoni del tipico adulto là dentro. Anche lei si divertiva a torturarli, ma mentre il custode o l’infermiera erano nemici che potevano essere in qualche modo evitati, lo stesso non valeva per quella grassa e leggermente barbuta donna. I poveri orfani, infatti, non potevano evitare di mangiare e ogni giorno erano costretti a nutrirsi di pasti orrendi, puntualmente modificati dalla cuoca per essere difficili da mandar giù. Stavolta si era divertita aggiungendo una spropositata quantità di sale, rendendo praticamente immangiabile quella brodaglia già stomachevole di suo. Eppure la cuoca non era affatto inesperta, perché quando preparava i pasti per i suoi colleghi si vedeva chiaramente come fosse abile ai fornelli. Riusciva a fondere perfettamente in un unico squisito pasto tutto ciò che coltivava nel suo orticello, dove passava più tempo che in cucina. Peccato che questo trattamento non fosse riservato agli orfani… E tutto questo perché? Per pura malvagità, la stessa che avvolgeva il cuore di chiunque lavorasse là dentro.

“Jenny, è scomparso anche Steve” disse un bambino sedutosi nello stesso tavolo della ragazza.

“Da quant’è che non si fa vedere?” chiese allora Jenny con aria un po’ assente, giocando senza nemmeno rendersene conto col braccialetto di gomma che teneva al polso.

“Ieri mattina è stato portato nell’ufficio della signorina Finnegan senza alcun motivo e non è più tornato” Jenny abbassò il capo pensierosa. Tutti i bambini là dentro si erano sempre preoccupati di cosa capitasse a quelli che sparivano. La ragazza più grande era consapevole di cosa succedesse, sapeva che era un nuovo inizio per quei poveri angeli, il solo modo per spezzare le catene della prigionia e permettergli nuovamente di volare. Aveva detto tante volte ai più piccoli che l’adozione probabilmente rappresentava per loro l’unica possibilità di essere liberi, ma gli orfani non potevano evitare di preoccuparsi ugualmente. Erano convinti che tutti gli adulti fossero malvagi, esattamente come quelli che lavoravano in quell’inferno di orfanotrofio. Per quanto si volessero fidare di Jenny, il loro timore era comunque grande e avrebbero preferito rimanere per sempre là con la loro protettrice che da soli in chissà quale terribile famiglia. La ragazza però sapeva che non tutti gli uomini erano come quelli dell’istituto. Ricordava benissimo quando la signorina Finnegan si ammalò gravemente e fu costretta a lasciare l’antico ospedale per recarsi in uno vero e funzionante. Per quasi tre settimane fu sostituita dapprima da una donna molto cordiale, poi da quell’uomo che le aveva fatto comprendere l’importanza di un buon libro. Il custode allora era in convalescenza per il primo infarto, l’infermiera ancora non era stata assunta. Solo la cuoca era rimasta a sorvegliare l’operato del temporaneo direttore. Allora a Jenny sembrò che si conoscessero, ma anche che non si piacessero particolarmente. Furono comunque giorni di assoluta felicità, ma questa non era destinata a durare a lungo. Non appena la signorina Finnegan venne a conoscenza di come l’orfanotrofio veniva gestito fece di tutto per tornare il prima possibile. Il sostituto si prese perfino la libertà di assumere un neolaureato e giovane pediatra perché riteneva che la presenza di un medico fosse essenziale per la corretta formazione dei bambini. Inizialmente si rivelò un bel problema e per cacciarlo fuori la signorina Finnegan fu costretta ad assumere una nuova ragazza. Fortunatamente per lei trovò un’infermiera adatta al suo orfanotrofio infernale, la quale era quasi più crudele della stessa dirigente. Fu proprio questa infatti a suggerire gran parte delle folli regole che gli orfani erano costretti a rispettare.

“Jenny, hai capito cosa ti ho detto?” domandò poi lo stesso bambino, riportandola al presente.

“Sì scusami, riflettevo. Non devi preoccuparti per lui, ti assicuro che andrà tutto bene” fece lei, sollevandosi dalla sedia.

“Ma se l’hanno consegnato a uomini cattivi?” chiese il piccolo dubbioso. Allora qualcosa scattò in Jenny, una rabbia repressa da tempo. 

