Anime & Manga > Card Captor Sakura
Ricorda la storia  |      
Autore: Return_to_Nibelheim    01/06/2009    4 recensioni
Non si preoccupi Nadeshiko, non è colpa sua. In fondo lei è giovane e inesperta. Sono certa che suo marito ha messo in conto questi piccoli fallimenti quando l’ha sposata.
Genere: Commedia, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Touya/Toy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

VENTO

(Una storia di cibo cucinato male)

 

 

Non sei stato un bambino facile da gestire, tu.

Sempre pieno di capricci.

Ingovernabile.

Eri l’incubo delle babysitter, il tormento delle maestre. All’espulsione dal terzo asilo nido in pochi mesi e con poche speranze che nei rimanenti non si fosse già sparsa la voce del terribile bambino che eri i tuoi genitori avevano deciso di comune accordo di tenerti a casa sotto le cure di tua madre, che abbandonò definitivamente il lavoro da modella senza neppure quelle “sporadiche apparizioni” che si era concessa quando se n’era sentito il pressante bisogno economico. Ma non te ne ha mai fatto una colpa, anzi pareva sollevata della cosa.

Cominciò così la vita da mamma di Nadeshiko.

Anche se sarebbe stato molto più preciso parlare di guerra.

Tu non sembravi intenzionato a sottostare neppure all’autorità materna e lei nonostante le apparenze fragili e a tratti cagionevoli non era tipa da arrendersi ai capricci di un bambino: casa Kinomoto era diventato un campo di battaglia in cui non lesinavi colpi bassi come pianti immotivati in piena notte, schizzi di pipì a tradimento e sparizioni di chiavi e portafogli con successivo ritrovamento nel water o nel tritarifiuti. Non siete mai riusciti ad andare d’accordo, tu e lei.

 

*

 

Per il compleanno di Mae-chan, la bambina che gli piaceva all’asilo, Touya aveva promesso a tutta la classe di portare quei dolcetti buonissimi che sapeva fare il suo papà. Purtroppo per lui Fujitaka in quel periodo era così assorbito dallo studio per l’esame di accessione all’insegnamento universitario da avere a malapena il tempo di infilarsi i pantaloni alla mattina, figurarsi mettersi ai fornelli.

Lui aveva tentato di cucinarli da solo, ma erano un qualcosa di troppo elaborato per un bambino e dopo un pomeriggio di lavoro tutto quello che aveva ottenuto era stato un mucchio di pallette giallastre deformi dall’aria agonizzante. Se ne era rimasto lì, in mezzo a un disastro di uova e lievito, tutto preso a inventarsi una scusa plausibile per non presentarsi alla festa (malattia? pidocchi? morte di ignaro parente? Tsunami in casa?) di Mae-chan, quando era arrivata la mamma che si era offerta spontaneamente di aiutarlo coi suoi dolci.

Ora Nadeshiko, per quanto fosse dotata di un sacco di qualità e nonostante avesse tutte le buone intenzioni di questo mondo, era una delle cuoche più incapaci dell’universo, seconda per incompetenza solo ai leoni della savana e a qualche scimpanzè mentalmente svantaggiato. Era negata al punto che le era permesso di avvicinarsi ai fornelli solo in caso di vera emergenza, ovvero: se fosse scoppiato un incendio, se avesse avvertito odore di gas, se il riso avesse cominciato a prendere vita dalla pentola, se gli alieni avessero tentato di rubare loro la cena, e anche così soltanto in assenza di figlio e marito. Sakura veniva dopo di lei solo perché a malapena gattonava e non le era ancora possibile arrivare alle manopole.

Nadeshiko insomma era un autentico pericolo pubblico. Riusciva a far esplodere le uova bollite, a bruciare il riso con la sola imposizione della presenza in cucina, e quando voleva trasformare una mela in un coniglietto per sua figlia del frutto non rimaneva che un torsolo sformato che faceva scoppiare la bimba in lacrime.

