Burning flowers
against darkness
(è solo il dono che lui ci fa
ogni giorno di questa vita)
Adorava la ruvidità dei libri vecchi. Il
colore luminoso delle pagine ingiallite sembrava splendere nel buio compatto
della biblioteca, le luci fioche delle lampade erano lontane come un miraggio
superfluo ed a lei indifferente. Integra studiava, placidamente.
Quel giorno pioveva. Smetteva, poi
ricominciava. L’odore della pioggia e della terra penetrava da sotto le porte
massicce, spingeva le tende delle finestre chiuse. C’era sempre, attorno a lei,
qualcosa che si muoveva. Integra sentiva costantemente quella presenza nel buio
solido. Sapeva che sarebbe stato difficile, quando poi non l’avrebbe più
sentita. Tuttavia, Integra, non poteva distrarsi quel pomeriggio – ormai
diventato sera: aveva dei compiti da finire. E quella volta si trattava di
filosofia. Una materia che le era sempre piaciuta poco, molto poco, praticamente
per niente. Ed era più il tempo che perdeva a fare disegnini sul suo blocco
appunti, tanto che a giornata finita, faceva finta di non averla mai nemmeno
iniziata. Giusto per orgoglio personale.
Tuttavia non aveva voglia di tornare in
camera, quella sera. C’era qualcosa nella biblioteca che (rideva?) la tratteneva
lì. Non era il dovere, non era la pioggia, non era il buio. Erano delle parole
in tedesco che aveva letto al margine della pagina. Qualcosa come Die Geburt der Tragödie e via
dicendo, una qualche opera di un qualche autore dal nome impronunciabile.
A seguire, una frase. Una,
quella frase specialmente. Integra la lesse e poi alzò gli occhi al
buio.
Il buio, in tutta risposta, brillò e poi
si spense.
Integra stringeva la fibbia
della cintura attorno alla vita. Prendeva la spada, ne ricontrollava la lama, la
rinfoderava. La pistola sul fianco destro era come un gatto addormentato sul suo
corpo. La divisa, una sorta di seconda pelle. Walter entrò a porgerle un
bicchiere di vino. Integra lo bevve guardandosi allo specchio della sua
stanza. Dov’è lui? chiese. Walter le rispose con
il suo solito sorriso sormontato dagli occhi sereni appena schiusi. È lì, milady, disse. Ovviamente, concluse Integra.
Ovviamente. E tirò giù d’un fiato, tutto il bicchiere di vino.
Mentre scendeva
dall’elicottero, le ritornò in mente la differenza tra il buio di quella sera,
in biblioteca, e il buio della notte, quando scendevano le tenebre. Quello non era buio. Soffocò una risata. Ma per piacere. Il buio vero, il mondo,
nemmeno sa cos’è, e si diresse
verso quella casa che si stagliava sopra tutta la valle, dall’alto del suo male
perché lui era lì. L’abbraccio di
buio la accolse non appena chiuse la porta dietro di sé. Era dolce, quando
l’abbracciava, sempre. E sempre le poneva la scelta fatale che la faceva ridere e
arrabbiare ogni volta. Passo dopo passo, il rumore dei tacchi in sottofondo, le
stelle a cadere fuori dalle finestre polverose, gli schizzi di sangue lungo i
muri brillavano come fiori di fuoco di un buio gentile.
Seras Victoria, accanto a lei,
deglutiva. E non capiva, perché, povera lei, non vedeva niente.
Lui era lì, naturalmente.
Chino sul suo pasto, cantava una grazia insostenibile. Integra rimase a
guardarlo dimenticandosi anche di Seras e delle sue guardie del corpo che
lottavano contro la loro paura. Integra lo guardò dissanguare quella ragazzina,
vide il piede di lei muoversi, gli ultimi spasmi ad agitarla ancora nelle sue
braccia. Schiuse le labbra, lo guardò quasi implorante. Quasi una preghiera udì
lui, dovette udire, per alzare gli occhi sulla sua padrona. Lei era lì, davanti
a lui. Chiuse gli occhi, depose il corpo vuoto sul pavimento, si terse le labbra
con un fazzoletto nero. Poi lo riprese. La testa ciondolava oltre il suo
braccio, i buchi profondi sul collo la guardavano come due occhietti vuoti.
Integra tornò a quella sera in biblioteca e capi atrocemente il senso di quella
frase. Alucard si avvicinò di altri due passi, le offriva quel corpo come
l’omaggio più prezioso.
«…und die Tragödie
singt diese unmögliche Vereinigung. » sussurrò.
«Master?
»
Integra non
distolse lo sguardo dal corpo che il suo servo le offriva. La testa come a
staccarsi dal collo, il sorriso di lui, quasi sacro. Poi rispose a Seras, povera
bambina troppo luminosa, ancora troppo viva e cieca per capire. Le parole le
uscirono dalla bocca pesanti come una sentenza, ma leggere come l’aria della
notte.
«Solo lui può apprezzare in quel modo la bellezza di una vita che muore. »
***
A Lè. Anche se non ci conosciamo bene, la dolcezza che metti in ogni parola rende sempre speciale le nostre sporadiche conversazioni.
Tanti, tanti auguri di buon compleanno tesoro, da me e da tutto l’Hellsing.
(Giuro, Alucard con
cappellino e trombetta è un paradiso dei sensi) <3
Clèr