“Ti ho detto che è meglio così! Hai solo otto anni, io più del doppio, credo di sapere molte più cose di te! E smettila con questo tono lamentoso, non ne posso più!” e dopo avergli sbattuto in faccia queste parole se ne andò dalla mensa, senza aver nemmeno toccato l’orrenda brodaglia.  Contavano tutti su di lei, solo su di lei. Un buco nero con il dovere di risucchiare tutti i loro problemi e demolirli, ecco quel era il suo ruolo. Ma chi pensava ai suoi di problemi? Nessuno. Appena giunse in una zona della grande struttura priva di qualunque fonte di vita si fermò, mettendosi le mani sul volto e massaggiandosi gli occhi con la punta delle dita. Aveva raggiunto il limite di sopportazione, non era più in grado di farsi carico di altri tormenti, soprattutto adesso che si sentiva schiacciata dal peso della scoperta della notte passata. Era un fardello troppo grande da sopportare da sola e la sofferenza per la mancanza di qualcuno con cui confidarsi, di un suo coetaneo, si presentò a lei con particolare ferocia. Non aveva da tempo alcun amico con cui condividere davvero problemi o segreti, ma ne aveva davvero bisogno. Si era sempre detta e ridetta che se solo non fosse stato per quelle sbarre che ostacolavano la fuga avrebbe provato a scappare, ma adesso che aveva trovato una nuova strada per la libertà aveva paura di affrontarla. Aveva troppa paura, la stessa felicità le sembrava fin troppo utopistica per lei perché, per quanto la rincorresse, non riusciva mai a raggiungerla. Si sarebbe rivelato l’ennesimo buco nell’acqua? Jenny ne era convinta. Poi però si rese conto che questi suoi ragionamenti erano semplicemente molto egoistici, perché il suo agire non serviva solo a se stessa. In quel momento realizzò che in qualità di unica ragazza capace di poter cambiare le cose, aveva il dovere di combattere. Fino ad allora era stata cieca di fronte all’ovvietà, forse non voleva vederla. Credeva di essere una guerriera là dentro, lottando ogni giorno contro ogni avversità, ma solo in quel momento capì di essere stata solo una codarda. Il suo ruolo non poteva più essere quello di una combattente: ribellarsi e basta non portava da nessuna parte. Era arrivato il momento di evolversi, di diventare chi davvero sarebbe dovuta essere da tempo.  Era il momento di diventare un eroe.  Ormai aveva deciso, sapeva finalmente come agire. Non si sarebbe più accontentata di brevi spiragli di luce, doveva puntare molto più in alto e trovare una soluzione per far chiudere per sempre quel luogo molto più simile a una prigione che a un orfanotrofio. Convinta e fiera della sua decisione s’incamminò nuovamente diretta in camera con l’intenzione di organizzare i preparativi necessari. Era certa di potercela fare, vogliosa di cambiare il proprio destino e di diventare una vera eroina per quelle povere creature. Quando giunse nel lungo corridoio che si affacciava al cortile, gettò un’occhiata su quel trascurato giardino. Stavolta però notò qualcosa di diverso, forse preoccupante. Si bloccò e osservò attentamente quell’albero sospetto. Qualcosa, o più probabilmente qualcuno, si era mosso e adesso era nascosto dietro quella pianta. Che fosse il vecchio custode? Tornò perciò sui suoi passi, sperando di riuscire a scoprire chi fosse quell’ombra fugace. Nonostante avesse cambiato angolazione, non sembrava esserci più nessuno. Che se lo fosse immaginato? Eppure credeva di aver intravisto un volto, ma non era familiare. Dovette accantonare i suoi pensieri quando si ritrovò la stessa scena del giorno prima, ma stavolta aveva intenzione di fare qualcosa di concreto. Nonostante non potesse permettersi il lusso di ascoltare e rassicurare i piccoli, non riusciva a ignorare la violenza fisica che rischiavano di subire.

“Che ha fatto stavolta?” chiese Jenny spavalda.

“Non sono affari che ti riguardano” rispose l’infermiera.  