Questa fu la donna che vedendo in difficoltà il suo bambino si annodò prontamente in vita il grembiule troppo grande del marito e legò i capelli in uno chignon posticcio per non sporcarsi di farina: peccato per le dita già impiastricciate di preparato per dolci lasciato a colare dal ripiano che vanificarono quell’accortezza. La donna che osservando il ripiano con gli ingredienti e il libro di ricette si fregò le mani con entusiasmo e rivolgendo al figlio un largo sorriso disse: «mettiamocela tutta» e «faremo di certo dei dolci più buoni di quelli di papà», quella che alla fine si presentò a casa di Mae-chan con una mostruosità carbonizzata seppellita di panna spray e fragole orribilmente menomate.

Volteggiando graziosamente su un parquet scricchiolante che sembrava creato appositamente per ricoprire di ignominia le madri ritardatarie e maldestre con una spiccata propensione all’inciampo posò il suo vassoio in mezzo a quel tripudio di impeccabili delizie casalinghe, totalmente incurante degli sguardi inorriditi delle altre madri. Lo sistemò tra un vassoio di nikuman delle dimensioni della piscina della scuola e un panino imbottito di cioccolata lungo come la treccia di Raperonzolo: per sistemarlo era stato necessario aggiungere accanto ai due tavoli anche la scrivania dello studio e una poltrona del salotto. - Non si preoccupi Nadeshiko, non è colpa sua - le aveva poi detto la signora Kojima[1] arricciando il naso in segno di approvazione nel vedere la piccola Sakura che tra le braccia della mamma mordicchiava tutta contenta il biscotto al malto che le aveva offerto poc’anzi coi suoi dentini nuovi di zecca. - In fondo lei è giovane e inesperta. Sono certa che suo marito ha messo in conto anche questi piccoli fallimenti quando l’ha sposata. - Il tutto sottolineato da un lieve sospiro comprensivo.

Era un commento acido come tanti.

Nessuno vi badò.

 

*

 

In casa si attendeva con ansia l’arrivo del bebé.

Nadeshiko, già di salute cagionevole e debilitata dalla gravidanza, negli ultimi mesi avrebbe avuto bisogno di molto riposo: così tuo padre, che fino a quel momento aveva assistito bonariamente e a debita distanza ai piccoli scontri tra te e la mamma, ti aveva proposto un patto e ti avrebbe portato a casa un regalo per ogni giorno che ti fossi comportato bene con lei.

Per i primi tempi aveva anche funzionato.

Non eri mai stato così obbediente e alla sera, fedele alla parola data, il papà ti portava sempre un bel pacchetto infiocchettato mentre per la mamma c’era ogni volta un gran mazzo di garofani bianchi.

Il problema si presentò quando i regali si fecero noiosi.

Al punto che ricominciasti a far ammattire la mamma solo per non riceverli più.

Allora i tuoi genitori avevano deciso che sarebbe stato meglio offrirti dei soldi, di modo che poi potessi comprarti da solo quello che volevi quando all’arrivo del bebé la mamma t’avesse portato di nuovo con lei a fare la spesa. Ma avevano scoperto, non senza una discreta dose di perplessità e d’inconfessato orgoglio, che al loro primogenito l’idea di ricevere denaro senza guadagnarlo era più odiosa di quelle sorprese: così ti permisero di fare dei lavoretti in casa, di aiutare nelle faccende e in cucina in cambio di un corrispettivo in moneta.

La cosa ti piacque al punto che persino il giorno del tuo compleanno ti rifiutasti  di accettare il regalo di mamma e papà se prima non avessi rifatto loro il letto e preparato la colazione.

 

*

 

E’ strano come certe microscopiche minuzie rimangano impresse nella memoria sulla scia di un evento memorabile tramutandole in qualcosa di indimenticabile in maniera indissolubile.

Quel giorno Touya aprendo l’armadietto a scuola con la solita aria svogliata trovò una busta sigillata con un cuore. Un classico. Sulla faccia anteriore c’era il suo nome quindi nessuna possibilità di uno scherzo, un errore o di qualcuno troppo popolare che per smaltire le missive faceva scivolare le  rimanenze negli armadietti altrui. Aprì la busta stracciandola con noncuranza e ne estrasse il foglio di quaderno a righe piegato in due. La calligrafia era precisa e ordinata, una ragazza. La carta profumava di vaniglia e il mittente si firmava con una M. Dopo la scuola però aveva una partita e non andò mai all’appuntamento. Non ha mai saputo chi fosse quella persona ma ricorda ancora l’albero sotto cui lei avrebbe voluto incontrarlo. Gli venne il dubbio che potesse essere Mae-chan ma non gli piaceva più.

Senza un motivo particolare. Succede spesso ai bambini.

Vinsero e lui dovette vedersela con la solita fiumata di offerte da parte dei club sportivi.

Quando era un povero insegnante alle prime armi suo padre faceva sempre in modo, a costo di arrivare col fiatone e l’aria trasandata di un rapitore, di finire di lavorare in tempo per venirlo a prendere a scuola e tornare a casa insieme chiacchierando e ridendo “da uomini”. Col passare del tempo le sue presenze si erano fatte sempre più sporadiche ma non era un problema.

Lavorava, mica poteva fargliene una colpa.

In quel periodo suo padre stava dietro alla tesi di uno studente non particolarmente brillante, cosa che gli portava via un sacco di tempo. Tempo, secondo Touya, a dir poco sprecato anche se si guardava bene dal dirlo. Aveva dato una scorsa distratta agli appunti sulla scrivania dello studio una volta che il genitore stava prendendo il tè in cucina con la mamma e non poteva controllare che combinasse disastri, e al di là della tematica su cui comunque ci sarebbe stato comunque da ridire (“Glanstonbury: ipotesi sulla leggendaria Avalon” nientemeno), c’erano più correzioni e appunti in rosso che altro.

Le porte del treno gli si chiusero davanti agli occhi e gli toccò aspettare il successivo. Faceva freddo. Alla fine era tornato a casa quasi due ore più tardi rispetto al solito perché s’era messo a guardare un nuovo modellino di robot nella vetrina del negozio di giocattoli e aveva perso quattro treni.

A casa vide del fumo uscire da una finestra.

Corse a perdifiato ma ebbe comunque la presenza di togliersi le scarpe anche se non era certo quello il momento di pensare allo sporco in casa. Sull’uscio della cucina ben illuminata si inchiodò di colpo quando lo accolse il sorriso frivolo e dolce di sua madre. Sakura dall’alto del suo seggiolone lo ignorò bellamente tutta presa dalla canzoncina di un cartone animato alla televisione.

Era tutto in ordine.

Così pareva.

- Cucciolo[2], ciao! Unisciti a noi.

- Credevo che il dottore di avesse detto di restare a riposo.

La mamma ignorò l’osservazione e gli sorrise affabile dal tavolo, allegra e spensierata come al solito. Inutile a dirsi, vestiva in modo assurdo e pareva pronta per uno di quei servizi fotografici delle riviste per teenager; indossava con un abito di un bianco panna molto leggero tutto merletti e ricami e una gonna a più strati che frusciava come le onde dell’oceano ad ogni movimento. Tra i lunghi capelli si era presa persino la briga di intrecciare le margherite dai petali sottili che crescevano in giardino, senza che quel giorno dovesse mettere un piede fuori casa.

Le piaceva essere carina.

La faceva stare meravigliosamente bene, diceva.

E quando stava bene le pareva di avere intorno solo gente felice.

- Sono in ritardo, scusami. – le disse mentre si avvicinava alla sedia che lei gli aveva scostato per farlo accomodare accanto a lei. Quando fu abbastanza vicino venne afferrato a tradimento per un braccio e tirato con forza. Un secondo dopo annaspava in un ammasso smisurato di cotone candido e un paio di labbra giocose e prepotenti gli avevano lasciato sulla fronte un timbro di rossetto che non sarebbe andato via tanto facilmente.