“Lo lasci, prendo io il suo posto” disse subito la ragazza senza pensarci troppo. La donna la scrutò perplessa e sorpresa, abbandonando poi la mano del bambino. 

“Sai la strada” disse lei soddisfatta. La giovane la osservò per un attimo, per poi dirigersi in quel luogo che ormai conosceva bene. Ripensò per un momento a quella regola assolutamente malvagia, provenuta dalla malata mente dell’infermiera. Lo scambio di pena, infatti, consisteva nel poter subire una punizione al posto di qualcun altro. Jennifer sapeva perfettamente la verità di questa norma e la crudeltà con la quale era stata proposta. Era ovvio che dei bambini piccoli come quelli là dentro non avrebbero mai fatto alcuno scambio, infatti la regola colpiva sempre e solo la più grande di loro. Per anni ormai si immolava di pene altrui, subendo fisicamente quelle che sembravano molto più simili a torture che punizioni. Era chiaramente stata creata apposta per colpire l’anello più forte di una catena già debole. In casi davvero estremi, in cui Jenny non ne poteva proprio più, i bambini cercavano di aiutarla con la regola della divisione di pena, che consisteva nel subire in due una pena più leggera, al posto di una più severa riversata a un unico orfano. Sembravano quasi dei modi per aiutarsi a vicenda, quando in realtà erano ulteriori pene psicologiche. La ragazza sospirò, pronta a far entrare nella sua collezione altri lividi o cicatrici. Salì le scale fino ad arrivare all’ultimo piano raggiungibile con queste. Il suo percorso però non era ancora terminato, doveva affrontare anche l’interminabile e strettissima scala a chiocciola che portava all’isolato e altissimo ufficio della signorina Finnegan. Ad ogni scalino che si lasciava dietro sentiva battere più forte il cuore, sebbene si comandasse di resistere alla paura. Non voleva farsi sconfiggere dalle emozioni, doveva essere lei a dominarle. Arrivò di fronte alla porta, respirò ampiamente e bussò dando tre colpi di nocca al legno.

“Avanti” fece un’algida voce. L’avrebbe riconosciuta fra mille. Jennifer entrò, chiudendo immediatamente l’accesso. La donna era di spalle e non sembrava aver fretta di voltarsi. La giovane avrebbe di gran lunga preferito che rimanesse in quella posizione, ma era consapevole che non sarebbe mai accaduto. Non era necessario vederla in volto, tanto la conosceva già incredibilmente bene. Capelli nerissimi raccolti in uno chignon, abiti rigorosamente scuri, mento pronunciato, viso smunto, occhi perfidi. Per non parlare poi di quella spilla che costantemente portava con sé, quella specie di brutto gufo scuro e dagli occhi verde smeraldo. Era scontato che con quell’aspetto non avesse trovato marito, non altrettanto normale era che obbligasse tutti a definirla signorina nonostante i cinquant’anni suonati. Stava esaminando la libreria alle spalle della scrivania, esattamente accanto all’elemento più misterioso dell’ufficio e, probabilmente, dell’intero orfanotrofio. Si trattava di una grande porta di ferro, come l’anta di un caveau di massima sicurezza. Si era sempre chiesta cosa contenesse, ma riteneva difficile si trattasse solo di denaro o gioielli. 

“Bene, bene… Era da tanto che non la vedevo, signorina Jennifer. Speravo che dopo tanti anni finalmente il suo comportamento iniziasse a prendere una giusta piega, e invece…” sprezzò girandosi.

“A dire la verità non ho fatto nulla di male, ho semplicemente dato il cambio” informò lei pacatamente. La donna osservò l’orfana, sollevando in maniera disumana il sopracciglio. Questa però non disse altro, ma si voltò nuovamente per sistemare l’archivio alle sue spalle.

“Ancora non ha trovato nessuno che voglia adottarmi?” domandò allora alla direttrice.

“Jennifer, lo sa benissimo che ormai lei non ha più alcuna possibilità di essere scelta. Le coppie vogliono i bambini piccoli, non se ne farebbero niente di una come te” puntualizzò acidamente.

“Non importa. Sono abituata a stare da sola, e poi… Fra un paio di mesi sarò maggiorenne e potrò andarmene comunque” disse lei con aria pressoché assente.