- Non fa niente.

- Eri preoccupata?

- Per niente. Sapevo che era tutto a posto.

Su questo Touya non poté replicare. Nadeshiko era una di quelle persone che sapeva d’istinto quando preoccuparsi e quando invece poteva passare il pomeriggio a mangiare biscotti davanti alla tv a ridere coi cartoni animati per bimbi. Intuiva quando qualcosa stava andando storto e quando invece . Non si trattava di sesto senso né di premonizioni. Di sicuro non si sarebbero mai attribuite le sue capacità a una qualche straordinaria dote intellettiva.

Semplicemente lo sapeva.

Del perché non s’è mai interessata.

Trovava più utile occuparsi dei fiori in giardino e della sua famiglia.

Il programma trasmesso in tv era quella che veniva comunemente definita robaccia da femmine. La storia già vista mille altre volte di una ragazzina del tutto comune che si ritrovava d’improvviso detentrice di magici poteri in un turbinio di rosa e glitter. Non moriva mai nessuno e i personaggi arrossivano sempre troppo per i gusti di Touya. Si ritrovò ben presto a trovare più avvincente lo spettacolo che  gli stava offrendo sua sorella con quegli onigiri mezzi mangiucchiati. Sembrava che le fosse esplosa una bomba ripiena di riso in faccia; aveva chicchi mollicci ficcati dappertutto. In quel periodo Sakura stava arrancando verso l’ardua via dell’indipendenza e anche se il più delle volte le era concesso di usare ancora la forchetta al posto delle tradizionali bacchette il risultato era sempre un pasticcio tremendo.

Tra l’altro accadeva da un po’.

Tutte le volte che vedeva sua sorella si stava rimpinzando.

- Mamma, per caso tu e papà state programmando di mettere Sakura all’ingrasso?

- No. – rispose mettendosi una mano davanti alla bocca a soffocare una risatina. – Ma sarebbe divertente vederla rotolare per casa.

Touya le ghignò di rimando.

- Senza dubbio.

Nadeshiko poteva dare l’idea di una persona fragile e delicata, di quelle signorine di buona famiglia che bisognava prendere con le pinze, sempre pronte a voltare sdegnosamente la testa e a ticchettare leggiadramente via al primo segnale d’alterco, con il naso sempre all’insù e il senso dell’umorismo dimenticato nella culla. Invece quella donna così evanescente e a tratti persino frivola aveva un suo lato malizioso e buffo che Touya adorava.

Facevano gli scherzi al papà.

Si arrampicavano sugli alberi con Sakura sottobraccio.

 

Capitava poi a volte che se Touya non aveva davvero voglia di andare a scuola lei lo capiva subito. Veniva a prenderlo di nascosto all’ingresso e se ne andavano in sala giochi dove era diventata una vera veterana dello sparatutto e una discreta conducente di moto e automobili virtuali. Ma poi non c’erano più andati perché la scuola era sempre più difficile e Nadeshiko era stanca. In quel periodo avevano installato nuovi apparecchi in sala giochi e gli venne da chiedersi se sua madre si sarebbe mostrata all’altezza della sua fama coi nuovi sistemi di controllo.

- Ovvio.

- Che sbruffona.

- Io sono un talento naturale.

- Ti vanti solo perché non puoi dimostrarlo.

- Allora perché non chiedi a papà di comprarti una consolle per natale? – gli aveva chiesto allora la mamma. -  Così posso stracciarti anche in salotto.

Avevano riso di nuovo e Touya aveva preso un onigiri dal piatto di Sakura. Non era male.

 

*

 

Touya aveva sempre adorato terrorizzare la sorellina minore, fin dal giorno in cui le avevano dato il suo lettino (come aveva fatto notare indignato alla mamma, la quale evidentemente non aveva colto la gravità della situazione visto che non aveva fatto niente per ovviare al problema!).

Lo faceva sempre di nascosto.