“Cosa hai detto?” domandò la donna voltandosi immediatamente, rivolgendosi per la prima volta col tu. Jenny aprì leggermente la bocca, ma subito dopo la richiuse, indirizzando il proprio sguardo verso il basso. Come aveva potuto commettere un errore simile?

“Le ho fatto una domanda!” insistette la signorina Finnegan, ritornando al lei. 

“Non capisco cosa ci sia di strano in quello che ho detto, comunque vorrei sapere quale punizione mi aspetta, così che possa scontarla e andarmene subito” asserì in maniera del tutto evasiva. La donna accigliò gli occhi che come lame trafissero il suo corpo. 

“Può andare” sentenziò dunque inaspettatamente.

“Cosa?”

“Mi ha capito benissimo. Sparisca prima che cambi idea” Jenny si alzò e in fretta lasciò lo studio della donna, consapevole che stesse tramando qualcosa. Avrebbe preferito di gran lunga le bacchettate, i lavori forzati, ma non quello. Non c’era punizione peggiore del dubbio, perché certamente non l’avrebbe scampata così facilmente. Scese le scale lentamente, mentre veniva logorata da timorosi pensieri, finché non raggiunse il piano della sua amata biblioteca. La fissò da lontano.

“A stasera” sussurrò lei, come se quel luogo potesse comprenderla. Poi se ne andò a mettere in ordine alcune delle stanze assegnatele, finché poche ore più tardi si diresse finalmente in dormitorio, dove ormai tutti gli orfani si erano ritirati. Un gran fremito si manifestò all’entrata di Jenny, la voce del suo sacrificio si era già sparsa. Lei disse loro semplicemente che il giorno dopo avrebbe dovuto pulire da sola un intero piano, così da non dover dare troppe spiegazioni a quei bambini che probabilmente non avrebbero neanche capito.

“Adesso tutti a cena, svelti! O saremo costretti a digiunare un giorno intero” spronò Jenny, cercando di far terminare le insistenti domande. Accompagnò perciò tutti i bambini in mensa e là riuscì a stare per alcuni minuti tranquilla. 

 

***

  Quando anche l’ultimo degli orfani si addormentò, Jenny si sentiva pronta per affrontare la sua missione. In fondo, ciò che aveva scoperto la sera precedente rimaneva un mistero anche per lei, ma allo stesso tempo sapeva che rappresentava l’unica strada per raggiungere finalmente la libertà. Preparò uno zaino con dentro tutto ciò che le potesse essere utile. Nonostante non fosse padrona di nulla, possedeva molte cose che nel tempo aveva trovato in giro per l’edificio o che era riuscita a rubare agli adulti, specialmente al vecchio custode. Uscì perciò con molta cautela dalla grande stanza e fece lo stesso percorso che da anni era solita fare. Non le serviva alcuna luce per il momento, conosceva a memoria dove collocare ogni singolo passo anche nel buio più assoluto. Stavolta, a ogni scalino che lasciava alle sue spalle, crescevano adrenalina e speranza. Raggiunse il piano giusto e pochi passi dopo arrivò di fronte alla porta della biblioteca. Fece un respiro profondo, pronta a mettere la parola fine una volta per tutte alla prigionia degli orfani, poi spinse per aprire e… Chiusa. Com’era possibile? Prese in fretta un lume e un fiammifero e in pochi secondi riuscì a irradiare la zona circostante. Rivolse dunque lo sguardo di fronte a sé, scoprendone l’amara verità. Le maniglie delle due ante erano legate assieme da una robusta catena bloccata da un pesante catenaccio. La ragazza provò a spezzare gli anelli d’acciaio per la disperazione, sebbene si rendesse conto dell’inutilità della sua azione. 

“Sapevo che saresti uscita allo scoperto, prima o poi” fece dal nulla la stessa familiare e fredda voce. Jenny si pietrificò. 

“Mi sei sempre sembrata fin troppo intelligente per essere una ragazza cresciuta senza alcun insegnamento. Non avrei mai pensato che sfruttassi questa stanza per studiare… Esattamente come facevo io anni fa” proseguì lei uscendo dal suo nascondiglio.

“Che fine ha fatto il suo tono distaccato?” domando Jenny senza voler mostrare la sua paura.