Perché non voleva certo essere punito.

Quando la mamma usciva dalla stanza che al tempo dividevano, dopo bacio e favola della buonanotte, scostava le coperte ben rimboccate e, zampettando a piedi nudi sul pavimento gelato andava in direzione della culla. Si aggrappava alle sbarre e, ben nascosto, cominciava a imitare il basso ululato del vento dei temporali: fischiava e gemeva, lamentandosi cupo, finché lei non cominciava a piangere disperata. Allora correva a letto.

Aspettava l’arrivo della mamma.

E poi sghignazzava di nascosto sotto le coperte.

 

*

 

- Fiori di ciliegio, fiori di ciliegio, ricoprono il pane saggio fino all’ori ponte. E’ nebbia, o nuvole? Fra gatti al sole del mattino, fiori di ciliegio… - [3] Lo accarezza, lo scrolla, lo pizzica al viso e alle braccia: alla fine, non riuscendo a scuotere suo fratello, Sakura gli canta  piano all’orecchio.

La mamma lo svegliava così a volte.

Touya apre gli occhi e si ritrova accanto la sorellina.

- Posso dormire con te? - pigola intimorita. - Ci sono i fantasmi e ho paura.

- Va’ da papà - rantola insonnolito il fratello, poi cerca di raggomitolarsi su un fianco ma le piccole dita sulle sue spalle stringono la presa. Lui è più grande e forte, è vero, ma lei gli si appoggia addosso con tutto il suo peso impedendogli ogni movimento.

- Ho paura. - ripete lei con più convinzione.

Touya sbuffa e scosta le coperte facendole cenno di avvicinarsi. Lei non se lo fa ripetere due volte e con uno scatto da centometrista gli si accucciola al fianco, abbracciandolo forte e strizzando gli occhi come se per scacciare i mostri bastasse eliminarli dal campo visivo. Chi ha detto che La paura è solo una percezione della nostra mente non ha mai visto un bambino terrorizzato. Una volta Touya, giunto al limite della sopportazione, ha provato a banalizzare la cosa, a dirle che non c’è nessun vecchio senza piedi su in soffitta e che quell’uomo con un occhio solo non sbucherà dalla televisione per portarla via. Ha ottenuto solo un grido terrorizzato dalla sorellina convinta che il fratello fosse posseduto e che fossero i fantasmi a fargli dire quelle cose per distrarla e rapirla.

Sakura ha una vera e propria collezione di fantasmi, li vede solo lei: c’è un bambino che le mette in continuazione i broccoli nel piatto per non farle mai finire la verdura e mangiare il dolce; un tizio che le fa scricchiolare le scale sotto i piedi e una donna senza volto nello specchio della camera di papà. Per ognuno la soluzione è sempre la stessa: correre in camera del fratello maggiore.

- Chi era stavolta?

- Qualcuno.

- Qualcuno chi? - insiste.

Sakura, abbandonata la paura, gli lancia un’occhiata piena di nobile sopportazione nei confronti di una persona che non capisce nemmeno le cose più semplici ma, poverino, non è colpa sua. - Non gliel’ho mica chiesto. Non sarebbe stato educato.

- Certo che no. - Touya annuisce con convinzione e le rimbocca le coperte fin sul naso. Lei ha già chiuso gli occhi e il respiro le si sta acquietando. Basta poco, in fondo, per tranquillizzare i bambini.

E’ stato lui a inculcarle quella paura.

E’ sua la colpa della presenza continua di quei fantasmi.

Ma è solo quando fuori soffia il vento che asseconda i suoi capricci.

Fa ondeggiare i rami degli alberi contro la finestra della loro stanza, con sibili acuti e taglienti come quelli di un gatto infuriato. Sospinge la pioggia in una discesa quasi orizzontale, pesanti goccioloni ghiacciati tamburellano un motivetto spedito alla finestra, e picchietta i rami scheletrici del vecchio Ginko in giardino contro il vetro. Touya resta sveglio, ascolta.

Ha sempre ascoltato il vento.

Che fosse segno che l’estate stesse finendo e che l’indomani avrebbe fatto troppo freddo per andare in piscina per cui sarebbe stato meglio tirare fuori dal capanno il rastrello e girare per i giardini dei vicini a tirar via fogliame in cambio di qualche moneta. Che trascinasse dall’orizzonte cupi nuvoloni scuri che avrebbero fatto annullare il picnic in famiglia previsto per il giorno successivo, cosa che gli avrebbe dato modo di avere tempo per studiare all’indomani e per quel giorno se la sarebbe potuta prender comoda. Lo ascoltava.

E poi c’era la mamma.

La mamma che rideva felice come una bambina.

Coi vestiti tesi come vele e i capelli a volteggiare scuri contro il cielo pulito.

La mamma che, e se il papà avesse saputo gli sarebbe venuto un infarto, nelle giornate di vento ciabattava comicamente per la cucina con tutte le finestre spalancate armata di ventaglio per sventolare fuori le prove del suo ultimo esperimento culinario. Ma questo era un segreto soltanto loro perché Sakura era troppo piccola al tempo e non ricorda quei piatti immangiabili, i mal di pancia e le file al bagno dopo pochi assaggi. Non ricorda il suo impegno, la sua frustrazione, l’aria comicamente colpevole con cui si sbracciava fuori ad allontanare il vapore come avrebbe fatto con uno stormo di corvi.

Si era incaponita d’improvviso senza un perché.

Touya almeno non l’ha mai capito.

Non era come se ci fosse il disperato bisogno di imparare a cucinare perché Fujitaka era un cuoco eccezionale e il figlio stava seguendo le sue orme anche se di malavoglia. Se non avesse ereditato la totale incapacità ai fornelli di sua madre anche Sakura ben presto li avrebbe seguiti.

Davvero, non ce n’era bisogno.

- Ma non posso mica lasciar fare tutto a voi, io sono la mamma!

Si batteva il petto col palmo aperto, una fiera determinazione nello sguardo, poi provava e riprovava di nascosto. A letto si faceva portare libri di cucina e li studiava con interesse borbottando qui e là commenti a mezzabocca. Era buffa. Avrebbe rivelato tutto a papà una volta che fosse riuscita a fare degli onigiri perfetti e lui sarebbe stato fiero di lei, vagheggiava, ma non andò mai oltre quelle poche pallette di riso dall’aspetto orrendo perché non ce ne fu il tempo.

Il giorno in cui morì soffiava il vento.

Era primavera e l’aria portava un lieve profumo.

Da qualche parte là intorno qualcuno stava cucinando del riso.


 

[1] Piccola isola. Mi sembrava un cognome adatto per un’acidona con una mentalità così ristretta.

[2] Premettendo che avrei odiato da morire una Nadeshiko vezzosetta che chiama il figlio Tou-chan (già mi basta come si veste, io che trovo lezioso anche il sandalo col tacco di 3 cm) mi serviva comunque un nomignolo affettuoso. Scoperto per caso che Toya o Touya in Giappone è un nome abbastanza comune per i cani (significa “vincente”), non ho potuto non cogliere l’occasione! :D Potevo trovare di meglio ma questo paragrafo mi ha sfiancato le biglie.

[3] Qui Sakura è piccola e sbaglia le parole di una nota canzone popolare giapponese, che si chiama per l’appunto “Sakura Sakura”. E’ un brano che insegnano ai bambini che imparato a suonare il koto. Il testo sarebbe: “Fiori di ciliegio, fiori di ciliegio, ricoprono il paesaggio fino all’orizzonte. E’ nebbia, o nuvole? Fragranti al sole del mattino, fiori di ciliegio, fiori di ciliegio, fiori in piena fioritura.” Mi piaceva l’idea che Nadeshiko le cantasse una canzone un po’ demodè che porta il suo nome! ^^

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Card Captor Sakura / Vai alla pagina dell'autore: Return_to_Nibelheim