“Il lei si dà a chi merita rispetto, e tu, mia cara Jennifer, hai disubbidito a troppe regole. Mi hai sempre creato problemi, non avrei mai potuto venderti a nessuna famiglia. Non sei come gli altri bambini, possiede cose che loro hanno”

“Davvero? A me sembra di non avere proprio nulla. Mi è stato tolto tutto, la mia giovinezza, la mia purezza, la mia libertà!”

“Questo è dipeso solo da te. Posso affidare gli altri bambini a delle coppie perché so che non metterebbero mai in pericolo quest’orfanotrofio, perché a loro mancano tre caratteristiche che tu possiedi: carattere, intelligenza e l’affetto sincero dei bambini. Sei troppo pericolosa, devo prendere provvedimenti”

“E cosa vorresti farmi allora?” domandò perciò enfatizzando l’utilizzo della seconda persona. A quel punto l’ira della signorina Finnegan raggiunse il culmine, prese per i capelli la ragazza e la rinchiuse con una velocità fulminea dentro un minuscolo stanzino molto vicino a lei. Jenny non riuscì a reagire in tempo e cade a terra, sbattendo subito la testa contro la parete, tanto era piccolo quel posto. Poteva essere più o meno largo mezzo metro e lungo due. Quando si rimise in piedi, la stanza era già stata chiusa a chiave. “Per i prossimi giorni starai qui. Niente cibo. Niente acqua. E questa è solo una minima parte della tua punizione!” sbraitò la malvagia signorina Finnegan mentre scendeva per le scale. Jenny urlò, si ribellò, iniziò a gettarsi contro la porta sperando riuscisse ad abbatterla. Da lì nessuno poteva sentirla, ma lei non pianse, non aveva bisogno di nessuno. Si accasciò a terra, prendendo fiato. Il breve sconforto iniziale mutò velocemente in qualcosa di strano e del tutto imprevisto. Ospiti diversi dal solito erano stati accolti dalla solitudine. Sembrava quasi che tristezza e disperazione non fossero i benvenuti stavolta, ma che coraggio e determinazione avessero preso il loro posto. Jennifer si risollevò fiera di se stessa, contenta di essere sola. Voleva stare nella solitudine, vivere nella solitudine, abitarla. Voleva essere un tutt’uno con essa e trovare in sé la forza di reagire. Desiderava bastarsi più che mai, senza nessuno che le tendesse la mano. Era pronta a diventare un eroe e a compiere quel destino che fino ad allora non era mai riuscita a cogliere. Basta commiserarsi, basta avere rimpianti. Era pronta finalmente a diventare il cambiamento che sognava da tempo. Buttò a terra tutti gli utensili dello stanzino per creare un cumulo quanto più alto possibile. Dopo essere riuscita a modellare una precaria piramide, posizionò all’apice della caterva un secchio capovolto. Vi salì sopra e raggiunse a malapena il soffitto, riuscendo a spostare il pannello mobile con la punta delle dita. A quel punto si lanciò con un balzo atletico e fece appena in tempo ad aggrapparsi al controsoffitto che però al suo peso tese a piegarsi. Nonostante questa piccola difficoltà riuscì a intrufolarsi nell’incavo, sebbene un pannello rischiò seriamente di spezzarsi sotto il suo peso. Agilmente ricollocò i propri arti sul più resistente reticolo, iniziando a gattonare. Dall’esterno si notava chiaramente il suo passaggio, ma tanto quello stanzino sarebbe rimasto chiuso per almeno due giorni. Non aveva un’idea precisa di dove andare, stavolta non vedeva alcuna luce che la indirizzasse verso la giusta direzione, ma intanto lei camminava come se sapesse benissimo la strada da dover percorrere. Se ne fregava di tutto ciò che calpestava, le interessava solo raggiungere l’ala segreta dell’orfanotrofio. Era determinata, nulla l’avrebbe fermata. Pochi metri e sarebbe probabilmente arrivata. Ma proprio quando la convinzione di farcela raggiunse il culmine, ecco che questa sprofondò immediatamente, così come successe alla povera Jenny che rovinosamente cadde giù, al cedere di un pannello troppo consumato dal tempo. 

  
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